Una
serata per parlare di Francia, di Israele, degli equilibri strategici
del Mediterraneo. Nell’incontro organizzato da Benè Berith e Comunità
ebraica di Milano interverrà per discuterne Philippe Karsenty,
giornalista francese, già direttore di Media Ratings (organizzazione
che si occupa di monitorare il modo in cui la stampa d’oltralpe riporta
le notizie da Israele), nonché fresco candidato alle prossime elezioni
per la circoscrizione estera che comprende Italia, Israele, Grecia,
Turchia, Malta e Cipro. Nato da una famiglia di origine
algerina, il quarantottenne ebreo parigino fu protagonista nel 2004 di
una forte polemica con il canale televisivo France 2 a proposito del
servizio su Muhammad al-Dura, il ragazzino palestinese la cui presunta
uccisione da parte di soldati israeliani divenne uno dei simboli della
seconda Intifada nel 2000. Karsenty asserì che il filmato non fosse
autentico e che il dodicenne non potesse in alcun modo essere stato
ucciso dall’esercito dello Stato ebraico e fu per questo portato in
tribunale da France 2 con l’accusa di diffamazione. Accusa per cui fu
inizialmente condannato, poi assolto in appello portando ulteriori
prove a sostegno della sua tesi, tra cui la perizia balistica e filmati
provenienti da altre fonti. Oltre al quadro politico francese, al
centro del dibattito della serata sarà dunque il modo di fare
informazione e controinformazione, con la proiezione di un filmato
dedicato agli sviluppi del caso al-Dura. “Ricordo quando
Karsenty partecipò a un nostro convegno due anni fa, con un intervento
in stile CSI che spiegava come fosse arrivato a capire che il servizio
di France 2 fosse un falso - racconta Claudia Bagnarelli, presidente
del Benè Berith Milano - Siamo molto contenti di averlo di nuovo con
noi. Io poi, essendo anche cittadina francese, ne approfitterò per
farmi un’idea su come andranno le cose alle prossime elezioni”.
Rossella Tercatin
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Vogliono
sterminarci, con l’aiuto di Dio ci salviamo, festeggiamo mangiando:
Pesach, Hannukkah, Purim... Sembra proprio che il convivio faccia parte
del nostro Dna. Forse è in questa chiave che si può interpretare la
diffusione, anche all’interno del mondo ebraico, di un mestiere che
attira sempre di più: il Personal Chef. In Italia sono più di duecento
a essere iscritti alla Federazione nazionale e si tratta di cuochi
professionisti che cucinano a casa del cliente, accordando le ricette
alle sue esigenze. È diverso da un catering: tutto viene preparato al
momento e non per forza su larga scala. Da poco è possibile avere
questo servizio anche nel pieno rispetto della kasherut. 2chefs4u nasce
dalla collaborazione di tre chef italiani - Daniela Di Veroli, Alberto
Anticoli (nelle immagini in alto) e
Michela Ghiorzi (nell' immagine a destra) - che hanno come autorità di
riferimento l’Assemblea dei rabbini d’Italia. Questa iniziativa si
rivolge soprattutto alle piccole Comunità ebraiche che non hanno al
loro interno un servizio di ristorazione kasher strutturato. “Ho scelto
di fare questo lavoro per passione: rendere felici le persone
attraverso il profumo e il sapore del cibo”. È così che
Daniela Di Veroli vive quest’avventura. Ebrea romana, i piatti tipici
della sua città l’accompagnano fin dall’infanzia. Per aprire i suoi
orizzonti anche alla cucina ebraica internazionale si è rivolta a
maestri d’eccezione. “Per imparare a fare le mafrume mi sono fatta
adottare da una mamma tripolina”, racconta a Pagine Ebraiche. In più,
cerca di reinterpretare la cucina italiana e regionale all’interno dei
vincoli della kasherut. Il segreto di Daniela è l’amore per la
sperimentazione di nuovi sapori per arricchire il suo menù,
caratterizzato da un vivacissimo eclettismo in grado, nel corso di una
sola cena, di far volare i palati dalla Libia alla Persia e di nuovo
all’Italia. Perché questo è il bello della cucina: gustare un piatto
non è solo un’esperienza sensoriale ma significa calarsi nel mondo e
nei valori che esso rappresenta. E proprio in questo senso Daniela
intende sfruttare le sue “radici lavorative”, che consistono nelle
lezioni di ebraismo ai visitatori della sinagoga prima di Roma, oggi di
Milano. Dall’abbinamento delle sue due passioni trae origine il suo
nuovo progetto: tour cultural-gastronomici dell’Italia ebraica. Una
nuova attività sospesa fra il piacere di gustare manicaretti e la
scoperta di nuove culture. Forse, le parole più giuste per descriverla
le ha trovate il topolino Remy, geniale protagonista del film Disney
Ratatouille: “Se è vero che siamo ció che mangiamo, io voglio mangiare
solo cose buone”.
Francesca Matalon, Pagine Ebraiche febbraio 2012
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Memoriae
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Tra
le varie manifestazioni svolte, in tutto il Paese, per il Giorno
della Memoria – ampiamente illustrate e commentate su questo portale -,
ci si permetta di segnalare ancora, per la particolare ricchezza di
contenuti e la vastità di soggetti coinvolti, la catena di iniziative
intitolata “Memoriae. Una settimana per non dimenticare”, promossa dal
Comune di Napoli, dall’Associazione Valenzi e dall’Associazione Libera
Italiana, di concerto con numerosi partner (Prefettura, Questura,
Esercito Italiano, Ferrovie dello Stato, CCIAA Benevento, Comesvil,
Confartigianato, Edizioni Cento Autori, Emeroteca-Biblioteca Tucci, La
Casa dell’Architetto B&B) e col patrocinio di svariate
Associazioni, Istituzioni ed Enti (Comunità Ebraica, Ufficio Scolastico
Regionale, Arcigay, Associazione Italia-Israele, Associazione Nazionale
ex Internati, ANPI, Fondazione Polis, Libera, Opera Nomadi). Il
progetto – come espresso dal titolo – ha inteso andare al di là della
celebrazione di una singola Giornata, coinvolgendo la cittadinanza –
caso, a quanto risulta, finora unico – in un’intera settimana di
riflessione (dal 23 al 30 gennaio), scandita da una nutrita serie di
conferenze, dibattiti, concerti, mostre, tutti incentrati sul tema
della memoria, intesa come imperativo legame di solidarietà tra le
generazioni e collante morale della comunità civile. Il plurale
“memoriae”, inoltre, ha inteso dare l’idea di una commemorazione della
Shoah ‘naturalmente’ destinata ad espandersi, ad apparentarsi con la
solidarietà verso le vittime di altre forme di soprusi e ingiustizie. È
noto che la salvaguardia della specificità della Shoah rappresenta un
valore da difendere con attenzione, soprattutto di fronte ai ricorrenti
rigurgiti negazionisti o revisionisti, e ai frequenti tentativi di
banalizzazione, tesi, più o meno consapevolmente, a fare sbiadire il
ricordo dell’Olocausto nel generico calderone delle umane violenze e
cattiverie. Il rischio che tale valore – ossia la consapevolezza
dell’unicità, della peculiarità della Shoah – possa essere scalfito,
attraverso i reiterati accostamenti ad altre esperienze, certamente,
esiste, ma non si può non affrontarlo, in quanto è lo stesso valore
pedagogico della memoria che sollecita – sul piano culturale, etico,
civile – un dovere di “vigilanza totale”, a 360° gradi, contro il male,
la sopraffazione. I ragazzi a cui si racconta di Auschwitz pretendono
di sapere in che modo, qui ed ora, essi possono mettere a frutto la
lezione appresa. E sono estremamente recettivi nei confronti di chi
indichi loro delle frontiere di impegno possibili, attuali: accanto,
per esempio, alle vittime odierne della camorra, del razzismo xenofobo,
dell’omofobia, di ogni discriminazione. Anche piccola, minuta: i
giovani sanno ben capire la differenza tra un semplice insulto
razzista, magari dato nella foga di una partita di pallone, e la morte
in una camera a gas. Ma, proprio perché lo capiscono, capiscono anche
che è più facile intervenire al primo segnale, al primo sintomo della
malattia. La settimana napoletana – un cui consuntivo è stato
tracciato in un pubblico incontro nei locali della Comunità Ebraica di
Napoli, lo scorso mercoledì 15 febbraio, alla presenza, fra gli altri,
di Nico Pirozzi (principale ideatore e animatore dell’iniziativa) – ha
dimostrato, senza dubbio, una grande sensibilità sul tema da parte
della cittadinanza, e una pressante richiesta di conoscere, sapere,
capire. Anche se ha riproposto, contemporaneamente, la difficoltà di
farlo, la sostanziale incomunicabilità dell’esperienza estrema che ha
segnato il secolo scorso. Un sentimento, credo, diffuso tra coloro che
osservavano il carro bestiame, donato dalle Ferrovie dello Stato,
esposto a piazza del Plebiscito, adibito, appena 68 anni fa, a fare la
spola tra la stazione Tiburtina di Roma, il binario 21 della stazione
di Milano, e la ‘Bahnrampe’ di Auschwitz-Birkenau. Una grande folla
ammutolita ha partecipato, innanzi a tale terribile monumento, al
kaddish officiato, il pomeriggio di venerdì 27 gennaio, dal Rabbino
Capo di Napoli e dell’Italia meridionale, Scialom Bahbout. Gli occhi di
tutti erano fissi sul sinistro contenitore: una grossa scatola di
legno, ben chiusa, con delle ruote di ferro, atte a farla camminare. Un
oggetto semplice, funzionale. Insieme facile e impossibile da
comprendere.
Francesco
Lucrezi, storico
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Qui Roma - Le catacombe ebraiche
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Di accresciuto interesse in questi anni lo studio della Comunità
ebraica romana in età antica, in particolar modo, oltre alla sinagoga
di Ostia quello sulle catacombe ebraiche. Proprio a conferma
di questo interesse è l'uscita in libreria in questi giorni del
libro di Elsa Laurenzi, Le catacombe ebraiche - Gli ebrei di Roma e le loro tradizioni funerarie
edito da Gangemi, che punta l'obiettivo sulle catacombe di Vigna
Randanini. Il volume sarà presentato oggi a Roma alle 17 nella sala
convegni della Gangemi Editore editore, in via Giulia 142.
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Nella
giornata odierna si deve considerare che sia il conflitto tra Israele
ed Iran l'argomento al centro dell'attenzione per i principali
commentatori. Andrea Wilbur firma un interessante articolo su Europa,
ma bisogna ricordarsi sempre quanto sia impossibile, su una questione
strategica come questa, avere la conoscenza di quanto si dice davvero
nelle stanze dei bottoni.
Emanuel Segre Amar
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L'Unione
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