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5 luglio 2012 - 15 Tamuz 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


Nei reiterati tentativi di ottenere la maledizione su Israele, Balàq porta Bil‘àm in un posto dal quale possa vedere solo una parte del popolo, ma non tutto. Il motivo scritturale è che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ ha promesso al popolo d’Israele di non sterminarlo mai completamente, ma a mio avviso c’è anche un motivo più profondo: a vedere nel particolare, si coglie sempre qualcosa di sbagliato, o guasto, o non meritevole; nella complessità, le eccezioni possono passare inosservate. Analogamente, nella Haggadà di Pésach ricordiamo che se il Faraone voleva distruggere i maschi ebrei, e quindi solo una parte del popolo, Lavàn puntava a distruggere dal suo nascere l’essenza stessa di tutto l’Ebraismo. Sembrerebbe quindi che la salvezza da Lavàn fosse più difficile, rappresentasse un miracolo maggiore, ma non è così: il pericolo maggiore è quando il tentativo di distruzione è parziale, perché ha qualche probabilità di successo. Se ci pensiamo, è così anche oggi. Non è molto probabile che una collettività sparisca del tutto. Ma se si comincia a sgretolare un po’ per volta, dal suo interno, emarginando o condannando Tizio o Caio, allontanando Sempronio, la fine può giungere molto più rapidamente del previsto.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
È mancato questa settimana Itzhak Shamir, il settimo Primo Ministro nella storia di Israele. Un uomo un po' schivo e brusco, apparentemente modesto e solitario, di quella generazione di uomini dai principi adamantini, onestissimi, e assolutamente dedicati alla causa dello Stato di cui sembra si sia perduta la traccia nella generazione più recente dei leaders politici. Ma era anche un uomo capace di uccidere, quando era uno dei capi del movimento della resistenza ebraica in Palestina, e di prendere decisioni importanti quando fu Premier. Gli storici si domanderanno come ricordare Shamir. È difficile citare a mente una sua frase o un atto particolarmente notevole. Con lui è arrivata la grande ondata di immigranti dall'Unione Sovietica che ha trasformato Israele. Ma il suo mandato verrà ricordato probabilmente come quello di chi ha ricevuto in custodia un pegno, e cosí come l'ha avuto, l'ha passato al suo successore. Fu però notevole e coraggiosa la sua decisione – contro le aspettative di tutti – di non contrattaccare l'Iraq quando nel gennaio del 1991 Sadam Hussein lanciò i suoi 39 missili Scud sulle città israeliane. In quell'occasione Israele staccò un importante tagliando nell'opinione pubblica mondiale. Poco dopo ci fu la Conferenza per la pace di Madrid, in cui in realtà non avvenne nulla. Ma il fatto stesso dell'incontro fra le parti fu strumentale nell'aprire lo spiraglio che avrebbe portato poi al trattato di Oslo. A Madrid, accanto a Shamir, sedeva un giovane e promettente sottosegretario agli Esteri, certo Bibi Netanyahu. E gli storici cominciano già ora a chiedersi anche che cosa scriveranno del nono Primo Ministro nella storia di Israele: un altro che ha passato il pegno che aveva ricevuto, oppure uno che ha cambiato il corso della storia.

davar
I segreti della Start-up nation
Italia e Israele partner dell’innovazione al Politecnico di Milano. Quali sono i segreti della Start up Nation, la definizione con cui è ormai conosciuto nel mondo Israele? Quali le esperienze che possono essere condivise in Italia, che di Israele è uno dei più partner commerciali più importanti? Nell’Università che è uno dei centri di eccellenza della ricerca e dell’innovazione in Italia diverse le storie e i suggerimenti condivisi da imprenditori di entrambi i paesi nel corso del convegno Start up - A comparison between Israeli and Italian experience, organizzato dalla Fondazione Politecnico di Milano e dall’Ambasciata di Israele e introdotto dal rettore del Politecnico Giovanni Azzone e dall’ambasciatore Naor Gilon.
Ad aprire l’incontro quali errori evitare al momento di creare una start up elencati dal’israeliano Ishay Green: “Pessimismo, la scelta sbagliata dei soci o dei dipendenti per i vari ruoli, basarsi su accordi orali, non lavorare partendo da un accurato business plan, considerarsi troppo piccoli per pensare in grande…”.
E se Israele oggi è il paese con il più alto numero di nuove compagnie pro capite al mondo (una ogni 1844 abitanti), in Italia la creazione di start up è ancora poco sviluppata ma in costante crescita negli ultimi anni. Un paese dunque ad altissima potenziale per giovani imprenditori, come hanno ricordato i vari relatori, nonostante alcune difficoltà 'ambientali' che rendono meno favorevoli le condizioni sul mercato. Israele è un paese piccolo, caratterizzato da forti relazioni interpersonali, dalla capacità di rischiare, da un forte interscambio tra le università e il mondo del lavoro - ha spiegato l’imprenditore israeliano di origine italiana Astorre Mayer, tracciando una panoramica dei fattori che lo rendono un sistema particolarmente funzionale alle start up, ricordando anche la ‘dose quotidiana di tecnologia israeliana che ciascuno assume’: dai sistemi antivirus, alle chiavi per lo scambio dati, fino ad arrivare alla Voip, il sistema di traffico telefonico via internet su cui è basato per esempio Skype.
Israele, la sua capacità di raccogliere e sviluppare le sfide della progettualità, grande protagonista anche nella Capitale in occasione delle giornate della creatività e dell'innovazione organizzate dalla Provincia di Roma al Teatro India. Ieri la giornata inaugurale dedicata proprio allo Stato ebraico. Tra gli ospiti, oltre all'ambasciatore Gilon e allo startupper Ishay Green, relatori questa mattina al dibattito milanese, anche il direttore accademico del Technion Institute of Management Shlomo Maital, figura di primo piano nel panorama internazionale dell’innovazione. I tre hanno dialogato con la giornalista Federica De Sanctis sul tema Israele: gli ingredienti della Start up Nation analizzando più sfumature di un fenomeno stimolante, complesso e in continuo divenire. A rendere omaggio al 'modello Israele' anche il presidente della Provincia Nicola Zingaretti da cui è arrivato l'invito a emularne l'esempio per rilanciare anche in termini di creatività l'economia italiana.

Qui Roma - Un dono per la vita
Una nascita, un momento felice, un sogno accarezzato per molto tempo da ogni mamma in attesa che può trasformarsi in un momento difficile e delicato se il piccolo nasce prematuro e ha bisogno di cure speciali. È da questa idea che sono partite Alessia Salmoni e Clelia Di Consiglio che fondano il Comitato per Aiutare una piccola Vita e, in collaborazione con la Deputazione Ebraica di assistenza, lanciano una raccolta fondi per donare un'incubatrice al reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell'ospedale San Camillo di Roma. "Avevo letto su una rivista che a Roma muoiono più bambini prematuri che in Lombardia a causa della mancanza di posti nelle strutture adeguate - spiega Salmoni - e così assieme a Clelia abbiamo pensato di avviare una raccolta fondi per donare l'incubatrice". Animate dal desiderio di aiutare i più piccini Alessia e Clelia riescono a vincere le iniziali difficoltà burocratiche ed entrano in contatto con il primario del reparto neonatologia del San Camillo, professoressa Elsa Buffone, che entusiasta dell'idea le incoraggia, le aiuta e spiega loro l'iter burocratico da seguire accompagnandole in questi mesi nel percorso necessario a conseguire il risultato che si sono prefisse. La cifra da raccogliere è importante e fra le iniziative intraprese per reperire i fondi è organizzata una cena di gala al Pitigliani alla quale contribuiscono 25 giovani della Comunità ebraica mentre lo specifico gruppo Facebook continua a raccogliere adesioni e taglia quota 1500 iscritti. Ieri pomeriggio il sogno diventa finalmente realtà: una nuova incubatrice entra a far parte delle attrezzature del reparto (nell'immagine il presidente della Deputazione Ebraica di Assistenza Piero Bonfiglioli assieme ad Alessia Salmoni e Clelia Di Consiglio e alla dottoressa Elsa Buffone).

Lucilla Efrati - twitter@lefratimoked

“Per Tel Aviv una ricetta catalana”
“Voglio trasformare questa squadra nel Barcellona di Israele. Voglio portare gioco, intensità e divertimento. Sono convinto che col tempo riusciremo a fare qualcosa di importante”. Promessa di leader. Promessa di trascinatore. Promessa di Oscar Garcia, neo allenatore del Maccabi Tel Aviv, che ha modulato parole e obiettivi chiari per presentarsi ai suoi nuovi tifosi. Ad accoglierlo manifestazioni di entusiasmo come non se ne vedevano da tempo in Israele. Cori, striscioni, lunghe richieste di autografi. L'ultimo a ricevere tanto amore dal popolo del pallone di Eretz era stato il kaiser Lothar Matthaus al momento della firma con il Maccabi Netanya. Un'avventura poi conclusasi senza troppi rimpianti tre estati fa e alla quale non erano seguiti innesti con risvolti mediatici in grado di valicare i confini nazionali. Tante, tantissime storie da raccontare, compresa l'inaspettata affermazione della cenerentola Kiryat Shmona in primavera, ma carenza di nomi realmente pesanti. Nessun protagonista dell'Olimpo del calcio che accettasse di fungere da uomo immagine di un movimento in crescita che ha ancora tremendamente bisogno di testimonial. Questione di brand. Garcia è l'uomo giusto al posto giusto. Carriera di livello discreto anche se non indimenticabile con le maglie di Barcellona, Espanyol e Valencia, deve il suo appeal al marchio di fabbrica che è impresso sulla sua ancor breve biografia da coach. Oscarito, 40 anni da compiere, viene infatti dalla cantera, lo straordinario vivaio blaugrana da cui, solo restando agli ultimi anni, sono usciti alcuni nomi niente male come Puyol, Xavi, Iniesta e Messi. In pratica l'asse portante della prima squadra e della nazionale spagnola. L'esperienza biennale alla guida dei giovani catalani gli ha dato molte soddisfazioni e la voglia di confrontarsi col professionismo sulla scia di quanto fatto nel recente passato da Pep Guardiola e Luis Enrique che proprio in qualità di allenatori del Barcellona B avevano mosso gli ultimi passi decisivi prima del salto (e che salto, specie per Pep) nel calcio che conta. “Mi sento pronto, ho tanta voglia di emergere e confrontarmi con una realtà molto stimolante come Israele” ha detto in conferenza stampa il nuovo beniamino del Bloomberg Stadium. Cantera è stata la parolina magica che ha mosso gli entusiasmi di tifosi e opinione pubblica. Il divario tra Israele e Spagna a livello di campionati, palmares e mentalità agonistica è ovviamente abissale. Ma l'intenzione di Garcia è quello di seminare a fondo per riproporre questo modello vincente anche fuori dalla penisola iberica. Un esperimento provato soltanto in Italia da Luis Enrique ma che, per vari motivi, non ha avuto il riscontro sperato. Si partirà dal Tiki-taka, stile di gioco basato sul possesso palla finalizzato a far correre a vuoto l'avversario, stancarlo e quindi avere statisticamente più possibilità che si distragga e lasci spazi liberi tra le linee, per arrivare a schemi e metodologie sempre più definite. La strada per questo ambizioso tentativo, possibile spartiacque tattico per tutto il calcio israeliano - dalla Ligat Ha'Al (la massima serie) fino ai dilettanti - sembra impostata. Anche perché a capo del corpo dirigenziale c'è da qualche mese un amico e collaboratore affiatato: Jordi Cruyff, figlio primogenito del Johan profeta del calcio totale all'olandese, che da quando ha appeso gli scarpini al chiodo si è gettato con passione e buon profitto nella carriera manageriale. Garcia & Cruyff è il binomio che fa sognare Tel Aviv, nuovamente intenzionata a ritagliarsi uno spazio non solo nella pallacanestro ma anche nel calcio. E questo a nove anni di distanza dalla conquista dell'ultimo titolo nazionale (2002-2003, appassionante volata ai punti con Maccabi Haifa e Hapoel Tel Avi). Da allora è stato un susseguirsi di delusioni collimate con un malinconico sesto posto nello scorso torneo. Una batosta, un colpo all'immagine molto forte che ha anche significato l'addio a qualsiasi velleità europea per la stagione in corso. Il desiderio di riscatto è quindi fortissimo e passa necessariamente da un mercato fatto col cuore ma soprattutto col cervello. I primi rinforzi sono curiosamente spagnoli. Si chiamano entrambi Garcia: Gonzalo fa il fantasista, Carlos è un difensore centrale. Coincidenza? “Giuro che non sono miei parenti” scherza il mister.

Adam Smulevich - twitter@asmulevichmoked, Pagine Ebraiche luglio 2012

pilpul
La filosofia degli ultimi spiccioli
Se fa caldo qui come in Francia, come in Belgio. come a Gaza, ma anche come in Germania, Romania o Israele, riflette il Tizio nella inutile penombra del salotto afoso; se quando piove viene acqua giù dal cielo e dappertutto bisogna aprire l'ombrello. Se no ci si infradicia, sospira il Tizio, che nonostante sieda nella penombra, suda copiosamente; se quando hai fame mangi volentieri un bel piatto di pasta alla napoletana anche se sei spagnolo o turco, pensa il Tizio della Sera che comincia ad avere fame perché sono le sette e mezza di sera, come mai allora è pieno di persone che credono di essere migliori di tutte le altre persone a cui sono perfettamente uguali, dato che al mondo tutti quanti hanno fame, sete, e con rispetto parlando tutti vanno in bagno per il medesimo motivo? C'è forse un solo popolo che non vada in bagno? Non è giusto essere così presuntuosi, sentenzia il Tizio: siamo tutti uguali.
E per dimostrarlo va immediatamente a cena al ristorante cinese - che oltretutto costa meno di quello francese. 

Il Tizio della Sera

Aiutare, nonostante tutto
Diceva Golda Meir che la pace arriverà quando gli arabi ameranno i loro figli più di quanto non odino noi. Lo stesso principio si potrebbe applicare agli abitanti delle zone terremotate che hanno protestato per l’aiuto offerto dallo Stato d’Israele. Le strutture costruite da Israele saranno infatti utilizzate come nursery, in modo da permettere alle mamme e ai neonati di poter usufruire di uno spazio dove poter ricevere assistenza dopo il parto e nei mesi successivi. Eppure per qualcuno l’odio nei confronti d’Israele viene prima di tutto e sarebbe pronto a rinunciare al benessere dei propri figli  pur di andare contro allo Stato ebraico. Una follia antisemita che non ci stupisce, ma che non deve certo indurre Israele a smettere di far del bene. Aiutando le popolazioni in difficoltà in ogni parte del mondo e offrendo a noi, ebrei nella Diaspora, un’altra occasione per esser orgogliosi dello Stato ebraico.

Daniel Funaro, studente - twitter @danielfunaro

notizieflash   rassegna stampa
Monaco '72 - David Berger entra
nella Jewish Sports Hall of Fame
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New entry nella National Jewish Sports Hall of Fame: dal prossimo aprile sarà iscritto nel registro degli sportivi meritevoli di questo onore anche il nome di David Berger, sollevatore di pesi di origine statunitense che fu tra le prime vittime dell'attacco terroristico in cui persero la vita 11 atleti della squadra israeliana ai Giochi Olimpici di Monaco nel 1972.
 
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