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  12 settembre 2012 - 18 Elul 5772
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david sciunnach
David
Sciunnach,
rabbino 


“…perché  forse in mezzo a voi potrebbe esserci una radice che produce veleno o assenzio.”(Devarìm 29, 17) I Maestri ci fanno notare che le iniziali di queste parole “Shoresh Porè Rosh Velaana” sono le stesse lettere della parola “Shofar” – corno. Il suono dello Shofar risveglia l’uomo a tornare a Dio ed a compiere quel grande atto di riconciliazione con Esso chiamato e conosciuto da tutti come Teshuvà. Da ciò s’impara che lo Shofar ha la forza per estirpare quelle radici negative che sono veleno ed assenzio per l’anima.

 Davide 
Assael,
ricercatore



davide Assael
Il timore che Israele sia spinto ad attaccare l’Iran per impedire lo sviluppo del suo programma nucleare fa certo pensare alla posizione che dovrebbero assumere gli ebrei che non vivono in Israele. Mi chiedo se il modo migliore di difendere lo Stato ebraico sia importare in Europa le categorie mediorientali, ampliando fino a portata universale lo scontro fra Ebraismo e Islam. Il mio ragionamento è molto semplice: se in Europa sia apre la deriva xenofoba perché l’ebreo ne dovrebbe restare escluso, considerato che è quasi sempre stato trattato come straniero? E se si riattivano sentimenti antisemiti, Israele sarà più protetto? Come già scrissi una volta, coloro che strizzano l’occhio ai partiti islamofobi in funzione pro-Israele mi ricordano tanto gli ebrei fascisti che si sono sentiti traditi da Mussolini; ci voleva molto a capire che quella non era roba compatibile con noi?
         
davar
Rosh haShanà 5773 - Un anno per la responsabilità
Cari amici,
voglio farvi pervenire un caldo e sincero augurio per un felice anno 5773. Nel rivolgermi a voi intendo comunicare questo messaggio a tutti gli appartenenti alle comunità ebraiche italiane delle quali siete esponenti e rappresentanti. L'applicazione del nuovo statuto ha prodotto organi istituzionali nei quali la rappresentanza e la partecipazione sono più larghe e vivaci e questo è un motivo di fiducia per la vitalità delle nostre comunità e per il positivo sviluppo delle nostre attività. Naturalmente questo allargamento potrebbe anche produrre dinamiche dispersive ed eccessiva animosità. Ma se invece prevarrà in tutti il buon senso, la moderazione e la consapevolezza della responsabilità per l'alta funzione che siamo chiamati a svolgere, certamente potremo raccogliere risultati concreti e mettere a frutto l'entusiasmo che è già emerso nel corso delle nostre prime riunioni.
Al di là delle legittime e naturali diversità di idee e di opinioni in tutte le sedi non dobbiamo mai dimenticare che ciò che ci unisce supera di gran lunga ciò che ci distingue, ma che non può e non deve dividerci.
Shanà Tovà a voi, ai vostri cari e alle vostre comunità.

Renzo Gattegna Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Qui Milano - Un esame guardando al futuro
Tutti concordi i rabbanìm che lo hanno interrogato. L’esame di Davide Muggia, 25 anni, un “fuoriclasse”, secondo la definizione del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, sfornato dalla scuola della Comunità e studente al Collegio rabbinico, è stato di un livello molto, più elevato del titolo di Maskil che ha attribuito. Un titolo che rappresenta il primo passo per la Semichah, l’ordinazione rabbinica vera e propria. “Un traguardo cui ti auguro, e ti invito, ad arrivare presto, perché con la prova che hai appena sostenuto è evidente per la preparazione che hai già il titolo di maskil è ancora troppo poco” le parole del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni.
Halachah, Tanakh, storia ebraica, tefillot, lettura di una Parashah, lingua ebraica, alcune delle materie oggetto di esame orale, dopo un tema e una traduzione dall'italiano all'ebraico per gli scritti.
Un’ora dopo l’altra sono state approfondite tematiche come la Tekiat Shofar, le norme dello Shabbat, l’origine dell’usanza ashkenazita di non mangiare riso a Pesach, la produzione del caglio animale kasher per i formaggi, la vita di Rashi, il diritto matrimoniale, le norme che regolano il periodo di lutto per la morte di una persona cara quano si sovrappone alle festività solenni.
Ad interrogare Davide Muggia, oltre a rav Arbib e rav Di Segni, il dayan rav Gad Eldad, presidente del Tribunale rabbinico a Milano e a Roma, rav Alberto Somekh, rav Gianfranco Di Segni, rav Adolfo Locci, rav Elia Richetti, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia. Dopo la maturità, Davide ha trascorso due anni alla Yeshivah Kol Torah di Gerusalemme. Oggi si divide tra gli studi ebraici e quelli scientifici all’università. Ma il sogno nel cassetto è quello, dopo i Moadìm, di volare per un anno di approfondimento negli Stati Uniti, possibilmente a New York. Un’occasione di grande festa per l’ebraismo italiano, non soltanto perché erano diversi anni che il Collegio di Milano non rilasciava un titolo, ma per il fatto che a conseguirlo sia un ragazzo di 25 anni che a Milano è nato e cresciuto. E così, quando poco dopo la proclamazione, è arrivato il momento di riunirsi per Minchah, è toccato al neo-maskil fare da hazan guidando la tefillah in un miniam colmo di Maestri. Un primo passo verso le sfide e le responsabilità che la carriera rabbinica porta con sé.
A Davide le congratulazioni della redazione del Portale dell'Ebraismo italiano.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Roma - Amori impossibili e silenzi irrisolti
Si avvia alla conclusione con gli ultimi due appuntamenti in programma questa sera la quinta edizione del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica. Alle 19, al Palazzo della Cultura, Paola Saluzzi incontra lo scrittore israeliano Etgar Keret, già protagonista negli scorsi giorni al Festivaletteratura di Mantova con la sua ultima raccolta di racconti All’improvviso bussano alla porta, mentre alle 20.30 Rosa Maria Omaggio e Paola Gassman renderanno in forma teatrale lo straordinario incontro tra Oriana Fallaci e Golda Meir magistralmente tratteggiato dalla giornalista fiorentina nel suo Intervista con la storia.
Ieri, di fronte a un pubblico molto denso e partecipe, Lia Levi ha duettato con Pamela Villoresi introducendo La notte dell'oblio, romanzo nelle librerie dallo scorso 5 settembre che attraverso le vicende della piccola Dora affronta il tema della Shoah e dei tanti silenzi ancora oggi irrisolti in Italia, mentre Savyon Liebrecht, intervistata da Cristina Comencini, si è soffermata sull'innamoramento tra Hannah Arendt e Heinz Heidegger, tra la pensatrice ebrea tedesca costretta nel 1933 ad abbandonare il suo paese e il filosofo che lo stesso anno abbracciava la dottrina nazionalsocialista. Un sentimento 'impossibile', che tanto ha fatto discutere e di cui l'autrice parla nel suo suggestivo La banalità dell'amore.

Quando la regola era il silenzio

La notte dell’oblio. È questo il titolo che Lia Levi ha scelto per il suo ultimo libro. Un’opera che la scrittrice descrive come una storia dedicata a “quegli anni in cui non si parlava di ciò che poco prima era successo”: la persecuzione razzista, la deportazione, lo sterminio. Una realtà che non veniva affrontata. Né con se stessi, all’interno della Comunità ebraica, né con il resto della società in un paese, l’Italia, che stava tentando di ricostruirsi, di ricominciare e aveva fretta di lasciarsi il passato alle spalle. “Ogni cosa può essere raccontata in tanti modi - spiega Levi - Io scrivo romanzi e lo faccio attraverso simboli narrativi”. Le vicende narrate in La notte dell’oblio prendono inizio, quando nei giorni dell’occupazione nazista, una famiglia di ebrei romani trova rifugio in campagna. Giacomo, il padre, deve recarsi periodicamente in città per occuparsi del lavoro che ha lasciato in gestione al commesso. Una sera però non torna a casa. La moglie Elsa e le due figlie adolescenti Milena e Dora si trovano a fare i conti con questa scomparsa, reagendo ciascuna a modo suo. E mentre Elsa tenta disperatamente di rimanere nel silenzio, di non portare alla luce quanto accaduto, per guardare al futuro, Dora si ritrova immersa in un viaggio alla ricerca di se stessa e delle ragioni della morte del padre, ma anche in un legame con il figlio di chi lo ha denunciato. Una storia d’amore impossibile, tra la figlia dell’ebreo deportato e il figlio del delatore, diventa così il simbolo narrativo di quell’epoca, in cui raccontare la Shoah pareva quasi “poco educato”. Ed è proprio il momento in cui Dora si fa coraggio e va a incontrare il responsabile della morte del padre, quello in cui l’autrice ammette di essersi maggiormente identificata perché “quello a cui la ragazza si trova di fronte, non è che un omuncolo, un vuoto di meschinità”. Di famiglia piemontese, nata nel 1931 e trasferitasi a Roma dopo la promulgazione delle leggi razziste nel 1938, Lia Levi nei suoi libri ha tracciato molti affreschi della vita ebraica in Italia nel ventesimo secolo, cominciando dalla sua prima fatica Una bambina e basta, pubblicato nel 1994, in cui racconta la sua infanzia nell’orrore della persecuzione e della guerra, fino ad arrivare all’ultimo, La sposa gentile, incentrato sulla vita di una famiglia piemontese all’inizio del Novecento. In mezzo tanti, tantissimi lavori per bambini. “Quando mi occupo di raccontare la realtà ebraica, mi sforzo sempre di non essere didascalica, di parlare con humor e leggerezza – sottolinea la scrittrice – Una linea guida che seguo anche nello scrivere per ragazzi. Certo in quest’ultimo caso è necessario adattarsi al pubblico cui ti rivolgi. Spesso mi trovo a dover fare un sondaggio tra i miei nipoti per sapere se conoscono questa o quella parola. Ma anche con i bambini è necessario variare”. Quella dei primi anni del dopoguerra è un’epoca che Lia Levi conosce bene, è il periodo della sua adolescenza, della sua gioventù. Una realtà che però allora la giovane Lia vedeva con occhi diversi da quelli con cui oggi ha raccontato La notte dell’oblio. “Da ragazza sapevo ciò che era successo durante la Shoah, osservavo ciò che accadeva intorno a me, eppure non lo registravo, non riflettevo sul meccanismo di rimozione che era in atto. Per rendere quest’atmosfera nel libro, ho scelto di inserire un episodio che mi è realmente accaduto. Non è una cosa che di solito faccio nei miei romanzi, ma in questo caso ho fatto un’eccezione perché penso che se avessi dovuto inventare una cosa del genere, non avrei avuto la fantasia, né il coraggio di farlo. A un campeggio ebraico, durante una serata organizzammo un quiz. Eravamo a metà degli anni Cinquanta. A una ragazza di una Comunità ebraica del Nord Italia, fu chiesto chi fosse Hitler. Lei non lo sapeva. Per aiutarla, il presentatore le chiese ancora se era una persona che aveva fatto del bene o del male agli ebrei. Rispose del bene. Penso che questo avvenimento racconti meglio di qualunque altra cosa l’atmosfera che si respirava all’epoca. Agli storici, agli studiosi va il compito di spiegare i motivi di quella situazione. Io ho cercato di raccontare le cose com’erano, quelle emozioni, quei sentimenti”.

r.t. - Pagine Ebraiche settembre 2012


Cesare Colafemmina (1933-2012)
Cordoglio nell'Italia ebraica e nella comunità scientifica per la scomparsa di Cesare Colafemmina. Storico, scrittore e biblista di fama internazionale, il professore aveva dedicato gran parte dei suoi studi alle vicende ebraiche nell'Italia meridionale insegnando Epigrafia e Antichità Ebraiche all'Università degli studi di Bari e Lingue e Letteratura Ebraica all'Università della Calabria. Studente del Pontificio Istituto Biblico di Roma, era stato ricercatore presso l'Istituto di Studi Classici e Cristiani e nel 1985 aveva fondato la rivista Sefer Yuhasin. A lungo direttore della collana Judaica della Messaggi edizioni, tra le sue numerose pubblicazioni viene ricordata in particolare la traduzione e l'edizione critica della cronaca ebraica di Ahimaaz ben Paltiel. Tra i vari riconoscimenti ottenuti in carriera il conferimento della civica benemeranza da parte del comune di Acquaviva delle Fonti nell'ottobre del 2011 mentre è di quest'anno l'attribuzione del premio Arca di Noè “per cultura e sapere inscindibilmente uniti all'amore per la verità e per l'uomo, ambiti ai quali ha dedicato tutta la vita”.
“L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – afferma il presidente Renzo Gattegna – esprime il proprio dolore e il proprio cordoglio per la scomparsa di Cesare Colafemmina. Illustre studioso delle vicende ebraiche nel Meridione d'Italia, il professore ha contribuito in modo decisivo, con l'altissimo valore e impatto delle sue ricerche, a fare luce su una storia affascinante, complessa e ricca di zone d'ombra altrimenti destinate all'oblio. Oggi salutiamo un amico sincero e generoso”.
“La notizia, anche se non improvvisa, ci rattrista particolarmente in quanto viene a mancare non solo un amico e uno studioso – scrive in una lettera inviata alla stampa locale il rabbino capo di Napoli rav Scialom Bahbout – ma una guida nello studio della storia delle comunità ebraiche del Meridione. Il lavoro fatto da Colafemmina è stato molto prezioso e penso possa essere considerato tra le radici che hanno smosso gli animi e i cuori di quanti stanno cercando di rinnovare la presenza ebraica nel Sud Italia”. Intanto dal Centro di Ricerche e Documentazione sull'Ebraismo nel Mediterraneo arriva la notizia di un grande convegno internazionale che sarà organizzato alla sua memoria dal 16 al 18 ottobre a Trani, Venosa e Bari.

Israele - Pisapia: "Abbiamo bisogno della luce dei Giusti"
Conclusa la prima missione internazionale del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che ha avuto come destinazione Israele e i territori palestinesi.
Mostrare uno Stato ebraico diverso da quello solitamente raccontato dai media. Questo era stato il desiderio espresso dal presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi, che ha accompagnato il sindaco, alla vigilia del viaggio. Un auspicio che ha avuto la possibilità di realizzarsi attraverso la visita di tanti luoghi simbolici della realtà israeliana al di là dei luoghi comuni, dalla città di Tel Aviv, con le sue avanguardie culturali e tecnologiche all’ospedale Hadassa di Gerusalemme, dal Monte Scopus, allo Yad Vashem. Una visita che ha visto l’incontro di Pisapia con il sindaco di Tel Aviv (gemellata con Milano dal 1997) Ron Houldai e con il viceministro degli Esteri Moshe Ayalon, delegato all’Expo. Proprio l’Esposizione universale che si terrà a Milano nel 2015, dal tema Nutrire il Pianeta, Energie per la vita, è stato il filo conduttore della visita di Pisapia, che ha avuto tra i suoi protagonisti anche il consigliere comunale Ruggero Gabbai, presidente della Commissione che si occupa della manifestazione.
“Non perdere la memoria. Guardare al futuro. Impegnarsi per la giustizia, per la fratellanza, per la pace. Beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Abbiamo bisogno di luce, tanta luce, la luce dei Giusti” il messaggio lasciato dal sindaco di Milano sul libro d’Onore di Yad Vashem.

pilpul
Coen
Francesco LucreziIl libro autobiografico di Claudio Coen, intitolato "C'era una volta... viale Parioli, i Coen e un turbante tra di loro" (Alpes, Roma), che si presenta oggi, mercoledì 12 settembre, presso la Comunità Ebraica di Napoli, si segnala come un testo di alta godibilità, in grado di offrire al lettore, con una scrittura ironica, leggera e scanzonata, una tenera e divertente saga personale e familiare, in cui le piccole avventure e disavventure del protagonista si intrecciano alle vicende, le ansie e le speranze di un'intera generazione italiana, quella nata agli inizi degli anni '50 e cresciuta tra i disordinati fermenti dell'emancipazione giovanile, della contestazione, delle coinvolgenti ed effimere mode "beat" e "hippy".
Per quanto riguarda, specificamente, i dati relativi all'appartenenza dell'autore alla Comunità ebraica romana, e, per di più, alla nobile stirpe dei Coen, l'autore riesce a farci partecipi di come tale elemento identitario possa, al di là dell'astratta teoria, incidere nel concreto vissuto di un ragazzo che voglia, il più possibile, vivere e divertirsi da "assimilato", all'interno del variopinto mondo dei "gentili", senza con ciò rinnegare un legame che sente particolarmente profondo e vitale, indipendentemente da ogni inquadramento teorico e culturale. Quel che emerge, soprattutto, è come l'incresciosa necessità di confrontarsi quotidianamente con sgradevoli, vecchi e nuovi stereotipi (i luoghi comuni sugli ebrei, le accuse a Israele ecc.) imponga, a un normalissimo ragazzo pariolino degli anni '60 e '70, di non fermarsi alle tradizionali, comuni semplificazioni della sua età e dei suoi anni (destra e sinistra, perbenisti e capelloni ecc.), ma di elaborare una visione della realtà più complessa e articolata, in grado di recepire e decifrare il linguaggio del "gruppo" con maggiore prudenza e attenzione di quanto non accada, solitamente, ai coetanei non correligionari. Anche quando, come nel caso dell'autore, non si sono dovuti affrontare episodi di intolleranza particolarmente duri, non solo la memoria familiare, ma lo stesso ambiente circostante impone al giovane ebreo di conciliare, non senza difficoltà, la propria vocazione di "cittadino del mondo" con la naturale funzione di erede e rappresentate di una tradizione che dal mondo, spesso, non pare compresa o benvoluta. Una condizione "border line" che, se, forse, può sottrarre un po' di serenità e spensieratezza giovanile, certamente aiuta alla formazione di una filosofia di vita più matura e consapevole, più di quanto non possano fare la frequenza di molte ore di lezione o la lettura di molti libri.
Particolarmente felici le pagine in cui l'autore, in una sorta di sorridente autoanalisi, descrive il peculiare, difficile rapporto con la propria alta dignità di Coen: un rapporto fatto, da una parte, di onore, orgoglio e responsabilità, ma, dall'altra, di un grande senso di dubbio e inadeguatezza, per la propria insufficiente conoscenza e pratica della ritualità ebraica, e anche per le perplessità riguardo al significato attuale di una funzione che gli sembra, nel mondo moderno, per certi versi, anacronistica: "il concetto di purezza globale non mi appartiene - confessa -. Chi oggi può considerarsi 'puro'?". Eppure, quantunque da 'impuro', Claudio Coen mostra, rigo per rigo, una costante fedeltà alla propria radice, anche nella sistematica inosservanza delle mitzvòt (come di fa a osservarne 613 al giorno, ogni giorno dell'anno? si chiede), anche nell'eretico approdo all'"antireligione" di John Lennon ("sono sicuro che se si abolissero le religioni e i luoghi di preghiera ci sarebbe più pace nel mondo"), attraverso un "atto di fede" non meno significativo, quale l'intima custodia della memoria di tutte le generazioni dei propri antenati, a cui mostra di sentirsi profondamente, eternamente legato come Coen, come ebreo, come uomo, nel segno delle parole di Martin Buber: ad appartenerci non è solo "il costume dei padri, ma anche la loro sorte, tutto, pena, miseria, vergogna".

Francesco Lucrezi, storico

notizie flash   rassegna stampa
Ad Agropoli protagonista
la musica klezmer di Arieli
  Leggi la rassegna

Grande successo ieri per il concerto di musiche ebraiche “New Old Klezmer”, con Amit Arieli, che si è svolto nella suggestiva location del castello angioino-aragonese ad Agropoli nell'ambito della rassegna letteraria “Settembre Culturale al Castello”, promossa dall’amministrazione comunale di Agropoli. “New Old Klezmer” è una fantasia musicale in tre parti che ripercorre la millenaria esperienza strumentale del klezmer.


 

La notizia del giorno è sicuramente la crisi sempre più seria tra USA ed Israele; Cecilia Zecchinelli sul Corriere scrive chiaramente che Obama e Netanyahu non si incontreranno a New York, in occasione dei loro interventi di fronte all’assemblea generale dell’ONU per l’impossibilità di essere nello stesso giorno nella stessa città.


Emanuel Segre Amar

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