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17
febbraio 2012 - 24 Shevat 5772
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Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
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Rav
Shlomo Riskin, commentando la parashà di questa settimana, riporta una
definizione dell'ebraismo di Rav Soloveitchik. Rav Soloveitcik,
parafrasando Cartesio, afferma che l'ebraismo si può riassumere nella
frase "sono responsabile, quindi sono. Nella parashà di Mishpatìm
l'uomo è considerato responsabile non solo delle azioni da lui compiute
direttamente ma perfino da quelle compiute da una animale di sua
proprietà. La responsabilità non può essere scaricata sugli altri, che
questi altri siano altri esseri umani o l'ambiente e la società in cui
si vive. Questa caratteristica della tradizione ebraica è sempre meno
popolare. Le persone tendono a non considerarsi responsabili delle
proprie azioni e non accettano che queste azioni abbiano delle
conseguenze. Ogni conseguenza negativa è un'ingiustizia di cui siamo
vittime. Un altro grande Maestro dell'ebraismo contemporaneo Rav
Itzchak Hutner sostiene che la più grande eresia del '900 è la
conseguenza del libero arbitrio. Questa negazione è una fuga dalla
responsabilità ma è contemporaneamente una fuga dalla libertà.
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Laura
Quercioli Mincer,
slavista
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“I
bambini – ha scritto Janusz Korczak – sono il nostro futuro. Dunque è
come se ora non ci fossero. Eppure noi viviamo adesso, adesso sentiamo,
soffriamo.” Forse, se si facesse a meno una volta per tutte della
retorica sul futuro (i bambini sono il nostro futuro, i giovani sono il
nostro futuro) si rispetterebbero di più gli uni e gli altri. |
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Qui Milano - Israele
alla Borsa del turismo |
Uno stand di 230 metri
quadri, 14 diversi espositori: Israele partecipa alla Borsa
internazionale del turismo con tante offerte per operatori e pubblico.
“New Bit, new business” il tema della 32a edizione della più importante
fiera italiana dedicato al mondo dei viaggi, che dal 16 al 19 febbraio
porta a Milano 2287 espositori, per più di cinquemila offerte
turistiche da 130 diversi paesi. Dopo i primi due giorni dedicati
esclusivamente agli operatori del settore, durante il finesettimana Bit
sarà aperta anche al pubblico, a chi non vede l’ora di programmare la
prossima vacanza, a coloro che amano semplicemente dare un’occhiata
agli stand in cerca di brochures, curiosità e gadgets. E da questo
punto di vista lo spazio espositivo israeliano rappresenta un punto
privilegiato: è possibile farsi confezionare su misura un braccialetto
con il proprio nome in ebraico, un artista traccerà la caricatura a
tutti i visitatori che lo desiderano, allietati nell’attesa da un
bicchiere di vino israeliano e dalla musica del gruppo Jaman. E infine,
dal paese che si è guadagnato il soprannome di “start up nation” grazie
alle sue imprese tecnologiche, non poteva mancare uno spunto hi-tech, a
tutti i possessori di smartphone viene data la possibilità di scaricare
un’applicazione dedicata a Israele per scoprire tutto quello che c’è da
sapere per la scoperta della Terra del latte e del miele.
Rossella Tercatin
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Qui Roma - Una
generazione si racconta
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Nasce la prima banca della
memoria ebraica. Realizzato dal Centro di Cultura Ebraica della
Comunità di Roma grazie a un finanziamento dell’Otto per Mille
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, questo inedito progetto
web racconterà uno degli ultimi intensi capitoli di storia della più
antica realtà della Diaspora abbracciando l’arco temporale che va dai
giorni della Liberazione, primo impulso di rinascita dopo gli orrori
del nazifascismo, agli anni Ottanta, scenario della storica visita in
sinagoga di papa Giovanni Paolo II. Ineludibilmente centrale, in questo
appassionante percorso sulla scia dei ricordi di una generazione, lo
straordinario contributo culturale e religioso dato dall’arrivo di
migliaia di ebrei di Libia nella Capitale in seguito alle persecuzioni
antisemite perpetrate nel paese nordafricano.
Gli autori delle testimonianze, che saranno pubblicate sul sito
www.memoriebraiche.it, sono alcuni tra i principali protagonisti di
quel periodo di fermento. Leader politici, rabbini, intellettuali,
artisti, giornalisti, gran parte dei quali ancora oggi fortemente
coinvolti nella vita comunitaria, parteciperanno domenica pomeriggio al
centro Il Pitigliani all’incontro Una generazione si racconta (il via
alle 17.30), incontro in occasione del quale verrà data voce ai ricordi
e in cui si procederà alla presentazione del nuovo sito. Porteranno un
saluto il presidente UCEI Renzo Gattegna, il presidente della Comunità
ebraica di Roma Riccardo Pacifici, l’assessore alle Politiche Culturali
e Centro Storico del Comune Dino Gasperini, l’assessore alle Politiche
Culturali della Provincia Cecilia D’Elia, l’assessore alla Cultura,
Arte e Sport della Regione Fabiana Santini. Condurrà la serata Marcello
Pezzetti, direttore scientifico del Museo della Shoah. Interverranno
assieme agli intervistati Micaela Procaccia, Sandro Portelli, Shalom
Tesciuba e (in collegamento da New York) il giornalista Maurizio
Molinari.
a.s.
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Qui Mantova - Quando a
Piazza Erbe c’era il ghetto |
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“Case popolari che si
elevavano fino al quarto piano, palazzi signorili, sinagoghe, stretti
vicoli, cortiletti, scale esterne, cunicoli e passaggi che univano vie
e spiazzi, portici, botteghe, balconi con ringhiere di ferro battuto,
colonnine di marmo e capitelli”. È questa pittoresca fotografia ad
introdurci alla scoperta di un luogo che non c’è più, il ghetto di
Mantova, l’area in cui gli ebrei della città virgiliana – per 200 anni
seconda comunità d’Italia dopo Venezia – furono costretti a vivere per
tre secoli. Le nostre guide in questo viaggio pieno di spunti, che
parte dalle origini del domicilio coatto ebraico e arriva fino agli
ultimi lavori di “sventramento” edilizio effettuati nei recenti anni
Sessanta, sono Emanuele Colorni e Mauro Patuzzi (nell'immagine in
basso), autori a quattro mani
del volume C’era una volta il ghetto – Storia, immagini e guida di
Mantova ebraica edito da Di Pellegrini. Un’opera godibile e fresca in
cui, ad un campionario di immagini d’epoca (specie dei primi anni del
Novecento, quando molte tracce del quartiere erano ancora in piedi), a
documenti e mappe recuperate dopo lunghe ricerche negli archivi, si
affianca un resoconto ricco di aneddoti della vicende che portarono
alla costruzione, allo sviluppo e alla progressiva distruzione
urbanistic. “Si iniziò alla fine dell’Ottocento con la constatazione da
parte delle amministrazioni comunali delle precarie condizioni statiche
ed igieniche della zona. Da allora e fino alla metà del secolo scorso –
spiegano gli autori – si procedette di conseguenza a risanare interi
isolati abbattendo i vecchi caseggiati esistenti e costruendo al loro
posto nuovi immobili. Questi ultimi vennero però progettati senza tener
conto dell’originaria fisionomia morfologica e culturale del quartiere
in cui sorgevano modificando così in modo irreversibile intere aree”.
Oggi del ghetto resta quindi un ricordo remoto, alla portata soltanto
di occhi attenti e consapevoli. Un’idea, anche se evidentemente
parziale, la si può ad esempio avere
passeggiando in via Governolo
oppure in via Umberto Norsa oppure ancora in piazza Sermide. Qua e là
si possono ammirare porte‐ finestra dalla ringhiera in ferro battuto di
derivazione sefardita‐spagnola, piccoli balconi, case a più piani,
portali marmorei, cortiletti. Tante tracce, tanti piccoli e grandi
indizi di un passato oggi sepolto non solo nelle fondamenta ma spesso
anche nella memoria. “Mancava finora a Mantova – afferma Patuzzi – un
libro che riguardasse non tanto la Comunità ebraica nei suoi aspetti
religiosi e culturali quanto un qualcosa che descrivesse il contesto in
cui si trovò lungamente a vivere. Si trattava di cucire assieme più
tasselli. È stato un lavoro intenso ed entusiasmante”. L’idea di
realizzare quest’opera nasce sulla scia delle passeggiate
frequentemente organizzate dalla Comunità ebraica, con notevole
successo di pubblico lungo l’itinerario della Mantova ebraica di un
tempo. Tour che partono da piazza Erbe, di fianco alla rotonda di San
Lorenzo, nel luogo dove si trovava uno dei portoni principali del
ghetto e arrivano alla splendida sinagoga Norsa di via Govi, un
autentico gioiello dell’architettura ebraica italiana, ricostruendo
strade, palazzi e situazioni dal sapore antico. “Il ghetto non esiste
più – sottolinea Colorni, già autore di numerose opere dedicata
all’ebraismo mantovano – però oggi è comunque possibile tentare di
ricostruirlo virtualmente con le parole e con una documentazione
appropriata. Far rivivere la storia della comunità, per secoli attiva
nel territorio e nel tessuto sociale cittadino, è una sfida importante
per vari motivi. Innanzitutto per mostrare la complessità di una realtà
vivace che ebbe varie anime. Pensatori e commercianti, ma anche osti,
locandieri e quant’altro si possa immaginare. È un compito pressante
soprattutto nel racconto alle nuove generazioni. Ai giovani abbiamo
infatti il dovere di mostrare un’immagine né pietrificata né
stereotipata dell’ebraismo. Solo così facendo potremo vincere il
pregiudizio che in alcune sacche ancora resiste”. Il libro, in
distribuzione da alcune settimane, è già alla seconda ristampa. Molti,
racconta Colorni, nello sfogliarne le pagine e nell’osservare le
fotografie pubblicate ritrovano un quid della loro gioventù: “Guarda
qua, mi dicono commossi, guarda quella foto. È il cortile che
attraversavo tutti i giorni per andare a trovare un amico, la piazza in
cui giocavo a pallone, il vicolo in cui facevamo la posta alle
ragazze”. Pagine indelebili dei ricordi dell’anima. Pagine del ghetto.
Italia
ebraica, febbraio 2012
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Non ti straniare
dall’ebraismo |
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“Il tuo ingresso in Svizzera è
avvenuto illegalmente, e, perciò, non esiste un tuo diritto a
rimanervi. Il ‘diritto di asilo’ per cui ti è stata concessa
l’ospitalità, non rappresenta un obbligo nei tuoi confronti, ma
semplicemente la facoltà della Confederazione Elvetica di accoglierti.”
Sembrano frasi molto dure e perentorie, soprattutto se ricordiamo che
quel “non obbligo”, quell’accoglienza non dovuta, poteva rappresentare
per gli ebrei l’unica possibilità di sopravvivenza. Stupisce perciò
pensare che quelle frasi provengono da altri ebrei: costituiscono
infatti l’inizio di un “memento” in forma di decalogo che apre un
“Vademecum del rifugiato civile” stampato dall’Unione Svizzera dei
Comitati ebraici di Assistenza ai Rifugiati, probabilmente nel 1944,
trovato tra le carte di famiglia. In realtà la durezza di questo
memento è un ossequio dovuto alle autorità svizzere e ci ricorda le
difficoltà in cui si dibattevano gli ebrei elvetici, schiacciati tra la
rigida politica di accoglienza del proprio governo e il desiderio di
salvare la vita al maggior numero possibile di persone. Il vero spirito
che anima il Vademecum si evince quindi non dal memento ma
dall’introduzione, intitolata “Benvenuto”: “Benvenuto sii tu. Se anche
non ti conoscevamo personalmente, ti abbiamo lo stesso aspettato con
ansia, accolto con gioia; perché ogni uomo il quale, sfuggendo ad un
atroce destino, trova asilo in questa terra libera e generosa, è tutto
un mondo salvato, tutta una somma di vita e di lavoro conservata per il
futuro.”
Credo che non sia casuale il riferimento alla nota frase talmudica
(Sanedrin 37a) secondo cui chi salva una vita è come se salvasse un
mondo intero. Anche l’ottavo punto del memento contiene un orgoglioso
invito a riscoprire la propria cultura ebraica, forse non scontato in
quegli anni, che credo meriti di essere letto per intero: “La tua
appartenenza all’ebraismo ti impone particolari doveri di riserbo, di
tolleranza, di amore verso il prossimo. In ogni tuo simile vedi sempre
un fratello ed un eguale, senza distinzioni o differenze. Il popolo
ebraico, di cui fai parte, ha i suoi principi, le sue tradizioni, le
sue norme di vita, alle quali vorrai sempre ispirarti. Primo tuo dovere
è quello di eseguire opere buone. Milioni di ebrei sono stati
trucidati, deportati o seviziati in questi ultimi anni per la loro fede
che è la tua. Né la tragedia d’Israele è finita. Non pensare di poterti
straniare dall’ebraismo, dalla sua vita, dal problema ebraico, con un
facile, quanto empirico, ottimismo. Educa il tuo pensiero ed il tuo
spirito ad una maggiore comprensione della cultura e della vita
ebraica. Se sei in grado, hai l’obbligo di aiutare i tuoi fratelli in
tale opera di elevazione.”
Anna Segre, insegnante
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Le dieci
parole |
A proposito dei Dieci
Comandamenti, nel Talmud (Maccot 24 a) è detto che tutte le mitzwot
comandate dalla Torah, non sono state ascoltate direttamente dalla voce
del Signore, ma a Mosè che ricevendoli da D-o li ha riferiti al popolo.
Questo è valido, insegnano i Maestri del Talmud, all'infuori dei primi
due dei Dieci Comandamenti "Io sono il Signore D-o tuo" e "Non avrai
altri dei al mio cospetto" che sono stati ascoltati direttamente dal
popolo, dalla voce di D-o ed avendo grande paura, hanno delegato Mosè
ad ascoltare la voce divina ed a riferire tutte le mizvot.
Alberto Sermoneta,
rabbino capo di Bologna
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Raffaele
Levi z.l. |
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Leggi la rassegna |
Ancora grande cordoglio
nell'Italia ebraica per la scomparsa di Raffaele Levi z.l. Di lui si
ricordano tra gli altri gli studi su Maimonide realizzati per il DAC
(Roma 5743-1983) e ripubblicati dalla Giuntina nel 2004 con il titolo
Ritorno a Dio. Norme sulla Teshuvą. Ieri il ricordo della newsletter
Kolòt che nel rendergli omaggio titola, non a caso,
"l'assessore alla Teshuva".
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