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13 maggio 2012- 21 Iyar 5772
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino


Ben Zoma diceva: "Chi è sapiente? Colui che impara da ogni uomo" (Avot 4,1). Chi ritiene di avere la sapienza, e dunque dispensa le sue verità, non è sapiente. Lo è chi va in cerca costante di sapere.

Miriam
 Camerini, regista



miriam camerini
In tram, sulla strada di casa, una ragazza dice al ragazzo in piedi accanto a lei: " Se tu apri un negozio di fiori io faccio la fioraia"... Mi piace immaginare tutti quei fiori dai colori diversi, e sento già il profumo dei gigli. Imperioso però irrompe nella mia fantasia Mark Rothko, il pittore, e grida: "La luce naturale non è mai quella giusta, non lo sai?". Immagino che anche il rosso di una rosa, di un garofano o di un tulipano, ancorché recisi, gli parrebbero poco interessanti perché non dipinti da un uomo, o, per meglio dire, da lui. Ho appena assistito alla prima di Rosso, nuovo spettacolo prodotto dall'Elfo, storico teatro milanese, sulla vita di Mark Rothko. Il testo è dello statunitense John Logan e la regia di Francesco Frongia, in scena Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaňa. Immigrato dalla Russia negli Stati Uniti nel 1913 all'età di 10 anni, Marcus Rothkowitz assume in seguito il nome d'arte Mark Rothko “perché il mio gallerista aveva già troppi ebrei sul libro paga” secondo Logan, per proteggersi da un antisemitismo occulto, ma ben presente anche nel nuovo mondo, secondo le fonti storiche.
Lo spettacolo è incentrato sulla relazione tra il pittore, esponente dell'Espressionismo astratto, ma che per buona parte della vita rifiutò l'identificazione con quel movimento, e il suo giovane assistente, che dapprima lo venera ma che finisce poi per non sopportarne più l'egocentrismo e metterne e nudo l'incoerenza e l'ipocrisia, fino a portarlo a un gesto di redenzione etico-estetica finale. Per tutta la vita il pittore porta il peso, è questo uno dei tratti che maggiormente emergono dallo spettacolo di Frongia, di uno smisurato e molto ebraico senso di responsabilità e della sensazione di inadeguatezza che ne consegue. Illuminante in proposito uno dei quadri-feticcio di Rothko: il famoso Banchetto di Belshazzar di Rembrandt, ispirato al libro di Daniele, dove la mano divina scrive sul muro: “Sei stato pesato e trovato manchevole”. A questa immagine, venerata dal maestro, il giovane allievo contrappone quella di uno dei famosi barattoli Campbell dipinti da Andy Warhol, “un artista che almeno sa cogliere l'ironia delle situazioni ... Non sempre e non per tutti l'arte deve essere sofferenza e dolore”, questo è ciò che l'allievo cerca di spiegare al maestro, ma gli si può credere? I due giovani fiorai sul tram mi convincono di più.

davar
Contando l'Omer - Una lettura al femminile
Domenica 13 Maggio, 36° giorno dell’Omer
Cinque settimane e un giorno


Tra i misteri dell’omer c’è una norma che riguarda specificamente le donne (qualcuno dice che dovrebbe estendersi anche agli uomini): non lavorare dopo il tramonto del sole. Fino a che ora non è detto, ma qualcuno spiega che il divieto finisce quando è arrivato il momento di contare il nuovo giorno, da quando è veramente sera (l’astensione quindi dura circa 45 minuti in questo periodo e in questa area). C’è poi chi ritiene che il divieto finisca con il 33° dell’omer, chi invece lo ritiene valido per tutto il periodo. Sui motivi di questo uso, peraltro poco noto e seguito, vi sono solo ipotesi. Si suppone un collegamento con la storia della perdita degli allievi di rabbì Aqiva; sarebbero state le donne a occuparsi pietosamente delle vittime, ogni sera al tramonto. Il segnale del “non lavorare” è ambivalente, è soprattutto un segno festivo, ma è anche l’astensione imposta a chi è in lutto e questa ambivalenza vale proprio nell’omer, periodo di festa con ricordi poco allegri. La regola del non lavorare al tramonto aggiunge una speciale lettura al femminile dell’omer. Qualcosa di simile avviene per il Rosh Chodesh, il capomese, e in quel caso è il tema della luna e dei cicli mensili che richiama la femminilità. Per l’omer forse c'è l’accostamento con il conto femminile dei giorni di purificazione, che richiede attenzione proprio nell’orario tra il tramonto e le stelle, trasformando una norma rituale in un’occasione di riposo, vacanza e festa.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
twitter @raviologist

Yom HaTorah - L'impegno per gli altri e per se stessi
Apprendimento personale e divulgazione verso gli altri. Queste le due linee guida dell’impegno del romano Marco Moscati nello studio della Torah. Commerciante ambulante, soprannominato Pulcino, come suo padre prima di lui, la storia del signor Moscati è un paradigma del messaggio che vuole trasmettere l’iniziativa di Yom HaTorah promossa dall’Unione delle Comunità Ebraiche il prossimo 20 maggio. Per dimostrare che lo studio può e deve far parte della vita quotidiana di tutti, ogni giorno.
Questa prima edizione di Yom HaTorah sarà dedicata al grande rabbino italiano rav Elia Samuele Artom (nell'immagine).

Marco "Lo studio è un'opportunità di crescita"

Per tutte le informazioni e gli aggiornamenti: www.yomhatorah.it

Qui Torino - La Teheran dell'israeliano Ron Leshem
e il mancato incontro con l'iraniano Mahmoud Doulatabadi
Doveva essere uno degli incontri più significativi del Salone del libro di Torino. Un momento simbolico, carico di nuove possibilità di dialogo. Ma alla fine le ragioni della politica hanno avuto la meglio. L’incontro fra lo scrittore israeliano Ron Leshem e l’iraniano Mahmoud Doulatabadi, in programma stamattina, è dunque saltato. E i due autori hanno incontrato il pubblico ciascuno per suo conto. Un vero peccato, soprattutto alla luce di Leshem, Underground Bazar (Cargo editore), dedicato proprio all’incontro con il mondo iraniano.
“Attendevo con grande interesse quest’incontro con Doulatabadi, ma sapevo che sarebbe stato molto difficile realizzarlo”, dice Ron Leshem. “Non mi stupisce però che l’appuntamento sia saltato: per gli iraniani incontrare un israeliano può essere molto pericoloso – continua - Anche nei giorni della riforma del presidente Katami sono stati uccisi dalla polizia segreta più di cento giornalisti, scrittori, traduttori, editori. E il mondo è rimasto in silenzio. Per questo iraniani e israeliani non s’incontrano mai in pubblico. Ed è un peccato perché si elimina così un’opportunità preziosa di dialogo”.
“Le somiglianze tra i nostri popoli sono più profonde delle differenze. E questa somiglianza è bella e terribile al tempo stesso” ha ricordato lo scrittore nell’incontro condotto da Farian Sabahi. “Sono molto attratto dalle cose vietate – ha continuato - Così mi sono chiesto cos’avrei fatto io in una situazione quale quella iraniana. Volevo anche capire in che modo un giovane si arrende a un credo religioso, come si vive in un paese in cui c’è un regime. Ed è una questione politica, prima che religiosa. Un tema che riguarda non solo l’Iran o Israele ma molti altri paesi. Quella storia in qualche modo mi ha trovato e l’ho scritta insieme agli iraniani che poi sono diventati miei amici. Anche se non è una storia dell’Iran ma una storia d’amore che coinvolge i giovani iraniani”.
Quanto alle analogie fra i due paesi, Leshem ha sottolineato come tanti ragazzi iraniani si trovino oggi a vivere in un mondo di illusioni, alimentato da internet (è vero che lì c’è la censura, ma i ragazzi sanno bene come fare a evitarla). “Io vivo a Tel Aviv, che è un’isola di liberalismo con club, discoteche, bar, la spiaggia in cui si può girare nudi. Ma chi sta lì spesso non s’interessa del contesto più generale: vive in questa bolla di libertà, in una realtà di sesso, droga e rock’n roll, senza più la speranza di poter cambiare le cose”.
Infine le minacce di guerra. “Non credo ci sia un pericolo incombente. Mi spaventa di più il fatto che dall’altra parte del confine ci siano donne lapidate a morte per adulterio o persone picchiate e uccise per la strada per presunti comportamenti immorali. Il mio nemico, in realtà, è la politica basata sulla religione”.

Daniela Gross twitter @dgrossmoked

Qui Torino - Maurizio Molinari rilegge la nostra storia
Alla fine, parola dell'autore, a colpire è soprattutto la differenza tra i comportamenti ufficiali e la lettura dei fatti dietro le quinte. È un'opera destinata a colpire nel segno l'ultima fatica letteraria di Maurizio Molinari, corrispondente dagli Stati Uniti del quotidiano La Stampa, che in Governo Ombra (ed. Rizzoli) ricostruisce uno dei periodi più difficili e intricati per la democrazia in Italia, il 1978 cuore degli Anni di Piombo, a partire dall'interpretazione dei documenti rigorosamente top secret emessi in quei mesi dalla diplomazia e dagli alti funzionari statunitensi. Una serie di informazioni riservate e foriere di sorprese cui il giornalista, tra i protagonisti di questa 25esima edizione del Salone del Libro di Torino, è riuscito ad entrare in possesso grazie a un accesso privilegiato agli archivi declassificati del Dipartimento di Stato americano e ad altre fonti esclusive che permettono di tracciare un quadro inedito in cui, nonostante un'opposizione di facciata, inequivocabilmente emergono gli sforzi fatti dalla Casa Bianca in favore del Compromesso storico. Tra gli altri, ricorda Molinari, le molte energie (sia economiche che intellettuali) profuse per incontrare in segretezza alcuni tra i massimi esponenti del Partito Comunista Italiano lungo una consolidata tradizione di scambi e contatti face to face col “nemico”. Tra le “chicche” di Governo Ombra anche la rivelazione (la fonte è l'ambasciatore statunitense in Italia Richard Gardner) dei tentativi di sabotaggio operati dal ministro Dc Pedini alla concessione di un visto all'allora membro di segreteria del Pci Giorgio Napolitano. Un'operazione che non sarebbe andata a buon fine e che Molinari e il direttore de La Stampa Mario Calabresi hanno illustrato al Capo dello Stato in occasione della presentazione del volume a margine della solenne cerimonia in ricordo delle vittime del terrorismo svoltasi in Quirinale lo scorso 9 maggio.

a.s. twitter @asmulevichmoked

Qui Trieste - Materiale antisemita rinvenuto nella casa
di un pubblico funzionario, lo sdegno delle istituzioni
Vario materiale di stampo antisemita e neonazista tra cui alcuni libri, poster e gadget è stato rinvenuto dalla Guardia di Finanza e dalla polizia nel corso della perquisizione dell’abitazione di Carlo Baffi, dirigente dell’Ufficio immigrazione indagato per omicidio colposo e sequestro di persona. La notizia del ritrovamento ha suscitato lo sdegno di molti a Trieste e tra le istituzioni ebraiche nazionali e cittadine. “La presenza dei volumi antisemiti nella casa del vicequestore – afferma il consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega per il Nord Est Andrea Mariani – ci rimanda a una dimensione ideologica che avremmo sperato di non dover più affrontare. Una dimensione confermata con preoccupante regolarità dalle periodiche indagini che mostrano una costante escalation dell’antisemitismo in Europa. Quei volumi ci ricordano che il germe dell’intolleranza è ancora fra noi e che è giunto il momento di sradicarlo con decisione in un impegno pubblico volto a svelare quelle ombre che ancora impediscono una reale giustizia sulle tante ombre della nostra città”. “È interesse della Comunità ebraica – spiega in una nota il leader comunitario Alessandro Salonichio – che venga fatta piena luce su questo episodio e abbiamo assoluta fiducia che le indagini in corso faranno emergere la verità. Tuttavia non possiamo nascondere la nostra preoccupazione per il fatto che vicende di questo tipo possano generare una distorta interpretazione della storia, in particolare in un momento come quello che stiamo vivendo”. “Ogni giorno – prosegue Salonichio – dobbiamo infatti amaramente constatare un aumento di episodi di intolleranza e di dichiarazioni dal nemmeno troppo velato sapore razzista che ci fanno temere impulsi di antisemitismo. È dunque nostro dovere vigilare e tenere alta la soglia di attenzione affinché essi non passino sotto silenzio. Vogliamo però rimarcare con chiarezza il sentimento di profonda e sincera gratitudine della nostra Comunità per il lavoro svolto con grande impegno in questi anni dalle Forze dell’Ordine e dalla Polizia di Stato, per la salvaguardia della sicurezza delle nostre istituzioni”.
Oltre al “caso Baffi”, c'è un altro episodio che tocca il tema del razzismo e delle stereotipie e che fa molto discutere nel triestino. Protagonista in negativo il capogruppo della Lega Nord in Provincia Paolo Polidori che, nel corso di un recente intervento ad una convention del partito, si era così espresso: “Il presidente del Consiglio Mario Monti e il governo in carica sono espressioni del potere giudaico – massone”. Parole che, una volta rese pubbliche e una volta pervenuta una richiesta ufficiale di scuse da parte della Comunità ebraica, erano state orgogliosamente confermate dal diretto interessato. Così, si apprende oggi sul quotidiano Il Piccolo, l'avvocato Alberto Kostoris, legale della Comunità ebraica triestina, ha denunciato Polidori alla Procura. “Non intendo accettare passivamente questi episodi ma reagire con gli strumenti forniti dalla legge. Non solo come ebreo – spiega a Claudio Ernè – ma come persona pensante”.

pilpul
Davar Acher - Pregio e metodo
Ugo VolliUn tam-tam su Internet avverte che ci sarebbe una sentenza giudiziaria che assolve il prof. Claudio Moffa dall'accusa di negazionismo. In realtà non si tratta di una sentenza, ma di un provvedimento di un Pubblico Ministero, che, se ho capito bene, respingerebbe una querela dello stesso Moffa, e quindi in sostanza gli darebbe torto, ma contemporaneamente approverebbe i suoi contenuti. Non sono riuscito a procurarmi il testo integrale del provvedimento, ma solo un articolo di giornale citato sul sito dello stesso Moffa. Si tratta di un quotidiano locale (“Il centro”) che peraltro Moffa loda per il suo “coraggio” e il cui direttore compare sul sito come autore di interviste allo stesso Moffa.
Si tratta, è bene ricordarlo, di una lezione che lo stesso Moffa tenne due anni fa, il 24 settembre 2010, in apertura di un suo master sulla politica mediorientale, che fu denunciata da Repubblica come “lezioni di negazionismo”. Il mondo ebraico insorse, intervenne il Ministro della Pubblica istruzione, il Senato accademico dell'Università di Teramo chiuse il master diretto da Moffa.
Oggi, secondo quanto dice “Il centro”, il Pubblico Ministero di Pescara “ha osservato la legittimità del dibattito nel contesto della didattica universitaria. In sostanza il professor Moffa non offrì nessuna opzione ideologica e nessuna lettura alternativa dell'Olocausto ma sottolineò l'importanza di un approccio critico a qualsiasi argomento anche 'critico' come il tema trattato nel corso della lezione. La lezione verteva sul metodo che lo storico deve attuare nella lettura dei fatti - sostiene il pubblico ministero - un metodo che metta in dubbio le fonti e che non dia nulla per scontato proprio per evitare strumentalizzazioni politiche o ideologiche. Mettere in dubbio l'attendibilità delle fonti, tenere in considerazione la possibilità che le stesse vengano manipolate. Proprio nel contesto del “metodo” e dell'approccio critico alla storiografia si colloca la lezione che tenne il prof. Moffa, lezione ritenuta dal pm del tribunale di Pescara pregevole e ineccepibile.”
Fin qui “Il centro”: non posso dire quanto questo riassunto rispecchi effettivamente le argomentazioni del magistrato (che sono riprodotte, ma solo in piccola parte qui). Quanto questo riassunto possa poi corrispondere ai contenuti della lezione, lascio ai lettori giudicare, guardano il video molto espressivo pubblicato da Repubblica. Verrebbe comunque la tentazione di accostare questo provvedimento giudiziario alla sentenza che ha condannato Caldarola per aver messo in satira Vauro a proposito di una sua vignetta contro Fiamma Nirenstein, mostrata con i tipici tratti attribuiti dalla satira antisemita agli ebrei e sul petto un fascio littorio accostato a una stella di Davide, e di discutere sulla strada cui sembra avviata la magistratura italiana, o almeno una sua parte. Ma non è il caso di sviluppare qui questo tema, e comunque non senza aver visto l'intera sentenza.
Vale piuttosto la pena di riportare Il modo in Moffa stesso annuncia questo provvedimento e le conclusioni che ne trae in un'intervista senza autore pubblicata nella prima pagine del suo sito: “ 'Prof, dopo l’Università ora anche un magistrato dichiara che con la sua lezione sulla Shoah lei non negò l’Olocausto...' 'Sì, ma c’è una novità, il magistrato descrive brevemente la struttura della lezione e aggiunge che “appare pregevole e metodologicamente ineccepibile”. Non è poco. Si può discettare tra verità storica e verità giudiziaria, ma questa è ovviamente più meticolosa di quella. Comunque è vero quello che dici: chi legge e visiona la lezione, cambia parere rispetto al gossip. Chi non si documenta rischia di restare nel pregiudizio.' 'Ma lei è o no negazionista?' 'NO. Primo, il termine negazionista è stato inventato dai nemici e negatori della verità storica, più giusto è parlare di revisionisti. Secondo, molti negazionisti-revisionisti dicono cose vere, e comunque pongono questioni serie a cui certo giornalismo e certi storici ortodossi non rispondono mai. Terzo, io non intendo il revisionismo come una scelta di bandiera, come delle volte sembra essere per alcuni revisionisti, ma come una potenzialità insita nel mestiere di storico. Scopro nuovi documenti, nuove prove su un determinato evento o fenomeno e dunque correggo e revisiono l’interpretazione precedente. Se no, è ovvio che mi sta bene la versione “ufficiale”. E’ chiaro del resto che la parola “revisionismo” non riguarda solo il nazismo, come si potrebbe dedurre da alcune affermazioni dei revisionisti olocaustici, ma può riguardare qualsiasi spaccato e periodo storico. Infine, io in decenni di attività non mi sono occupato solo di Shoah – come ad esempio Graf, Faurisson, Mattogno e altri studiosi – e dunque non sono assolutamente appellabile come negazionista. Il che non vuol dire che i cosiddetti negazionisti non affermino cose giuste, anzi.' “
Questa è la posizione che, a quanto pare, per il pm di Pescara “appare pregevole e metodologicamente ineccepibile”. Le espressioni di Moffa non sono sempre chiarissime, ma è chiaro che per lui “i cosiddetti negazionisti” in sostanza “dicono cose giuste”, solo che non bisogna chiamarli negazionisti, soprattutto se oltre che della Shoah si occupano d'altro, per esempio, in via del tutto ipotetica, di spiegare quanto malvagio sia Israele e quanto buono Achmadinedjad. Bisogna chiamarli “revisionisti” o magari “negazionisti-revisionisti”. Con questa nuova “appellazione” non si può negare che si tratti di posizioni “pregevoli e metodologicamente ineccepibili”. Complimenti.
 
Ugo Volli twitter @UgoVolli

notizieflash   rassegna stampa
Djerba - In centinaia in visita
alla storica sinagoga di La Ghriba

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Oltre duemila persone hanno partecipato negli scorsi giorni al tradizionale pellegrinaggio alla sinagoga di La Ghriba, nella città tunisina di Djerba. Per due giorni centinaia di ebrei tunisini, ma anche provenienti da Israele e dall'Europa, si sono riuniti in preghiera protetti da un massiccio dispiegamento dell'esercito, deciso dopo le minacce di alcuni gruppi legati al fondamentalismo islamico salafita.
 

Dunque ci sarà un’altra giornata della memoria, di rilievo europeo, nel calendario civile delle celebrazioni e delle ricorrenze storiche con le quali ci confrontiamo periodicamente. Così in base a quanto deliberato dal Parlamento di Strasburgo, che istituisce per il 6 marzo una giornata europea dei Giusti tra le nazioni. Ne parla Furio Colombo su il Fatto di oggi, in polemica con un articolo ai Antonio Carioti comparso sul Corriere della Sera di giovedì 10 maggio.


Claudio Vercelli


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