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25 aprile 2012 - 3 Iyar 5772
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l'Unione informa
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david sciunnach
David
Sciunnach,
rabbino 


Questa settimana leggiamo nella Torah le Parashot di Tazrìa e Metzorà, sono queste due Parashot in cui viene trattato come argomento centrale la Tzarat –  una malattia che oggi associamo alla  lebbra, con le sue diverse manifestazioni. Essa poteva manifestarsi sull’uomo, sui suoi indumenti ed all’interno della sua casa. Ogni una di queste manifestazioni indicava la gravità della situazione e di conseguenza la gravità del peccato che ne aveva causato la comparsa. Era il Cohen – il sacerdote, che esaminava i vari casi e le sue manifestazioni, determinandone la gravità, ed in base a ciò decideva come eliminare tale impurità. I Maestri ci fanno notare che questa punizione compariva soprattutto in coloro che commettevano il peccato del lashon ha-rah – la maldicenza. E interessante riflettere come sia possibile che trasgressioni fatte senza compiere un azione fisica comportino tale reazione sul corpo di un individuo. I Maestri ci insegnano che il corpo è il contenitore dell’anima e che la connessione tra questi due aspetti dell’uomo è simbiotica. Per questo quando si prega per la guarigione di una persona vi è l’uso di dire refuàt ha nèfesh urfuàt ha guf – la guarigione dell’anima e la guarigione del corpo. A proposito di questo il Maimonide insegna che un medico che si accinge a curare un paziente deve anche curare il suo aspetto spirituale. Per comprendere meglio questo aspetto di trasmissione  che c’è tra anima e corpo è possibile fare l’esempio di un recipiente che contiene dell’acqua. Se il recipiente è fatto con materiale contaminato il liquido in esso contenuto viene a sua volta contaminato così come se il liquido è inquinato esso inquinerà il contenitore.

Davide  Assael,
ricercatore



davide Assael
Weekend importante per i destini d’Europa quello appena passato: l’affermazione del FN di Marine Le Pen e la caduta del governo olandese, che apre le porte al partito de Geert Wilders, non a caso protagonista della “spallata”, confermano la tendenza dell’elettorato europeo ad affidarsi a formazioni politiche esplicitamente xenofobe e nazionaliste. Un fenomeno che troverà, probabilmente, conferma l’anno prossimo in Austria, che cresce in Finlandia, in Svizzera e che, come ormai tutti sappiamo, vive il suo apice in Ungheria. Non bastasse, come rimedio a questa ondata populista, si è sentito dell’impegno di Pier Ferdinando Casini per costruire una rete dell’internazionale cristiana. Insomma, dal punto di vista ebraico, dalla padella alla brace.

davar
Contando l'Omer - Tra dolore e speranza
Mercoledi 25 Aprile, 18° giorno dell’ ‘omer, due settimane
e quattro giorni.

Celebrazioni e ricordi si affastellano in questa giornata dell’ ‘omer, vigilia del giorno dell’Indipendenza di Israele, in cui si commemorano i caduti delle sue guerre; in Italia giorno della liberazione dal nazifascismo; sullo sfondo, nel calendario ebraico,  i giorni dell’ ‘omer sono quelli in cui i crociati massacravano le comunità ebraiche della Renania. Una tradizione diffusa, ma non sicuramente confermata, attribuisce alle bande crociate il grido di guerra “Hep Hep” (che sarebbe già stato romano e poi ripreso nei pogrom tedeschi del 1819). Forse in origine era solo un richiamo usato dai pastori, forse da questo deriva il più noto “hip hip hurrà”, forse, e qui è il punto, Hep era la sigla di "Hierosolyma est perdita"; un modo per rinfacciare agli ebrei, mentre venivano massacrati, la perdita del loro riferimento geografico più caro. Un bell’esercizio di memoria in questo giorno che mette insieme le persecuzioni del passato, quelle più recenti (con tutta l’indignazione verso chi fa passare per eroi le canaglie fasciste che arrestavano donne e bambini), le ferite aperte delle guerre di Israele, ma anche e finalmente un po’ di speranza. Gerusalemme ora non è per noi perduta, e nessuno ci avrebbe creduto.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

25 aprile - Ebraismo italiano in prima fila


























Nel giorno in cui in tutto il paese si ricorda la liberazione dal nazifascismo, l’ebraismo italiano partecipa in prima fila. Lo fa come da tradizione, in tante città, sotto i colori della gloriosa Brigata ebraica, che, inquadrata nell’esercito alleato, combatté in Italia e diede un contributo importante alla liberazione della penisola. Accanto alla Brigata ebraica sfila per la prima volta ufficialmente nella manifestazione nazionale di Milano lo stendardo dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Medaglia d’Oro al Valor Civile per l’opera svolta con coraggio negli anni bui dell’occupazione tedesca.
“Il 25 aprile 1945 – ha affermato il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna – rappresenta uno snodo fondamentale per l'Italia, l'epilogo di un'epoca di incommensurabili lutti al cui atto finale si arrivò grazie all'intervento di uomini e donne di coraggio cui dobbiamo eterna riconoscenza: le forze alleate, i combattenti della Resistenza, tantissime persone che a rischio della vita si prodigarono per affrancarci dall'oscurità. A battersi in prima fila per un futuro migliore furono anche molti ebrei che affrontarono il nemico senza farsi piegare dalle sofferenze subite e il cui significativo apporto è ricordato oggi in numerose città e in più contesti. A partire da Milano dove, accanto alle storiche insegne che rievocano le imprese della Brigata ebraica, è esposto per la prima volta il gonfalone dell'UCEI”.
“Il 25 aprile – dice ancora Gattegna – è un momento di incontro e riflessione che sta al di sopra delle contrapposizioni ideologiche e politiche, una chiamata all'unità nazionale che è rivolta a tutti i cittadini. Consapevoli di ciò, gli ebrei italiani sono nuovamente scesi in piazza per manifestare ancora una volta il loro sostegno a quanti ogni giorno si impegnano per un'Italia libera e democratica”.

 


Nell'immagine in alto il gonfalone Ucei alla testa della manifestazione nazionale di Milano con il vicepresidente dell'Unione Anselmo Calò il presidente della Comunità ebraica dui Milano Roberto Jarach i consiglieri Ucei Giorgio Mortara e Riccardo Hofmann, il direttore della Fondazione Cdec, Michele Sarfatti. Al centro nell'ordine il corteo di Roma e di Livorno e in basso la manifestazione di Venezia. Segui la diretta twitter del 25 aprile sulla nuova finestra live del Portale dell’ebraismo italiano http://moked.it/ oppure su @paginebraiche

Yom HaZikaron - Nel ricordo di tutti i caduti per Israele 
38 minuti. Partecipati, composti, struggenti. Ieri sera la Capitale ha celebrato Yom HaZikaron, la giornata in ricordo di tutti i caduti per l'ideale sionista e per lo Stato di Israele, con una cerimonia solenne che ha visto la partecipazione, al centro ebraico Il Pitigliani, di moltissimi cittadini romani. Ad aprire la commemorazione, analogamente a quanto avviene ogni anno per Yom HaShoah, il suono intenso e proluganto della sirena. Sono seguite letture, testimonianze artistiche, momenti di preghiera e raccoglimento, salutati in conclusione dall'intervento dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon e dall'esecuzione dell'HaTikwa.

Come a Roma, anche a Milano – uno dei tanti luoghi dell'Italia ebraica dove ci si è fermati in raccoglimento – i protagonisti della cerimonia sono stati soprattutto i giovani. Vestendo con orgoglio le casacche dei movimenti Hashomer Hatzair e Bene Akiva, i ragazzi hanno infatti dato vita a una commovente serata nel corso della quale si è voluto ricordare quanti, con il sacrificio della vita, permetteranno questa sera di festeggiare, con l'apparizione delle prime stelle nel cielo, una straordinaria conquista: lo Stato di Israele, di cui ricorrerà tra poche ore, secondo il calendario ebraico, il 64esimo anniversario dalla nascita.

pilpul
Yom Hatzmaut - Auguri al mondo
Francesco LucreziNel rivolgere gli auguri allo Stato di Israele, in questo suo 64° compleanno, come in tutti quelli precedenti, occorre misurarsi, come sempre, col rischio della retorica, nonché col consueto timore di offuscare una ricorrenza lieta con considerazioni preoccupate o pessimistiche.
Sorgono spontanee, ancora una volta, infatti, parole altisonanti come “miracolo”, “prodigio”, “successi”, “traguardi”, frasi pompose come “sfide vinte”, “stupore del mondo” ecc. E si tratterebbe di frasi sincere, di parole vere. È vero che un Paese piccolo, piccolissimo, è riuscito a nascere, a resistere, a prosperare, contro ogni previsione, contro la logica, la storia, contro tutti. È vero che ha ridato fiducia, speranza, dignità a un popolo di esiliati, di oppressi, ai sopravvissuti della più immane ecatombe di tutti i tempi. È vero che ha donato un’identità, una bandiera, una patria a vivi e morti, che ha dato una risposta alla barbarie. Ed è vero che, oltre a difendersi e a sopravvivere, ha saputo raggiungere risultati straordinari in tutte le scienze e le arti, riuscendo a stupire, giorno per giorno, quella parte di mondo non impegnata soltanto ad odiarlo. Può esistere una retorica della verità?
Ma sorgono spontanee anche, come sempre (purtroppo, più che mai), le ansie, le paure. Israele resiste, Israele si difende. Ma fino a quando riuscirà a farlo? Quanti compleanni potrà ancora festeggiare? Come fare gli auguri a qualcuno su cui incombe una seria minaccia? Meglio fare finta di niente, dirgli “mazal tov” e basta, o, piuttosto, fargli coraggio, dirgli “ce la farai, non dubitare, io sarò sempre al tuo fianco”? Nel primo caso, si rischia di apparire ipocriti. Nel secondo, menagramo, iettatori. Non si potrebbe, almeno una volta all’anno, dimenticare le preoccupazioni, e festeggiare in santa pace?
A ricordare i compleanni precedenti, affiorano sentimenti diversi. Nei primi anni, Israele rischiava di essere strozzato nella culla, e contava su forse estremamente misere. Eppure, credeva di essere dalla parte dei vincitori contro il nazifascismo, la sua guerra pareva la prosecuzione della guerra contro Hitler. Israele, a torto o a ragione, non si sentiva solo. Poi, vent’anni dopo, metà del mondo (e proprio quella che aveva fatto della lotta al fascismo la propria fondamentale bandiera) gli voltò le spalle, Israele si trovò, suo malgrado, senza neanche rendersene conto, nel campo ‘capitalista’ dell’Occidente. Molti meno amici (veri o finti) di prima, ma, comunque, la sensazione, nella chiara contrapposizione della guerra fredda, di stare dentro uno dei due gradi schieramenti, di essere parte di un gruppo. Poi il muro di incomunicabilità col mondo arabo (quello che, geograficamente, avrebbe dovuto essere il suo mondo) ha cominciato a sgretolarsi, si è cominciato a parlare coi vicini non solo col linguaggio delle armi, ma anche con quello della politica, della diplomazia. È iniziata una flebile speranza di pace, di normalità. Normalità. Che parola strana, inaudita, che sogno impossibile! Ed è un sogno che è sembrato prendere piede sempre più, quando si sono visti cadere muri che si credevano incrollabili, si sono viste strette di mano che nessuno avrebbe mai potuto immaginare di vedere.
Ma la speranza è durata poco. Nubi nere sono tornate ad addensarsi nel cielo, la fiammella della pace pare tremare, come nella famosa canzone, “like a candle in the wind”. Israele è oggi forte, sul piano militare ed economico, come forse non è mai stato prima. Ma, indubbiamente, appare solo come non mai. Forse, non è neanche la solitudine la vera novità, ma la sua evidenza, la consapevolezza di esserlo. Forse, a essere caduta è soprattutto un’illusione. L’illusione che il mondo avrebbe riservato a Israele un trattamento diverso da quello riservato, per due millenni, agli ebrei. Che Israele potesse entrare nella famiglia delle nazioni come la patria degli ebrei, non come l’“ebrea” fra le nazioni.
Per non apparire, perciò, né retorici, né ipocriti, né malauguranti, non facciamo, in questo Yom ha-Azmaut, gli auguri a Israele, ma al mondo. Augurandogli di guarire, un giorno, dalle sue malattie infantili. E, una volta guarito, di vivere in pace. Quanto, addirittura, vivrà Israele.

Francesco Lucrezi, storico

notizie flash   rassegna stampa
Olimpiadi -  Un minuto di silenzio per gli atleti israeliani  uccisi ai Giochi del '72
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Un minuto di silenzio all'apertura dei giochi olimpici a Londra il prossimo 27 luglio per ricordare il quarantesimo anniversario dell'attentato alle Olimpiadi Monaco del 1972 è la richiesta che lo Stato di Israele ha presentato al Comitato olimpico internazionale attraverso un comunicato ufficiace firmato dal vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon. Durante i Giochi del 1972 a Monaco di Baviera, un commando di terroristi dell'organizzazione palestinese ''Settembre Nero'' fece irruzione negli alloggi degli atleti israeliani del villaggio olimpico, uccidendone subito due che avevano tentato di opporre resistenza e prendendo in ostaggio altri nove membri della squadra olimpica israeliana. Un blitz tentato dalla polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti sequestrati, cinque terroristi e un poliziotto.
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