È
possibile confrontarsi in poche ore con tre diverse prospettive sul
mondo della comunicazione e dell’analisi sociologica? Questa la sfida
raccolta venerdì dai partecipanti al laboratorio di Redazione aperta
che hanno avuto la possibilità di incontrare ospiti portatori di punti
di vista differenti ma complementari: Fabrizio Caprara, presidente di
Saatchi&Saatchi Italia, importante agenzia pubblicitaria che cura
fra l’altro anche la campagna per la raccolta dell’Otto per mille della
Conferenza episcopale italiana, Vittorio Ravà, esperto di comunicazione
e attualmente membro del consiglio di Amministrazione della Venezia
marketing & Event, che si occupa dell’organizzazione di eventi e
della gestione del marketing cittadino, e Roberto Weber, presidente di
SWG, agenzia di sondaggi e statistiche leader nel settore. Primo
spunto di riflessione come scegliere il messaggio che si vuole
veicolare attraverso le notizie del giornale: nel suo incontro con la
redazione Caprara, ha suggerito che è fondamentale comunicare che
l’essere una minoranza all’interno della società costituisce una
ricchezza anche per la società stessa. “Le minoranze funzionano nella
della società come degli anticorpi, nel senso che riescono a far
cambiare opinione e forniscono nuove idee. E proprio quei luoghi dove
sono compresenti la tolleranza, il talento e la tecnologia sono quelli
con il più alto tasso di creatività e produttività”. Ha inoltre
introdotto il concetto di minoranza mobile: ognuno è minoranza a
seconda del posto in cui si trova, e questo fornisce ulteriori stimoli
in quanto permette di guardare al mondo da infinite prospettive.
Fabrizio Caprara ha poi accompagnato la redazione all’incontro con
Vittorio Ravà. Quello intavolato con lui è stato una sorta di dibattito
metagiornalistico, attraverso il quale si è cercato di comprendere
quali meccanismi sono alla base dell’informazione. Partendo dal
presupposto che non esiste più un’informazione indipendente e autonoma,
Ravà ha cercato di dare degli strumenti per andare al di là del testo
comprendendo quali processi intervengano nella sua realizzazione. Il
punto di partenza dev’essere la lettura quotidiana dei giornali,
tendenza nettamente in calo soprattutto fra i giovani, in particolare
per quanto riguarda la stampa locale. Invece è necessario partire
proprio dall’individuazione dei fattori che regolano gli equilibri
delle piccole realtà locali, alla base dei quali vi è una forte
compenetrazione fra politica ed economia, e dalla comprensione di come
essi vengano rappresentati nei giornali, per poi applicare questi
schemi anche alla realtà nazionale e internazionale e avere una visione
completa e corretta del mondo della comunicazione. Infine,
l’ultimo incontro della giornata con Roberto Weber, si è concentrato su
come sondaggi e statistiche rappresentano uno strumento per conoscere e
comunicare la realtà circostante. Con lui si è cercato di capire in che
termini e in che misura il mondo ebraico deve rapportarsi con la
società per costruire un’immagine positiva. “Bisogna fare ricorso agli
elementi più evocativo - ha spiegato - L’ebraismo è strettamente legato
alla sua cultura ed è su questo che bisogna fare leva, facendo
prevalere questi argomenti su quelli che possono apparire divisivi,
come Israele, nel caso dell’Italia”. L’obiettivo secondo Weber è
quello di essere il più possibile inclusivi, “creare un perimetro di
sicurezza che però nasca dall’allargamento e non dal restringimento”. E
in questo modo gli ebrei possono avere un’interlocuzione con il mondo
esterno molto ampia, innovandosi senza andare contro i propri principi,
cambiando senza smarrire la propria identità. Francesca Matalon - twitter @MatalonF
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Mittelfest - "Io e...", un ricordo di Indro Montanelli | Undici
anni fa a Milano moriva novantaduenne Indro Montanelli, avendo
attraversato quasi per intero il secolo breve. La Fondazione Corriere
della Sera, in collaborazione con il Festival dei Due Mondi di Spoleto
e l'Associazione Culturale Artisti Riuniti, ha dedicato quest'anno al
giornalista l'edizione del progetto teatrale già avviato da alcuni
anni, volto a ricostruire e raccontare la vita e le opere di storici
professionisti dell'informazione. L'anno scorso era toccato a Oriana
Fallaci, interpretata da Monica Guerritore. Per dar corpo e voce a
Montanelli e ai suoi Soliloqui di un italiano è stato scelto
quest'anno Sandro Lombardi, attore toscano particolarmente adatto al
ruolo, oltre che per la straordinaria bravura, anche per la multiforme
esperienza teatrale, che lo ha messo in contatto, da protagonista e da
spettatore, con quasi tutto ciò che di significativo hanno prodotto
l'Italia e l'Europa negli ultimi quarant'anni. Dagli inizi
nell'avanguardia degli anni '70 con la compagnia de Gli Scarrozzanti,
all'esperienza dei Magazzini Criminali legata alla performance e alla
drammaturgia non narrativa degli anni '80, fino alle magistrali letture
testoriane degli anni '90 e agli ultimi lavori su Pirandello,
Brecht e altri autori, Sandro Lombardi, quasi sempre diretto dal
regista toscano Federico Tiezzi, ha rappresentato e continua a
rappresentare la storia del teatro italiano. Lo spettacolo Io e...,
diretto da Piero Maccarinelli, presentato nei giorni scorsi al
Mittelfest, festival di prosa, danza e musica del Mitteleuropa di
Cividale del Friuli, è basato su interviste e conversazioni raccolte da
Indro Montanelli con quattro personaggi centrali della recente storia
d'Italia: Mussolini, Togliatti, Moro e Berlusconi. Sandro
Lombardi, sul palcoscenico del teatro Ristori, viene intervistato da
Ernesto Galli Della Loggia che siede in platea; la formula è
interessante: un giornalista intervista un attore che interpreta il
ruolo di giornalista. La parola detta di Lombardi crea mondi e
situazioni, o meglio legge la realtà che gli passa accanto in quel modo
unico che solo un vero anarchico che non ha mai avuto paura della
solitudine intellettuale ha saputo concedersi. Attraverso la
rappresentazione dei quattro personaggi raccontati emerge la figura di
un uomo che si descrisse sempre e soltanto attraverso le vicende cui
fece da specchio, senza mai svelare se stesso direttamente. Il
realismo che non cede al cinismo è forse la maggiore lezione di questa
lettura scenica. Lo sguardo ironico e distaccato sul mondo e sugli
uomini può essere riassunto da una frase di Montanelli, citata da
Ravasi sul supplemento letterario del Sole XXIV ore di oggi: “Spesso
si dice che l'opinione pubblica è indignata. E magari è anche vero: al
mattino. Alla sera siamo tutti a guardare la partita.”
Miriam Camerini
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| Davar acher - Mai più
| Una
volta dicevamo "mai più" e ancora forse osiamo ripeterlo per la
Giornata della Memoria o Yom HaShoah. Mai più stragi, mai più
discriminazioni, mai più ebrei nel mirino dei carnefici. Ma di fatto ci
ritroviamo con una terribile continuità a piangere persone uccise in
quanto ebree. Questa settimana c'è stata la strage in Bulgaria, prima
Tolosa, prima ancora Eilat, i Fogel, Mumbai... La memoria si satura,
gli anniversari si sovrappongono: chiediamo invano che nella cerimonia
olimpica si ricordi la strage di Monaco di quarant'anni fa; l'attentato
di Burgas è accaduto lo stesso giorno di quello che devastò il centro
sociale ebraico di Buenos Aires, fra un po' saranno i trent'anni di
quello di Roma, i palestinesi hanno appena onorato come eroi i resti di
un centinaio di terroristi di cui Israele ha riconsegnato loro i
resti... E si moltiplicano anche i tentativi di strage contro
gli ebrei: negli ultimi mesi Istanbul e la Thailandia, l'India e
l'Azerbaijan e Cipro, tutti con una chiara matrice iraniana o di
Hezbollah, spesso con arresti e confessioni dei responsabili; a una
recente audizione alla Knesset un responsabile militare ha parlato di
dieci tentativi analoghi a quello di Eilat negli scorsi mesi
provenienti dal Sinai, sventati dall'esercito israeliano. E
naturalmente ci sono i razzi da Gaza ora anche provenienti dalla Libia,
altri razzi dal Sinai, le armi chimiche della Siria che rischiano di
finire ad alimentare l'arsenale ricchissimo di Hizbullah, puntato
contro il nord; sullo sfondo la bomba atomica e i missili a lunga
gittata che l'Iran continua a costruire nonostante tutti gli embrago:
tutta una rete che si stringe intorno a Israele e agli ebrei. E
per favore, nessuno mi venga a dire che Israele e gli ebrei sono cose
diverse, problemi diversi, che i poveri palestinesi o iraniani fanno
solo la guerra a Israele e noi non c'entriamo: basta andare davanti a
una sinagoga, a una scuola o una casa di riposo e vedere le camionette
militari e le altre misure di sicurezza, i nostri dirigenti che devono
muoversi con la scorta, e così in mezzo mondo; basta vedere un po' di
sermoni islamici su Youtube per capire che c'è un solo problema, un
solo terrorismo. Non erano israeliani ma ebrei i morti di Tolosa,
quelli di Buenos Aires, il piccolo Gay Taché a Roma. E anche se
l'attacco fosse a uno stato, che guerra è ammazzare turisti che vanno
in spiaggia all'estero, sgozzare bambini, cercare di fare esplodere
diplomatici in paesi terzi, mettere bombe in pullman e ristoranti? Questo
problema, il nostro problema, è infatti del tutto eccezionale nel
panorama internazionale. Quale altra religione, quale altra minoranza,
quale altra nazione è braccata in questo modo? Che altri turisti devono
temere per la loro vita non recandosi in luoghi tumultuosi come lo
Yemen o il Mali dove forse è ragionevole attendersi dei guai, ma in una
tranquilla spiaggia del Mar Nero o anche a casa propria, di notte, nel
sonno? Che altro paese viene continuamente minacciato di essere
"cancellato dalla carta geografica", boicottato culturalmente ed
economicamente, indagato dalle organizzazioni internazionali se si
difende don una barriera di sicurezza o reagisce ai bombardamenti dei
suoi vicini? Chi deve difendere confini e aeroporti da minacciate
invasioni di vicini e "militanti"? Quale stato riceve a anni e anni una
media di cento razzi o colpi di mortaio al mese su case civili, scuole,
fabbriche? Noi ci siamo tutti ormai un po' assuefatti a questa
situazione. Quando un consiglio dei diritti umani dell'Onu, che è stato
presieduto fino all'anno scorso dalla Libia di Gheddafi e forse ha
ancora al suo interno Siria e Iran e analoghi modelli di democrazia,
emette la quinta o la tredicesima o la ventesima condanna di Israele,
ci viene quasi da ridere. Ci dimentichiamo quasi che è un altro
tassello di un piano aggressivo condotto instancabilmente. Quando un
altro organismo dell'Onu, che si dice culturale e mai si sognerebbe di
ammettere l'Eta proclamando al contempo la cattedrale di San Juan de
Compostela patrimonio culturale dell'inesistente paese basco, ammette
invece l'Anp come Stato e decide che la basilica della Natività o
la Tomba di Rachele sono patrimonio culturale palestinese, scrolliamo
le spalle. Quando il Comitato Olimpico si rifiuta di commemorare gli
atleti israeliani ammazzati durante le Olimpiadi di Monaco, protestiamo
educatamente, raccogliamo firme, e naturalmente il comitato olimpico ha
più paura del boicottaggio dei ricchi arabi e del loro terrorismo che
delle nostre firme e abbozza. Noi ci difendiamo, ma restiamo
educati e civili. Chi ha mai sentito dire il più estremista politico
israeliano che tutti gli arabi andrebbero sterminati? Chi ha paura di
attentati ebraici alle scuole arabe o ai diplomatici, ai turisti,
agli atleti arabi nel mondo? Quando in Israele qualche estremista
sfregia una moschea con una scritta, o fa un atto di terrorismo vero,
com'è accaduto una sola volta vent'anni fa, i colpevoli non sono certo
esaltati, ma condannati dall'opinione pubblica, indagati e processati.
Anzi, siamo tentati di essere i primi della classe in tolleranza e
apertura, di fingere che esista un "processo di pace" dove c'è un piano
a tappe ripetutamente proclamato da Fatah e Hamas per espellere tutti
gli ebrei dalla "Palestina storica". Forse facciamo bene, perché
credere nelle favole fa dormire meglio e non prendersela per le
provocazioni previene il mal di fegato. Ma forse dovremmo anche
renderci conto che una grande macchina dello sterminio di nuovo scalda
i motori, misura la sua forza, si prepara ad agire e certamente non si
farà fermare da qualche vecchia stretta di mano a Washington e da un
pezzo di carta firmato a Oslo. Forse dovremmo impostare il tema della
prossima Giornata della Memoria - credo si decida in questi mesi - sul
perché la Shoà non è mai finita davvero, perché ancora sdiamo chiusi
nel ghetto e fatti oggetto di pogrom. Perché ebreo, israeliano,
sionista sono insulti. Perché i Protocolli dei Savi di Sion e Mein
Kampf sono best seller in mezzo mondo, uguagliati solo dai sermoni
islamisti. E' una proposta che difficilmente verrà accolta, lo so bene.
Ma in cambio abbiamo tutti avuto di recente il piacere di conoscere il
tema della prossima giornata internazionale della cultura ebraica di
quest'anno, che è sull'umorismo. Come dice Freud, se non sbaglio,
l'umorismo ebraico nasce dal tentativo inconscio di far proprio e
anticipare l'antisemitismo, per ammortizzarne gli effetti psichici.
Appunto.
Ugo Volli twitter @UgoVolli
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| notizieflash | | rassegna stampa | Israele - Al via il Taglit Italia 2012
| | Leggi la rassegna | Inizia
oggi l’esperienza volta a rafforzare – o addirittura a creare da zero –
il legame con Israele e l’identità ebraica di un gruppo di giovani dai
18 ai 26 anni che partiranno per un viaggio in Israele lungo dieci
giorni grazie a Taglit Italia. È possibile quest'anno seguire su
twitter l’evolversi del viaggio con l’hashtag #TaglitItalia2012
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| L'Unione
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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