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18 giugno
2012 - 28 Sivan 5772 |
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Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova
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Questo
sabato abbiamo letto, sia nella parashà sia nella haftarà, il racconto
di una missione, quella degli esploratori mandati per ispezionare Eretz
Israel. Le due missioni, nate con il medesimo scopo, ebbero un
risultato diametralmente opposto: la prima (nella parashà) fallì, la
seconda (nella haftarà) ebbe successo. La differenza del risultato, è
stata argomentata da diversi esegeti rilevando, in ogni singolo
particolare della vicenda, un diverso motivo. Tra questi motivi, quello
della diversa impostazione della missione di esplorazione, può essere
considerato la base del fallimento e della riuscita. Mosè invia dodici
esploratori, Giosuè solo due. Mosè cede alle richieste di ogni tribù di
essere rappresentata in una missione così importante. Giosuè, forse
perché testimone della precedente esperienza, sceglie da solo i due
esploratori. Dei dodici esploratori di Mosè conosciamo i dati
anagrafici, sono in missione rappresentativa, sono i "capi d'Israele".
Gli esploratori di Giosuè sono anonimi, non sappiamo a quale tribù
appartenessero e, durante la missione, nascosero la loro identità
trovando rifugio nella casa di una prostituta. A volte le missioni
falliscono prima di iniziare, specialmente quando la qualità si
sacrifica sull'altare della quantità o, ancora peggio, quando la nostra
capacità di scelta viene imbrigliata da accordi preconfezionati.
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Anna
Foa,
storica
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Per oltre
vent'anni, la leader dell'opposizione birmana, Aung San Suu Kyi, non ha
potuto ritirare il Premio Nobel per la pace che le era stato conferito
nel 1991. Ora che non è più fra carcere e arresti domiciliari e
che è stata eletta al Parlamento, ha potuto andare a Oslo a ritirarlo
in una cerimonia che i resoconti ci descrivono come emozionante. Tra le
cose che ha detto, una mi ha colpita in particolare, il suo elogio
della gentilezza, che dice di avere appreso nelle avversità e che
raccomanda di usare in particolare nei confronti degli esuli e dei
rifugiati, con i quali "non possiamo permetterci stanchezza nella
compassione". Quante stanchezze, quante distrazioni e sgarbi ci
consentiamo ogni giorno verso gli altri?
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Qui Milano - Appuntamento con JOB
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“La
nostra comunità è una rete di relazioni umane e professionali di
indubbia ricchezza. Con Job questo patrimonio, sul tema del lavoro,
viene messo in rete”. Così si legge nella presentazione del nuovo
progetto dell’assessorato ai servizi sociali della Comunità ebraica di
Milano “Job, che ha già l’autorizzazione del Ministero del Lavoro e
delle Politiche sociali, promuove i rapporti tra la cittadinanza, gli
iscritti alla Comunità ebraica di Milano, le imprese, le
amministrazioni per trovare posizioni di lavoro, partners, clienti,
fornitori, soci, ‘angels’, idee, servizi, consulenze, spunti
innovativi”. Già attivo da alcuni mesi, Job verrà presentato
ufficialmente mercoledì 20 giugno 2012 a partire dalle ore 18, in un
incontro nella biblioteca Hasbani. Un’occasione per incontrare gli
utenti, coloro che si rivolgono allo staff per cercare lavoro, ma anche
aziende e organizzazioni e discutere di tematiche attinenti
all’attività che Job svolge. Che non si limita a raccogliere domande e
offerte di lavoro, ma fornisce ai candidati un supporto per preparare
la propria candidatura, redigere un curriculum, indirizzare le ricerche
verso obiettivi coerenti con le proprie competenze. Così dopo
l’introduzione di Daniel Fishman, consulente di comunicazione e
coordinatore di Job insieme a Miriam Levi, esperta di recruiting, e
Dalia Fano, responsabile dei servizi sociali della Comunità, è previsto
un intervento sul tema della “Autopromozione di se stessi in un mercato
che cambia”, che sarà tenuto da Fausto Fantini Career Management
Fellow, cui seguirà “Migliorare la propria impresa, valorizzando le
persone” con Giorgio Del Mare (amministratore delegato Methodos),
mentre Daniela Ferrari dell’Agenzia per la formazione, l’orientamento e
il lavoro della Provincia di Milano si concentrerà sulla ricerca attiva
con le strutture pubbliche. “Politica attiva del lavoro: formazione e
strumenti per la ricerca e il mantenimento del posto di lavoro” invece
il titolo della relazione di Luigi Pizzuti, direttore della cooperativa
Accoglienza e integrazione e “Le figure professionali maggiormente
richieste dal mercato del lavoro” quello dell’intervento di Roberto
Maconi, amministratore delegato di Herbrooks. A chiudere
l’appuntamento, mettendo in luce gli insegnamenti di etica del lavoro
presenti nella tradizione ebraica sarà il segretario generale della
Comunità di Milano Alfonso Sassun. In un momento di grave crisi
economica come quella per cui questo 2012 sarà ricordato, un progetto
che può fornire un aiuto concreto alle persone che si trovano in
difficoltà.
rt - twitter @rtercatin
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Euro 2012 - EJP: "Pugno duro contro i razzisti"
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Si
muove anche lo European Jewish Parliament (EJP) a seguito dei
gravissimi episodi di razzismo, xenofobia e antisemitismo verificatisi
nel corso del match di Euro 2012 tra le tifoserie di Polonia e Russia.
In una lettera indirizzata al presidente dell'UEFA Michel Platini i due
vicepresidenti Vadim Rabinovich e Joël Rubinfeld e il delegato Vittorio
Pavoncello si complimentano con il massimo organismo del calcio europeo
per il pugno duro adottato contro i violenti (tra le decisioni più
significative adottate l'attribuzione di sei punti di penalizzazione ai
russi che verranno scontati nel prossimo girone di qualificazione).
“Sono soddisfatto per l'operato dell'UEFA. Le disposizioni prese, così
efficaci e così tempestive – spiega Pavoncello – si potranno infatti
poi applicare ai singoli campionati nazionali senza dare la possibilità
ai club di nascondersi dietro la non responsabilità oggettiva. È un
passaggio storico che avrà grande importanza e rilievo anche per il
nostro calcio dove purtroppo gli episodi di razzismo non mancano”. “Attraverso
questa lettera – scrivono i tre delegati – vogliamo esprimere il nostro
disappunto per quanto avvenuto in occasione di Polonia-Russia e
invitare l'UEFA, in caso di nuove manifestazioni di odio, a intervenire
con ogni mezzo per evitare che questa grande festa di sport possa
essere intaccata dall'infamia. Ben consapevoli del vostro impegno per
sradicare la violenza dagli stadi, ci auguriamo che possiate andare
avanti in questa battaglia e cogliamo l'occasione per offrirvi il
nostro sostegno e la nostra massima disponibilità”.
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Qui Aqui Terme - Un'antica presenza da valorizzare |
L’antico
cimitero ebraico di Acqui Terme (Alessandria) ha costituito forse il
nucleo più interessante della tradizionale visita di fine anno che, con
grande successo, l’Associazione Ex Allievi e Amici della Scuola Ebraica
di Torino ha dedicato quest'anno al comune monferrino e alla splendida
Villa Ottolenghi dove è racchiuso uno dei giardini più significativi
d’Europa con opere di arte contemporanea degne di spazi espositivi di
rilievo. Perché tanto interesse nel pubblico per un antico
cimitero? Perché si tratta di un recupero iniziato alcuni anno or sono,
grazie all’opera di pochi, efficienti e appassionati volontari,
desiderosi di riportare alla luce e restituire alla città una parte
fondamentale della sua storia. Ad Acqui Terme c'è stata infatti una
presenza ininterrotta ebraica per oltre 500 anni, dai primi
insediamenti di metà ‘400 sino agli ultimi ebrei che vi hanno vissuto
fino agli anni ’60 del Novecento (l’ultimo rabbino, Adolfo Ancona, morì
nel 1952); nel 1931 la Comunità fu aggregata a quella di Alessandria,
che a sua volta fu inglobata nel 1989 in quella di Torino. Una
storia significativa quella degli ebrei di Acqui Terme: nell’Ottocento
600 iscritti animavano infatti la vita della Comunità, ancora vivace e
ricca all’avvento delle leggi razziste e poi in rapido declino dopo la
Shoah, che vide una trentina di persone deportate mentre moltissimi al
termine del conflitto si trasferirono in centri più grossi. Ebrei che
lasciarono tracce importanti nella vita della località termale,
specialmente per aver contribuito allo sviluppo urbano, alla
costruzione di grandi opere pubbliche e per aver gettato uno sguardo
oltre confine, ma soprattutto per gli importanti lasciti e donazioni di
Jona Ottolenghi, membro di una delle famiglie più antiche e prestigiose. Questa
storia emerge in particolare dalla ricostruzione che si può fare
addentrandosi nel cimitero, il cui terreno fu acquistato nel 1836 in un
momento di forte espansione demografica.Tra le presenze illustri della
Comunità anche Israel Emanuel Ottolenghi, che in rappresentanza delle
due università israelitiche del Monferrato si recò nel 1806 al Gran
Sinedrio voluto da Napoleone a Parigi. Ciò che ha colpito
maggiormente i visitatori è stata l’opera appassionata e intelligente
di alcuni cittadini di Acqui – tra loro Marco Menegazzi, ultimo
discendente di una famiglia ebraica residente in città, Luisa Rapetti,
autrice del prezioso volume Il cimitero ebraico di Acqui Terme
(Editrice Impressioni Grafiche, Acqui 2009) e instancabile
accompagnatrice di visitatori, studenti e ricercatori, e Marco
Francesco Dolermo, ricercatore attento della storia degli ebrei di
Acqui e autore del volume La costruzione dell’odio. Ebrei, contadini e
diocesi di Acqui dall’istituzione del ghetto del 1731 alle violenze del
1799 e del 1848 (Silvio Zamorani editore, 2005) – che si prodigano
meritoriamente perché il cimitero conservi la sua dignità. Non solo, ma
intendono valorizzare, con il concorso della città, un bene culturale
che insieme all’antico ghetto di Portici Saracco e a quanto rimane
dell'ottocentesca sinagoga (una facciata con le vetrate a dieci petali
simboleggianti i Dieci Comandamenti), arricchisce Acqui di una storia
che merita di essere conosciuta.
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Terremoto - Un aiuto a chi soffre |
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Chi
desidera partecipare alla raccolta fondi per le popolazioni colpite dal
terremoto potrà farlo versando il proprio contributo conto corrente
bancario intestato all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, IBAN
IT40V0200805189000400024817 causale Terremoto Emilia; oppure sul conto
corrente postale intestato all’unione comunita ebraiche italiane numero
45169000 sempre specificando la causale Terremoto Emilia.
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In cornice - MalaItalia in casa Martelli |
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Questa
è una storia di malaItalia a proposito dell'interessante Museo Casa
Martelli, l'ex-dimora di una famiglia nobile del posto imparentata con
i Medici. L'ultima dei Martelli, Francesca, tanto devota da allestire
un altare vicino alla sua camera da letto e chiamare spesso un prete
per celebrarvi la messa, morì vent'anni fa nominando come unico erede
la Chiesa. Lasciò un bel palazzo di 5.000mq nel centro di Firenze pieno
zeppo di mobili e quadri, da tempo dichiarati dalle Belle Arti come
parte patrimonio nazionale e quindi non esportabili. La Curia prese
possesso dell'immobile, e pensò di cederlo allo Stato Italiano dietro
pagamento, ma il passaggio di proprietà avvenne solo dopo 10 anni.
Quando gli addetti del Polo Museale di Firenze, fra cui chi mi ha
raccontato la storia, entrarono per la prima volta nel palazzo, lo
trovarono in gran parte vuoto - a parte alcuni capolavori (su tutti “La
Congiura di Catilina di Salvator Rosa” e uno splendido Piero di Cosimo)
che valgono la visita. Dove erano finite tutte le altre opere d'arte?
L'inventario redatto a suo tempo serviva poco all'indagine, perché,
guarda caso, non era accompagnato da fotografie. Ma grazie a
testimonianze dirette, gli addetti risalirono a una ” Veduta di
Venezia" del pittore fiammingo Hendrik van Lint, che faceva parte della
collezione Martelli; era stata portata fuori dall'Italia e stava per
andare in asta da Christie's a Londra. Bloccata la vendita, i
carabinieri risalirono all'identità di chi aveva esportato illegalmente
l'opera e stava per venderla come fosse cosa sua: era un congiunto di
quel prelato che aveva accettato l'eredità della pia Francesca.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
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Tea for Two - Compagni di scuola
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Alcuni
giorni fa ho rivisto dei vecchi compagni del liceo e sono stata
investita da queste parole: "Tranquilla, ho usato un piatto e un
coltello appositamente per la carne, così puoi mangiare il resto".
Probabilmente ero particolarmente sentimentale, ma mi sono quasi
commossa e l'evento, come una madeleine proustiana, mi ha fatto tornare
con la mente al primo giorno del liceo. Che poi non era propriamente il
primo giorno ma il terzo (Rosh Hashanà aveva fatto del suo meglio come
al solito) e non era propriamente un giorno qualunque, ma Shabbath.
Ebbene sì: stavo per andare a scuola due giorni dopo gli studenti
comuni, senza zaino, senza la prospettiva di prendere appunti e con un
maglioncino rosa che non voleva proprio saperne di elaborare la fine
degli anni '90. Mancava giusto un pony con la criniera arcobaleno a
completare il quadretto surreale. Avendo frequentato la scuola ebraica
fino a quattordici anni mi sentivo un po' come Caterina va in città, la
protagonista del film di Virzì. Ma non è tutto. Sapete quale era la
materia della prima ora del terzo giorno di scuola? Religione. Varcata
la soglia dell'aula e avendo parzialmente fatto la radiografia ai miei
compagni sono stata spedita in biblioteca. "Perché sei senza zaino?",
"Sai che sembri indiana?", "Sei ebrea, infatti dicevo che non mi
sembravi italiana". Ero totalmente preda degli eventi e poco pronta
alle domande. Era shabbath, ero a scuola invece di essere sdraiata sul
divano a leggere Vanity fair in pigiama e dovevo ancora spiegare tutto
a tutti. Horror pleni. Qualche professore era preparato, altri si
grattavano la testa un po' disorientati:" Quindi il sabato non scrivi,
quindi dovrai recuperare i compiti in classe". Per la cronaca tre
ore di latino e greco. Da quel momento topico, ne sono passati di
giorni trascorsi a recuperare verifiche in altre classi con il
sottofondo della spiegazione dei Promessi sposi mentre traducevo
l'innocuo Esopo. Ma la cosa più strabiliante è accaduta con i miei
compagni di classe, i colleghi di sventura, quelli con i quali piangere
per il primo compito di chimica e con i quali esultare per uno sciopero
improvviso. Ero una aliena proveniente dal pianeta Kosher, ogni sabato
facevo delle cose un po' strane, o meglio non facevo quasi nulla,
perché era Ciabatte (fu storpiato genialmente così), ma i compagni di
classe hanno piano piano preso parte della mia vita. E se inizialmente
ero diffidente e corrucciata, sono diventata - per dirla alla Carmen
Consoli- confusa e felice. Felice di avere un' amica che ha riepito uno
scaffale della cucina di scatolette di tonno e di mais per quando mi
fermavo a pranzo, la stessa amica che per la festa dei suoi vent'anni
ha comprato la torta in una pasticceria kasher. Un giorno c'era una
gita di sabato e un'altra mia amica ha fatto la strada con me a piedi,
lasciandomi di stucco. E alla fine il quinto anno, quando un professore
fissava la data di un compito di Shabbat, non ero io, ma qualcuno della
classe ad alzarsi e dire: "E Rachel?". Per quanto alle volte io creda
di vivere sopra una nuvola di zucchero filato, mi rendo conto di essere
capitata in una classe diversa, magica. E azioni come quelle citate
sopra mi hanno permesso di sopportare anche tutte le frustrazioni, il
fatto che un preside (che è stato in carica meno di un anno) mi abbia
detto che andavo contro la legge italiana perché il sabato non portavo
con me la carta di identità, i giorni nei quali la macchinetta delle
merendine mi tentava con tramezzini in scatola, tutte le volte nelle
quali ho detto: "No, non posso" e anche quando, appena tornata da
Israele, qualcuno mi ha chiesto: "Ma sei appena stata in Iraq, vero?",
per non parlare degli appunti che ho fotocopiato o delle volte in cui
dovevo spiegare tutto a un nuovo professore e volevo semplicemente
diventare invisibile e fluttuare per la classe. In Saturno contro,
Ferzan Özpetek fa pronunciare a un personaggio questa frase: "Non si
tratta di comprendere, si tratta di condividere". Ed è esattamente
quello che i miei compagni di classe hanno fatto con me, regalandomi
momenti estramemente poetici.
Rachel
Silvera, studentessa -
twitter@RachelSilvera2
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notizie
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rassegna
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Fiocco celeste nello zoo di Tel Aviv
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Nello
zoo di Ramat Gan, vicino a Tel Aviv è nato un piccolo rinoceronte
bianco maschio. Un evento molto raro, che ha attirato la curiosità di
moltissimi visitatori, ed è stato motivo di gioia per il personale
dello zoo, come spiega la ricercatrice Neta Gueta. "La nascita -
racconta - è stata rapida e la madre sta bene. È stato davvero
emozionante. È un evento che normalmente non accade in uno zoo e la
notizia ha fatto molto scalpore e ha attirato il pubblico".
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L'Unione
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