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27 marzo
2012 - 4 Nisan 5772 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Nel
terzo Sefer Torah letto lo scorso Shabat abbiamo incontrato un verso
della Parashat HaChodesh “...e osserverete (vigilerete) le matzòt...”
(Shemòt; 12, 17), nel quale il commentatore Rashì ci invita a non
leggere matzòt, bensì mitzwòt, in virtù dell’omografia delle due
parole che hanno in ebraico le stesse consonanti. “…..come non devi
lasciare ferme le azzime a lievitare così non dobbiamo lasciare
fermentare una mitzwah che ci capita di eseguire…”. In questo senso la
matzah per Rashì diventa il paradigma di ogni mitzwah la cui dimensione
è essenzialmente la solerzia. I cambiamenti e le trasformazioni di
cui Pesakh è simbolo passano quindi attraverso un’operosità veloce. Ci
sono situazioni in cui le analisi dettagliate e gli approfondimenti
concettuali possono determinare una fermentazione che
rischia di trasformare tutto in una condizione troppo
lievitata. Il chametz, del resto, non è forse una matzah che
ha “riposato” troppo?
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Dario
Calimani,
anglista
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La strage a
Tolosa, le liste dei professori ebrei, l’antisemitismo in aumento sia
in Francia che in Italia. Le vicende di questi giorni ci hanno offerto
molta materia per la riflessione. Possiamo chiuderci in casa e
nasconderci o possiamo osare e dar voce all’inquietudine: questione di
scelte. È vero, siamo completamente soli, e la considerazione dà vita a
spinosi interrogativi. Qual è innanzitutto la reazione della società? I
media ne parlano e stigmatizzano. Parole istituzionali di circostanza.
Una breve nota della Conferenza dei Rettori solidarizza da lontano.
Qualche collega ti esprime la sua solidarietà; qualcuno ti dice di
essere senza parole. Ma l’istituzione a cui appartieni, disattenta,
tace. E si tratta di un’istituzione culturale, di quelle che formano i
giovani e li prepara a inserirsi in società. Come? Che cosa insegniamo
loro se non il senso della convivenza civile e a misurarsi con gli
altri nella libertà e nel rispetto? E a chi spetta insegnarglielo? Alla
famiglia, alla scuola di primo o di secondo grado, all’università? Con
chi ci rimpalliamo il compito? E insegnare Dante, Shakespeare, storia
dell’arte, o statistica significa operare nel vuoto, o non dovrebbe
fondarsi il nostro insegnamento su certi valori di riferimento? Se
insegnassi Céline (o filosofia o economia), lo farei secondo i valori
della Germania nazista o lo insegnerei sulla base dei valori che
tengono insieme oggi la nostra società? A che serve altrimenti ripetere
il ritornello che l’antisemitismo e ogni altra forma di razzismo li si
combatte educando i giovani? È forse retorica con cui lavarsi la
coscienza? Non ci sono innocenti. Siamo tutti colpevoli: di
indifferenza, di voltare ogni volta il capo dall’altra parte, di non
levare la voce neppure per esprimere pubblica solidarietà. Forse per il
timore di fraintendimenti poltici. Magari c’entra Israele. Il silenzio
protegge tutti, il suo calore è confortevole e rassicurante. E non
procura critiche o nemici. Non mette a rischio la nostra sfavillante
immagine pubblica. Mi dispiace moltissimo di essere coinvolto in prima
persona in questa vicenda, perché non dovrei essere io a dire che il
silenzio dell’istituzione è imbarazzante, e spero non solo per me.
Sorge persino il dubbio su che cosa accadrebbe se le discriminazioni
universitarie del ’38 si ripetessero oggi. Si fingerebbe di non sapere?
O ci sarebbe solo una frenetica corsa alle nuove cattedre lasciate
libere? Noi giudichiamo vergognoso il silenzio che ci fu durante il
fascismo. E il nostro silenzio come sarà giudicato? E da chi? Una cosa
è certa: contro l’antisemitismo non c’è interesse a fare argine. E
nella delusione impotente che si prova non ci si può non chiedere con
disagio se in altre situazioni sarebbe stato lo stesso fragoroso
silenzio.
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Qui Roma - Scuole ebraiche, un Ministro per amico |
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Otto
meno dieci: da buon torinese (anche se di adozione) Francesco Profumo,
ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, fa capolino
all'ingresso della scuola ebraica di Roma con qualche minuto di
anticipo. Ad accoglierlo, per una prima visita ufficiale all'istituto,
momento che avviene a poco più di una settimana di distanza
dall'attacco mortale alla scuola Ozar HaTorah di Tolosa, ci sono già il
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna,
il presidente della Comunità di Roma Riccardo Pacifici, il preside rav
Benedetto Carucci Viterbi e numerosi esponenti delle istituzioni
ebraiche in Italia tra cui i leader delle altre tre realtà nazionali
(Roberto Jarach-Milano, Beppe Segre-Torino e Alessandro
Salonichio-Trieste) in cui è attiva una scuola. La visita, cui prendono
parte molti protagonisti dell'istruzione ebraica (per l'UCEI tra gli
altri il vicepresidente Claudia De Benedetti e l'assessore Raffaele
Turiel) e il direttore generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per
il Lazio Maria Maddalena Novelli, prende avvio all'orario prestabilito.
Una rapida sosta per la colazione e poi l'incontro, aula per aula, coi
ragazzi delle elementari, delle medie e del liceo. Molti i momenti di
grande partecipazione e profondità come quando, con una breve cerimonia
che riunisce nella commozione tutti i presenti, viene svelata la targa
che intitola un'aula dell'istituto alle vittime di Tolosa. Il piccolo
corteo, ascoltate la lezione di Talmud del rav Roberto Colombo, si
dirige quindi in cortile, dove
centinaia di ragazzi accolgono il ministro e gli altri ospiti intonando
l'inno di Mameli, l'Hatikwa e alcuni canti ebraici. Poche parole, tante
emozioni. “Questa mattina – afferma il presidente Pacifici – abbiamo
vissuto alcune ore molto significative e intense. Dopo una settimana di
dolore mostriamo ancora una volta la nostra forza, una forza che ci è
data dalla solidità della tradizione ebraica e allo stesso tempo dal
senso di protezione che ricaviamo dalla costante presenza al nostro
fianco delle istituzioni”. “Quella delle visite alle scuole – spiega il
ministro Profumo – è uno degli aspetti più gratificanti del mio lavoro.
Ringrazio tutti per il calore dimostrato e ringrazio te, presidente
Gattegna, per la splendida lettera che mi ha inviato alcuni giorni fa.
Il mio augurio è che questo sia soltanto un arrivederci”.
L'appuntamento è senz'altro per il prossimo 24 aprile quando, proprio
in sua presenza, verrà ripiantato l'albero della Memoria divelto ieri
sera alla scuola Franco Cesana. “Vi aspetto là”, accenna il ministro
agli alunni che iniziano a fare ritorno nelle classi. Poi, conclusa la
fase dei saluti, per i responsabili delle scuole e per i presidenti di
Comunità giunti a Roma dalle diverse città italiane inizia pochi minuti
dopo un serrato confronto di lavoro.
Adam Smulevich - twitter@asmulevichmoked
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Qui Roma - Le sfide dell'identità
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La
globalizzazione, le cosiddette identità fluide, i rapidi spostamenti
nello spazio e nel tempo, rendono sempre più pressante un ragionamento
sul significato di comunità e su come si configurino ai giorni nostri
alcuni tra i modelli di appartenenza più fluidi. Una riflessione che ha
un valore del tutto speciale in ambito ebraico, sia che si guardi in
casa nostra, al piccolo ma antichissimo ebraismo italiano, sia che si
vada oltreconfine analizzando realtà spesso molto diversificate tra
loro. A guidarci in questo viaggio, sotto la guida di Gloria Arbib,
segretario generale dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sono
stati ieri sera tre ospiti d'eccezione del Centro Bibliografico Tullia
Zevi: l'antropologa Marzia Kichelmacher, il demografo Sergio Della
Pergola e Manlio Dell'Arriccia, direttore dell'American Jewish Joint
Distribution Committee per l'Africa Orientale. Tre voci, tre interventi
che, ciascuno dal proprio punto di vista, hanno offerto un contributo a
una tematica sempre più oggetto di lavori e studi, non ultima la grande
indagine demografica sull'ebraismo italiano che è appena partita sotto
la guida del professor Enzo Campelli. Molti i punti toccati dai
relatori: dalla questione dell'appartenenza al significato moderno di
identità, dagli scambi sempre più intensi tra popoli alle prospettive
(sia qualitative che quantitative) future. Alla fine una straordinaria
e confortante certezza, al di là di ogni particolarismo e al di là di
ogni possibile ostacolo da affrontare: l'esistenza di un linguaggio
comune, di una gerarchia di valori che presenta numerosi tratti di
congiunzione tra ebrei di ogni estrazione, cultura e paese.
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Qui Roma - Di fronte ai nuovi dati sull'antisemitismo
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A
otto giorni dai gravissimi fatti di Tolosa, in cui hanno perso la vita
il rav Yonathan Sandler due dei suoi figli Arieh e Gabriel e una terza
bambina, Miriam Monsonego, analizzare i dati emersi dall'indagine
conoscitiva sull’antisemitismo condotta dalla Camera con il lavoro
durato due anni di un comitato, presieduto dall'onorevole Fiamma
Nirenstein, istituto su mandato della Presidenza della Camera e
composto da 26 deputati di tutte le parti politiche provenienti dalla
Commissione Affari Costituzionali e dalla Commissione Affari Esteri e
Comunitari, non può che destare maggiore attenzione e preoccupazione. A
evidenziare i dati emersi dal documento l'assessore alle Politiche
Culturali dell Municipio Roma XI, Carla Di Veroli. organizzatrice
dell'incontro, assieme alla Comunità Ebraica di Roma e a Equality
Italia cui hanno preso parte gli onorevoli Fiamma Nirenstein e
Jéan-Léonard Touadì, Riccardo Pacifici presidente della Comunità
ebraica di Roma, il presidente del Municipio Roma XI Andrea Catarci e
il direttore dell’Istituto Superiore Antincendi Marco Ghimenti
coordinati da Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia. Il
Documento, frutto dei dati e delle considerazioni ricavati nel corso
delle decine di audizioni tenute dal Comitato, descrive numerosi
aspetti dell'antisemitismo esaminandoli da tutti i punti vista: si
parte dal dato secondo il quale il 44 per cento degli italiani dichiara
di non provare simpatia per gli ebrei, per arrivare al nuovo dilagante
fenomeno dell’antisemitismo online, che è probabilmente responsabile
del fatto che il 22 per cento dei giovani italiani ha un atteggiamento
variamente ostile verso gli ebrei. Un documento allarmante e
innovativo, come ha puntualizzato Fiamma Nirenstein che ha sottolineato
come varie forme di antisemitismo siano state sottovalutate in Francia
negli ultimi anni e non solo rispetto ai fatti di Tolosa, ma anche
riguardo alla tragica morte di Ilan Halimi il giovane ventitreenne
rapito il 21 gennaio 2006 nella periferia di Parigi e torturato per le
seguenti tre settimane nella zona di Bagneux perché ebreo. “In quella
circostanza – ha osservato l'onorevole Nirenstein – la polizia ha
battuto tutte le piste tranne quella dell'antisemitismo che continuava
a negare”. Di Ilan Halimi e per tornare in Italia, dei due senegalesi
uccisi qualche mese fa a Firenze ha parlato anche Pacifici precisando
che “uno dei pericoli peggiori che corriamo è quello di pensare che
questo sia solo un problema ebraico” e che quello che lo Stato dovrebbe
fare è mettere in atto politiche di accoglienza per gli immigrati che
aiutino nell'integrazione.
Lucilla Efrati - twitter @lefratimoked
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Qui Roma - Primo Levi, scrittura e testimonianza
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A
25 anni dalla morte un simposio di straordinario valore e significato
rende in queste ore omaggio alla figura di Primo Levi. Chiamati a
portare un contributo ai lavori in ricordo del grande intellettuale
ebreo torinese, che si sono aperti questa mattina alla Casa delle
Letterature e che proseguiranno lungo un serrato calendario di
appuntamenti fino a venerdì pomeriggio, molti intellettuali, accademici
e ricercatori di fama internazionale. I lavori si svolgono sotto
l'egida dal Master internazionale di II livello in didattica della
Shoah dell’Università Roma Tre, che è protagonista dell'organizzazione
in collaborazione con Europa Ricerca Onlus e con i patrocini del
Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, del Comitato di
Coordinamento per le Celebrazioni in Ricordo della Shoah della
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane. Ad aprire idealmente le celebrazioni era stata la
presentazione, ieri sera a Torino, di una nuova edizione di Se questo è
un uomo (ed. Einaudi) a cura di Alberto Cavaglion. Ed è proprio
dall'opera più nota di Levi che sono scaturite le riflessioni di David
Meghnagi, alla guida del Master e direttore scientifico del simposio,
che ha inaugurato il convegno con un intervento dal titolo Le parole
per dire - Trauma e scrittura nell’opera di Primo Levi. “Per molti
anni – spiegava Meghnagi – è sfuggito ai più che Se questo è un uomo,
oltre a essere un grande atto di testimonianza fondato sulla verità e
documentato in ogni aspetto, è anche un trattato filosofico
antropologico su un’esperienza estrema che fa di Levi un sociologo e
uno psicologo del Lager, e del suo lavoro un’opera di letteratura fra
le più grandi del Novecento”. Uno scritto di immenso valore oggi
riconosciuto da molti come tale che ebbe però, soprattutto all'inizio,
un percorso travagliato e irto di insidie da affrontare per arrivare a
una sua più estesa e adeguata comprensione. La rimozione del valore
letterario di Se questo è un uomo, insiste il professore, può essere
considerata un sintomo proprio della difficoltà a fare i conti con i
problemi che Levi solleva. “L’opera – sottolinea Meghnagi – ha atteso
infatti un decennio prima di essere accolta, rifiutata dai grandi
editori e pubblicata in sordina prima di arrivare al grande pubblico ed
essere comunque circoscritta al suo valore di testimonianza. Altri
cinque anni ci sono voluti, fino all’uscita de La tregua, perché
autorevoli critici si levassero per dire che ci si trovava davanti a un
vero scrittore. Ma scrittore, Levi lo era già stato con la sua prima
opera, testimoniando e raccontando la verità”. Protagonisti della
prima sessione di interventi, oltre al professor Meghnagi, anche Teresa
Carratelli, Liliana Ruth Feierstein, Mirona Ioanoviciu, Dante Della
Terza e Alessandra Chiappano, le cui relazioni sono state introdotte da
Renato Cipriani, direttore del dipartimento Scienza dell'Educazione
dell'Università Roma Tre. Dopo la pausa pranzo i lavori riprenderanno
con le parole della direttrice della Casa delle Letterature Maria Ida
Gaeta, di Furio Terra Abrami (La dotazione libraria di e su Primo Levi)
e Marzia Luppi (Immagini dal silenzio-mostra multimediale) e infine con
l'omaggio a Primo Levi delle scuole romane. Un abbraccio ideale, un
commosso ricordo che è patrimonio di tutti. “Nella riflessione di
uomini come Primo Levi sulle tragedie del Novecento – si legge in una
lettera inviata agli organizzatori dal presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano – ha le sue radici la costruzione di un'Europa fin
d'ora modello di un progetto istituzionale capace di assicurare la
pacifica convivenza tra popoli per secoli nemici. Possa, la parola di
Primo Levi, non essere mai dimenticata”.
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Storie - Alfred, il partigiano che inventò il gelato Algida
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Un’altra
storia dimenticata, quella di Alfred Wiesner, il partigiano che inventò
il sistema di produzione industriale del gelato Algida, recuperata da
Gianfranco Moscati, instancabile cercatore di memorie degli ebrei
italiani, e ricostruita attraverso circa dieci documenti originali
della sua collezione, che dal 2007 è stata depositata presso l’Imperial
War Museum di Londra. Alfred, cittadino jugoslavo (nato a Zagabria
il 25 dicembre del 1908), di professione ingegnere, nel 1942 si rifugiò
in Italia con la moglie Edith Artman, in fuga dall’Austria occupata dai
nazisti, e dopo molte peripezie venne rinchiuso nel campo di
internamento di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, in
Calabria. Di qui scrisse un telegramma alla moglie: «Qui bellissimo
sicuro venirai qua saremo riuniti». Edith rispose da una cella del
“Coroneo” a Trieste: «ancora carcere spero presto riuniti». I due
coniugi si ricongiunsero e nell’ottobre del 1943, dopo la liberazione
del sud della penisola da parte degli Alleati, si recarono ad Ancona.
Arrestati dai nazisti e rinchiusi nel carcere di Fossombrone,
riuscirono ad evadere. Alfred Wiesner, con lo pseudonimo di
Alfredo Vieni, prese parte alla guerra partigiana, ricoprendo
l’incarico di capo del servizio informazioni militari del Comando della
Divisione Volontari della Libertà delle Marche. Per la sua coraggiosa
attività nella Resistenza gli fu riconosciuto anche il «Certificato al
patriota» firmato dal generale Harold Alexander, comandante in capo
delle forze alleate in Italia. Nel dopoguerra Wiesner decise di
stabilirsi in Italia. Uomo di straordinaria genialità, nel 1947 fu tra
i fondatori della società a responsabilità limitata «Algida - industria
alimenti gelati», con sede in Roma, in via del Pigneto 12 (poi la sede
si trasferì a Napoli), con un capitale iniziale versato di 40 milione
di lire e un oggetto sociale costituito dalla «vendita all’ingrosso di
frutta congelata e fabbricazione e vendita all’ingrosso di gelati»,
come risulta da un certificato della Camera di Commercio di Roma
ritrovato da Moscati. Il primo prodotto venuto alla luce fu un gelato
alla panna ricoperto di cacao magro sorretto da un bastoncino di legno:
si chiamava Cremino. Alfred venne nominato consigliere di
amministrazione della società e nel giro di pochi anni, grazie
all’innovativo sistema di produzione industriale dei gelati da lui
introdotto per la prima volta in Italia, l’Algida divenne leader in
questo settore. Un primato firmato dal partigiano ebreo che i fascisti
avevano rinchiuso nel campo di Ferramonti di Tarsia. Dettaglio
interessante: alcuni anni fa Moscati ha consegnato una copia dei
documenti su Wiesner all’ingegner Fappiano, allora direttore della
Grande Fabbrica dell’Algida di Caivano in provincia di Napoli (Gruppo
Unilever), che da quel momento sponsorizza tutte le pubblicazioni e le
mostre che il collezionista napoletano organizza in Italia. Wiesner non
è stato dimenticato dalla sua azienda.
Mario Avagliano
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Il trauma, il gioco
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«Dai
diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior», cantava Fabrizio
De André. A questo ho pensato visitando la mostra «Watanoha smile»,
ospitata a Palazzo Rospigliosi, nella sede del Museo del Giocattolo
della città di Zagarolo. Vengono esposti i lavori dei bambini della
scuola «Watanoha» di Ishinomaki, in Giappone, uno dei centri più
colpiti dallo tsunami del 2011: si tratta di giocattoli costruiti con
le macerie e i detriti della loro scuola, al momento ancora inagibile.
Il progetto «Watanoha smile»
(http://www.watanohasmile.jp/it/artwork.html) vuole infatti aiutare i
bambini vittime del terremoto a superare il trauma attraverso il gioco;
un’esperienza già testata in vari contesti catastrofici, ad esempio
grazie al lavoro dei clown-dottori nelle tendopoli attorno all’Aquila.
La novità straordinaria è però nella scelta del materiale con cui
giocare: proprio le macerie, la prova dell’avvenuta tragedia. Una
rappresentazione plastica di come le memorie, individuali e collettive,
debbano necessariamente inglobare il male per superarlo, evitando
meccanismi di rimozione o di minimizzazione del trauma. La mia
sensazione è che noi adulti tendiamo a sottovalutare l’importanza
dell’educazione per il futuro delle nostre società; a maggior ragione
tendiamo a ridurne il significato quando questa si svolge con
meccanismi informali, innovativi, quali appunto il gioco o la creazione
artistica. Ma pensiamo, per esempio, a israeliani e palestinesi. Quali
risultati avrebbe un investimento sull’educazione alla pace fatta con
una prospettiva di lungo periodo? Quanti danni ha provocato al
contrario – me lo ha fatto notare alcuni giorni fa Rav Alfonso Arbib –
la scarsa attenzione che tutti noi abbiamo riservato a cosa è stato
insegnato negli ultimi decenni ai bambini dei paesi arabi? Se vogliamo fare qualcosa di utile, mi verrebbe da dire, impariamo dai bambini.
Tobia
Zevi, Associazione Hans Jonas
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notizie
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rassegna
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Accordi strategici fra Israele e Trentino
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Leggi la rassegna |
È
partita la missione del Trentino in Israele con la firma tra il
presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai e il
ministro dell'industria del Commercio e del Lavoro del governo
israeliano, Shalom Simhon, di un importante accordo per la cooperazione
nel campo della ricerca industriale. " L'accordo viene solitamente
firmato con Stati nazionali - ha sottolineato Shalom - e il
Trentino è una delle poche "regioni" al mondo con cui è stato
sottoscritto. Ciò rappresenta un importante riconoscimento del livello
raggiunto dal sistema di ricerca trentino e della qualità dei rapporti
con il sistema della ricerca israeliano".
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Roma ricorda oggi Primo Levi con un convegno su “scrittura e testimonianza” (Della Seta sul Messaggero).
E certamente il ricordo di Primo Levi ci è essenziale come ammonimento,
se ancora oggi, proprio a Roma si segnala una scuola elementare
imbrattata di svastiche, con l'ulivo piantato il giorno della memortia
sradicato (Brogi sul Corriere)
e se qualcuno ha fatto pervenire all'ufficio parigino di Al Jazeera il
video girato dall'assassino di Tolosa durante la sua strage: segno
inequivocabile di un'organizzazione intorno al crimine, che si
rivendica e si propaganda (notizia non firmata sul Corriere).
Ugo Volli
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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