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  15 agosto 2012 - 27 Av 5772
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david sciunnach
David
Sciunnach,
rabbino 


“Fai attenzione a te stesso e custodisci la tua anima …”(Devarìm 4, 9). Rabbì Israel Lipkìn Salant, padre e fondatore del movimento del Mussar, diceva: Ho visto molte persone, che si preoccupano troppo per cose che li riguardano fisicamente e per ciò che riguarda la spiritualità del loro prossimo. Così come coloro che sentenziano morale sul loro prossimo, che ai loro occhi non è rigoroso nell’osservanza dei precetti e che quando questo sbaglia in una cosa di poco valore sono pronti a farglielo notare non nascondendo la loro gioia nell'errore da lui compiuto. Io credo che il vero Chassìd - pio, sia colui che si preoccupa sempre dalla sua anima e del corpo del suo prossimo.  Come risultato di ciò egli scruta se stesso in modo continuo con timore del Cielo osservando al massimo i precetti, e nello stesso momento si occupa del fabbisogno dei suoi fratelli dando quello che può.

 Davide 
Assael,
ricercatore



davide Assael
Le cronache ci informano che alla prossima festa della Lega Nord ad Avio, in Trentino, si pagherà in Lire. Un atto già di grande apertura, visto che un tempo si pagava con monete e banconote con la faccia di Bossi e degli altri gerarchi padani. Non è così, però, nelle intenzioni dei promotori, che vogliono, piuttosto, riaffermare il primato dell’euroscetticismo in Italia e tastare il polso dell’elettorato riguardo un eventuale referendum antieuro, già promosso dai conservatori tedeschi. Ma si sa che “una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale. Come la freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca…”, così destre di mezza Europa stanno meditando sulla proposta. Quindi, per riassumere, questi partiti non vogliono l’unità europea per non mischiarsi agli altri, ma si mischiano agli altri per non volere l’Europa. Siamo, ormai, al teatro dell’assurdo. E, credo non convenga agli ebrei europei farsi sedurre dai richiami alle specificità culturali o dalle critiche ai processi assimilatori della globalizzazione, tutti argomenti che si troverebbero identici fra i difensori dei piccoli staterelli nel periodo risorgimentale.

davar
Sport - Pascale, il coraggio scende in pista
Un'estate molto intensa per l'Italia sportiva quella di quest'anno. Dagli Europei di calcio con gli uomini di Prandelli a un passo dal trionfo finale allo straordinario Tour de France del messinese Vincenzo Nibali, dal redivivo Alonso che guida il riscatto di Maranello a bordo di una Ferrari nuovamente competitiva al significativo bottino di medaglie conseguito dalla nostra spedizione alle Olimpiadi di Londra. E le soddisfazioni potrebbero non essere terminate. Sempre a Londra infatti, dal 29 agosto al 9 settembre, una nuova competizione a cinque cerchi si prefigge di infiammare il pubblico per motivi che in parte esulano dal mero aspetto agonistico. Le Paralimpiadi, le Olimpiadi per atleti disabili partorite dalla visione di un ebreo tedesco, Ludwig Guttmann, che vivranno quest'anno la 14esima edizione. Un appuntamento da record, con 4200 atleti in gara e 160 paesi rappresentati. Tra le compagini più numerose, la squadra azzurra che avrà come portabandiera l'arciere Oscar De Pellegrin. Innumerevoli le storie di passione e coraggio che si intrecceranno tra le strade del Villaggio Olimpico. Come quella dell'israeliana Pascale Noa Bercovitch, già protagonista a Pechino 2008 nel canottaggio e adesso pronta a lottare per una medaglia nel ciclismo.

“La vita va avanti, bisogna sempre fare buon viso a cattivo gioco”. Il sorriso di Pascale Noa Bercovitch, è contagioso. Lei di dolore ne sa più di qualcosa. A 17 anni, giovane promessa dell'atletica francese, un drammatico incidente nella stazione ferroviaria di Angers compromette per sempre le capacità motorie dei suoi arti inferiori. Pascale lotta a lungo tra la vita e la morte ma sopravvive grazie a una grinta fuori dal comune. “Ancora pochi mesi – racconta – e avrei fatto l'alyah. È stata questa prospettiva a darmi ancora più forza per resistere. Da quando ho scoperto le mie origini ebraiche, attorno ai 13 anni, non ho mai voluto rinunciarci e così una volta presa confidenza con la disabilità ho fatto di tutto per coronare il grande sogno". Pascale ha appena compiuto 45 anni, vive a Tel Aviv, è scrittrice, giornalista e produttrice cinematografica. Ma è soprattutto una sportiva a tutto tondo. A Londra difenderà per la seconda volta consecutiva i colori di Israele alle Paralimpiadi, i Giochi Olimpici per atleti disabili. A Pechino 2008, fresca vincitrice di una medaglia d'argento ai mondiali di categoria, si era battuta con discreto profitto nel canottaggio. Questa volta ci riprova col ciclismo (“il canottaggio è troppo noioso, preferisco correre in gruppo”) e non nasconde l'ambizione di tornare a casa con un risultato prestigioso al collo. “Ci sto lavorando”, promette. Malgrado le tante piccole e grandi sfide quotidiane legate al suo handicap si ritiene una donna fortunata. Nel privato, un marito e due figliolette che (ricambiate) la adorano, ma anche al lavoro e sulla sua bicicletta tutta speciale cui dedica gran parte del proprio tempo libero. Fisico asciutto e ben predisposto ad affrontare pendenze anche relativamente lunghe – pesa appena 30 chili, un vantaggio quando la strada sale – ama allenarsi sui sentieri di campagna ma non disdegna i parchi cittadini nelle prime ore del mattino quando c'è poca gente. Tra gli amici più cari l'ex pilota di Formula 1 Alex Zanardi, un altro straordinario personaggio che ha deciso di non arrendersi alle avversità e con il quale Pascale è costantemente in contatto. L’impresa londinese la stanno preparando insieme. Le emozioni della sua prima volta sono raccontate nel documentarioThree Hundredths of a Second da lei stessa girato a Pechino. Ma per imparare ad amarla basta anche solo sfogliare le pagine del suo libro Il ragazzo e il delfino, pubblicato in Italia dalla casa editrice Sonzogno. È la storia vera di Abid'allah, capo di una tribù di beduini che diventato sordomuto all'età di cinque anni riacquisisce l'uso dei sensi grazie all'amicizia con una femmina di delfino abbandonata dal branco con cui sviluppa un commovente rapporto di solidarietà che lo aiuterà ad affrancarsi dalla solitudine e dal disagio.

Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked (Pagine Ebraiche settembre 2012)

Qui Trieste - Una giornata tutta speciale
Ho una vita ricca, benedetta da tanti doni, a volte frenetica. Le emozioni e gli incontri si susseguono senza posa e spesso non ho il tempo di fermarmi e ringraziare coloro, attraverso i quali, D-o continua a guidarmi.
Il primo Luglio, a Trieste, in una cerimonia indimenticabile, una vera festa di musica, preghiere, storia e canti, ho ricevuto un premio inaspettato che mi ha riempito di stupore e gioia: Il Premio Rosone del Tempio, indetto dalla Fondazione Stock – Weinberg per la coesistenza tra i popoli in collaborazione con la Comunità ebraica di Trieste.
Si è parlato molto di questo evento: del comitato d'onore d'eccezione, tra i quali due donne che ammiro profondamente: Fiamma Nirestein e la professoressa Fiorella Kostoris, che hanno scelto i premiati. Si è parlato con del coro Kol Hatikva che si e' esibito in canti d'Israele con un successo straordinario dopo mesi di prove, dei Hazanim, i cantori, giunti da Vienna, da Linz, da Verona, da Milano e da Trieste stessa che hanno toccato con le loro voci appassionate ogni particella del corpo e dell'anima provocando  brividi e lacrime di commozione. Ho conosciuto Mario Levi, del kibbutz Sde Elihau, profeta dell'Agricoltura biologica, con il quale ho avuto l'onore di ricevere il premio (nell'immagine di Giovanni Montenero Angelica Calò Livne e Mario Levi al Caffè San Marco nel corso della cerimonia di premiazione) e sono stata accolta con grande affetto dalla piccola ed effervescente Comunità di Trieste: dall'instancabile famiglia Misan che hanno organizzato gran parte dell'evento, dal presidente della Comunità Alessandro Salonichio e dalla famiglia Camerini - Kopchoski. Un'emozione dopo l'altra, che non ho avuto il tempo di metabolizzare.
Immediatamente dopo il ritorno in Israele, sono di nuovo partita, questa volta con 12 ragazzi di Beresheet LaShalom e il mio inseparabile compagno Yehuda, alla volta di Piacenza per il Meeting "Mondialita'": una settimana di full immersion per accogliere la differenza, dove, inaspettatamente, si era deciso di ispirarsi al Libro di Ruth, condividendo un antico convento del '600 sui colli piacentini con altri 120 ragazzi dalle Filippine, dal Brasile, Italia, Egitto, Autorità palestinese, Moldavia, e Polonia. Ero nello staff educativo e prima, durante e dopo il Meeting sono stata impegnata nella creazione di workshop, giochi, attività e nuovi metodi per avvicinare e aggregare i vari gruppi di diverse lingue, tradizioni, religioni e mentalità. Il primo ostacolo è stato il rifiuto dei ragazzi palestinesi di avvicinarsi ai nostri ragazzi. Lo stupore e il dolore sui volti degli uni e la durezza e la diffidenza su quelli degli altri, tutti ragazzini di 15 – 18 anni erano quel premio, erano il rosone del Tempio dal quale filtrava la luce mentre uno dei Hazanim salmodiava "Ani Maamin", "Io credo"... non ci siamo dati per vinti e piano, piano, rimuovendo uno dopo l'altro le decine e centinaia di muri di pregiudizi e ostilità si è danzato insieme "Yesh Lanu Taish" passando, mano nella mano, sotto un ponte di mani. Si è mangiato allo stesso tavolo, si è divisa la Nutella....e si è persino offerta anche la propria, offendola a chi non aveva mangiato fino a quell'ora perché era a digiuno per il Ramadan. L'ultimo giorno i ragazzi si sono abbracciati...Alha ha sorriso a Yarden e le ha detto: "Mi era difficile parlare con te, perché hai raccontato che fra qualche settimana diverrai una soldatessa dell'esercito d'Israele...ma ho visto la persona splendida che è in te...al di là di tutto il resto!"
Il bisogno di ringraziare Trieste era ancora  qui, nel cuore, sulle mie spalle...ma ci si alzava alle 7 e si andava a dormire alle due di notte...senza un attimo per sé...e appena ritornati a Sasa, un altro progetto: l'accoglienza in kibbutz di un gruppo di ragazze di un Centro per la salute mentale, del reparto dei disturbi alimentari di una piccola cittadina dell'Italia. Un esperimento di molti mesi, per aiutare ragazze che avevano perso il gusto del cibo e della vita: rinascere a Gerusalemme e in Galilea. Questa volta gli sforzi erano tesi completamente a creare la gioia, la serenità, l'allegria, l'affetto. E in Galilea, con un po' di fantasia, si può creare l'impossibile e le ragazze hanno trascorso una settimana di tranquillità danzando con i cirkessi e gustando il loro Haluge, una sorta di panzerotto ripieno di formaggio fatto in casa, ascoltando le storie della nostra amica drusa Afifi  che distribuiva con generosità la sua appetitosa mejadra e poi "ipnotizzate" da Idit di Sasa, docente di filosofia ebraica all'Università di Haifa, che narrava il significato della Kabbalah. Avevo il compito di raccogliere tutti questi fili e ricamare lo splendido intarsio d'oro che ha fatto scaturire tanti sorrisi. E quando una delle ragazze ha detto: "Grazie, ora siamo tante scintille, piano piano cadrà la "buccia" e noi diverremo una grande luce che aggiusterà il mondo"!...mi sono ricordata che dovevo ancora ringraziare. Ringraziare profondamente Liora e Shai Misan, la Comunità di Trieste, Giovanni Gabrielli, Mario Po e Giorgio Pressburger che hanno scelto con la Comunità ebraica di premiare quanti si prodigano per il progresso e il benessere del popolo ebraico e dell’umanità. Ecco, ce l'ho fatta finalmente! Guardo il mio premio, una preziosa miniatura del Rosone del Tempio sul quale è inciso il versetto 12 del secondo capitolo della Megillah di Ruth, straniera in terra straniera. Altra, diversa. E ringrazio ancora chi ha voluto, col suo riconoscimento, colmarmi di energie!

Angelica Edna Calo Livne, Kibbutz Sasa

Il percorso del ghèr
Per un errore della redazione l'intervento del rav Roberto Della Rocca pubblicato ieri nell'area alef/tav risultava mancante di alcune frasi. Scusandoci con l'autore e con tutti i lettori per l'omissione riproponiamo l'intervento del rav nella forma integrale.

A proposito degli interrogativi posti da Dario Calimani nel suo alef/tav della scorsa settimana, si possono fare alcune considerazioni. Non sempre ci è interdetto menzionare a un Ghèr, proselita, il suo passato e il suo percorso. Da un lato i nostri Maestri sono molto attenti alle difficoltà di ordine psicologico che incontra un ghèr. "Non opprimete il ghèr" (Shemòt, 22; 20), ingiunzione che il Tanà devé Eliahu Rabbà, 27, interpreta come: "Non opprimerlo con le parole... non dirgli: ieri eri idolatra... e hai ancora la carne di maiale tra i denti, e tu adesso vuoi parlare con me?”. La Torah ci impone costantemente di destinare un affetto e un amore speciali al convertito. I Maestri hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per evitare che il convertito all’ebraismo potesse sentirsi escluso o messo al margine dalla comunità ebraica. Il convertito non deve mai sentirsi inferiore agli altri ebrei. Parimenti, un Ghèr non dovrebbe sentirsi neppure superiore facendo pesare alla comunità gli sforzi che la sua scelta comporta. Basti pensare all'uso della parola "bà", "viene", nella frase "gher shebà lehitgajer", "un proselita che viene a convertirsi...", frase che i Maestri adoperano per ribadire il concetto che deve essere lo stesso convertito a dare inizio alla propria conversione e che il suo desiderio di far parte del popolo ebraico deve essere spontaneo. L'uso dell'espressione "gher scebà lehitgaier....", anzichè "goy" o "nochrì'", un gentile, uno straniero (...che viene a convertirsi...), che ritroviamo in tutte le fonti rabbiniche per designare coloro che si trovano nella fase precedente alla conversione, lascia intendere che il convertito sincero è considerato come ispirato dall'ebraismo anche prima di convertirsi.
I Maestri arrivano ad affermare che "sebbene il convertito non sia stato personalmente presente ai piedi del Sinai, il suo Mazal era là...", secondo quanto afferma Rashì, in Meghillah 3 a. Il termine "mazal" indica qui il doppio spirituale che nel mondo celeste è stato assegnato a ogni essere umano. I Maestri del  Talmùd, per descrivere questa rinascita del convertito, adoperano l'espressione "Ghèr shenitgaier kekatan shenolad damè...", "chi è diventato un proselita è come un bimbo appena nato..." (Yevamòt, 22a). Per questo motivo, ultimato il bagno, il convertito riceve un nuovo nome accompagnato dall'indicazione "ben Avraham Avinu", se uomo, "bat Avraham Avinu", se donna, "figlia/o di Abramo nostro padre". In questo caso assistiamo viceversa a una pubblicizzazione del percorso e dell’identità del Ghèr.

Rav Roberto Della Rocca, rabbino

pilpul
Cavaliere di Gran Croce
Francesco LucreziCredo che il governo italiano abbia raggiunto l’incredibile obiettivo di farmi provare un istintivo e irrazionale moto di solidarietà verso il presidente siriano Assad. A spingermi in tale direzione è stata la notizia, degli ultimi giorni, secondo cui il nostro Ministero degli Esteri si starebbe attivando per chiedere al presidente della Repubblica la revoca di “tutte le onorificenze” attribuite a Bashar Al Assad, compresa quella, particolarmente prestigiosa, di Cavaliere di Gran Croce, che fu attribuita in occasione di una visita di Stato effettuata a Damasco nel marzo 2010 (nel corso della quale Napolitano pronunciò, al cospetto di un compiaciutissimo dittatore, dure parole di riprovazione verso la politica di Israele, senza neanche un’ombra di critica al regime siriano: una scelta a proposito della quale, proprio su queste colonne [24 marzo 2010], ebbi modo di esternare la mia profonda amarezza e delusione).
In cosa, infatti, Assad ha modificato i suoi princìpi, i suoi gesti, la sua politica, tanto da meritare la revoca delle onorificenze? Forse prima si richiamava ai valori della democrazia, della tolleranza, del dialogo, della pace, promuoveva la cultura e la libertà di pensiero, il benessere del suo popolo, i rapporti di buon vicinato con i Paesi confinanti, e poi, improvvisamente, è cambiato, e ha scelto la strada del terrore, della violenza, della sopraffazione? Se così fosse, bene farebbe l’Italia e ritirare i suoi pomposi blasoni (immagino i sorrisi sarcastici dei cortigiani siriani, nell’infilarli in un polveroso cassetto, contrassegnato da un’etichetta del tipo DDO, “Dabbenaggine dell’Occidente”). Ma a me risulterebbe, in verità, che l’Assad di ora sia rimasto quello di ieri e di sempre: uno dei massimi foraggiatori del terrorismo mondiale, al vertice di una ferrea dittatura militare, fondata su una capillare repressone di ogni dissenso interno e su un morboso, ossessivo antisemitismo di Stato (i libri di testo scolastici trattano dei sacrifici rituali degli ebrei e dell’invenzione della Shoah, i poveri studenti, in tutti i percorsi scolastici, devono portare come materia obbligatoria la “questione palestinese”, lo stesso Assad ricordò, nel 2001, alla presenza di papa Giovanni Paolo II [anche in quel caso, senza essere contraddetto da nessuno], che gli ebrei hanno torturato Gesù ecc. ecc.). Certo, ora sta ammazzando un po’ di gente, ma solo perché c’è un’insurrezione in corso, e la situazione gli è un po’ sfuggita di mano: forse che ieri non l’avrebbe fatto?
Chiedo quindi al Ministero degli Esteri e alla Presidenza della Repubblica di volere cortesemente spiegare:
1) per quali meriti è stata attribuita, nel 2010, l’onorificenza;
2) quando e perchè tali meriti sarebbero venuti meno.
Altrimenti, chiedo che sia lasciata ad Assad la sua stupida medaglia.
P.S.
Dimenticavo, forse, che, com’è noto, l’Italia non finisce mai le guerre nello stesso fronte in cui le ha cominciate, e i ruoli di amici e nemici ci appaiono, tradizionalmente, facilmente interscambiabili. Con Gheddafi – per restare a tempi recenti - siamo passati disinvoltamente dai baciamano alle bombe e, quando è stato ucciso, il suo amico Berlusconi si è rapidamente consolato (“sic transit gloria mundi”, è stato il suo commento). Con Assad, evidentemente, sta capitando lo stesso. Solo che, al momento, la guerra civile non è ancora finita, e non appare certo che il dittatore (come evidentemente, il nostro governo prevede) sarà deposto. Che al Ministero, allora, siano stati un po’ precipitosi? Suggerirei, a titolo precauzionale, di aspettare un po’ per la revoca, se non altro per risparmiare il fastidio (e la spesa), nel caso vinca ancora il presidente, di dovergli dare un’onorificenza nuova.

Francesco Lucrezi, storico

notizie flash   rassegna stampa
Quattro nuovi inquilini a sopresa
per il parco zoologico di Tel Aviv
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Festa grande al Ramat Gan Safari, il parco zoologico di Tel Aviv, per la nascita di quattro 'gatti delle sabbie', razza ormai estinta in Israele e a rischio sempre più critico di sparizione su scala globale. Diffusa soprattutto negli assolati deserti africani e asiatici, questa rarissima specie animale conterebbe infatti appena 200 esemplari in tutto il mondo.

 

Guerra con l'Iran? Sì, ma quando? E intanto Israele sembra mettere a punto tutti i preparativi necessari per rendere possibile una azione militare che deve essere all'altezza delle grandi guerre della storia di Israele. Questo è un tema trattato da quasi tutti i quotidiani di oggi(...)



Emanuel Segre Amar

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