L'impegno
dell'Italia affinché, in occasione della cerimonia di apertura delle
Olimpiadi di Londra, si commemorino gli undici atleti israeliani uccisi
durante i Giochi di Monaco nel 1972. A chiederlo, in una lettera
inviata al presidente del Coni Gianni Petrucci, è il consigliere
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e presidente del Maccabi
Italia Vittorio Pavoncello. “Ricordarli, onorarli e commemorarli –
scrive Pavoncello – è essenziale per mantenere gli ideali olimpici e
sportivi, un valore comune che sta al di sopra di dispute politiche e
di odio. Le chiedo quindi, caro presidente, un atto importante:
l'Italia sportiva, da Lei rappresentata, sia ambasciatrice di pace e
porti la proposta di commemorare le vittime di Monaco 1972. Con lo
stesso spirito con il quale la Nazionale di calcio ha reso omaggio alle
vittime della Shoah visitando nelle scorse settimane i campi di
sterminio di Auschwitz e Birkenau”. A maggio, come noto, il Comitato
Olimpico Internazionale si è opposto alla richiesta dei familiari delle
vittime motivando questa decisione col fatto che più volte in passato
si è già reso omaggio alla loro memoria e che altre iniziative saranno
prossimamente realizzate in coordinamento con il Comitato israeliano.
Una decisione che aveva suscitato la reazione sdegnata di molti, in
ambito ebraico e non solo. “I Giochi Olimpici – afferma Pavoncello -
sono basati su fondamenti storici importanti e spesso sono riusciti a
sanare situazioni, altrimenti seriamente compromesse, contribuendo a
ristabilire rapporti tra Paesi apertamente ostili. Oggi le Olimpiadi
non possono non ricordare la Strage di Monaco: un crimine commesso non
solo nei confronti di Israele ma verso tutti. Soprattutto nei riguardi
di quei valori universali che i Giochi incarnano. Per prevenire futuri
attacchi, il CIO deve ricordare e dire 'mai più' in un messaggio
rivolto al mondo intero”. Da Petrucci massima disponibilità: appena
ricevuta la missiva ha infatti contattato Pavoncello dandogli
appuntamento a lunedì, al suo ritorno da Kiev dove questa sera seguirà
gli azzurri del calcio, per un colloquio sulle possibili modalità di
intervento.
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| Davar Acher - Legami pericolosi
| Un
libro che ho letto di recente mi ha molto colpito. E' “Legami
pericolosi” di Marina Caffiero, pubblicato da Einaudi (pp. 388, € 34).
E' la ricostruzione, condotta su carte dell'Inquisizione romana rese di
recente disponibili agli storici, di una serie di processi che mostrano
la posizione e le relazioni degli ebrei italiani rispetto alla Chiesa e
soprattutto rispetto alla popolazione cattolica largamente
maggioritaria che li circondava. La tesi fondamentale di Caffiero è che
questi legami fossero molto più ricchi e complessi di quel che si
ritiene comunemente, cioè che i ghetti fossero tutt'altro che isole
chiuse e impermeabili, ma che al contrario fra le due popolazioni ci
fosse uno scambio continuo non solo sul piano economico, ma anche su
quello culturale, religioso, delle pratiche magiche e superstiziose,
degli affetti e delle relazioni, anche intime. Io non sono uno
specialista della disciplina e quindi non sono in grado di giudicare
sul carattere innovativo della tesi e neppure sulla sua fondatezza, che
però mi sembra molto ben documentata, soprattutto se si pensa che i
casi raccontati sono il frutto di una doppia selezione nel senso di ciò
che alle autorità ecclesiastiche pareva patologico: nelle carte
compaiono non solo esclusivamente i casi denunciati e sottoposti a
processo di “eccessi” in questa convivenza, ma quelli che apparivano
tanto gravi, o tanto complessi da non essere risolti localmente, ma
mandati a Roma per una decisione. Si può dunque trarne una conferma
indiretta sulla continuità e “normalità” di rapporti che arrivavano
all'attenzione dei tribunali inquisitoriali solo in casi molto
conflittuali o gravemente “irregolari” (dispute religiose accanite,
scambio di amuleti e di libri, tentativi di conversione nel senso
“sbagliato”, relazioni sentimentali e sessuali proibite perché
trasgredivano il confine fra le religioni ecc.). A me in questa
massa di storie hanno colpito tre elementi diversi, su cui mi sembra
importante riflettere. Il primo è il grado di interferenza della Chiesa
nella vita ebraica, la modalità puntigliosa e intrusiva della
sorveglianza ecclesiastica della vita ebraica. Chi pensasse che la
Chiesa si limitasse a rinchiudere gli ebrei nei ghetti, a umiliarli e a
reprimerli, a proibir loro certe attività economiche e sociali, a
cercare di convertirli con le buone o con le cattive, avrebbe ragione,
nel senso che tutte queste attività repressive venivano regolarmente
svolte, ma mancherebbe di capire un punto che mi sembra fondamentale:
la Chiesa aveva la pretesa di decidere qual era l'ebraismo corretto e
quale quello sbagliato e inaccettabile, cioè “eretico”. Di conseguenza
esaminava dettagliatamente carte e libri, interrogava rabbini e
credenti comuni, infliggeva punizioni a volte pesantissime per chi
praticasse un ebraismo che non corrispondeva alla sua idea di quel che
dovessero essere le credenze degli ebrei. Non si trattava solo della
caccia al Talmud e ai midrashim, in genere alla letteratura rabbinica
che motivava il rifiuto degli ebrei di convertirsi. Ma per esempio,
l'ebreo che si fosse lasciato sfuggire la credenza nel gilgul, la
trasmigrazione delle anime, che fa parte del pensiero cabalistico, o
chi avesse detto che non è chiaro in termini scritturali che cosa
accade dopo la morte; o chi avesse usato iscrizioni tratte da versetti
dei Salmi o da nomi divini come protezione de possibili attacchi
demoniaci contro neonati o malati, sarebbe stato severamente punito
come eretico. Più in generale, tutta la cultura rabbinica, tutta
l'elaborazione di secoli e millenni dell'ebraismo a partire dalla Torah
orale, era oggetto di persecuzione minuta e costante: i libri erano
bruciati, i sapienti ammoniti, l'insegnamento vietato. Quando si parla
del ritardo dell'ebraismo italiano dopo la fioritura rinascimentale,
non si può non tener conto di questa volontà repressiva, che spesso
Caffiero descrive nei termini di lasciare agli ebrei solo la Torah
senza commento e senza neppure i libri di halakha, con la doppia
volontà di reprimere l'”eresia” e di renderli più permeabili alle
spinte verso la conversione. Dunque vi era un'intrusione continua,
programmata, minuziosa, vi erano perquisizione, sequestri,
interrogatori, il tentativo continuo, se posso permettermi
l'espressione, di un genocidio culturale. Secondo spunto. Alla
testa di questo tentativo vi erano i convertiti. Coloro che si
distaccavano dall'ebraismo per prendere posto nelle schiere dei suoi
nemici erano i più accaniti, i più implacabili, i più maligni. E'
impressionante vedere come dietro a tutti i provvedimenti repressivi,
tutte le condanne, gli indici dei libri proibiti, le censure di quelli
consentiti, i pamphlet antiebraici vi erano sempre degli ex ebrei.
Disprezzati dalla comunità ebraica, ma in fondo anche dalla Chiesa, che
non se ne fidava mai completamente, spinti da rancore, vendetta,
volontà di venir accettati fino in fondo nel nuovo ambiente,
gareggiavano nel cercare di danneggiare e di insultare i loro antichi
fratelli. Quando oggi si parla dell'odio di sé dei nemici di Israele, è
chiaro che il meccanismo che agisce è ancora quello, che una vecchia
sceneggiatura agisce ancora: uscire dal gruppo dei discriminati per
unirsi alla maggioranza che discrimina e boicotta non è un gesto che si
compia accontentandosi di essere comodamente nel nuovo gruppo; al
contrario porta ad aizzarlo e a cercare di indurirlo e di motivarlo
all'odio e alla discriminazione. Il terzo spunto è più positivo.
In questi secoli di estrema oppressione e di sorveglianza ossessiva,
gli ebrei reagiscono. Da un lato le comunità e i rabbini si difendono
con lucidità e determinazione, cercando di usare le regole del gioco
stabilite dalla chiesa per tutelarsi almeno un po'; mandano memoriali
per protestare contro i provvedimenti più discriminatori, fanno causa
per riavere i libri sequestrati, si difendono con intelligente tattica
giuridica dalle accuse. Qualcosa del genere, al loro livello, riescono
a fare anche molti singoli accusati, sforzandosi per esempio di
distinguere fra “opinioni” e “credenze”, scaricando responsabilità
eventualmente confessando in anticipo e chiedendo scusa. Dall'altro
dalle carte processuali emerge una forte coscienza di sé e un notevole
orgoglio della propria identità. Gli ebrei, anche di bassa condizione,
mescolati ai cristiani nella vita quotidiana, conservano le proprie
regole, si sforzano di tenere la kashrut, difendono la propria fede,
talvolta finiscono nei guai per aver reagito verbalmente a provocazioni
e intimazioni di conversione, rivendicando la superiorità della propria
tradizione. Vi è insomma molta più resistenza e fierezza e fedeltà alla
propria identità in quelle situazioni difficilissime, di quanto ce ne
sia oggi, quando difficoltà del genere non esistono. E' un tema su cui
riflettere, che forse può illuminare in maniera un po' diversa il
dibattito infinito su emancipazione e assimilazione: è la fierezza
dell'ebraismo, l'orgoglio della propria identità, oltre che la fede
vera e propria, che sostiene tutte queste generazioni di ebrei sotto il
tentativo di genocidio culturale cui consapevolmente la Chiesa li
sottopone per secoli. Una fierezza che oggi manca, se non forse a
proposito di Israele.
Ugo Volli - twitter @UgoVolli
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in Israele dopo un'assenza di 20 anni la Moto Guzzi, un veicolo a suo
tempo "molto considerato ed amato" dagli appassionati locali delle due
ruote. Ad annunciarlo il quotidiano Yediot Ahronot. Erano anni,
rileva il giornale, in cui le industrie giapponesi escludevano Israele
per non subire ripercussioni negative nei mercati arabi. E nello Stato
ebraico la Moto Guzzi, aggiunge, andava per la maggiore. La Moto Guzzi
- anticipa Yediot Ahronot - sarà venduta dall' importatore della
Piaggio, un marchio che occupa il terzo posto nel mercato e che in
Israele è ben noto da generazioni. Due mesi fa anche la Cinemateca di
Tel Aviv ha reso omaggio al mito della 'Vespa', nel cinema e nella
società. Yediot Ahronot prevede che la Moto Guzzi potrà avere successo
fra quegli adulti che l'hanno amata da giovani. Potrebbe inoltre
destare interesse - secondo il giornale - nella polizia israeliana e
competere così con i tedeschi della Bmw.
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