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3 giugno 2012 - 13 Sivan 5772
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

La conclusione della parashah di Nasò è costituita dalla pedissequa ripetizione delle offerte presentate dai principi delle dodici tribù per l'inaugurazione del tabernacolo. Ciò insegna, secondo la interpretazione del Saba di Kelm, che Dio è attento a ciascun membro del popolo di Israele; la provvidenza non è dunque generica ma individualizzata.


Miriam
 Camerini, regista



miriam camerini

"Ebrei, ebrei, ebrei. Perché, perché, perché deve sempre avere tutto a che fare con gli ebrei, ebrei, ebrei?". E' ciò che si domanda il padre del protagonista di Kalooki nights, esilarante romanzo dello scrittore inglese Howard Jacobson (Cargo edizioni).
Perché no? Risponderei io.

davar
L’ebraismo italiano alle urne fra sette giorni
Sette giorni esatti all’appuntamento che porterà l’Italia ebraica alle urne per rinnovare i vertici dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Completamente nuova la formula delle elezioni: a essere nominati non saranno più i delegati al Congresso con il compito di eleggere il Consiglio UCEI, ma i componenti di quello che è già stato definito il “parlamentino dell’ebraismo italiano”. Saranno 52 i suoi membri (a fronte degli attuali 18 consiglieri): 3 rabbini e 49 ‘laici’, di cui 20 eletti dalla Comunità ebraica di Roma, 10 da Milano e 19 provenienti dalle altre Comunità (i cui Consigli hanno avuto la possibilità di scegliere se nominare il proprio delegato oppure andare a elezioni, opzione preferita da Livorno, Firenze e Trieste, dove si scontrano rispettivamente Daniele Bedarida e Gadi Polacco, Simcha Jelinek e Dario Bedarida, Davide Belleli e Mauro Tabor).
Ultimi giorni di campagna elettorale per i candidati nelle Comunità di Roma e Milano. Oltre ai diversi eventi di presentazione organizzati dalla singole liste, nella Capitale una nuova occasione di confronto fra Uniti per l’Unione (capolista il presidente UCEI Renzo Gattegna) e Binah (prime candidate Eva Ruth Palmieri e Sabrina Coen) avrà luogo lunedì 4 giugno alle 20.30 nella sede dell’Associazione donne ebree d’Italia di viale Trastevere, in un appuntamento declinato tutto al femminile; a Milano invece martedì 5 giugno alle 20.45 nella serata organizzata dalla Fondazione scuola si confronteranno i candidati non soltanto per le elezioni dell’UCEI (tre le liste che si fronteggiano nel capoluogo lombardo, Milano per l’Unione - L’Unione per Milano, capolista Roberto Jarach, Mahar - Domani per l’UCEI, capolista Raffaele Turiel, UCEI per la scuola, candidato unico Cobi Benatoff), ma anche per la Comunità ebraica di Milano, che domenica 10 giugno rinnoverà anch’essa il proprio Consiglio. Al rinnovo del Consiglio anche la Comunità ebraica di Livorno.

Qui New York - La Quinta Strada in festa per Israele
Decine di migliaia di persone confluiscono oggi sulla Fifth Avenue per l’annuale Celebrate Israel Parade. Oltre duecento organizzazioni coinvolte, dalle scuole ebraiche dell’area a club motociclistici e atletici. “E’ il più grande evento che celebra Israele, e quest’anno vogliamo mettere in luce i suoi contributi positivi al mondo” spiega il direttore della parata Michael Mittelman. E infatti sulla Quinta Strada i partecipanti sfileranno indossando costumi che si richiamano al tema di questa edizione (la quarantottesima, la parata nacque nel 1964) “Israel branches out”: frutta, natura, agricoltura, tecnologia. A partecipare sarà anche il sindaco di New York Michael Bloomberg e il Ministro israeliano per gli Affari della Diaspora Yuli Edelstein.
La parata è stata preceduta dalla corsa Celebrate Israel Run, quattro miglia e seimila atleti vestiti di bianco e azzurro, come i palloncini che addobbano la Fifth Avenue. A chiudere la manifestazione sarà invece un concerto a Central Park.

pilpul
Il 2 Giugno e il Memorial Day
Ugo VolliIl referendum popolare che il 2 giugno del 1946 sancì il passaggio dalla monarchia alla repubblica in Italia ebbe anche alcune conseguenze sulla liturgia ebraica. Presso l’Archivio della Comunità ebraica di Livorno, nella corrispondenza del rabbino capo Alfredo Sabato Toaff, ho trovato una lettera spedita il 26 giugno 1946 dall’allora presidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane Raffaele Cantoni a tutti i Rabbini Capi, Capi Culto e Ufficianti, con oggetto Beahà Annoten (sic), che così diceva: “Il cambiamento della forma istituzionale italiana ha imposto a questa Unione di riesaminare lo spirito e il contenuto della Berahà Annoten. Questa Unione ha deciso che si soprassieda ad ogni celebrazione della Berahà stessa in attesa di conoscere la decisione che il Consiglio prenderà in merito. Si invitano, pertanto, gli Ecc.mi Rabbini Capo, Ecc.mi Capi Culto e i Signori Ufficianti di attenersi a quanto sopra, fino a che non riceveranno ulteriori istruzioni. Scialom. Il Presidente (Raffaele Cantoni)”. La berachah di cui si parla è la benedizione in onore del Re che in molti paesi si recitava nelle tefillot sabbatiche e festive (e forse tuttora si recita in Gran Bretagna e altri paesi a regime monarchico). Non so se dopo l’ignominia delle leggi razziali fasciste del 1938, controfirmate dal Re Vittorio Emanuele III, si fosse continuato a recitare la benedizione, almeno fino all’8 settembre 1943 quando ancora le sinagoghe erano funzionanti regolarmente, ma si spererebbe di no. Dal 1946, comunque, non si fanno più preghiere in onore del Capo dello Stato o del governo italiano.
È interessante fare un confronto con il Memorial Day, il giorno che negli Stati Uniti d’America commemora tutti i soldati e soldatesse caduti servendo nelle forze armate americane e che cade l’ultimo lunedì di maggio. Quest’anno è coinciso con il secondo giorno di Shavuot. La coincidenza è stata provvidenziale, così ha detto nel discorso introduttivo Rabbi Yaakov Kermaier, rabbino della Fifth Avenue Synagogue di New York, nell’Upper East Side, una delle zone più esclusive della città, vicino a Central Park. Nel secondo giorno di Shavuot, infatti, come nelle altre feste, si recita l’Yizkor, la commemorazione dei defunti, una cerimonia molto solenne e partecipata, soprattutto nel rito ashkenazita. Prima del ricordo che ognuno recita per i propri cari, il rabbino e il chazan hanno intonato una preghiera per commemorare, nell’ordine, i sei milioni di morti nella Shoah, i soldati di Israele e, infine, i soldati americani (si noti, non i soldati ebrei, ma quelli di tutte le confessioni o di nessuna confessione) che hanno combattuto, così il rabbino ha detto, “per assicurare agli ebrei di vivere liberamente negli USA”. E nell’enfasi della retorica poco ci mancava che si riferisse agli ebrei di tutto il mondo. Le preghiere dell’Yizkor sono state recitate in ebraico (non proprio di stile biblico e neanche di quello di Bialik) con traduzione in inglese, e si sono concluse con un toccante Ani ma’amin, l’affermazione di fiducia nella venuta del Messia “anche se dovesse ritardare”, cantato da Joseph Malovany, uno dei più famosi chazanim di New York. 
Come è noto, la varietà di usi nell’America ebraica è ampia, non solo fra una corrente e l’altra (Orthodox, Conservative, Reform ecc.), ma anche fra una sinagoga e quella accanto, persino della stessa corrente. Non è detto che – per citare le sinagoghe in cui sono stato nelle ultime due settimane – all’Edmond Safra Synagogue (del rabbino e medico Elie Abadie) o alla Park East Synagogue (del rabbino Arthur Schneier, che è stato in visita anche a Roma e ha recentemente ospitato rav Di Segni), entrambe a distanza ravvicinata dalla Fifth Avenue, o, nel West Side del Central Park, alla Spanish-Portuguese Synagogue (dei rabbini Marc e Hayyim Angel, dove a metà aprile si è tenuto un acclamatissimo concerto con il Chazan onorario di Livorno Daniele Bedarida) o alla Young Israel Synagogue (di Rabbi Dovid Cohen) abbiano messo la stessa enfasi nella celebrazione del Memorial Day. E così al Temple Emanuel, anch’esso nell’East Side (Reform, il più grande tempio del mondo, che ho visto solo da fuori, per evidenti impedimenti halakhici dovuti all’uso del microfono di Shabbat e Mo’ed e ad altri problemi). Una cosa è certa. Domenica 3 giugno si svolgerà nella Fifth Avenue l’annuale parata in supporto di Israele. Molti newyorkesi, ebrei e non ebrei, vi parteciperanno in massa. Si dice ci saranno 100,000 sfilanti davanti alla delizia di un milione di spettatori. Le celebrazioni, manco a dirlo, saranno aperte dal suono dello shofar. 

rav Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano

Davar Acher - Paura
Ugo VolliCari amici, non vorrei sembrarvi vigliacco o fragile di nervi, ma devo confessarvi che sono spaventato, molto spaventato. "Per Israele?" mi chiedete voi. Ebbene no, non per Israele: isoletta di libertà immersa in un oceano di dittature, rifugio di sette milioni di ebrei circondata da un miliardo e passa di musulmani (in una discreta quota islamisti fanatici), Israele ha i mezzi intellettuali e fisici per difendersi e soprattutto quelli morali, perché sa di doversi difendere e vuole farlo. Certo non mancano disfattisti e illusi che non vedono miglior soluzione che la resa, ma sono una piccola minoranza. C'è un grande primo ministro, un esercito modernissimo e consapevole delle sue responsabilità, un'economia che galoppa. Ma soprattutto c'è la consapevolezza diffusa che il nemico esiste, che è pericoloso, che bisogna lottare su tutti i fronti.
No, non ho paura per Israele, ho paura per l'Europa. Gli ufficiali israeliani fanno il loro giuramento a Masada, sanno che cosa vuol dire un nemico che ti vuole distruggere fino all'ultimo rifugio. I ragazzi europei hanno dimenticato che bisogna difendersi, che nessuno ti regala la libertà se non te la conquisti. I mezzi di comunicazione di massa e i politici non fanno che ripetere parole di "buona volontà", pensano che il loro mestiere sia vendere illusioni, non avrebbero mai il coraggio di dire verità sgradevoli, per paura di perdere audience e applausi.
La verità è semplicissima: Annibale è alle porte - e magari anche dentro casa. Fino a due anni fa il nostro confine sud, che è il mondo arabo, era governato da tiranni più o meno sgradevoli, i Mubarak, i Gheddafi, i Ben Alì ecc. che certo non erano modelli di democrazia, però avevano capito che per mantenere il potere avevano l'interesse a tenere sotto controllo il conflitto, avevano bisogno dell'Occidente ancor più di quanto noi avessimo bisogno di loro. Opprimevano il loro popolo, ogni tanto facevano sparate più o meno propagandistiche contro l'Occidente ma era un fattore di stabilità. Ora in quegli stessi paesi ci sono stati migliaia di morti, c'è l'anarchia, o da essa emerge un'altra dittatura, quella islamista, intollerante di tutto ciò che è occidentale e non islamico, per prime le altre religioni. Se tracciate una linea sulla sponda sud del Mediterraneo, trovate da Ovest a Est il Marocco in cui gli islamisti hanno vinto le elezioni e condizionano sempre più il regime, l'Algeria in cui lo scontro è aperto ma il regime dei militari regge, la Libia in piena anarchia e comunque in mano a forze antidemocratiche, la Tunisia dominata dagli islamisti "moderati" e insidiata da quelli "radicali", l'Egitto in mano alla Fratellanza musulmana, Gaza che appartiene alla sua sezione denominata Hamas. Poi c'è Israele, ma già in Libano sembra che stia iniziando la guerra civile e il governo è dominato dagli Hizbollah sciiti e terroristi, in Siria ci sono decine o centinaia di morti al giorno e l'opposizione è ormai guidata da Al Qaeda, la Turchia sempre più islamizzata e all'estremo oriente, fuori dal Mediterraneo ma ben deciso a influenzarlo l'Iran degli ayatollah, ormai sul punto di disporre di armi atomiche. Russia e Cina sono suoi alleati - il più grande schieramento anti-occidentale che si sia mai visto.
Questo è il confine meridionale dell'Europa, e il suo interno è pieno di emigrati di questi paesi, che recenti studi dimostrano decisivi perf il confronto politico: per l'Europa ho paura, non per l'Italia. Anche perché questi sviluppi disastrosi del suo confine meridionale sono stati accolti con gioia o addirittura favoriti dall'Europa, che è intervenuta in Libia, vorrebbe farlo in Siria, ha appoggiato le rivolte dappertutto, considera con simpatia i palestinesi quando cercano di insidiare la sola democrazia nella regione, Israele, vorrebbe essere amica della Turchia islamizzata anche se spesso non si riesce per la sua arrogante aggressività. E naturalmente nella stessa direzione si muove l'amico e ispiratore Obama, che ha dato il nulla osta alle rivolte col suo famoso discorso del Cairo di tre anni fa. Nessuno ha perso così tanto fra i presidenti americani dalla fondazione dello stato. Nessuno ha messo tanto in pericolo la libertà dell'America e dei suoi alleati quanto lui. Per questo ho paura. Fino a qualche anno fa pensavo che affrontare il grande assalto islamico che si prospetta sarebbe stato un problema delle prossime generazioni; adesso temo che toccherà a noi, e presto. E l'Europa è completamente impreparata, non ha neppure capito di essere sotto attacco, mette la testa sotto la sabbia e si fa male da sola in economia. Cari amici, ho proprio paura.

Ugo Volli  

notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di Vita - Yom HaTorah,
Olimpiadi nascoste, l'ebraismo alle urne

  Leggi la rassegna

Il giorno della Torah apre la puntata di Sorgente di vita del 3 giugno 2012: padri e figli insieme per un’intera giornata dedicata allo studio. A Roma, come in tutte le comunità italiane, lezioni e commenti di rabbini e maestri per studenti di tutte le età.
In occasione del giorno della Torah nella  piccola sinagoga di Napoli arriva un nuovo “sefer”, un rotolo della Legge, scritto a mano  su pergamena secondo la tradizione.
Segue poi Cristiana Capotondi (...)


p.d.s.



 

Quando i faraoni cadono...i topi ballano. I giornali di oggi riportano con la dovuta evidenza la condanna all’ergastolo che la corte giudicante egiziana ha comminato all’oramai ex rais cairota Hosni Mubarak. Di lui Domenico Quirico, come del suo trentennale esercizio del potere, ne fa un ritratto su la Stampa.
Si preconizzava la pena di morte ma così non è stato.


Claudio Vercelli


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