L'abbraccio dell'azzurro Mario
Balotelli alla madre adottiva, la signora Silvia, ha coronato lo
straordinario incontro con la Germania che apre all'Italia la finale
degli Europei di calcio. Un'emozione per tutti gli italiani e
un'emozione tutta speciale per gli ebrei italiani. Anche la redazione
del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it ha trascorso una serata
con il fiato sospeso. In questi giorni è in distribuzione il numero di
luglio di “Pagine Ebraiche” che scommette proprio su Balotelli nella
fotonotizia di prima pagina, mostrando il calciatore alla vigilia degli
Europei durante il suo viaggio della Memoria nel campo di sterminio di
Auschwitz. “Mario Balotelli – si legge nel testo che accompagna
l'immagine – cammina lungo le strade della Memoria nel corso della
visita della Nazionale azzurra al campo di Auschwitz. Il simbolo
dell'impegno di un cittadino che raccoglie in sé l'esperienza
dell'immigrazione, dell'accettazione e del successo. Ma anche un
omaggio alla madre adottiva, l'ebrea italiana che lo accolse bambino e
la cui famiglia soffrì negli anni bui della Shoah”.
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Qui Trieste - La
sinagoga compie cent'anni
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L’appuntamento è di quelli
storici. La sinagoga di Trieste, una delle più grandi d’Europa,
festeggia questa domenica un secolo di vita. In occasione
del centenario, la Comunità ebraica di Trieste, apre le porte
al pubblico proponendo un calendario di eventi che coniugando storia,
memoria e contemporaneo offriranno uno spaccato di grande suggestione.
Momenti dedicati all’ebraismo triestino e nazionale e alla
cittadinanza, nel segno del dialogo con la società che sempre ha
contraddistinto gli ebrei giuliani.
“Caro
presidente Salonichio, cari amici del Consiglio e della Comunità
di Trieste – scrive in un messaggio d'auguri il Presidente dell'Unione
delle
Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna – sarà per me un grande
rammarico non poter essere presente alla cerimonia in considerazione
della concomitante prima riunione di lavoro del nuovo direttivo UCEI a
Roma. Colgo però l'occasione per testimoniare l'amicizia e la
condivisione di questo momento di festa da parte di tutto l'ebraismo
italiano che oggi come nel passato guarda alla vostra Comunità, alle
idee e ai valori straordinari che da sempre proiettate non solo a
Trieste ma in tutta la società italiana, con profonda ammirazione e
gratitudine. La vostra gioia è la nostra gioia”.
Inaugurata nel 1912, la
sinagoga di Trieste compie 100 anni. Nel 1903, quando è bandito il
concorso, esistono in città tre “scole”, mimetizzate in edifici
esistenti: Scola Piccola, per gli ebrei askenaziti, Scola Grande, di
rito sefardita e askenazita, Scola Vivante, di rito sefardita. Grazie
allo status di porto franco dichiarato dagli Asburgo nel 1719,
all’Editto di Tolleranza del 1781 e, quattro anni dopo, all’apertura
del ghetto, ebrei da tutta Europa convergono su Trieste per esercitare
le loro attività professionali, commerciali, finanziarie, assicurative,
oltre che intellettuali. Si aggiungono presto gli ebrei di Corfù che,
grazie a un dialetto che mescola pugliese-veneto a greco ed ebraico,
arricchiscono la liturgia ebraico-triestina. Nessuna ‘scola’ è
sopravvissuta: l’àron di Scola Vivante è ad Abbazia, quello di Scola
Grande a Fiume, quello di Scola Piccola a Tel Aviv. L’idea di una unica
grande sinagoga risale al 1870 ma il progetto dell’ingegner Geiringer è
accantonato fino al concorso del 1903.
Al bando sono allegati: la planimetria del luogo - il Borgo
Franceschino - schizzi e sezioni degli edifici circostanti, indicazioni
tecniche relative al sottosuolo, alle uscite di sicurezza, alla
resistenza alle intemperie e al tempo. Si pensa insomma a un edificio
monumentale, sicuro ed eterno. Massima libertà è lasciata ai
partecipanti circa le scelte stilistiche e formali. 42 i concorrenti,
da tutto l’Impero, le cui proposte, divise per stile - gotico,
secessionista, orientale - sono oggi di ardua consultazione causa la
disseminazione e spesso dispersione degli originali. Nonostante le 42
sedute, la giuria, composta da esponenti della Comunità ebraica
triestina e dal direttore della Regia Accademia e Istituto di Belle
Arti di Venezia, non è in grado di indicare un unico vincitore: come
per tutti i grandi concorsi, i progetti sono esposti nel 1904 in una
mostra al Ridotto del Politeama. Sorprendente la motivazione della
fumata nera: l’inadeguatezza delle proposte alle aspirazioni moderne
della Comunità. “Che cosa c’entra il medioevo col romanico e col gotico
nella religione ebraica? Come col bizantino e col moresco? Se gli
artisti avessero pensato alla meravigliosa capacità d’adattamento degli
Israeliti e al loro grande amore per il moderno, non si sarebbero
umiliati nell’imitazione, ma avrebbero acceso la loro fantasia alla
creazione del novo…!”. Una comunità aperta, variegata e cosmopolita
esige dunque un edificio linguisticamente innovativo, moderno e al
passo con i tempi. Fallito l’incarico ai due architetti ungheresi
favoriti dalla giuria, non resta che l’opzione per un architetto
triestino. Quasi inevitabile che la scelta cada sullo studio Berlam,
fondato da Giovanni Andrea nel 1847 e portato avanti dal figlio Ruggero
e dal nipote Arduino fino al 1936: una vera dinastia, con all’attivo
importanti incarichi professionali e ottimi agganci istituzionali.
Realizzata nel tempo record di quattro anni, la sinagoga di Berlam
spicca nettamente su altri esempi coevi: è monumentale – l’altezza
della cupola raggiunge i 30 metri e la dimensione è calcolata per mille
persone – ma allo stesso tempo austera; denuncia all’esterno
l’articolazione degli spazi interni; predilige volumi squadrati, seppur
fortemente rastremati; adotta una decorazione ricca e preziosa ma non
ostentata, a intaglio più che a rilievo; è rivoluzionaria infine sul
piano tecnico e strutturale. Tre i corpi principali: l’avancorpo
loggiato su piazza Giotti, con il grande rosone in pietra a forma di
Stella di Davide - originalmente collocato sul fianco - che ospita
l’Oratorio; il vano centrale, un possente cubo sovrastato dalla cupola,
che si protende, all’estremo opposto dell’ingresso, nella zona absidale
composta da un semicilindro che ospita l’Aron haKodesh, e da due
parallelepipedi, coperti rispettivamente da una semicupola e da due
cupolini; la torre a base rettangolare, infine, che sormonta l’ingresso
principale su via Donizetti ma è invisibile all’interno. A dispetto
degli anatemi contro i partecipanti al concorso del 1903, tacciati di
ricorrere a “stili fortemente e inscindibilmente legati a edifici
cristiani”, la sinagoga di Berlam è, a detta di Aulo Guagnini, autore
di un dotto studio pubblicato dal Rotary di Trieste, un raro esempio di
adattamento al culto ebraico di un impianto basilicale.
E’ ancora lui a riferirci le scelte degli architetti: “Si ricorse allo
stile della Siria Centrale del IV secolo dell’era volgare, singolare
fenomeno di ripullulamento delle antichissime forme assire di mezzo ai
ruderi dell’arte romana…Il nostro è dunque uno stile fortemente
influenzato dalle preesistenti forme d’una remota civiltà e dalle
condizioni peculiari al suo paese d’origine”. Architettura siriana
tardo-antica, dunque, la cui influenza sull’arte medioevale europea è
sostenuta con convinzione dallo storico dell’arte Josef Strzygowski,
ben noto ai Berlam, ma anche struttura romana nelle quattro grandi
volte a botte su cui s’innesta la cupola culminante in un’apertura
circolare.
Nel rispetto delle tre prerogative di ogni sinagoga: l’Aron haKodesh,
orientato a est, decisamente ridondante nella struttura a baldacchino
realizzato con preziosi marmi policromi, con porte di rame e bronzo e
culminante nelle Tavole della Legge; la tevah e i tre grandiosi
matronei, cui si accede da due scaloni anteriori. Sono però le
innovazioni tecniche e tecnologiche, l’organizzazione del cantiere, la
qualità delle maestranze, la polifonia dei materiali a fare della
sinagoga di Trieste un caso paradigmatico, “uno degli esempi più
rilevanti nella storia della tecnica edilizia italiana degli inizi del
Novecento”. Se le strutture di fondazione sono calibrate per
fronteggiare la natura argillosa del terreno, le piastre in
calcestruzzo armato nelle murature, le travi che sostengono le gallerie
dei matronei ma soprattutto la cupola, uno dei primi esempi in Europa a
doppio guscio parabolico, richiedono, per il loro carattere
pionieristico, l’intervento di maestranze bavaresi.
Esemplari le decorazioni, in materiali allo stesso tempo preziosi e
“ingannevoli”: pietra bianca artificiale, stesa a intonaco sulla
superficie muraria per l’esterno, stucco lucido e mosaico per l’abside,
marmi per balaustre, podio e gradinate, pietre di taglio per portali e
rosoni. E, per confermare il duplice richiamo alle origini orientali e
alla patria d’adozione, il pregevole portale d’ingresso evoca sia il
Duomo di Orvieto di Lorenzo Maitani sia un monastero armeno.
Adachiara
Zevi, Pagine Ebraiche, Luglio 2012
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Fare i conti con
l'antisemitismo di matrice cattolica
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Il Corriere della sera oggi in
edicola pubblica una recensione del giurista Francesco Margiotta
Broglio "L'antiebraismo cattolico dopo la Shoah" ( Viella editore),
della storica Elena Mazzini cui Pagine Ebraiche di luglio
in distribuzione dedica ampio spazio con molte e diverse riflessioni. A
confrontarsi sull'argomento gli editorialisti Anna Foa,
Giacomo Todeschini, Ugo Volli e Davide Assael.
II mese scorso Benedetto XVI ha riaffermato che il Vaticano II «non
solo ha preso una posizione chiara contro tutte le forme di
antisemitismo, ma ha gettato le basi per una nuova valutazione
teologica del rapporto Chiesa-ebraismo», mentre, qualche giorno dopo,
il cardinale Koch, presidente della Commissione per i rapporti con
l'ebraismo, ha dichiarato che nel mondo di oggi «la piaga
dell'antisemitismo sembra inestirpabile», che la Chiesa ha l'obbligo di
«denunciare l'antigiudaismo e il marcionismo come tradimento della
stessa fede cristiana» e che «il negazionismo non è ammissibile nella
Chiesa, ma anche in una onesta visione storica». Posizioni molto
chiare, ben diverse da quelle del cattolicesimo italiano del secondo
dopoguerra oggetto dell'analisi originale e, per alcuni aspetti
pionieristica, di Elena Mazzini (L'antiebraismo cattolico dopo la
Shoah, Viella, 2012, pp. 200, Euro 25), che si affianca ai volumi di
Zanini e di Di Figlia dei quali il «Corriere» ha già parlato (29 aprile
e 15 maggio). Un'analisi che conferma che, se per gli anni della guerra
si deve parlare di «rimozione psicologica» e di invisibilità di
Auschwitz, per quelli del dopoguerra si deve riconoscere che la memoria
dell'Olocausto è rimasta sostanzialmente marginale fino al processo
Eichmann (1961) e alla guerra dei Sei giorni (1967) (Laqueur,
Traverso). E dimostra che la Chiesa di Roma non sfugge fino al Concilio
alla tentazione neo-antisemita: l'ebreo del genocidio diventa
gradualmente sionista e israeliano grazie al comodo alibi che camuffa
il razzismo da questione di politica internazionale. E non sfugge a
quella rimozione delle leggi del 1938 che anche per la Santa Sede erano
rimaste una «memoria estremamente imbarazzante», che non veniva
integrata in quella della Shoah (A. Foa). L'autrice isola e discute i
momenti che segnano continuità e discontinuità storiche della
tradizione antiebraica cattolica esaminando per gli anni Cinquanta
1'«Enciclopedia cattolica» e la «Civiltà Cattolica». Tra i lemmi della
prima (razzismo, genocidio, ebrei, Israele, sionismo, antisemitismo) fa
notare che solo nell'ultima voce una sola riga, «più allusiva che
storicamente determinata», è dedicata alla Shoah e che se vi si legge
che «l'antisemitismo... è contrario alla morale cristiana e comporta
gravi pericoli perla fede», vi si osserva anche che «è lecito un
antisemitismo nel campo delle idee, volto alla vigile tutela del
patrimonio... della cristianità». Le interpretazioni della seconda,
nota per la propaganda antisemita tra fine '800 e primi decenni del
'900, si segnalano essenzialmente per la strenua difesa di Pio XII
messo in discussione, negli anni Sessanta, da «Il Vicario» e da una
serie di opere storiche: certo è che l'attenzione riservata alla
Dichiarazione conciliare che segnò la svolta nel rapporto con
l'ebraismo fu del tutto esigua. Particolarmente riuscito lo studio
pionieristico della «letteratura del pellegrinaggio» degli anni
Cinquanta e Sessanta — essenzialmente diari e testimonianze di
ecclesiastici che utilizzano «stereotipie dell'antiebraismo per
decifrare lo Stato d'Israele» e che, in alcuni casi, trasformano in
antisionismo il tradizionale antisemitismo, evitando ogni riferimento
allo Stato, ma richiamando spesso il conflitto arabo-israeliano.
Seguono l'analisi del viaggio di Paolo VI in Terra Santa e dei commenti
sulla stampa ebraica, lo studio dei riflessi della conciliare «Nostra
Aetate» nella stampa cattolica (aperture religiose e dinieghi politici,
con le posizioni anticonciliari del vescovo Carli) e della sua
«ricezione» nella stampa ebraica. Per la Mazzini anche la «Nostra
Aetate» non ha consentito una riflessione «incisiva e matura
sull'antisemitismo cattolico» fino a quando la Chiesa non ha sciolto
«il problema della sua posizione nei confronti di Israele». Un problema
che resta, comunque, irrisolto per il molto che riguarda Gerusalemme e
i Luoghi Santi, e che se ha mutato la retorica dell'antisemitismo, non
ne ha completamente rimosso tutti i profili sistematici.
Francesco
Margiotta Broglio (Corriere della sera, 29 giugno 2012)
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Qui Roma - Inaugurato
il nuovo spazio Ose
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È
stato inaugurato ieri pomeriggio, in un locale di viale Trastevere a
Roma, il nuovo spazio dell'Ose, l'Organizzazione Sanitaria Ebraica, un
nido che ospiterà neonati fino a 36 mesi. Nell'immagine il
presidente
dell'Ose Giorgio Sestieri assieme al presidente della Comunità ebraica
di Roma Riccardo Pacifici e al rabbino capo rav Riccardo Di Segni, che
nel corso della cerimonia ha anche apposto una mezuzah all'ingresso
della sala.
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Festa di tutti
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La Comunità di Torino è
considerata poco “multietnica”: in parte è vero, in parte, forse, gli
ebrei di origine non italiana hanno poca visibilità. Ci sono poi gli
studenti israeliani, un numero non indifferente per le nostre
dimensioni, ma fino a pochi anni fa la maggior parte di loro
frequentava poco la comunità. Negli ultimi tempi le cose stanno
cambiando e un sintomo molto positivo di questo è stata la bella idea
di Elad e Nitsan, sposi novelli, che ieri sera hanno invitato tutta la
comunità a una festa in cui, oltre a proiettare il filmato del loro
matrimonio avvenuto pochi giorni fa in Israele (curioso che a sposarli
sia stato proprio rav Birnbaum, rabbino capo di Torino), hanno
illustrato la cerimonia della "China", tradizione degli ebrei
orientali, che molti di noi non conoscevano, hanno mostrato gli abiti
tradizionali che si indossano e naturalmente ci hanno fatto gustare i
cibi tipici. Una serata interessante e gradevole, che ha dimostrato
come anche una comunità dalla forte identità “italiana” possa essere
davvero la casa di tutti gli ebrei del luogo, da qualunque parte
provengano, che stiano pochi mesi, pochi anni o per sempre.
In omaggio alle tradizioni italiane non mancava uno schermo per chi
voleva seguire la partita. E così a completare l’allegria della serata
è giunta, come un altro auspicio favorevole, la vittoria dell’Italia.
Ancora un caloroso mazal tov a Elad e Nitsan!
Anna
Segre, insegnante
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Biella - La chitarra di Piero
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la rassegna |
Dai canti yiddish alle
melodie sefardite. Dalle straordinarie tradizioni canore dell'Italia
ebraica alle voci di memoria dai campi di sterminio. Un percorso
culturale sulla grande storia degli ebrei d'Europa che Piero Nissim,
popolare artista e cantautore pisano, ha proposto nel suo spettacolo
Mayn Lidele andato in scena la scorsa sera alla sinagoga di Biella. Un
omaggio ai brani che hanno fatto da substrato alla sua formazione che è
stato lungamente applaudito dal pubblico accorso nel rinnovato Tempio
di vicolo del Bellone. “Una serata bellissima – dice il presidente
della Comunità ebraica di Vercelli Rossella Bottini Treves – faceva già
caldo di suo ma a riscaldare ulteriormente il clima ci ha pensato il
pubblico che, assiepato perfino nel matroneo, ha accolto con grande
entusiasmo e passione la performance di Piero”.
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L'Unione
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