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13 giugno
2012 - 23 Sivan 5772 |
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David
Sciunnach,
rabbino
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L’argomento
centrale della Parashà di Shelach Lechà è l’invio dei 12 esploratori
prima dell’entrata del popolo nella terra d’Israele. Questa missione si
concluderà tragicamente: gli esploratori torneranno e spaventeranno il
popolo dicendo che quella è una terra che divora i suoi abitanti. Il
popolo chiederà allora di tornare indietro vanificando in questo modo
l’uscita dall’Egitto. Gli ebrei saranno costretti a vagare per 40 anni
nel deserto e tutti gli adulti usciti dall’Egitto non entreranno nella
terra d’Israele. Rashì sostiene che la colpa non è solo degli
esploratori, ma del popolo interro che ha voluto mandare degli uomini
per controllare la terra dimostrando così di non fidarsi della promessa
divina. Alcuni commentatori sostengono che il peccato del popolo è
quello di non aver mantenuto l’impegno preso alle pendici del monte
Sinai “faremo e ascolteremo - na’asè venishmà”. Essi, invece di
agire, come gli era stato prescritto da Dio, hanno “ascoltato” gli
esploratori invertendo così i due principi, facendo precedere l’ascolto
all’azione.
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Davide
Assael,
ricercatore
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Le diverse comunità
ebraiche italiane si sono certamente mobilitate per aiutare le famiglie
morse dalla crisi economica. Ho sentito, però, persone lamentare
l’assenza di rabbini od organi comunitari alle mense dei poveri, oppure
a sit-in con i lavoratori davanti ai cancelli delle fabbriche, dove,
invece, si registra costantemente la presenza di preti e
dell’associazionismo cattolico. Ancora una volta, le circostanze
ripropongono il tema dell’universalità dei valori ebraici: quando si
aderisce a una prospettiva religiosa si riconosce implicitamente
l’universalità del suo orizzonte etico? La domanda ci insegue dai tempi
di Filone d’Alessandria, forse la prima figura ebraica a confrontarsi
con i processi di globalizzazione culturale: se è vero che col
passaggio ad una propsettiva universale si rischia l’annacquamento dei
propri punti di riferimento, può l’etica restare prigioniera di confini
e finire col valere solo per i propri membri?
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Il rav Boteach? Punta dritto al Congresso
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“È
davvero poco ortodosso per un rabbino candidarsi al Congresso. Ma
altrimenti chi si occuperà di portare valori al centro dell’arena
politica?”. Rav Shmuley Boteach, 45 anni, una carriera iniziata come
emissario Chabad nella prestigiosa Oxford, prima di lasciare il
movimento Lubavitch e proseguire per la sua strada lastricata di
popolarità, ha abituato da tempo il suo pubblico a uscite “poco
ortodosse”. Programmi televisivi, libri sugli argomenti più controversi
(l’ultimo Kosher Jesus, dedicato niente poco di meno che all’ebraicità
di Gesù), amicizie peculiari, come quella che lo legava al cantante
Michael Jackson, di cui divenne una sorta di guida spirituale. Infine
la sua autocandidatura alla carica di rabbino capo del Commomwealth
come successore di rav Sacks. Con la sua aspirazioni a entrare al
Congresso il prossimo novembre con il partito repubblicano tuttavia, il
“rabbino delle stelle” potrebbe davvero raggiungere l’apice
dell’originalità. Se fosse eletto, sarebbe infatti il primo Rabbi
Congressman della storia americana. Certo, il traguardo è complicato da
raggiungere. Prima di tutto sarà necessario portare a casa la
nomination del partito (le primarie si terranno questo giugno). Dopo di
che dovrà strappare ai democratici il Nono Distretto del New Jersey,
tradizionalmente liberal, e per di più contro un candidato
particolarmente apprezzato dalla popolazione ebraica della contea per
la sua vicinanza a Israele, Steve Rothman, che sfiderà alle primarie
Bill Pascrell, con cui forse rav Boteach avrebbe vita più facile.
“Perché un rabbino dovrebbe correre per il Congresso? Semplice, perché
i problemi cui assistiamo in questa grande nazione non sono causati dal
rovescio economico, ma dall’erosione dei valori morali. Io mi prefiggo
di essere quella voce portatrice di valori di cui il Congresso ha
disperatamente bisogno” ha spiegato Shmuley nella sua rubrica
sull’Huffington Post a febbraio, quando per la prima volta ha
ipotizzato la sua candidatura. Dal punto di vista delle posizioni
politiche, Boteach è in linea con i principi generali del partito
repubblicano (pur con alcuni distinguo, dichiarandosi per esempio
contrario alla penalizzazione delle coppie di fatto o omosessuali): uno
Stato snello, voucher alle famiglie per mandare i figli a scuole
religiose, supporto al matrimonio tradizionale attraverso misure per la
prevenzione dei divorzi. E tuttavia quello che è considerato uno dei
rabbini più popolari del mondo presso i “non addetti ai lavori”,
potrebbe incontrare nella sua avventura politica dei nemici ben più
temibili degli avversari sul campo: un’inchiesta del settimanale
ebraico americano The Forward ha messo in luce alcuni punti controversi
che riguardano l’associazione The World, la quale sostenta l’attività
di rav Boteach, pagandogli anche lo stipendio. Il Forward ipotizza un
uso dei fondi che i donatori mettono a disposizione per opere di
beneficenza quanto meno disinvolto. Negli ultimi cinque anni la
retribuzione di rav Boteach è sempre variata, dato che potrebbe
significare un’appropriazione di quanto disponibile di essendo
classificata come associazione benefica e quindi esentasse, ha la
tassativa proibizione di essere coinvolta in campagne politiche, con il
rischio di perdere il proprio regime tributario speciale. Il Forward ha
inoltre evidenziato come i coniugi Boteach abbiamo chiesto l’esenzione
dalle tasse anche per la propria abitazione in quanto adibita a
sinagoga, che fu pagata un milione e mezzo di dollari dodici anni fa, e
che oggi è solo una delle varie proprietà immobiliari dei Boteach. Gli
analisti politici ammettono che rav Boteach non è un candidato come
tutti gli altri. “Nonostante abbia ricevuto una formazione chassidica,
Boteach non è percepito come ultraortodosso e quindi inaccettabile - ha
spiegato al Jewish Week il professor Gil Kahn della Kean University -
Anche tra gli elettori che votano tradizionalmente democratico potrebbe
esserci qualcuno che decide di scegliere lui. Ha personalità e se il
partito repubblicano pensasse che ha qualche chance, potrebbe investire
per supportarlo nella campagna elettorale”. Forse nella prossima
legislatura ci sarà davvero occasione di salutare “Goodmorning, rav
Congressman”.
Rossella Tercatin Pagine Ebraiche, giugno 2012
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Terremoto - Un aiuto per i beni culturali
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Il
terremoto che continua a far tremare la terra dell'Emilia Romagna ha
avuto pesanti effetti su tutto il territorio e la popolazione. A essere
colpiti sono stati anche i beni culturali delle Comunità ebraiche della
zona, Ferrara, Bologna, Modena, Parma, e poi Mantova, con sinagoghe e
altre proprietà che hanno subito seri danni. Problemi che vanno
affrontati al più presto per evitare che le crepe si allarghino e i
rischi si intensificano. A questo scopo ciascuna Comunità lancerà una
propria sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari per
intervenire rapidamente.
La redazione del Portale dell’ebraismo italiano sarà domani a Mantova,
una delle aree colpite dal sisma, per una sessione di lavoro congiunto
con la redazione di Articolo 3, l'osservatorio contro le
discriminazioni nato con la collaborazione della Rassegna stampa
dell'Unione.
Chi desidera partecipare alla raccolta fondi per le popolazioni colpite
dal terremoto potrà farlo versando il proprio contributo conto corrente
bancario intestato all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, IBAN
IT40V0200805189000400024817 causale Terremoto Emilia; oppure sul conto
corrente postale intestato all’unione comunita ebraiche italiane numero
45169000 sempre specificando la causale Terremoto Emilia.
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Mondi diversi
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Mario
Balotelli e Noa. Due personaggi diversi, appartenenti a mondi distanti.
Uno campione del dribbling e del gol, al centro del tifo e delle accese
passioni degli stadi, l’altra raffinata interprete musicale, capace di
fondere tradizioni diverse in nuove, inedite melodie.
Molte cose, indubbiamente, li dividono, ed è probabile che non si siano
mai incontrati. Ma hanno anche non pochi punti in comune. Entrambi
vantano antenati vissuti in terre lontane, in luoghi ai margini della
civiltà occidentale, come i villaggi dell’Africa o le lande pietrose
dello Yemen. Entrambi, al termine di una catena di esodi e
peregrinazioni, sono cresciuti in Paesi, quali l’Italia, Israele e gli
Stati Uniti, che hanno permesso loro di esprimere i rispettivi talenti.
Entrambi, grazie alle doti naturali, al sostegno delle loro famiglie,
al lavoro e all’impegno, hanno raggiunto il successo, divenendo oggetto
di ammirazione da parte di un pubblico internazionale.
Ma i punti di contatto non sono finiti, in quanto entrambi hanno degli ‘antipatizzanti’.
È normale, si dirà, che chi si esibisca in pubblico possa piacere o non
piacere. Noa può ben essere fischiata se prende una ‘stecca’, Balotelli
se sbaglia un passaggio, così come può non essere amato dai tifosi
delle squadre avversarie.
Ma, in questo caso, stiamo parlando di antipatizzanti di tipo un po’
diverso, che non protestano per qualcosa che essi possano fare o non
fare, ma semplicemente per il fatto che esistono, che sono quello che
sono. Un gruppo di neonazisti ha espresso dei commenti poco amichevoli
a proposito della recente visita ad Auschwitz del calciatore, durante
la quale ha dichiarato di avere una nonna (la madre di uno dei suoi
genitori adottivi) ebrea: “non solo è negro – hanno scritto sul loro
sito -, è pure ebreo e quindi se ne deve andare a giocare nella
nazionale di Israele”.
L’esibizione di Noa a Napoli, in occasione dell’inaugurazione del
festival di danza israeliana, oltre ad avere riscosso uno strepitoso
successo, ha anche sollevato le vibrate proteste di un nutrito gruppo
di esponenti dei centri sociali, che ha ritenuto la presenza della
cantante un’offesa alla città, perché – come urlavano nei loro megafoni
- “Napoli è simbolo della Resistenza”. Hanno ragione. Credevamo,
ingenuamente, che la Resistenza fosse stata combattuta per dare a tutti
la libertà di viaggiare, di parlare e di cantare, ma è evidente che non
avevamo capito. Particolare motivo di contestazione, il fatto che Noa,
pur dichiarandosi a favore della pace, avrebbe comunque prestato
servizio militare (che nel suo Paese, com’è noto, è obbligatorio).
Anche in questo caso, hanno ragione. Noa avrebbe potuto facilmente
‘imbucarsi’, ‘darsi malata’, trovare una delle tante soluzioni
“all’italiana” (o, ancora meglio, avrebbe potuto rinunciare alla sua
cittadinanza), e non l’ha fatto. Quindi è colpevole.
Anche i due distinti gruppi di ‘antipatizzanti’, come i due personaggi
in questione, hanno alcune cose che li dividono, e alcune (anzi, una
sola) che li accomunano.
Le estrazioni culturali, le letture, i gusti, con ogni probabilità,
sono diversi. I neonazisti odiano negri, ebrei, zingari, omosessuali
ecc. ecc., gli altri dicono di non avere niente contro queste
categorie, anzi, si dicono a difesa di tutte le diversità e di tutte le
“minoranze oppresse”. È difficile che tra le due comunità ci siano
delle amicizie, o delle frequentazioni. Insomma, si tratta, anche per
loro, di mondi diversi. C’è un solo argomento, probabilmente, che li
vede assolutamente d’accordo, ed è Israele. Per i ‘neri’, gli
israeliani sono “ebrei al cubo”. E i ‘rossi’ (chiamiamoli così), quando
vedono passare un israeliano – si tratti di un cantante o di un
muratore, di un vigile urbano, un pizzaiuolo o una donna cannone -, si
sentono ribollire il loro sangue proletario. I due mondi diversi
trovano, così, un solido punto d’incontro. Ma si tratta di una mera
coincidenza, senza alcun significato particolare. Non vale la pena
fermarsi a rifletterci su. Chi avrebbe mai voglia di farlo?
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rassegna
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Qui Palermo - Zahavi cambia casa
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Leggi la rassegna |
Potrebbe essere temporaneamente lontano da Palermo il futuro di Eran
Zahavi, fantasista israeliano in forza ai rosanero dalla scorsa
stagione. "Eran - spiega il patron Maurizio Zamparini -
è un giocatore di grande talento cui deve essere dato il tempo di
crescere e ambientarsi nel nostro campionato. Per questo penso che lo
manderemo in prestito da qualche parte".
In attesa di novità dal mercato, con le trattative che entreranno nel
vivo nelle prossime settimane, per Zahavi è comunque tempo di
festeggiamenti. Domenica scorsa a Tel Aviv è infatti convolato a nozze
con la sua storica fidanzata Shay Levi.
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Grande
attenzione viene riposta oggi da tutti i quotidiani sul coinvolgimento
dei bambini nella "guerra civile" siriana. Molti giornalisti scrivono,
quasi con identiche parole, che riprendono dai circuiti internazionali,
ma solo V.Ma. sul Corriere e Alberto Stabile su Repubblica
denunciano che queste violenze vengono effettuate dalle diverse parti
in lotta, e non solo dal regime di Assad. Stabile tuttavia parla di
"record negativo" raggiunto in questa guerra, dimenticando quanto
successe nel conflitto tra Iran ed Iraq quando i bambini venivano
mandati davanti ai tank per far brillare le mine, e dimenticando pure
che far paragoni, su questo tema, è del tutto disdicevole(...)
Emanuel
Segre Amar
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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