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24 luglio 2012 - 5 Av 5772
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Quando viene a mancare una persona, le manifestazioni di lutto previste dalla nostra Tradizione sono progressivamente meno stringenti. Si passa dal momento piu doloroso della dipartita in cui un congiunto e' considerato ONEN, addolorato, fintanto che non avviene la sepoltura, all'AVELUT, lutto, dei 7 giorni dopo la sepoltura, poi dei 30 giorni e infine dei 12 mesi. Diversi tempi per l’ elaborazione del dolore, per la rassegnazione e per ricevere consolazione. Il lutto di Tishà Be Av funziona  al contrario. Si comincia con dei segni di lutto nelle tre settimane precedenti alla tragedia  che aumentano progressivamente e che culminano alla sera e alla mattina del 9 di Av in cui siamo tutti Onenim, addolorati, e quindi esentati dall'esecuzione di alcuni precetti positivi. Ma gia subito dopo il mezzogiorno di Tishà Be Av si fa strada la fase della  consolazione. E' come se per la disgrazia della distruzione del Tempio e del conseguente esilio il lutto non sia successivo e conseguente alla tragedia ma deve precederla. Si potrebbe spiegare questo paradosso col fatto che la persona che ci lascia non ci verrà  restituita e quindi ne piangiamo l'assenza, mentre il Bet HaMiqdash sarà ricostruito. Ma il lutto di Tishà Be Av deve farci riflettere essenzialmente sulle cause che lo hanno determinato. Come se dovessimo lavorare sulla prevenzione e non solo piangerci addosso per quanto ci e' successo.
Dario
 Calimani,
 anglista



Dario Calimani
A Grillo non piace Israele, e gli piace invece l’Iran. Non è forse questo il problema vero. Il problema è invece che un Grillo, già simpatico e sarcastico fustigatore di costumi, si presenti ora come leader di un movimento politico; è questo che la dice lunga sulla degenerazione della politica e dei politici nel nostro paese. Che Grillo sia il prodotto di una situazione degradata non necessita di dimostrazione, che le sue idee politiche siano raffazzonate e superficiali, anche. Lo si è sentito arringare la folla contro i poteri forti del paese, gli sprechi della politica, la corruzione, le tangenti, e contro la privatizzazione dell’acqua potabile. È l’uomo qualsiasi che protesta contro l’ovvio. Questo, da solo, non fa di lui un virtuale statista, ma gli uomini qualsiasi ne rimangono attratti, e ce ne sono tanti evidentemente. In effetti, un progetto politico di respiro per rimettere in sesto il paese Grillo non lo sviluppa. Come se si potesse governare un paese con le urla, le parolacce, la protesta populista e una battuta razzista sugli ebrei che mettono in pericolo il povero Iran di quel campione di democrazia che si chiama Ahmadinejad. Ma bisogna pur mettere nel conto che molti, nauseati dalla politica di questi anni, al momento opportuno lasceranno a casa il cervello e voteranno con la pancia. È accaduto già altre volte.

davar
Qui Londra - Lo sport si inchina alle vittime di Monaco
“Sono qua per onorare gli undici atleti israeliani che avevano condiviso l'idea della tregua olimpica e che consideravano i Giochi un luogo di unione e fratellanza”. Così il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Jacques Rogge ieri pomeriggio davanti al Muro della tregua olimpica di Londra dove ha osservato un minuto di silenzio in ricordo degli atleti israeliani colpiti dal terrorismo ai Giochi di Monaco del 1972. Le parole di Rogge non sono però servite a placare le polemiche sulla scarsa sensibilità che a detta di molti sarebbe manifestata dal CIO in occasione del 40esimo anniversario della strage.
I riflettori sono così puntati sulla conferenza stampa indetta per domani dalle vedove Ankie Spitzer e Ilana Romano nel corso della quale saranno presentati i risultati della grande petizione internazionale (103mila le firme ad oggi raccolte) lanciata affinché analogo omaggio venga tributato alle vittime di Settembre Nero durante la cerimonia inaugurale di Londra 2012. Un impegno di memoria che in questi mesi è stato preso a cuore da politici, dirigenti, opinion leader e sportivi. Tra gli altri gli atleti della spedizione azzurra che, su iniziativa del presidente del Coni Gianni Petrucci, ricorderanno i tragici fatti di Monaco con una cerimonia che avrà luogo al Villaggio Olimpico e che sarà  aperta ai compagni di avventura a cinque cerchi di tutti i popoli e di tutte le nazioni. Idealmente al loro fianco la comunità ebraica italiana che, giovedì sera alle 21, parallelamente all'arrivo della torcia e alla sfilata delle squadre all'Olympic Stadium londinese, si raccoglierà nelle case e nelle piazze per condividere la dolorosa solennità di questo appuntamento. Baricentro delle varie iniziative la manifestazione in programma al Portico d'Ottavia (altezza Largo Stefano Gay Tachè) con il coinvolgimento di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Comunità ebraica di Roma e Maccabi Italia.
“Ricorderemo un crimine commesso contro tutto il mondo e non solo contro Israele. Essere presenti - afferma il presidente del Maccabi Italia e consigliere UCEI Vittorio Pavoncello, tra gli invitati alla cerimonia ufficiale del 6 agosto al Guildhall di Londra - sarà fondamentale per affermare ideali e valori universali. Questa non può e non deve essere una battaglia ebraica ma dell'intera collettività umana”. 

Adam Smulevich
twitter @asmulevich

Redazione aperta - Comunicazione e informazione
La seconda settimana di Redazione Aperta si apre con un altro incontro ospitato nelle strutture della Comunità ebraica di Trieste. Questa volta l’interlocutore è Robert Hassan, laureato in Giurisprudenza e amministratore di Alé Comunicazione, agenzia di comunicazione integrata. Robert ha curato due delle campagne otto per mille dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nel 1999 e nel 2000. La discussione si è aperta con la messa in evidenza delle differenze che, in una società pluralista come quella italiana, si vengono a formare fra la realtà dell’informazione e quella della comunicazione. Nella prima è infatti presente una pluralità di fonti, mentre nella seconda si ha una pluralità di recettori. Questa disomogeneità nel pubblico rende necessario usare linguaggi diversi e lanciare messaggi differenti a seconda dell’ambiente di riferimento, con lo scopo di rivolgersi efficacemente a tutti. Per instaurare una forte comunicazione è perciò necessario una forte attenzione da parte dell’ebraismo italiano, che deve sapere analizzare le diverse realtà per capire che cosa esse cercano e si aspettano di avere dall’ambiente ebraico e conseguentemente scegliere cosa comunicare. Secondo Robert è inoltre importante concentrarsi su una comunicazione basata su eventi piuttosto che advertising: per esempio occasioni come la Giornata Europea della Cultura Ebraica o la Notte della Cabala a Roma hanno una maggiore forza comunicativa e un’utenza superiore rispetto a iniziative meramente pubblicitarie e possono pertanto promuovere la formazione di un pubblico dell’ebraismo italiano.

Gadi Piperno Corcos

Vento di Sion e Bora - Un ricordo di rav Elia Kopciowski
Un minian abbondante officiato da rav Achille Viterbo ha ricordato rav Elia Kopciowski nei dieci anni dalla scomparsa. Spostato dallo splendido giardino sul mare all'interno della casa di Barcola (Trieste) della figlia Jael e del genero Roberto a causa della bora che superava i 100 km orari, lo Jahrzeit, come si dice a Trieste, è soprattutto un'occasione per ricordare la vita ricca e significativa di un grande Maestro dell'ebraismo italiano. Nato a Roma nel 1921 da padre polacco e madre romana, rav Kopciowski emigrò in Erez Israel nel 1939 su sollecitazione di rav Prato. Dopo aver combattuto nella Brigata ebraica per tutta la durata della guerra, venne richiamato in Italia per insegnare materie ebraiche nella Roma del dopo Shoah. Lì conobbe Clara, che già a 17 anni insegnava alla scuola ebraica e che poco tempo dopo sarebbe diventata sua moglie. Dopo la nascita della prima figlia Ester, i Kopciowski decisero di far ritorno in Israele, dove il futuro rav Elia oramai si sentiva a casa nonostante le difficoltà incontrate da Clara nell'affrontare la forte impronta collettivista e la mancanza di privacy che caratterizzava lo Stato di Israele nei suoi primi anni di vita. Ciononostante, i Kopciowski accettarono con grande senso di responsabilità l'invito rivolto loro nuovamente nel 1952 dalla comunità ebraica, questa volta di Milano, a dare il loro apporto alla rinascita di quell'educazione ebraica che nella scuola di via Eupili e in altre istituzioni iniziava a costruire una nuova generazione di ebrei. Rav Kopciowski fu un Maestro che toccò l'anima di numerose generazioni di ebrei italiani. Fra i più forti ricordi della sua opera rimangono nel cuore di molti allievi e delle loro famiglie gli allegri e profondi Sedarim di Pesach da lui organizzati e condotti per anni alla scuola ebraica di Milano. Il senso di responsabilità verso quella che era diventata la sua comunità lo portò negli anni '70 a ricoprire la carica di Rabbino capo di Milano, in anni in cui le molte anime e tendenze della comunità rendevano il compito particolarmente impegnativo dal punto di vista pratico e morale a una persona che aveva compreso il senso profondo della capacità di includere ed accettare ogni tipo di ebreo.
La sua influenza attiva e benefica viene ricordata anche in un altro ambito: quello dei dialoghi ebraico-cristiani che si tengono ogni anno a dicembre nel monastero toscano di Camaldoli, da quando rav Kopciowski trent'anni fa contribuì alla loro creazione, con un'intuizione che a distanza di molti anni si dimostra ancora oggi feconda, valida e capace di rinnovarsi.
L'aspirazione a contribuire alla costruzione dello Stato di Israele e di vivere “in un Paese in cui posso dire Shabbat shalom a chi mi vende il giornale al venerdì”, come desidera Clara, ha fatto da contraltare all'impegno verso le rinascenti comunità italiane per tutta la vita di rav Kopciowski. Non possiamo sapere quale importante impatto avrebbe avuto sulla vita israeliana, ma possiamo senz'altro essergli grati per ciò che ha lasciato dietro di sé nella nostra diaspora.

Miriam Camerini

pilpul
Finkielkraut e l'antirazzismo
Tobia ZeviPerdonatemi l’audacia. Penso che l’intervista domenicale di Alain Finkielkraut sia profondamente sbagliata. A partire dal titolo, “Questo antirazzismo mi fa paura”. Sintetizziamone i concetti fondamentali: siamo nella dittatura del “politicamente corretto”; l’antirazzismo impedisce di riconoscere il fondamentalismo islamico; l’Europa non vuole riflettere sulla propria identità e noi tutti siamo dunque destinati a perderci.
Partiamo dall’ultimo punto, l’unico con cui sono d’accordo. Esiste in effetti un deficit di elaborazione sull’Europa, sul senso, sulla missione e sul destino dei popoli europei. Non so se questa mancanza sia di per sé sintomo di declino. Ma, se non riusciamo a trovare ragioni di fiducia nel futuro e di rafforzamento dei vincoli europei, che cosa c’entra l’antirazzismo? E che cosa c’entra l’Islam?
Veniamo all’antirazzismo. Secondo Finkielkraut la reazione all’attentato di Tolosa è emblematica. Dopo una prima pista di matrice neo-nazista, quando si è appresa l’identità dell’attentatore “la grande preoccupazione – anche legittima – è stata di non fare generalizzazioni pericolose”. E poi: “L’antisemitismo cresce e, se l’immigrazione continua così, si amplificherà ancora”. E quale sarebbe la soluzione? Dichiariamo guerra all’Islam? Chiudiamo le frontiere? Facciamo finta di ignorare che sull’altra sponda del Mediterraneo l’età media è sui 25 anni?
Infine, il “politicamente corretto”. Ne abbiamo già parlato varie volte, perché il tema mi sta molto a cuore. Nella terribile estate del 2009 il Governo Berlusconi votò i respingimenti delle barche provenienti dalla Libia (ricordiamocene, al momento del voto, nella scelta dei nostri parlamentari). Con le dichiarazioni trionfanti di Maroni e l’approvazione della legge, si levò un moto di protesta diffuso che anticipò le sanzioni europee giunte nel 2011. Anche allora si parlò di “dittatura del politicamente corretto”. Ma la questione è semplice. Nel 2009, era davvero il “politicamente corretto” a prevalere, oppure si affermava tristemente il primato dell’illegalità e dell’ingiustizia? È più “dittatore” un articolo di protesta o le vite spezzate grazie a quella legge? E oggi, conta più il “politicamente corretto” o il fatto che le nostre strade, i nostro quartieri, i nostri amici, siano ogni giorno più razzisti?

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi

Storie – Sami Modiano e la deportazione da Rodi
Nella storia della deportazione italiana c’è anche il capitolo di Rodi, l’isola delle rose, passata all’Italia nel 1912, dove all’epoca vivevano insieme, pacificamente, ebrei, musulmani e cristiani. Anche in questo paradiso le leggi razziali fasciste del 1938 cambiarono la vita della comunità ebraica, stanziata nell’isola dal XVI secolo, ad esempio con la brutale espulsione dei ragazzi ebrei dalle scuole.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Rodi passò sotto il controllo tedesco. Il 18 luglio 1944 i nazisti, con il pretesto di un controllo dei documenti, arrestarono i capifamiglia della comunità e il giorno dopo, come ha raccontato Sami Modiano nel bell’articolo realizzato da Umberto Gentiloni su La Stampa, «chiesero a tutti i familiari di fare un fagotto con i beni di prima necessità: cibo, vestiti e oggetti di valore. Cercavano soprattutto oro. In silenzio andammo anche noi verso la caserma, mio padre Giacobbe era già lì. Restammo chiusi per alcuni giorni».
All’alba del 23 luglio 1944 ebbe inizio il lungo viaggio verso Auschwitz. Al porto circa duemila persone vennero stipate su alcune chiatte adibite al trasporto di animali. Una prima sosta all’isola di Kos per imbarcare altri nuclei familiari arrestati, poi rotta verso il Pireo. Ad Atene il trasferimento su un treno e la partenza per la Polonia, dove giunsero quasi un mese dopo, il 16 agosto. «All’improvviso la nostra adolescenza era finita del tutto», ha detto Modiano. «Già nel 1938 ero stato espulso dalla scuola italiana in seguito all’applicazione delle leggi razziali di Mussolini. Avevo un maestro bravissimo, lo ricordo ancora con nostalgia. Il viaggio fu davvero una marcia di avvicinamento verso l’inferno. Il caldo, gli odori, i bisogni e i primi cadaveri gettati in mare».
Il 23 luglio scorso, proprio a Rodi, sessantasette anni dopo quella tragica alba, Modiano ha incontrato uno degli altri pochi sopravvissuti (31 uomini e 120 donne) alla deportazione, Moshe Cohen, venuto come lui nell’isola a celebrare l’anniversario. Non si vedevano dal 1945, data del loro ultimo incontro a Roma. Modiano, dopo alcuni anni trascorsi nel Congo belga, vive oggi tra Rodi e Ostia; Cohen aveva lasciato l’Italia per combattere volontario contro gli inglesi in Medio Oriente, e dopo un periodo in Israele si è trasferito in California. Si sono riconosciuti dal braccio tatuato a Birkenau. Un lungo abbraccio e tanta commozione.
La stele di granito nella piazza Martiron Evreon (dei martiri ebrei), scrive Gentiloni su La Stampa, recita in sei lingue «Alla memoria eterna dei 1604 ebrei di Rodi e Kos sterminati nei campi di concentramento nazisti. 23 luglio 1944». L’antica sinagoga è lì vicino, ma oggi la comunità ebraica dell’isola, distrutta dai nazisti, non raggiunge le trenta unità. Modiano ha deposto un sasso in memoria della sua famiglia e di tutti gli altri: «Sono tornato vivo da quell’orrore per tutti loro, per poter raccontare a chi è venuto dopo o non credeva, per non disperdere la loro voce e la loro memoria».

Mario Avagliano
twitter @MarioAvagliano


notizie flash   rassegna stampa
Qui Milano - Pianoforti per il dialogo
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Stasera a Milano organizza due pianoforti in concerto per il dialogo. Due musicisti, Bishara Haroni di Nazareth e Yaron Kohlberg di Gerusalemme suonano insieme in PeacePieces per sostenere il progetto Magnificat di Gerusalemme, una scuola di musica per bambini ebrei, musulmani e cristiani, fondata dal Capitolo della custodia francescana in Israele. A organizzare l'evento a Palazzo Isimbardi la Provincia di Milano




 

E' il terrorismo antisemita e antisraeliano il tema della giornata di oggi. Quello attuale, di impronta iraniana e libanese che ha fatto i morti di Burgas, su cui bisogna leggere l'analisi di Pio Pompa sul Foglio Vannuccini su Repubblica riporta le dichiarazioni di Netanyahu sulla possibilità di una rappresaglia per la strage di Burgas.

Ugo Volli twitter @UgoVolli

















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