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10
maggio
2012 - 18 Iyar
5772 |
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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“U-sfartèm
lakhèm mi-machoràth ha-Shabbàth eth ‘Òmer ha-tenufà, shéva‘ shabbathòth
temimòth tihyéna”, “Conterete per voi dall’indomani della festa l’‘Òmer
dell’elevazione, sette settimane complete saranno”. Con questo verso la
Torà prescrive il conteggio dei giorni del periodo dell’Òmer, cioè del
periodo tra Pésach e Shavu‘òth nel quale ci troviamo. L’Omer, la misura
d’orzo che veniva portata al Santuario, logicamente non viene più né
presentata né elevata. Invece il conteggio è rimasto. Perché? Per
rispondere, dobbiamo fare mente locale ad altri momenti collegati a un
conteggio di giorni o di epoche. Innanzitutto, noi contiamo i giorni
della settimana con riferimento alla Shabbàth: “yom ri’shòn (shenì,
shelishì,...) be-shabbàth”, “giorno primo (secondo, terzo,...)
per il Sabato”; pertanto il conteggio è in relazione allo Shabbàth,
ragione e scopo di tutto il lavoro settimanale. Si contano i giorni di
scadenza per la Milà. Contano mensilmente i giorni preparatori al Miqwè
le donne sposate. Contava i giorni una persona affetta da impurità
rituale prima di riacquisire la purezza del corpo e poter rientrare a
pieno diritto nella società. Si contavano gli anni rispetto alla
scadenza dell’anno sabbatico, ogni sette anni, ed infine si contavano
gli anni prima della scadenza dell’anno giubilare. Quest’ultimo computo
era di quarantanove anni, parallelo ai quarantanove giorni dell’‘Òmer.
Ora, se facciamo attenzione a tutti questi conteggi, notiamo che in
tutti si tratta di passare da una condizione ad un’altra del tutto
diversa: lo Shabbàth si pone in una dimensione extratemporale rispetto
alla settimana; l’ottavo giorno di vita del neonato segna il suo
ingresso nell’alleanza di Avrahàm e la sua effettiva nascita alla vita
d’Israele; la moglie, col Miqwè, rinnova il magico momento della sua
unione col marito; la persona impura, riacquistando la purità, rientra
dall’isolamento nella collettività; l’anno sabbatico rinnova i rapporti
con la società e la natura; l’anno giubilare significava una pacifica
rivoluzione nei rapporti della vita sociale. Anche l’Omer segna il
passaggio d’Israele da una condizione ad un’altra. Israele, che con
Pésach celebra la proclamazione della sua unità di popolo, deve
prepararsi a celebrare la sua nascita alla vita vera d’Israele, alla
sua vocazione di popolo sacerdotale, che si celebra a Shavu‘òth, col
dono della Torà. Israele deve salire gli scalini di questa nuova vita,
deve contare gli scalini che lo condurranno ad essere “mamlékheth
kohanìm we-goy qadòsh”, “un reame di sacerdoti ed un popolo consacrato”.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Eravamo andati a letto la
sera, felici, sapendo che la Knesset aveva votato con 109 favorevoli
contro uno contrario per l'anticipo delle elezioni in Israele al 4
settembre 2012 invece del novembre 2013. Shaul Mofaz, da poco eletto
nuovo leader del partito Kadima aveva detto in serata: "Non entrerò nel
governo di Netanyahu, è chiaro?" e poche settimane fa in commissione
aveva detto: "Netanyahu è un bugiardo, e mi potete citare". Ci siamo
risvegliati al mattino, stupefatti, con un governo di grande coalizione
sostenuto da 94 deputati su 120. Ed ecco Mofaz viceprimo ministro nel
governo di Bibi. È la grande svolta politica che porterà avanti e anzi
trasformerà il paese nei prossimi 18 mesi? Gli israeliani non sono
tanto sprovveduti e non la bevono. Nei sondaggi, il 63 per cento dicono
che la manovra è stata fatta per angusti interessi personali e di
partito e non per ragioni di Stato. La grande maggioranza non crede che
le due grandi riforme promesse da Mofaz verranno effettuate: il nuovo
statuto sul servizio militare o civile da parte di tutti i cittadini,
inclusi i haredím e gli arabi; e la riforma del sitema elettorale. Ma è
anche vero che ora non ci sono più scuse. Con una tale mastodontica
maggioranza quasi bulgara, Bibi non può più essere ricattato dai suoi
partners, e tutto quello che il governo di Israele farà o non farà fino
alle prossime elezioni potrà essere attribuito solo a lui.
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Contando
l'Omer - La regola che non c'è |
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Giovedi 10 Maggio, 33° giorno
dell’Omer, 4 settimane
e cinque giorni
Nella nostra generazione assistiamo ad un eccezionale sviluppo dello
studio della Torà, per quantità degli studiosi e qualità della
produzione. Ma non tutti i periodi della storia ebraica sono stati
così, e vi sono stati momenti di tale decadenza che i Maestri
addirittura prefigurarono (in TB Shabbat 138b-139a) la fine della Torà,
per oblio. Li sosteneva un brano di Amos (8:11-12) nel quale si
annuncia una grande fame, non di pane, e una grande sete, non di acqua,
ma della parola divina, che sarà però introvabile. In totale
opposizione un unico Maestro disse il contrario: la Torà non sarà mai
dimenticata da Israele, כִּי לֹא תִשָּׁכַח מִפִּי זַרְעוֹ ki lo
tishakhach mipì zar’ò (Dev. 31:21). Se è così, cosa fare del
verso di Amos? Significa solo che sarà difficile trovare una regola
chiara (come effettivamente succede in molti casi). Il Maestro
dissidente è Shimon ben Yochai, l’eroe di questa giornata di Lag baOmer
(e c’è chi ha visto un’allusione al nome di suo padre nelle lettere
finali di ogni parola del verso che cita). Di solito la regola viene
decisa secondo l’opinione della maggioranza, in questo caso non c’è una
regola da decidere, forse solo uno schieramento di simpatia. Ma la
popolarità del personaggio la dice lunga su chi è stato preferito. Con
buona pace dei catastrofisti, un filo di speranza e ottimismo.
rav Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma - twitter @raviologist
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Yom ha Torah - Lo
studio che dura tutta la vita |
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Prosegue il viaggio alla
scoperta dei programmi, delle storie e dei personaggi che animeranno la
prima edizione dello Yom haTorah, la giornata di studio della Torah
promossa dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il prossimo
20 maggio. Un grande appuntamento nel segno del confronto che
coinvolgerà tutte le Comunità in un continuo scambio di idee tra
Maestri e allievi.
Yom ha Torah - Igor: La mia
identità
“Ho frequentato la scuola
lubavitch fino alle medie, e poi la scuola della Comunità ebraica fino
al liceo. Devo ammettere che se ne sono uscito con un grande amore per
l’ebraismo e gioia per la vita ebraica, non altrettanto posso dire per
quanto riguarda lo studio. Allo stesso tempo però terminato il liceo
sentivo un forte bisogno di lasciare Milano per fare nuove esperienze.
E poiché i miei genitori erano poco propensi a lasciarmi partire, il
modo migliore per convincerli fu iscrivermi in Yeshivah in Israele”.
Così Igor Braha, imprenditore milanese nel settore tecnologico racconta
la storia del suo incontro con lo studio della Torah, con una
permanenza in Yeshivah nata in maniera quasi casuale, ma che si è
rivelata fondamentale per la sua formazione “Alla Yeshivat Kibbutz
HaDatì vicino Ashkelon mi ritrovai insieme a ragazzi provenienti da
famiglie tradizionaliste o religiose, ma non ortodosse al punto da fare
sì che gli studi ebraici rappresentassero per loro la via naturale. Era
gente che aveva liberamente scelto di dedicarsi allo studio della
Torah. Questo mi colpì molto. Così come apprezzai l’attenzione che
veniva rivolta allo studio della storia ebraica, per capire chi fossero
Rashì, il Rambam, gli altri maestri, nel contesto in cui vivevano”.
Dagli studi in yeshivah, Igor ha ricavato anche l’acquisizione di un
metodo “Lì imparai, come dicevano i miei Maestri ad ‘aprire un libro’,
cioè a essere capace, di fronte a un dubbio o a una curiosità, di
prendere autonomamente in mano, per esempio, la Ghemarah, e di
studiarne una pagina”. Oggi per Igor Braha lo studio è soprattutto la
discussione il confronto con compagni, amici, osservanti e non, tutti
con il proposito di imparare e insegnare allo stesso tempo (“non a caso
in ebraico queste due parole, lomed e melamed, condividono la stessa
radice” sottolinea). E rispetto al passato, studiare è ora più
semplice, grazie alle numerose traduzioni anche in italiano, e alla
diffusione di programmi per il computer che facilitano la consultazione
delle fonti “Io per esempio ne uso uno che permette, cliccando su un
versetto, di accedere a tutti i commenti, le spiegazioni, i passaggi
collegati - sottolinea Braha, che conclude - Per me lo studio della
Torah rappresenta la ricerca di se stessi, la costruzione della propria
identità ebraica, che dallo studio della Torah non può prescindere”.
Pagine
Ebraiche, maggio 2012
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Qui Roma - Napolitano ricorda Stefano Gay Taché |
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Menzione
anche per Stefano Gay Taché ieri al Quirinale alla cerimonia in ricordo
delle vittime del terrorismo in Italia. Un momento lungamente atteso
dalla Comunità ebraica di Roma che da tempo chiede l'inserimento del
nome del piccolo Stefano, caduto vittima dell'agguato mortale
all'uscita del Tempio Maggiore della Capitale il 9 ottobre 1982, nella
lista che commemora chi ha perso e continua ancora oggi a perdere la
vita sotto i colpi dell'odio. È la prima volta che il presidente della
Repubblica si sofferma su quel tragico episodio in occasione delle
celebrazioni ufficiali del 9 maggio. Ad ascoltare del vivo le sue
parole tra gli altri il presidente della Comunità ebraica Riccardo
Pacifici e il fratello di Stefano, Gadiel Gay Taché, anch'egli vittima
diretta del fuoco palestinese come molti altri ebrei romani che si
trovavano in quegli istanti all'uscita della sinagoga. Soddisfazione,
commozione ed orgoglio per le parole del presidente Napolitano sono
state espresse da entrambi. “Il ministro dell'Interno Cancellieri – ha
poi spiegato Pacifici – ci ha assicurati avere in carico la pratica e
che dal prossimo anno, vogliamo immaginare, il nome di Stefano Gay
Taché sarà inserito nella lista ufficiale”. Non è stato facile
raggiungere questo obiettivo, prosegue il leader degli ebrei romani,
che sente per questo di dover ringraziare in primis Pierluigi Battista
del Corriere della Sera (“che ne ha fatto una 'sua' battaglia dalle
pagine del quotidiano per cui scrive”) e il sindaco di Roma Alemanno
(“che dopo essersi esposto con vari appelli pubblici ha pressato in
questi mesi il cerimoniale e la Commissione preposta”). L'obiettivo,
conclude Pacifici, è adesso quello di organizzare una grande cerimonia
al Quirinale in occasione del trentesimo anniversario dell'attentato.
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Qui Torino - Informazione e identità al Salone del Libro
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Ha
aperto i battenti il Salone internazionale del Libro di Torino, una
manifestazione che ormai da diversi anni vede Pagine Ebraiche e la sua
redazione in prima fila. Se alla postazione dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane sono pronte migliaia di copie da offrire a
tutti i visitatori, con il dossier Pagine e incontri dedicato alla
lettura, il confronto Editoria, identità, culture e religioni,
introdotto dal direttore Guido Vitale, è stato fra gli appuntamenti di
apertura della giornata. A intervenire sono stati lo storico e critico
letterario Alberto Cavaglion, Davide Dalmas, storico della letteratura,
il rabbino e biologo Gianfranco Di Segni, il giornalista Mostafa El
Ayoubi, Sarah Kaminski, traduttrice e critica letteraria, Giulia
Galeotti del quotidiano L’Osservatore romano, Luca Negro del
settimanale valdese Riforma e Roberto Righetto del quotidiano della
Conferenza episcopale italiana Avvenire. In un luogo in cui si
celebrano i libri e la lettura, proprio
dalla scelta di un titolo sono partiti i contributi dei relatori,
chiamati a indicare un volume significativo per raccontare cosa
significhi il concetto di identità. Diverse le suggestioni proposte, da
Saggezza straniera di Arnaldo Momigliano, che Cavaglion ha definito “un
inno all’osmosi culturale” a Il cabalista di Praga di Marek Halter,
scelto da rav Di Segni; da Epistola ai romani di Karl Barth, suggerito
da Davide Dalmas, a Qabbalessico di Haim Baharier segnalato da Luca
Negro. E poi ancora le diverse scelte dei due giornalisti della stampa
cattolica, Fino ai confini del mondo di Maria Barbagallo per Giulia
Galeotti, e Il bene sia con voi di Vasily Grossman per Roberto
Righetto. A completare il quadro, L’Islam spiegato ai nostri figli di
Tahar Ben Jelloun proposto da El Ayoubi. Mentre la professoressa
Kamiski ha sottolineato che il libro che vorrebbe è un libro che ancora
non esiste, un libro in grado di spiegare l’ebraismo nelle sue diverse
identità.
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Qui Roma - Contro l'intolleranza insieme al Colosseo |
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Si sono spente le luci del
Colosseo e si sono accese quelle delle fiaccole di solidarietà per i
cristiani vittime di discriminazione e persecuzione nel mondo. Nel
luogo che parla della storia dei martiri cristiani dell'epoca romana,
per un attimo il tempo si è fermato in una tiepida serata di primavera,
mentre tutto intorno le macchine continuavano a sfrecciare nel traffico
denso del rientro a casa dopo il lavoro. Tante davvero le persone che
sono accorse alla serata promossa dalla Comunità ebraica di Roma e
dalla Comunità di Sant'Egidio cui hanno aderito anche molte istituzioni
e associazioni ebraiche italiane a partire dall'UCEI. Sul palco il
ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione Andrea
Riccardi, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo
Pacifici, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, il presidente della
Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo, il sindaco della Capitale
Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e
Mariella Zezza, assessore regionale al Lavoro intervenuta in
rappresentanza della governatrice del Lazio Renata Polverini. Molti
anche i messaggi di adesione e di sostegno delle istituzioni. Tra gli
altri viene letto quello del presidente della Camera Gianfranco Fini,
che si sofferma sull'importanza della diffusione del valori del dialogo
in tutta la società italiana.
"Noi sappiamo che i cristiani in quei Paesi sono una presenza
importante per l'aiuto che danno alle popolazioni in campo medico,
sanitario, educativo. Con Sant’Egidio - ha detto Pacifici - dividiamo
il ricordo della Shoah e ci siamo sempre intesi per lo sforzo
straordinario che profondono per far conoscere il mondo ebraico.
Insieme ci ritroviamo questa sera al Colosseo, un simbolo di
persecuzione che noi e i cristiani abbiamo subito. Che le fiaccole di
stasera aiutino a far riflettere". "Tante volte - ribadisce rav Di
Segni - abbiamo raccolto la solidarietà dei cristiani per gli attacchi
alle comunità ebraiche in varie parti del mondo. Oggi siamo noi a
portare solidarietà, e a manifestare insieme contro l’offesa della
dignità umana". Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di
Sant'Egidio, fa riferimento a Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le
minoranze ucciso nel 2011, per sottolineare come spesso essere
cristiani significhi trasmettere un messaggio di pace che disturba. "La
nostra libertà - afferma - deve portarci a difendere la libertà degli
altri. La risposta alla violenza è la solidarietà, l’attenzione, la
preghiera". Della forza della preghiera parla anche il ministro
Riccardi. ''Le luci di questa sera - spiega - significano che non
accettiamo il silenzio e che non ci siamo abituati alla triste litania
delle donne e degli uomini cristiani che vengono uccisi e terrorizzati.
Questo è un fatto terribile e l'attenzione da parte del governo
italiano c'è oggi e c'è da sempre''. Il ministro ha poi ricordato
anch'egli come le persone presenti alla fiaccolata di ieri sera fossero
le stesse che si trovano ad onorare le vittime della Shoah su piazzale
16 ottobre 1943 nella sera della marcia silenziosa che ha luogo ogni
anno in quella data. ''La libertà religiosa - interviene il sindaco
Alemanno - è fondamento ineludibile della dignità umana. Quello che
impressiona è che ancora oggi ci sia di fronte alla libertà religiosa
una specie di pudore''. Anche dal presidente della Provincia Zingaretti
arriva l'appello ad ''intervenire per la libertà religiosa, che è la
prima libertà del mondo'' e all'Europa per assumere ''la questione come
prioritaria''. A concludere la serata è la testimonianza di Regina
Martins, nigeriana, che esprime preoccupazione per il fatto che nel suo
Paese l’odio religioso sfoci in guerra civile e la speranza che si
possa arrivare a una convivenza pacifica tra cristiani e musulmani.
Le personalità scendono dal palco per lasciar parlare la voce del
silenzio. Una musica tribale si diffonde mentre si spengono le luci del
grande monumento, per lasciar spazio alla luce della speranza, della
tolleranza e del dialogo che brilla fra le mille candele accese.
le
- twitter@lefratimoked
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Qui Roma - Il potere della parola
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Penultimo
appuntamento, prima della sosta estiva, che si svolgerà oggi pomeriggio
alle 18 al Centro Bibliografico, Lungotevere Sanzio 5, del ciclo “Quale
identità ebraica – Generazioni a confronto” a cura dell’Unione delle
comunità ebraiche italiane. Questa volta la riflessione verterà sulla
lingua ebraica che, nella sua specificità, ha sempre avuto un ruolo
determinante per l’identità ebraica in mille modi e risvolti.
L’ebraico, con le sue lettere e parole, è sempre stato il luogo dove il
popolo ebraico si è misurato, formato e confrontato prima e dopo la
nascita dello Stato di Israele, unendo generazioni, laici e religiosi,
come fosse una “casa migrante”. Quali particolarità caratterizzano
questa lingua, nei suoi tratti essenziali, dalle lettere alle parole,
dalla sua grammatica alla sua sintassi, tanto da incidere sulla nostra
identità? Ma soprattutto, dall’antichità ad oggi, quali visioni del
mondo dischiude? La tradizione ebraica ha sempre dato risalto al grande
potere creativo della parola: cosa può creare dunque questa lingua e in
che modo? Cosa comporta vivere questa lingua? A quali conoscenze ed
esperienze ci apre? Cosa incontriamo se abitiamo questa lingua? Quali
teorie vi sottendono? A discuterne saranno Rav Benedetto Carucci,
l’artista Tobia Ravà, lo psicanalista Cherles Melman, allievo diretto
di Lacan, Luisa Basevi, professoressa di lingua e letteratura ebraica
del Liceo Renzo Levi e i suoi studenti. Un incontro a più voci che
mostreranno le letture molteplici e soprattutto le varie
esperienze che a più livelli scaturiscono da questa lingua, veicolo
creativo di identità, tradizione e storia ebraica. Così, Tobia Ravà, il
pittore dal magma pittorico fatto di lettere e numeri, ci racconterà di
come sia nata in lui l'idea di dipingere con la Ghematrià - il criterio
di permutazione delle lettere in numeri in uso fin dall’antichità
nell’alfabeto ebraico – e, mostrandoci i suoi lavori, ci spiegherà il
suo rapporto tra Kabbalah, Matematica e Ghematrià; mentre rav Benedetto
Carucci, affronterà la questione linguistica da un punto di vista
rabbinico e farà da ponte con la riflessione sull’ebraico moderno,
Luisa Basevi, accompagnata dalle letture di alcuni studenti, si
soffermerà sull’uso della lingua nella poesia moderna,
sull’”israeliano", la lingua in continua evoluzione che inventa nuovi
vocaboli e sulla lingua ebraica intesa come strumento fondamentale per
la creazione di un'identità nazionale. A trarre le conclusioni e
rilanciare altre chiavi interpretative, sarà lo piscanalista Cherles
Melman, il quale ci svelerà l’incidenza specifica della lingua ebraica,
non solo nell’identità personale, ma anche nelle procedure d’analisi da
lui praticata: citando le sue parole, "l’analisi
lacaniana riprende infatti procedure che sono le stesse della
tradizione ebraica, fondate più sulla valorizzazione della lettera che
del significante…" Con tutto ciò che questo vuol dire naturalmente...
Ilana Bahbout
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Cose buone e
piccolissime cose buone |
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ll Tizio legge che la comunità
ebraica di Roma e quella di Sant’Egido hanno realizzato al
Colosseo una fiaccolata per le comunità cristiane perseguitate. Il
Tizio lo legge diversi giorni dopo che il fatto c’è stato. E' contento
della buona notizia, scontento di averla letta in ritardo. Il
Tizio allora si domanda se le buone notizie non sono talmente
notizie da sfondare, o lui era distratto quando il fatto c’è
stato. Se io ero distratto e magari dormivo e lo hanno detto
in Tv, pensa il Tizio che non è affatto un abile pensatore ma
un ruminante dei fatti, perché la notizia non mi ha svegliato
con un sonoro bum? Deve essere che le piccole notizie sono
umide, la miccia non prende e non esplodono. Uffa,
sospira il Tizio. La signora Linda dell’appartamento accanto lo sente
mormorare uffa, e bussa sul muro del Tizio. “Perché uffa,
signor Caio?”. Lei chiama Tizio signor Caio dato che Caio è
il secondo nome del signor Tizio. Allora, pensa Tizio, qualcuno le
sente le piccole cose. Esistono lo stesso anche se non diventano
notizie.
Il
Tizio della Sera
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La demagogia di Hollande |
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Ho letto con interesse
l’articolo di Tobia Zevi dove ha provato a
spiegare, perché come ebreo (di sinistra), avrebbe votato Hollande e
non Sarkozy alle elezioni presidenziali francesi. La riflessione riapre
una discussione, mai del tutto risolta, per cui ci si interroga
sull’opportunità che gli ebrei scelgano un candidato migliore per le
elezioni. Perché se è giusto affermare che l’identità ebraica non può
che influenzare la nostra scelta politica, altra cosa riguarda
l’ipotetica scelta di un candidato comune. Il rischio che si corre è
che la scelta maggioritaria possa far apparire quella minoritaria, come
contraria all’interesse collettivo dell’ebraismo. In questo modo un
voto ragionato, ma contrario all’opinione comune, invece di contribuire
al dibattito finirebbe per etichettare in modo negativo una parte del
mondo ebraico. Per questo bisogna prestare attenzione, senza però
dimenticare di giudicare secondo i valori della nostra tradizione. Sarà
per questa ragione che a me la retorica (vuota) di Sarkozy sugli
immigrati non ha spaventato più di tanto; non bisogna dimenticare che
negli ultimi 10 anni, prima come Ministro dell’Interno, poi come
Presidente della Repubblica, è stato lui il responsabile della
sicurezza della Francia senza che mai destare nessuna preoccupazione
per le minoranze. Mentre mi spaventa molto di più la demagogia di
Hollande, la sua visione collettivista e le sue affermazioni in cui
definisce preoccupanti le minacce d’Israele all’Iran. Ma come detto,
nel cercare di convincerci che un candidato sia meglio dell’altro, si
corre il rischio di apportare più danni che benefici alla causa ebraica
e che forse l’eterogeneità nel voto non sia tanto male. Ah, e se non si
fosse capito, io avrei votato con convinzione Sarkozy.
Daniel
Funaro, studente
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
MO - Giulio Terzi favorevole al nuovo governo israeliano
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Leggi la rassegna |
Il
ministro degli Esteri Giulio Terzi, commentando l'ingresso del
partito Kadima, nel nuovo governo israeliano di unità nazionale, ha
affermato che esso può offrire una "maggiore possibilità di aprire il
dialogo sul versante palestinese". Secondo Terzi è "un'analisi molto
affrettata" quella secondo cui con il nuovo governo si avvicinerebbe
l'attacco ai siti nucleari iraniani. Al contrario, secondo il titolare
della Farnesina, si tratta di una decisione "che appartiene alle
dinamiche interne della politica israeliana e la valuto sicuramente un
fatto positivo, perché allarga la base di maggioranza".
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
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