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Il 2 Giugno e il Memorial Day
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Il
referendum popolare che il 2 giugno del 1946 sancì il passaggio dalla
monarchia alla repubblica in Italia ebbe anche alcune conseguenze sulla
liturgia ebraica. Presso l’Archivio della Comunità ebraica di Livorno,
nella corrispondenza del rabbino capo Alfredo Sabato Toaff, ho trovato
una lettera spedita il 26 giugno 1946 dall’allora presidente
dell’Unione delle comunità israelitiche italiane Raffaele Cantoni a
tutti i Rabbini Capi, Capi Culto e Ufficianti, con oggetto Beahà
Annoten (sic), che così diceva: “Il cambiamento della forma
istituzionale italiana ha imposto a questa Unione di riesaminare lo
spirito e il contenuto della Berahà Annoten. Questa Unione ha deciso
che si soprassieda ad ogni celebrazione della Berahà stessa in attesa
di conoscere la decisione che il Consiglio prenderà in merito. Si
invitano, pertanto, gli Ecc.mi Rabbini Capo, Ecc.mi Capi Culto e i
Signori Ufficianti di attenersi a quanto sopra, fino a che non
riceveranno ulteriori istruzioni. Scialom. Il Presidente (Raffaele
Cantoni)”. La berachah di cui si parla è la benedizione in onore del Re
che in molti paesi si recitava nelle tefillot sabbatiche e festive (e
forse tuttora si recita in Gran Bretagna e altri paesi a regime
monarchico). Non so se dopo l’ignominia delle leggi razziali fasciste
del 1938, controfirmate dal Re Vittorio Emanuele III, si fosse
continuato a recitare la benedizione, almeno fino all’8 settembre 1943
quando ancora le sinagoghe erano funzionanti regolarmente, ma si
spererebbe di no. Dal 1946, comunque, non si fanno più preghiere in
onore del Capo dello Stato o del governo italiano. È interessante
fare un confronto con il Memorial Day, il giorno che negli Stati Uniti
d’America commemora tutti i soldati e soldatesse caduti servendo nelle
forze armate americane e che cade l’ultimo lunedì di maggio. Quest’anno
è coinciso con il secondo giorno di Shavuot. La coincidenza è stata
provvidenziale, così ha detto nel discorso introduttivo Rabbi Yaakov
Kermaier, rabbino della Fifth Avenue Synagogue di New York, nell’Upper
East Side, una delle zone più esclusive della città, vicino a Central
Park. Nel secondo giorno di Shavuot, infatti, come nelle altre feste,
si recita l’Yizkor, la commemorazione dei defunti, una cerimonia molto
solenne e partecipata, soprattutto nel rito ashkenazita. Prima del
ricordo che ognuno recita per i propri cari, il rabbino e il chazan
hanno intonato una preghiera per commemorare, nell’ordine, i sei
milioni di morti nella Shoah, i soldati di Israele e, infine, i soldati
americani (si noti, non i soldati ebrei, ma quelli di tutte le
confessioni o di nessuna confessione) che hanno combattuto, così il
rabbino ha detto, “per assicurare agli ebrei di vivere liberamente
negli USA”. E nell’enfasi della retorica poco ci mancava che si
riferisse agli ebrei di tutto il mondo. Le preghiere dell’Yizkor sono
state recitate in ebraico (non proprio di stile biblico e neanche di
quello di Bialik) con traduzione in inglese, e si sono concluse con un
toccante Ani ma’amin, l’affermazione di fiducia nella venuta del Messia
“anche se dovesse ritardare”, cantato da Joseph Malovany, uno dei più
famosi chazanim di New York. Come è noto, la varietà di
usi nell’America ebraica è ampia, non solo fra una corrente e l’altra
(Orthodox, Conservative, Reform ecc.), ma anche fra una sinagoga e
quella accanto, persino della stessa corrente. Non è detto che – per
citare le sinagoghe in cui sono stato nelle ultime due settimane –
all’Edmond Safra Synagogue (del rabbino e medico Elie Abadie) o alla
Park East Synagogue (del rabbino Arthur Schneier, che è stato in visita
anche a Roma e ha recentemente ospitato rav Di Segni), entrambe a
distanza ravvicinata dalla Fifth Avenue, o, nel West Side del Central
Park, alla Spanish-Portuguese Synagogue (dei rabbini Marc e Hayyim
Angel, dove a metà aprile si è tenuto un acclamatissimo concerto con il
Chazan onorario di Livorno Daniele Bedarida) o alla Young Israel
Synagogue (di Rabbi Dovid Cohen) abbiano messo la stessa enfasi nella
celebrazione del Memorial Day. E così al Temple Emanuel, anch’esso
nell’East Side (Reform, il più grande tempio del mondo, che ho visto
solo da fuori, per evidenti impedimenti halakhici dovuti all’uso del
microfono di Shabbat e Mo’ed e ad altri problemi). Una cosa è certa.
Domenica 3 giugno si svolgerà nella Fifth Avenue l’annuale parata in
supporto di Israele. Molti newyorkesi, ebrei e non ebrei, vi
parteciperanno in massa. Si dice ci saranno 100,000 sfilanti davanti
alla delizia di un milione di spettatori. Le celebrazioni, manco a
dirlo, saranno aperte dal suono dello shofar.
rav Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
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Davar Acher - Paura
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Cari amici, non vorrei
sembrarvi vigliacco o fragile di nervi, ma devo confessarvi che sono
spaventato, molto spaventato. "Per Israele?" mi chiedete voi. Ebbene
no, non per Israele: isoletta di libertà immersa in un oceano di
dittature, rifugio di sette milioni di ebrei circondata da un miliardo
e passa di musulmani (in una discreta quota islamisti fanatici),
Israele ha i mezzi intellettuali e fisici per difendersi e soprattutto
quelli morali, perché sa di doversi difendere e vuole farlo. Certo non
mancano disfattisti e illusi che non vedono miglior soluzione che la
resa, ma sono una piccola minoranza. C'è un grande primo ministro, un
esercito modernissimo e consapevole delle sue responsabilità,
un'economia che galoppa. Ma soprattutto c'è la consapevolezza diffusa
che il nemico esiste, che è pericoloso, che bisogna lottare su tutti i
fronti.
No, non ho paura per Israele, ho paura per l'Europa. Gli ufficiali
israeliani fanno il loro giuramento a Masada, sanno che cosa vuol dire
un nemico che ti vuole distruggere fino all'ultimo rifugio. I ragazzi
europei hanno dimenticato che bisogna difendersi, che nessuno ti regala
la libertà se non te la conquisti. I mezzi di comunicazione di massa e
i politici non fanno che ripetere parole di "buona volontà", pensano
che il loro mestiere sia vendere illusioni, non avrebbero mai il
coraggio di dire verità sgradevoli, per paura di perdere audience e
applausi.
La verità è semplicissima: Annibale è alle porte - e magari anche
dentro casa. Fino a due anni fa il nostro confine sud, che è il mondo
arabo, era governato da tiranni più o meno sgradevoli, i Mubarak, i
Gheddafi, i Ben Alì ecc. che certo non erano modelli di democrazia,
però avevano capito che per mantenere il potere avevano l'interesse a
tenere sotto controllo il conflitto, avevano bisogno dell'Occidente
ancor più di quanto noi avessimo bisogno di loro. Opprimevano il loro
popolo, ogni tanto facevano sparate più o meno propagandistiche contro
l'Occidente ma era un fattore di stabilità. Ora in quegli stessi paesi
ci sono stati migliaia di morti, c'è l'anarchia, o da essa emerge
un'altra dittatura, quella islamista, intollerante di tutto ciò che è
occidentale e non islamico, per prime le altre religioni. Se tracciate
una linea sulla sponda sud del Mediterraneo, trovate da Ovest a Est il
Marocco in cui gli islamisti hanno vinto le elezioni e condizionano
sempre più il regime, l'Algeria in cui lo scontro è aperto ma il regime
dei militari regge, la Libia in piena anarchia e comunque in mano a
forze antidemocratiche, la Tunisia dominata dagli islamisti "moderati"
e insidiata da quelli "radicali", l'Egitto in mano alla Fratellanza
musulmana, Gaza che appartiene alla sua sezione denominata Hamas. Poi
c'è Israele, ma già in Libano sembra che stia iniziando la guerra
civile e il governo è dominato dagli Hizbollah sciiti e terroristi, in
Siria ci sono decine o centinaia di morti al giorno e l'opposizione è
ormai guidata da Al Qaeda, la Turchia sempre più islamizzata e
all'estremo oriente, fuori dal Mediterraneo ma ben deciso a
influenzarlo l'Iran degli ayatollah, ormai sul punto di disporre di
armi atomiche. Russia e Cina sono suoi alleati - il più grande
schieramento anti-occidentale che si sia mai visto.
Questo è il confine meridionale dell'Europa, e il suo interno è pieno
di emigrati di questi paesi, che recenti studi dimostrano decisivi perf
il confronto politico: per l'Europa ho paura, non per l'Italia. Anche
perché questi sviluppi disastrosi del suo confine meridionale sono
stati accolti con gioia o addirittura favoriti dall'Europa, che è
intervenuta in Libia, vorrebbe farlo in Siria, ha appoggiato le rivolte
dappertutto, considera con simpatia i palestinesi quando cercano di
insidiare la sola democrazia nella regione, Israele, vorrebbe essere
amica della Turchia islamizzata anche se spesso non si riesce per la
sua arrogante aggressività. E naturalmente nella stessa direzione si
muove l'amico e ispiratore Obama, che ha dato il nulla osta alle
rivolte col suo famoso discorso del Cairo di tre anni fa. Nessuno ha
perso così tanto fra i presidenti americani dalla fondazione dello
stato. Nessuno ha messo tanto in pericolo la libertà dell'America e dei
suoi alleati quanto lui. Per questo ho paura. Fino a qualche anno fa
pensavo che affrontare il grande assalto islamico che si prospetta
sarebbe stato un problema delle prossime generazioni; adesso temo che
toccherà a noi, e presto. E l'Europa è completamente impreparata, non
ha neppure capito di essere sotto attacco, mette la testa sotto la
sabbia e si fa male da sola in economia. Cari amici, ho proprio paura.
Ugo
Volli
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rassegna
stampa |
Sorgente di Vita - Yom HaTorah, Olimpiadi nascoste, l'ebraismo alle urne
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Il
giorno della Torah apre la puntata di Sorgente di vita del 3 giugno
2012: padri e figli insieme per un’intera giornata dedicata allo
studio. A Roma, come in tutte le comunità italiane, lezioni e commenti
di rabbini e maestri per studenti di tutte le età. In occasione
del giorno della Torah nella piccola sinagoga di Napoli arriva un
nuovo “sefer”, un rotolo della Legge, scritto a mano su pergamena
secondo la tradizione. Segue poi Cristiana Capotondi (...)
p.d.s.
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Quando
i faraoni cadono...i topi ballano. I giornali di oggi riportano con la
dovuta evidenza la condanna all’ergastolo che la corte giudicante
egiziana ha comminato all’oramai ex rais cairota Hosni Mubarak. Di lui
Domenico Quirico, come del suo trentennale esercizio del potere, ne fa
un ritratto su la Stampa. Si preconizzava la pena di morte ma così non è stato.
Claudio Vercelli
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