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4 luglio
2012 - 14 Tamuz 5772 |
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David
Sciunnach,
rabbino
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Bilàm,
il mago - profeta ingaggiato dal re di Moàv per maledire il popolo
d’Israele è costretto a benedirlo. Le benedizioni di Bilàm sono fra le
più belle di tutta la Torà. La più famosa di queste dice: “Come sono
belle le tue tende Yakòv, le tue residenze Israele…” (Bemidbàr 24,
25). È
la lode della santità della casa della famiglia ebraica. Per indicare
la casa usa i termini ‘Ohel e Mishkàn, che sono gli stessi termini che
si usano per indicare il Santuario. Che rapporto c’è tra la casa e il
Santuario? Ce ne sono molti, ma ne indicheremo uno soltanto. I
Chachamìm dicono che le finestre del Beth ha-Mikdàsh -
Santuario -, erano fatte in modo che la luce uscisse dall’interno verso
l’esterno. Allo stesso modo la casa e l’educazione ebraica che si
riceve in essa, deve illuminarci nel nostro rapporto con l’esterno.
Nelle nostre case bisogna costruire la nostra interiorità e portarla
verso il mondo che dà maggior importanza all’esteriorità.
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Davide
Assael,
ricercatore
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Venerdì e sabato si
terrà a Milano un raduno delle forze di estrema destra europee in un
elegante hotel cittadino. Verranno rappresentanti dello Jobbik
ungherese, del Front National e del Britsh National Party. Poi,
tedeschi, croati spagnoli e, naturalmente una delegazione italiana con
in testa alla fila Gabriele Romagnoli di Fiamma Tricolore. Si teme
l’arrivo di Alba dorata dalla Grecia. Insomma, la crema della crema
d’Europa. Lasciando perdere il discorso sugli anticorpi di un sistema
democratico, mi piace segnalare, dal sito di “la Repubblica”,
un’intervista all’europarlamentare Borghezio, in cui si sostiene un
legame fra questi gruppi e frange dell’estrema destra israeliana.
Forse, gli amici che vivono in Israele possono darci ragguagli in tal
senso, facendoci capire le intersezioni politiche da qui
incomprensibili. Ma, temo, sarebbe più appropriato chiedere un consulto
psichiatrico.
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Qui Milano - Walker Meghnagi assume la presidenza e vara una Giunta sotto il segno della collaborazione
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La
parola d’ordine è collaborazione. Questo è l’obiettivo primario che si
impegnano a raggiungere gli eletti al nuovo Consiglio della Comunità
ebraica di Milano, riunitosi ieri sera per la prima volta dopo le
elezioni del 10 giugno scorso. Collaborazione in primo luogo fra
le due liste che lo compongono: Welcomunity, che ha la maggioranza con
la totalità dei suoi candidati eletti, e Ken, con nove consiglieri. “È
importante provare a lavorare insieme, senza nascondere le differenze,
ma rispettandole”, ha spiegato Simone Mortara parlando a nome della
lista Ken. “Il numero di voti ottenuto da Walker Meghnagi è un dato che
dimostra chiaramente quale sia la volontà degli elettori, per questo ci
impegniamo come lista a sostenere la sua candidatura a presidente”, ha
aggiunto. Eletto dunque presidente quasi all’unanimità, con 18 voti a
favore e una scheda bianca, Walker Meghnagi ha espresso le sue
preferenze per i membri della Giunta, approvate sempre con un consenso
molto ampio. Quest’ultima sarà dunque composta da Raffaele Besso,
assessore alle finanze, Daniele Cohen, assessore alla cultura, Rami
Galante, assessore al culto, Claudio Gabbai, assessore ai servizi
sociali e alla casa di riposo, Daniele Schwarz, assessore alla scuola,
e Joseph (Ico) Menda, assessore alle comunicazioni e ai giovani. Una Giunta
dunque composta da membri di entrambe le liste, che punta al dialogo e
all’unità. “Desidero essere il presidente di tutti e andando al di là
degli orientamenti politici credo di portare avanti quello che ho
promesso”, ha motivato il neo presidente Meghnagi. “La Giunta lavorerà
all’insegna della continuità con le misure adottate dal precedente
Consiglio su molti fronti, a partire dai tributi e dalla scuola:
l’intenzione è quella di mantenere il principio del rigore, per
garantire aiuto a chi ne ha realmente bisogno e allo stesso tempo non
permettere ad altri di approfittarsi”. E anche per quanto riguarda la
cultura e i servizi sociali e la casa di riposo, la rielezione degli
assessori del Consiglio precedente simboleggia la volontà di continuare
sulla strada già intrapresa. Ma la collaborazione non dovrà
limitarsi ai membri del Consiglio: “Andare davvero al di là degli
schieramenti e delle liste, significherà coinvolgere anche i candidati
che non sono stati eletti”, ha affermato Walker Meghnagi. Collaborazione,
infine, anche con il rabbinato: questo dovrà mantenere la sua autonomia
in quanto unico organo competente in materia di alachà e sarà
necessario trovare un’intesa con lo scopo di garantire un clima sereno
per il confronto. E naturalmente non sono mancati al nuovo consiglio
gli auguri di rav Alfonso Arbib, rabbino capo della Comunità ebraica di
Milano, che sul tema della collaborazione ha affermato: “Essere una
comunità è molto complicato, perché significa stare insieme. E la
difficoltà maggiore consiste nel fatto che stare insieme non è un dato
di fatto, bisogna volerlo. Dunque da una parte è necessario che i
membri di una comunità facciano di tutto per andare d’accordo,
dall’altra è importante che anche da parte dei leader ci sia fiducia
verso il loro popolo”.
Francesca Matalon
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L'Inno conteso
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Generalmente,
cerco sempre – non so con quanto successo – di rappresentarmi anche le
ragioni altrui, e di cercare di assumere, almeno in via ipotetica, il
punto di vista di chi la pensa diversamente da me: se non altro, se non
per poter cambiare idea, per poter meglio fondare e argomentare le mie
ragioni. Ma – e lo dico con amarezza – mi riesce sinceramente difficile
capire le recenti proposte di chi vorrebbe cambiare l’inno nazionale
israeliano, per potere – attraverso una eliminazione dei riferimenti
all’“anima ebraica” – renderlo meglio accetto e condivisibile da parte
della minoranza araba del Paese. Mi chiedo come mai un problema del
genere si ponga soltanto per Israele. Gli inni degli oltre 200 Paesi
rappresentati all’ONU sono tutti perfettamente graditi, parola per
parola, al 100 % delle varie popolazioni? I loro testi sono considerati
come dei veri ‘programmi politici’, effettivi e vincolanti,
entusiasticamente condivisi da tutti? Noi italiani siamo ancora
convinti che la vittoria sia “schiava di Roma”? E gli americani? L’inno
statunitense, com’è noto, rievoca una battaglia combattuta dai coloni
inglesi contro la corona britannica, durante la guerra d’Indipendenza.
In che percentuale i cittadini americani di oggi sono discendenti di
quei coloni, e si riconoscono come tali? Sappiamo bene che, per
Israele, le “analisi del sangue” sono sempre dieci volte più severe, ma
stavolta mi sembra proprio che si voglia passare il segno. Soprattutto,
non riesco a capire perché mai, una volta modificato l’inno, non si
debba poi – logicamente, coerentemente, inevitabilmente – passare ad
altri tipi di modifiche. Anche la menorah, rappresentata nello stemma
ufficiale del Paese, è un simbolo ebraico, bisognerebbe eliminare anche
quella. E anche il maghen David, nella bandiera. E siamo sicuri che il
nome Israele vada bene? Perché non Ismaele? E come si potrebbe
continuare a giustificare la Legge del ritorno, che permette agli ebrei
– e solo a loro – di acquisire automaticamente la cittadinanza?
Bisognerebbe eliminarla, o estenderla anche agli arabi, profughi o non
profughi. E anche la legge istitutiva dello Yad va-Shem, che estende
una “cittadinanza della memoria” a tutte le vittime della Shoah,
andrebbe eliminata. E così anche le varie celebrazioni del calendario
civile israeliano, Yom ha-Shoah, Yom ha-Zikaròn, Yom ha-Azmaut ecc.
ecc. Non si farebbe allora prima a dire che si vuole contestare la
stessa esistenza di uno Stato ebraico? Che si vuole negare che Israele
possa essere, insieme, ebraico e democratico? Lo si può anche pensare
(in tanti lo fanno), ma mi pare decisamente illusorio credere che la
questione si possa risolvere con qualche piccolo ritocchino, tipo una
modifica dell’inno. Bisogna essere consapevoli che, così facendo, si
imboccherebbe una strada che porterebbe a conseguenze ben più vaste e
profonde. Aggiungo che la questione che pare avere dato avvio alla
discussione, ossia il fatto che il Giudice arabo della Corte Suprema
d’Israele, Salim Joubran, sia stato “colto in fallo” a non cantare
l’inno in una cerimonia pubblica, mi pare decisamente stupida. Il
Giudice si è rispettosamente alzato in piedi durante l’esecuzione
dell’inno, al quale non ha minimamente mancato di rispetto, mentre
hanno mancato di rispetto a lui e ai suoi sentimenti quelli che lo
hanno rimproverato per questo. Molto bene ha risposto il Presidente
Monti, nella conferenza stampa di lunedì, a chi gli chiedeva se,
durante la finale del campionato europeo di calcio, avesse cantato
l’inno: “l’ho cantato, ma non è una domanda da porre”. Bravo Monti. In
un Paese civile non si giudica qualcuno dal fatto se canta o non canta,
né glielo si chiede. Comunque, se si vogliono cambiare le parole
dell’inno, si faccia pure. Mi permetto solo di suggerire, ove mai ciò
dovesse accadere, di preparare per tempo le più opportune risposte da
dare alle nuove richieste che verranno, certamente, subito dopo.
Francesco
Lucrezi, storico
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rassegna
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Un super ventilatore a Tel Aviv
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Un
pezzo d'arte, con tanto di firma, ma anche un super-ventilatore che
funziona davvero e che da oggi in Piazza Rabin a Tel Aviv
allevierà la sensazione d'afa ai visitatori. La cerimonia
d'inaugurazione si
è svolta stamattina, alla presenza del sindaco, Ron Huldai. L'opera è
alta sei
metri ed è dotata di una pala rotante di dimensioni adeguate. È frutto
della fantasia di Tal Tenne - Czaczkese, un'artista 'in-stile-buzz':
ovvero che esercita la sua creatività attraverso installazioni animate
da rumori e ronzii. Si tratta di una riproduzione, in colore
turchese, del ventilatore 'Star': prodotto industriale di largo consumo
che negli anni 1965-80 spopolava
nei terrazzi dei condomini israeliani. Alimentato da energia solare, il
ventilatore gigante della Czaczkese si attiva da solo ogni mezz'ora per
due minuti, durante i quali l'elica compie 14 giri. L'originale
opera artistica resterà esposta per due mesi.
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Israele
è notoriamente colpevole di tutti i peggiori crimini dell'Umanità;
ancora una volta sono gli iraniani a levare alte grida, oggi per voce
del loro vice-presidente. La dimostrazione, questa volta, risiede nel
fatto che gli ebrei, diffusori della droga sulla terra, non ne fanno
uso personale. Ne parla Fiamma Nirenstein sul Giornale, e giustamente
osserva che tali accuse, mosse in un convegno voluto dall'ONU, non
hanno sollevato proteste da parte delle nazioni partecipanti.
Emanuel
Segre Amar
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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