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9 luglio
2012 - 19 Tamuz 5772 |
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Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova
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"...uno
dei figli d'Israele viene e avvicina una midianita...agli occhi di
tutta la congrega dei figli d'Israele che piangevano sulla soglia della
tenda della testimonianza" (Numeri 25:6). Nella versione aramaica di Yonathan ben 'Uziel, la parte finale del versetto presenta una differenza: "...piangevano e leggevano lo Shemà".
Rav Chyd"à (Rabbì Chayym Yosef David 1724-1806) interpreta la parafrasi
arrampica e spiega che davanti ad una colpa così completa e manifesta,
la lettura dello Shemà rappresenta la giusta soluzione per annullare
l'istinto al male che ha provocato quella colpa e che, in un momento
smarrimento, può prevalere. Non è un caso che il valore numerico della
parola עון (colpa) - nella forma completa (עין= 130 ,וו= 12, נון= 106)
- è 248, quanto le parole che compongo lo Shemà...
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Anna
Foa,
storica
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Mi sono fatta forza per
guardare in rete il video dell'adultera uccisa a colpi di pistola dai
talebani in un villaggio afgano. La cosa più agghiacciante erano gli
applausi dopo l'uccisione da parte di coloro che assistevano,
probabilmente tutti gli uomini del villaggio.
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Un’app per scoprire la vita di Anna Frank
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“Cara
Kitty, così ce n’andammo sotto una pioggia scrosciante, il babbo, la
mamma e io, ciascuno con una borsa da scuola o da spesa, piene zeppe di
oggetti ficcati dentro alla rinfusa”. È il 9 luglio 1942 ad Amsterdam e
Anna Frank, insieme ai genitori, si dirige verso il nascondiglio
segreto di Prinsengracht 263. Inizia così, meno di un mese dopo il suo
tredicesimo compleanno, la vita in clandestinità della ragazzina, che
per sfuggire alle retate dei nazisti rimane chiusa per oltre due anni
in un piccolo appartamento. Sul suo amatissimo diario cui si rivolge
col nome di Kitty, Anna registra i suoi pensieri, le angosce, le
speranze. Sono passati settant’anni dall’inizio di quel viaggio
finito in tragedia. Degli otto abitanti dell’alloggio di Prinsengracht
263, solo il padre di Anna Otto tornò vivo dai campi di sterminio, dove
furono deportati tutti dopo l’irruzione delle SS nell’alloggio segreto
il 4 agosto 1944. Oggi quell’appartamento è diventato un museo, la Casa
Museo di Anna Frank, uno dei luoghi più visitati dai turisti della
capitale olandese. Con una novità sull’onda della trasformazione
tecnologica: i visitatori vengono invitati a scaricare l’app di Anna
Frank. Anne’s Amsterdam, che come icona utilizza la foto in bianco e
nero con il cui il volto sorridente della ragazzina è diventato noto in
tutto il mondo, guida i turisti attraversa i luoghi della città che
furono importanti per lei. Non solo il nascondiglio, ma anche la pista
di pattinaggio, il castagno di cui Anna ammirava la fioritura da una
delle poche finestre non oscurate, abbattuto dal vento nell’agosto
2010, il quartiere ebraico della città… Così grazie allo smartphone è
possibile seguire le orme di Anna in giro per Amsterdam, raccogliere
immagini, condividere i momenti più importanti della visita sui social
network nella migliore tradizione del web 2.0. Una passeggiata da
non perdere, sette decenni dopo quelle prime parole tracciate su un
diario destinato a far riflettere il mondo.
rt - twitter @rtercatinmoked
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L'asilo rifugio per i bimbi che vengono da lontano
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Infiltrati.
Così le autorità israeliane e media hanno definito i migranti, per lo
più eritrei e sudanesi, che hanno attraversato il Sinai in cerca di
asilo politico. Cancro è stato l’appellativo affibbiatogli dalla
deputata del Likud Miri Regev. Definizioni a parte, emerge un problema
a cui Israele deve far fronte: le migliaia di persone che dall’Africa
si riversano in Israele, in fuga dalla violenza e gli stenti dei paesi
natii. Mentre il governo tuona e i nazionalisti manifestano,
l’amministrazione di Tel Aviv cerca di rispondere alle preoccupazioni
dei residenti e alle difficoltà dei rifugiati. Così nella poco
accogliente stazione centrale dei bus della metropoli israeliana, è
nato un progetto di riqualificazione che si estende a tutta la zona. Al
quarto piano dell’edificio è stato creato un asilo nido e doposcuola
per i bambini dei lavoratori stranieri e dei rifugiati. Si tratta
dell’iniziativa Unitaf, che coinvolge la municipalità e la Yehuda
Tribitch Memorial Fund for Social Involvement. “Cerchiamo di recuperare
gli spazi vuoti e in disuso della stazione e adattarli ai bisogni della
comunità, rendendoli il più vivibili possibile”, spiega sul quotidiano
Haaretz l’architetto Yoav Meiri, responsabile del progetto. Un
esperimento ambizioso che vuole reinserire nel tessuto cittadino una
struttura spesso associata al degrado, facendola diventare uno spazio
sociale. Un centinaio i bambini coinvolti che saranno seguiti da
operatori professionali, maestri e volontari. Già attivo in altri
quartieri a sud di Tel Aviv (Hatikva, Shapira e nell’are del mercato
Carmel), il progetto Unitaf si rivolge a un’utenza praticamente priva
di diritti. E la minaccia del trasferimento forzato nei paesi d’origine
rende ancora più diffidenti le tante famiglie che vivono attorno alla
struttura. La zona limitrofa alla stazione centrale è diventato
gradualmente il rifugio privilegiato dai citati “infiltrati”, che
dormono nelle piazze e sulle panchine del quartiere, complicando la
vita dei residenti. “Capiamo le loro difficoltà – spiega un signore
durante una trasmissione televisiva – ma la sensazione di degrado e di
microcriminalità non può farci stare tranquilli. Le autorità dovrebbero
intervenire per aiutarli, così aiuterebbero anche noi”. Meno pacate le
dimostrazioni andate in scena lo scorso maggio. Alcune migliaia di
persone sono scese per le strade di Tel Aviv sud con cartelli a favore
dell’espulsione o con scritto “oggi è toccato a mia figlia, domani alla
tua”. Nonostante il tasso di criminalità tra gli irregolari sia molto
inferiore rispetto allo stesso valore considerato per il resto della
popolazione (2,4 per cento il primo, 5 per cento il secondo – dati
della polizia israeliana), è cresciuta a dismisura l’insofferenza nei
confronti degli infiltrati. Senza casa, vagabondi e disoccupati, i
cittadini si sentono minacciati da questa nuova presenza. Il progetto
Unitaf si propone, nell’impasse dell’autorità centrale, di smussare i
contrasti e le tensioni tra i due gruppi, puntando sulla
riqualificazione urbana. Uno spazio vivibile per una società più
vivibile sembra essere lo slogan. E vista la struttura della stazione
centrale, in cui i progettisti vogliono creare anche uno spazio ludico
oltre a asilo nido e doposcuola, i passi da fare sono ancora molti. Ma
almeno si cerca di dare una soluzione.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, luglio 2012
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Qui Roma
- A lezione di ebraico
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Ulpan
è il termine con cui si identifica un corso intensivo di lingua ebraica
che coinvolge attivamente gli studenti che sin dalla prima lezione
parlano, leggono e scrivono in ebraico. Nato in Israele a partire dal
1949 per consentire agli olim, i nuovi immigrati, di imparare l’ebraico
corrente in modo intensivo e facile, il sistema ulpan ha visto in
questi anni il fiorire di corsi ovunque anche fuori da Israele, grazie
ad una accresciuta richiesta da parte degli utenti. È in quest'ottica
che è stato organizzato l'ulpan del Corso di Laurea in Studi ebraici
che ha immediatamente riempito i posti a disposizione. Partito da
un'idea di Myriam Silvera, docente di Storia dell'ebraismo a RomaUno e
di Storia dell'antisemitismo al Corso di Laurea in Studi Ebraici,
l'ulpan ha avuto fra i suoi principali obbiettivi quello di accrescere
le conoscenze grammaticali degli studenti consentendo loro di acquisire
una terminologia più ampia e adeguata. "Ritengo che il corso sia stato
molto utile - sottolinea Ester Di Segni, docente del corso - tutti i
partecipanti si sono messi in gioco e hanno perfezionato la propria
conoscenza dell'ebraico in modo divertente e diverso dal solito". La
lezione prendeva inizio con l'esame del testo, lo studente doveva
provare a capirne il significato attraverso le proprie conoscenze.
Subito dopo partiva la conversazione, tesa ad approfondire la
comprensione. Il tutto rigorosamente in ebraico. "Abbiamo studiato dei
testi riguardanti la proclamazione dello Stato di Israele, ma anche
brani tratti dal Tanach e dalla tefillà - spiega ancora la Di Segni -
Molto interessante è stata anche la lezione in cui la traduttrice
Raffaella Scardi, ha mostrato agli studenti le difficoltà che incontra
nella traduzione di un libro per rendere al meglio il significato dal
testo originale". La positiva esperienza sarà sicuramente ripetuta in
futuro considerando anche le crescenti richieste da parte degli
studenti.
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Qui
Casale - Omaggio in note a Martin Buber |
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Tutti noi cerchiamo una
strada nella vita: per l’ensemble Yiddish Mame la musica è forse la via
più bella da percorrere. È l’impressione che si è avuta scoltandoli nel
concerto proposto dalla Comunità ebraica casalese. Il gruppo formato da
Laurianne Langevin (canto), Marco Tiraboschi (chitarra), Gino Zambelli
(fisarmonica), Marco Occhionero (percussioni) e Simone Prando
(contrabbasso) ha costruito un percorso di musica e parole capace di
creare un’intensa atmosfera di misticismo. I ritmi e i temi sono quelli
più tipici della musica ebraica: in bilico tra l’Europa orientale e
quella occidentale, tra la tradizione klezmer e quella sefardita, ma il
modo in cui sono proposti con il delicato fraseggio di chitarra e i
lunghi pedali della fisarmonica rende tutto molto poetico e sognante. È
una musica perfettamente coerente con il tema scelto della serata: un
omaggio a Martin Buber. Le letture del celebre pensatore tedesco sul
cammino dell’uomo verso Dio, proprio qui nella sinagoga, danno un
significato ancora più profondo alle note. La giornata era iniziata con
una visita guidata al cimitero ebraico cittadino. Numerose anche in
questa occasione le persone che si sono ritrovate attorno alla
professoressa Lucilla Rapetti per un excursus tra cappelle e lapidi che
si è intersecato con gli ultimi due intensi secoli di storia casalese.
Alberto
Angelino
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In cornice - Patrimoni |
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La Corte dei Conti bacchetta
il sistema museale italiano anche perché tiene un numero spropositato
di opere nei magazzini e perché non valuta il suo patrimonio artistico.
I due aspetti sono collegati. Il fatto che tanti quadri antichi
prendano la polvere invece di essere esposti al pubblico è un affronto
agli artisti – che certo non li hanno creati per gettarli nel
dimenticatoio – ma anche verso i curatori intelligenti e
intraprendenti. Perché è più semplice organizzare una mostra di
successo di un Botticelli o di un Tiziano piuttosto che puntare su nomi
meno altisonanti custoditi nei caveau; ma è anche vero che ottenere in
prestito un Botticelli da qualche grande museo, è impresa che possono
permettersi i soliti noti, e raramente. Il risultato è la
moltiplicazione di mostre con un solo quadro di grido e poco più, e la
concentrazione dell'attenzione su pochi eventi che vengono organizzati
nei soliti splendidi luoghi già ben conosciuti (Scuderie del Quirinale
etc.) che sono sempre in mano ai soliti noti. Gli altri possono solo
organizzare mostre di artisti moderni o contemporanei lasciando così il
grande patrimonio dell'arte antica italiana perennemente immagazzinato.
Ecco allora che il curatore intelligente e intraprendente potrebbe
lavorare con attenzione su qualche nome o meglio su qualche fenomeno o
stile o periodo storico; così saprebbe ben inquadrare la ricchezza
dell'arte antica italiana nel suo insieme e la bravura di qualche
maestro poco conosciuto e da rivalutare. Ma questi curatori
intelligenti pare non esistano, o piuttosto sono ad ammuffire, come i
quadri nei caveau, sotto gli ordini dei baroni che gestiscono i grandi
musei e le grandi mostre. Sono i figli di una concezione sbagliata che
sta alla base del sistema museale italiano, concezione che ha
colonizzato anche la Corte dei Conti. Che senso ha infatti l'insistenza
della Corte a valutare un patrimonio che è confinato in magazzino e che
non può essere venduto? Il suo valore è pressoché nullo, perché non dà
nessun beneficio né nessun reddito al sistema paese. E se un valore
proprio va dato, non bisognerebbe certo chiederlo ai tanti periti
accettati dai tribunali italiani, che scrivono cifre a casaccio a
seconda delle richieste del proprietario degli oggetti da valutare. La
Corte dei Conti e tutto il sistema museale farebbero bene a mettersi al
passo coi tempi, cambiare visione e puntare su critici d'arte credibili
per rimettere l'Italia, e la sua arte antica, al centro del dibattito
culturale.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
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Tea for Two - Il potere
della copertina
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Volete essere al passo con i
tempi? Informati sulla situazione della società della crisi 2.0? Basta
fare un giro e constatare come sta andando il mercato librario attuale.
Il fenomeno editoriale del momento? La nuova Marchesa de Sade E. L.
James, che con il suo 'Cinquanta sfumature di grigio' ha turbato
milioni di casalinghe/donne d'affari/studentesse di tutto il mondo. Una
Federico Moccia con le borchie che, insistendo solerte con i
superlativi, crea la storia romantico-sadomaso (un accostamento
piuttosto inusuale converrete) tra il bellissimo, ricchissimo,
accigliatissimo Christian Grey e la piccola, ingenuotta Anastasia. Ma
cosa ha di più questo modesto libro, rispetto agli harmony da
supermercato comprati con quattro chili di pasta e un detersivo per
piatti? Semplicemente la tempistica. Nei momenti di
incertezza e disorientamento in cui si starnazza di spread, bon e
compagnia bella, i lettori si buttano a capofitto su bisogni primari e
tematiche un po' primordiali. Infatti quale è il secondo filone su cui
tv e case editrici insistono da qualche anno? Il cibo. Hanno dimostrato
che i libri che hanno nella copertina titoli che rimandano ad alimenti
(i vari cannella, cioccolata, zucchero) e magari la foto di una tazza
fumante e delle tortine glassate vendono di più. Mai sottovalutare il
potere della copertina. Quando la vita reale è piena di parole
cacofoniche e numeri in ribasso, il lettore medio cerca lo scompiglio
di qualche libro torbido o la stucchevolezza di uno candito. Perché la
necessità unica è quella di abbuffarsi. Abbuffarsi e dimenticare,
entrare in un mondo altro dove è perfettamente normale che Christian
Grey voglia essere un volgare dominatore senza per questo perdere la
faccia e che torte, cioccolata calda e marshmallow non facciano venire
il diabete. Il timore sopraggiunge nel momento in cui la frenesia di
abbuffarsi finisce e resta solo una grande nausea. Una nausea per la quale anche Sartre non può fare nulla.
Rachel
Silvera, studentessa -
twitter@RachelSilvera2
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notizie
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rassegna
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Terzi: "Cooperazione fra Israele e Egitto cruciale per la pace"
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Il
Trattato di pace tra Egitto e Israele è stato "uno dei principali
fattori di stabilità" in Medio Oriente e una "effettiva cooperazione"
tra i due Paesi è "cruciale per assicurare la pace e la stabilità nella
regione". "Speriamo che il dialogo costruttivo cui abbiamo assistito
nel passato sia tenuto in piedi" Ad affermarlo il ministro degli Esteri
Giulio Terzi in una intervista al quotidiano al-Ahram.
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