Appuntamento
elettorale per l'Italia ebraica che domenica prossima sarà chiamata ad
esprimersi per il rinnovo del Consiglio dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, il primo a vedere la luce dopo la storica riforma
dello Statuto. Cinque le città in cui si farà ricorso all'urna: Roma, Milano,
Trieste, Livorno e Firenze. A Milano e Livorno si vota anche per il
rinnovo dei Consigli comunitari.
Gli elettori della Comunità di Roma
sceglieranno i loro venti consiglieri a suffragio universale e con voto
proporzionale. Due le liste in lizza: Uniti per l'Unione (capolista
Renzo Gattegna) e Binah (prime candidate Eva Ruth Palmieri e Sabrina
Coen). A Milano si eleggeranno invece dieci candidati con il
tradizionale sistema del voto incrociato su nomi, che prevede la
formazione di liste e la possibilità di indicare nomi da formazioni diverse. In competizione tre liste: Milano per l'Unione -
l'Unione per Milano (capolista Roberto Jarach), Machàr-Domani per
l'UCEI (capolista Raffaele Turiel) e UCEI per la scuola (candidato
unico Cobi Benatoff). Per le 19 altre Comunità dell'ebraismo italiano
l'opzione era tra votare a suffragio universale e ricorrere alla
designazione del candidato da parte del Consiglio comunitario. A Trieste la scelta
per il consigliere di spettanza è tra Davide Belleli e Mauro Tabor, a
Firenze tra Dario Bedarida e Simcha Jelinek, a Livorno infine tra
Daniele Bedarida e Gadi Polacco.
Forte dell'esperienza maturata sul fronte dei social network, la
redazione ha scelto di usare lo strumento del tweet (al massimo 140
battute) per raccogliere
posizioni e programmi dei vari candidati. Una sfida impegnativa accolta
da tutti con grande coinvolgimento.
ROMA
Serena Tedeschi (Binah)
17 donne per la
Democrazia: vogliamo ascoltare le diverse voci delle nostre comunità e
dare continuità e nuova forza all'ebraismo d'Italia
Renzo Gattegna (Uniti per
l'Unione)
Raccogliamo le sfide,
valorizziamo l'identità e le differenze. Essere uniti è libera scelta,
grande valore, progresso che rende più forti
MILANO
Roberto Jarach (Milano per
l'Unione)
Un'unione vera e
indiscussa rappresentante di tutto l'ebraismo italiano. Rabbini
preparati e moderni. Milano laboratorio del rilancio
Raffaele Turiel
(Machàr-Domani)
Oltre il decentramento:
una rete di servizi, scuole e assistenza che coinvolga grandi e piccole
Comunità, con Milano come snodo importante
Cobi Benatoff (UCEI per la
scuola)
Visione e coraggio per la
definizione di un'identità consapevole e condivisa
LIVORNO
Daniele Bedarida
In Consiglio per
rappresentare le istanze e le esigenze delle piccole Comunità
Gadi Polacco
Fare rete per portare
l'Unione nelle Comunità e la voce delle Comunità nell'Unione, per
cercare ciascun ebreo invece di attenderlo!
FIRENZE
Simcha Jelinek
Per aggiungere un colore
all'arcobaleno
Dario Bedarida
Più Comunità nell'Unione
e più Unione per le Comunità
TRIESTE
Davide Belleli
Identità e cambiamento
Mauro Tabor
Identità, tradizione,
memoria e sguardo aperto sul futuro. Possiamo essere il sale di una
società moderna: contro razzismi e intolleranza
Clicca qui per leggere i tweet dei candidati direttamente
su Pagine Ebraiche di giugno.
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Terremoto - Un aiuto a chi soffre
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Prosegue
la raccolta fondi lanciata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
in soccorso alle popolazioni colpite
dal terremoto. Chi vuole partecipare potrà farlo
versando il proprio contributo sul conto corrente bancario intestato
all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, IBAN
IT40V0200805189000400024817 causale Terremoto Emilia; oppure sul conto
corrente postale intestato all’unione comunita ebraiche italiane numero
45169000 sempre specificando la causale Terremoto Emilia.
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Qui Napoli - La Praga di Bob Wilson nel
caso Makropulos
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Attori
che si muovono come marionette mentre fili simbolici pendono sullo
sfondo, gesti stilizzati, dizione a metà fra la recitazione e il canto,
costumi e acconciature tanto antirealistici da sembrare cartoni
animati... Sono questi alcuni degli elementi che caratterizzano Il caso
Makropulos, nuova regia dell'americano Bob Wilson che ha debuttato al
Teatro Mercadante di Napoli, primo spettacolo del Napoli Teatro
Festival Italia diretto, da quest'anno, da Luca De Fusco. Per la quinta
edizione del festival il neo direttore artistico ha deciso di darsi un
programma a mio avviso giustissimo e adatto all'attuale situazione del
nostro Paese: togliere peso senza perdere profondità. Nelle intenzioni
di De Fusco, gli spettacoli di quest'anno dovrebbero essere accessibili
a tutti e comunicare semplicemente sentimenti e concetti profondi.
Esteticamente appagante dal primo all'ultimo sguardo, divertente per la
composizione dei linguaggi che attingono un po' ovunque dal fumetto
all'opera lirica, il nuovo spettacolo di Wilson promette di rispondere
positivamente alla sfida. Scritto dal ceco Karel Čapek nel 1922, Il
caso Makropulos è una commedia fantastica che si muove in un universo
tipicamente boemo e inevitabilmente kafkiano. Siamo a Praga, nello
studio di un avvocato alle prese con un caso che dura da 90 anni,
ereditato da suo padre “come una malattia”. Per giunta, il cliente si
chiama Gregor. Le carte e i fascicoli impilati negli anni sono ormai
tanti da formare alte torri simili a quelle di Anselm Kiefer. Infine,
nessuno ricorda più quale sia il motivo della contesa, ma ormai sono
entrambi, avvocato e cliente, talmente affezionati al caso da non
volere che si risolva.
Praga vuol però dire anche teatro delle marionette, e proprio a questo
mondo si affida la regia di Wilson per suggerire una certa leggerezza,
un distacco ironico dalla vicenda narrata.
Fra l'assurdo e il surreale, la trama si snoda attorno alla figura di
Emma Marty, cantante dell'Opera di Praga dalle molteplici identità che
vive da 337 anni grazie a un filtro magico somministratole ai tempi
dell'imperatore Rodolfo II, di cui suo padre era medico personale e che
impose allo scienziato di provare l'elisir sulla propria figlia prima
di assumerlo lui stesso.
La cantante ha avuto oltre tre secoli per perfezionare la propria
tecnica vocale e di conseguenza non c'è nessuna altra al mondo che
canti come lei, ma in compenso la sua perfezione dà dolore, non ha
nulla di umano che possa confortare chi la ascolta.
Mentre intorno a lei i personaggi amano, soffrono, addirittura muoiono
per amore, Emma Marty ha smesso di vivere realmente almeno duecento
anni prima: non è più in grado di provare passione. Chiusa nella sua
perfezione e impenetrabile ai sentimenti, non desidera più continuare a
vivere ma ha troppa paura per decidersi a morire.
Quando però un suo giovane e ingenuo ammiratore si suicida dopo essere
stato abbandonato dalla fidanzata aspirante cantante che vuole
rinunciare a ogni passione per dedicarsi – come la Marty – soltanto
alla musica, la donna quasi immortale comprende che la vita merita di
essere vissuta solo se per un periodo finito. Contemporaneamente, la
giovane cantante si impadronisce della ricetta dell'elisir di
giovinezza e le dà fuoco, rompendo per sempre la maledizione. La
finitezza e l'imperfezione della vita potranno allora finalmente
prevalere: la donna viene accompagnata nella sua dipartita da una
grandiosa danza macabra nella quale ognuno dei personaggi suona un
diverso strumento citando, come in un tableaux vivant, una storica
fotografia della New Orleans degli anni '20.
L'impressione che rimane è che forma e contenuto si siano influenzati a
vicenda, fino a creare uno spettacolo talmente perfetto dal punto di
vista della recitazione, dei costumi, del disegno delle luci e di ogni
altro elemento da restare in qualche modo troppo lontano dalla reale
complessità del problema. La bellezza formale dello spettacolo non
comunica il dolore del testo; gesti, sentimenti e relazioni sono sempre
rappresentati, mai vissuti.
Si potrebbe applicare all'intero spettacolo la definizione che uno dei
personaggi dà della notte passata con Emma Marty: “E' come abbracciare
un blocco di marmo”.
Miriam Camerini
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Qui Casale - Le note che raccontano Schoenberg
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Un minhag da rispettare
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Una
vecchia barzelletta (ne esistono più versioni, ma la sostanza è la
stessa) racconta di un nuovo rabbino che arriva in una Comunità e vede
che a Shavuot durante la lettura dei dieci comandamenti alcuni dei
presenti si alzano in piedi mentre gli altri restano seduti, gli uni
rimproverano gli altri perché non si comportano con il dovuto rispetto
in un momento così solenne, gli altri rispondono che i dieci
comandamenti non sono diversi dal resto della Torah, da più parti
piovono grida di “alzatevi!” e “sedetevi!” e in breve si accende una
lite che coinvolge tutti i presenti. Il rabbino per mettere pace cerca
di accertare quale sia effettivamente il minhag (uso) della comunità, e
consulta un anziano molto autorevole, sicuro conoscitore di tutte le
tradizioni locali: “Saprebbe dirmi che cosa prevede il minhag di questa
comunità durante la lettura dei comandamenti?” “Ma certo! –
risponde prontamente il vecchio, felice di poter sfoggiare la propria
competenza – il minhag è così: metà dei presenti si alza in piedi,
l’altra metà resta seduta e poi si litiga.”
Nella Comunità di Torino l’usanza prevede che per la lettura dei dieci
comandamenti sia chiamato a sefer il Rabbino Capo, in modo che i
presenti si alzino comunque per rispetto, risolvendo così a monte la
questione se si debba stare in piedi o seduti. Qualcuno però deve aver
pensato che in questo modo rischiava di andare perduto il minhag del
litigio, e così da alcuni anni a questa parte le usanze comunitarie
prevedono che si litighi (non durante la lettura dei comandamenti, ma
in qualunque altra occasione) sulla persona stessa del Rabbino Capo.
Correttamente, quindi, questo è stato l’argomento che ha suscitato le
discussioni più vivaci nell’assemblea comunitaria di mercoledì 6: molti
vorrebbero continuare ad avere Rav Birnbaum anche dopo il 2013, altri
suggeriscono che si cerchi un nome condiviso da tutti; c’è chi ritiene
(a mio parere con qualche ragione) che dietro alla questione del
Rabbino Capo si celino in realtà due idee diverse di comunità, una più
aperta ed inclusiva ed una più legata al principio “pochi ma buoni”;
c’è chi invece, come il Presidente, non si riconosce in questa
interpretazione dei fatti. Insomma, tutto secondo le consuetudini, se
non per un fatto curioso: chi ha espresso stima per il Rabbino Capo e
apprezzamento per le attività da lui organizzate è stato accusato a un
certo punto di culto della personalità e di idolatria. Veramente il
minhag prevede che si litighi, non che si offenda: non sarebbe
opportuno rispettare le tradizioni locali senza introdurre inopportune
variazioni a un uso (il litigio semplice) ampiamente consolidato?
Anna
Segre, insegnante
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Memoria
- "Dolore e orgoglio" |
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la rassegna |
"Doloroso come non potete immaginare
ma siamo tutti orgogliosi di essere stati ad Auschwitz e Birkenau con
tutti voi! Grazie e un abbraccio". Questo il testo del messaggio
inviato ieri dal direttore generale della Federcalcio italiana
Antonello Valentini al presidente del Maccabi Italia Vittorio
Pavoncello che mercoledì mattina, assieme al presidente dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, allo storico Marcello
Pezzetti e ai tre Testimoni Sami Modiano, Piero Terracina e Hanna
Weiss, aveva accompagnato gli Azzurri in visita ad Auschwitz e Birkenau
in prossimità del loro esordio a Euro 2012.
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