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12
aprile 2012 - 20 Nisan
5772 |
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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Al
Séder abbiamo affermato: "Chi ha fame venga e mangi, chi ha bisogno
venga e faccia Pésach". Per quanto riguarda la fame, è semplice
immaginare la scena: uno non ha soldi per comprarsi da mangiare, un
ricco gli dà quello che altrimenti butterebbe via. Ma per quanto
riguarda il Qorbàn Pésach? Chi ha bisogno? La Torà dice che se ci sono
troppo poche persone per poter consumare l'intero agnello, bisogna
consociarsi con qualcuno. Allora la scena più probabile è questa: una
famiglia numerosa, probabilmente povera, ha il suo agnello; una
famiglia ricca fatta di sole due persone non può consumare tutto
l'agnello in una sola sera. Di che cosa ha bisogno? Di un povero che le
permetta di compiere la mitzwà! Come dicono i Maestri: più di quanto il
povero ha bisogno del ricco, il ricco ha bisogno del povero.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Una notizia
di cronaca di ieri: con un laconico comunicato di poche righe il gruppo
Stock Spirits Group, controllato dal fondo americano Oaktree
specializzato in ristrutturazioni, annuncia la chiusura della storica
fabbrica di Trieste aperta nel 1884 e il trasferimento da giugno della
produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca. La decisione, che
lascerà senza lavoro decine di dipendenti, è stata giustificata "da un
contesto commerciale che risente della contrazione dei consumi e dalla
necessità di restare competitivi, consolidando la produzione per
ridurre i costi e aumentare l'efficienza". L'azienda spiega che "lo
stabilimento di Trieste rimane non sostenibile a livello economico
rispetto agli altri siti produttivi". Tradotto: il costo del lavoro in
Italia è troppo alto, andare in Repubblica Ceca è molto più
conveniente. La società ha aperto un tavolo di trattativa con i
sindacati per concordare i termini della cessazione dell'attività
produttiva, ma i sindacati sono sul piede di guerra: "L'azienda – ha
sottolineato il segretario provinciale della Cgil di Trieste, Adriano
Sincovich – non ha presentato margini di manovra, c'è un atteggiamento
molto rigido dei manager. Diremo chiaramente alla città cosa pensiamo
di questa azienda". Al via, quindi, manifestazioni di protesta, a
cominciare dall'immediato blocco della produzione. Fin qui la notizia.
In questo sito noi non ci occupiamo della produzione di liquori.
Eppure, abbiamo una certa strana sensazione che, proprio in questo
sito, dovremo tornare a occuparci della faccenda – e per altri motivi.
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Contando
l'Omer - "Misura di onestà e giustizia" |
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Giovedì 12 Aprile, quinto giorno dell' 'omer Venedì 13 Aprile, settimo giorno festivo di Pesach, sesto giorno dell' 'omer Sabato 14 Aprile, ultimo giorno di Pesach nella Diaspora, settimo giorno dell' 'omer, fine della prima settimana
Parlando dell' 'omer come di una misura di volume di solidi, la Torà (Es. 16:36) specifica che è il decimo di un'efà,
che evidentemente era una misura più nota e usata come riferimento
comune. L' 'omer è poi diventato il riferimento per altre misure, come
la challà. Le misure
dell'epoca biblica (più precisamente: “del deserto”, prima dell'arrivo
in terra d'Israele) furono modificate nel corso della storia; quelle in
uso nel secondo Tempio erano più grandi di un sesto e furono
ulteriormente maggiorate di un sesto dopo la distruzione del Tempio; ma
i rapporti tra le varie unità non cambiarono (l' 'omer rimase sempre un
decimo di efà). La
corrispondenza precisa di queste misure a quelle che usiamo oggi è
oggetto di controversia. Per aver un'idea approssimativa, l' 'omer
corrisponde a un volume che va dai 2,5 litri a 4,5, secondo le
differenti opinioni. Anche se le misure possono variare nel corso della
storia, ed è difficile identificarle oggi, in ogni momento vale la
norma fondamentale che la misura accettata non possa essere modificata,
e diventare strumento di truffa (Lev. 19:36). La regola dell' 'omer si
collega quindi strettamente al tema dell'onestà e della giustizia nei
rapporti sociali.
rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
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Pesach 5772 - Le lezioni (economiche) della matzah
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Pesach
si avvia verso la conclusione ed è tempo di bilanci. Il periodo di
Pesach coincide con giornate di frenetica attività per tutti (case da
pulire da cima a fondo) ma soprattutto per chi si occupa di prodotti
alimentari kasher. E a maggior ragione per i fornitori
quell’ingrediente senza il quale, come è scritto nell’Haggadah, la
festa non potrebbe nemmeno essere celebrata: la matzah. Un mercato
assai particolare, quello della matzah, specie in un posto come New
York dove i preparativi per Pesach coinvolgono l’intera città, che può
fornire degli spunti interessanti anche dal punto di vista economico,
come racconta Adam Davidson che questa settimana ha deciso di dedicare
la sua It’s the Economy, popolare rubrica di economia del The New York
Times Magazine, proprio ai segreti dell’industria del pane azzimo. Tutto
comincia a Manhattan nel 1916, quando Aron Streit iniziò a produrre
matzah nel Lower East Side. Negli anni Venti Streit costruì una
macchina speciale per mischiare gli ingredienti, impastare e cuocere.
Poi fu la volta di un nastro trasportatore per convogliare le matzot
dall’area di produzione a quella di imballaggio. Pochi anni dopo, aprì
un negozio per permettere ai clienti di acquistare direttamente alla
fonte. Una visita alla Streit è entrata negli anni a far parte delle
tradizioni delle famiglie ebraiche del quartiere. Che per lealtà verso
i loro fabbricanti di matzot preferiti, rifiutano, generazione dopo
generazione, di comprare matzot di qualsiasi altra provenienza. La
fabbrica non ha avuto avanzamenti tecnologici significativi dopo la
seconda guerra mondiale e continua a detenere una quota di mercato pari
al 20 per cento del pane azzimo venduto nella Grande Mela. “A meno che
qualcuno non decida di cambiare Pesach stesso, abbiamo vendite
assicurate” ha scherzato il pronipote di Streit Aron Yagoda con
Davidson durante la sua visita alla fabbrica. Il che, spiega
l’editorialista, significa accontentarsi di un margine di profitto
sempre più ristretto (se il numero di clienti rimane più o meno
stabile, il costo del lavoro e della materia prima continua a salire).
Nonostante ciò, la piccola fabbrica del Lower East Side, l’unica
industria alimentare rimasta in Manhattan nel nome di una tradizione da
rispettare (stesso forno e stessa acqua del rubinetto newyorkese per
offrire ai suoi clienti esattamente la stessa matzah che compravano i
loro nonni), continua a rimanere sul mercato proprio grazie a quella
tradizione, che fa sì che i compratori continuino a rifornirsi da lei
nei decenni, impermeabili alla concorrenza di altri brand sul mercato.
E questa è la prima lezione che la matzah offre: un rapporto
privilegiato con i clienti può consentire di rimanere in vita a un
attore economico altrimenti non profittevole e rigido nell’adattarsi ai
cambiamenti della società esterna. Strategia opposta alla Streit,
e di ancora maggiore successo, è quella della Manischewitz, da cui
proviene il 40 per cento delle matzot vendute in occasione di Pesach.
Alcuni anni fa, i suoi numeri uno Paul Bensabat e Alain Bankier si sono
accorti che, se per i loro clienti tradizionali la matzah rappresenta
il Pane dell’Afflizione, ci sono milioni di americani pronti a
considerarla come un sostituto del pane senza grassi, povero di
carboidrati, privo di additivi e vegano. Insomma un ottimo prodotto
dietetico/salutista. Così la Manischewitz ha ridisegnato le proprie
scatole dando la prevalenza ai toni di verde per acuire la sensazione
di cibo amico della natura e ha lanciato nuove linee di prodotti come
la matzah biologica e la matzah al sesamo, proiettandosi su un mercato
ben più vasto di quel 2 per cento di cittadini americani che per una
settimana all’anno non mangiano cibi lievitati. Si sarebbe potuto
pensare che questo avrebbe attirato l’attenzione di grandi industrie
alimentari, oppure dell’onnipresente concorrenza cinese. Eppure non è
successo. La ragione, ha spiegato Bankier, risiede nel fatto che per un
grosso gruppo sarebbe impossibile replicare il loro vantaggio
competitivo: produrre matzah kasher è davvero difficile. Ci sono i
famosi 18 minuti, il tempo massimo che deve trascorrere da quando la
farina viene bagnata al momento in cui la matzah è in forno, ogni
minima traccia di impasto della precedente infornata deve essere di
volta in volta rimossa dai macchinari per evitare che lieviti, non può
essere aggiunta nessuna sostanza che ammorbidisca l’impasto per
facilitare il compito dell’impastatrice. Nel 2009 la Manischewitz ha
aperto una nuova fabbrica. A progettare il macchinario è stato un team
di ingegneri, con l’aiuto di un rabbino che ha girato linee di
produzione di matzah in tutto il mondo per carpirne i segreti migliori.
Ancora di più, i lavoratori di una fabbrica di matzot devono avere una
conoscenza base delle regole della Kasherut e mantenere un alto grado
di lealtà al proprio datore di lavoro, un modello di operaio difficile
da trovare in una multinazionale. D’altronde un solo lavoratore
scontento o poco accurato potrebbe compromettere il certificato di
kasherut dell’intera fabbrica. La conclusione di Davidson sul
Times? Le grandi industrie si tengono alla larga e il mercato della
matzah può insegnare una grande lezione nell’arena economica globale:
se il tuo business è facile da replicare, qualcuno, in qualche posto
del mondo, lo farà e ti taglierà fuori dal mercato. Chi ha successo
sono quelle industrie che seguono il principio della matzah, le case di
moda, la meccanica di alta precisione. Anche se poi, come fa
notare il The Jewish Daily Forward, anche per le matzot un concorrente
in agguato alle storiche Streit e Manischewitz c’è: la matzah
israeliana che costa tra il 40 e il 50 per cento in meno di quella
americana, e che i negozianti di prodotti kasher spesso regalano pur di
indurre i clienti a rifornirsi da loro del ben più costoso gefilte
fish. Nel 2009 proveniva da Israele il 28 per cento delle matzot
acquistate negli Stati Uniti. Nel 2010 la quota è salita al 40. Forse anche il principio della matzah sta per cedere il passo di fronte al mercato globale.
Rossella Tercatin - twitter @rtercatinmoked
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L’incomprensione della memoria
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Potrebbe
non essere stato soppesato cosa abbia condotto alla morte Primo Levi,
se lo schianto della solitaria sopportazione o l'impossibilità di
capire chi fosse il corpo che lo portava in giro e che si ruppe ai
piedi delle scale. Perché la memoria va condivisa e non la poté
condividere, perché la memoria non è una religione a parte da onorare
con personali dei; chiede di essere continuamente tradotta, e non
adorata, quasi che uno si sia perso per strada a causa di un tortuoso
viaggio, abbia dimenticato quanto doveva fare e onori l’offerta
sull’altare invece che Dio a cui l’offerta è rivolta. No, deve essere
così: che la memoria vuole essere continuamente tradotta per essere
compresa oggi; che al tempo stesso impone di essere continuamente
perduta, e allora va disattesa per essere ritrovata, alimentata e
ricostruita finché vibra, e per un giorno solamente quella è la
memoria. Se invece un uomo finisce per essere uno che
erroneamente ama solo la memoria, e non la vita contenuta nella
memoria, se un uomo crede che solo la memoria, lo statico ricordo, lo
possa amare, questo uomo e questo popolo diventano soli in un
incompreso dolore - si spaccano in milioni di pezzi.
Il Tizio della Sera
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L'arte dell'antisemitismo |
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Sembra
che ormai esprimendosi in versi o in una forma ritenuta artistica si
possa dire di tutto. Così uno scrittore tedesco, con un passato da SS,
può scrivere che Israele rappresenta una minaccia all’umanità, che
qualsiasi tentativo di difendere il diritto di un popolo a esistere
avvenga tramite la scomunica dell’antisemitismo o che le colpe della
Germania della Shoah, impongano la vendita di sommergibili a Israele
che provocheranno crimini incancellabili. Il problema, ancora una
volta, non è tanto nella gravità delle affermazioni, quanto nel triste
tentativo di difesa che rasenta il ridicolo. Qualcuno dovrebbe
spiegarci perché l’espressione artistica comprenda degli spazi che, più
che alla semplice libertà, assomigliano tanto ad un privilegio. Non
esiste nessuna patente da poeta, da vignettista o da cantante che possa
giustificare affermazioni intrise d’odio che altrimenti non sarebbero
comunemente accettate. Il rischio che corriamo è che mentre nel
passato le fiabe, le poesie o l’arte servivano come allegorie per
esprimere la voglia di libertà, oggi, al contrario, queste possano
divenire il mezzo per propagandare quell’odio che altrimenti non
verrebbe manifestato.
Daniel
Funaro, studente
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Leonard Cohen anticipa il concerto per rispettare Yom Kippur
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Leggi la rassegna |
Il
concerto dell'artista Leonard Cohen all'Arena di Verona, unica data
italiana del suo tour, è stato anticipato al 24 settembre a seguito,
comunicano gli organizzatori, "della richiesta da parte dell'artista di
poter rispettare lo Yom Kippur". Quest'anno, infatti, il solenne
digiuno cade il 26 settembre. I biglietti già acquistati saranno validi
per la nuova data.
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