Pennacchi,
fanfara, passo di corsa. I bersaglieri sono nuovamente al Portico
d'Ottavia, 142 anni dopo la breccia di Porta Pia e l'abbattimento dei
cancelli del vecchio ghetto. È stato un concerto, fortemente voluto da
Roma Capitale e dalla Comunità ebraica, a chiudere la prima giornata di
eventi legati alle celebrazioni del 20 settembre. Nel repertorio della
fanfara un excursus storico-musicale che ha allietato il pubblico
raccoltosi a Largo XVI ottobre per il secondo anno consecutivo, tra i
vicoli e le piazze che proprio i combattenti col pennacchio
contribuirono ad affrancare dal giogo pontificio. A ricordare le loro
azioni, con particolare riferimento ai benefici di cui potè da allora
godere la popolazione ebraica, il sindaco Gianni Alemanno, il
presidente dell'Associazione Nazionale Bersaglieri Marcello Cataldi, il
generale Antonino Torre, il presidente della Comunità ebraica e
consigliere UCEI Riccardo Pacifici e il direttore del Dipartimento di
cultura ebraica della Cer Claudio Procaccia. Distribuita a tutti i
presenti una copia della storia a fumetti che Saverio Di Tullio ha
voluto dedicare alla presa di Porta Pia e ai giorni che che fecero da
preambolo all'impresa. “Il 20 settembre – ha affermato Alemanno – segnò
il ricongiungimento della nostra città con il resto d'Italia. Questa
sera, al vostro fianco, festeggiamo l'ingresso di Roma nella modernità”. Grande
intensità anche per le celebrazioni apertesi ieri mattina a Chieri,
luogo di nascita di Giacomo Segre, militare di carriera cui fu dato
l'ordine di sparare il primo colpo perché, in quanto ebreo, non sarebbe
potuto incorrere nella scomunica di papa Pio IX. Di fronte alla sua
tomba, nella sezione ebraica del cimitero chierese, sono stati in molti
a rendergli omaggio. Assieme al sindaco Francesco Lancione,
all'assessore provinciale alla cultura Ugo Perone, al coordinatore
della Consulta per la laicità delle istituzioni Tullio Monti, anche una
rappresentanza della Comunità di Torino con gli interventi del
vicepresidente Emanuel Segre Amar, che ha ricordato il significativo
contribuito dato dagli ebrei italiani al processo di unificazione
nazionale, e dell'avvocato Bruno Segre, che si è invece soffermato sul
tema della laicità.
a.s - twitter @asmulevichmoked
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Qui Milano - Scuola ebraica o scuola per ebrei? |
Le
giornate comprese fra Rosh haShana e Yom Kippur sono dedicate alla
riflessione sui nostri destini, sul nostro futuro, sui nostri figli. In
quest’ottica nell’aula magna della scuola ebraica della comunità di
Milano ieri si è svolta una serata dal titolo Scuola ebraica o scuola
per ebrei, organizzata grazie a una collaborazione fra l’UCEI, il
Dipartimento Educazione e Cultura e la Comunità ebraica di Milano. Il
direttore del Dec UCEI rav Roberto della Rocca ha introdotto e moderato
gli interventi, chiarendo subito che l’intento non era di concentrarsi
su obiettivi e politiche scolastiche bensì ragionare insieme su qual è
la visione ebraica, o più precisamente su Quale vision e quale mission
per una Scuola Ebraica oggi?, sottotitolo dell’incontro. Le realtà
educative ebraiche italiane sono molto diversificate: si va dalle
scuole aperte di Trieste e Torino alle situazioni molto diverse di Roma
e Milano dove convivono tre istituti, come sottolineato dall’assessore
alla scuole della Comunità di Milano Daniele Schwarz, che ha
rivendicato orgogliosamente come la specificità ebraica e l’importanza
data all’educazione abbia sempre portato a risultati eccellenti. Rav
Alfonso Arbib, che oltre ad essere rabbino capo è responsabile delle
scuole per l’ebraismo ha centrato il suo intervento sull’ipotesi che
una scuola ebraica debba essere anche un rifugio. Rifugio prima dalle
leggi razziste e poi da ignoranza, violenza, droga e anche,
innegabilmente, dai matrimoni misti. Il rav ha però poi chiuso il suo
intervento negando con forza che la scelta di definire le scuole un
rifugio possa essere una scelta giusta: “Per alcune famiglie la scuola
ha tutta la responsabilità dell’educazione ebraica, quasi come se si
trattasse di una delega totale. Ma ciò è sbagliato, il ruolo delle
famiglie è insostituibile e non può essere occupato dalla scuola. A
seguire rav Igal Hazan, direttore delle scuole Merkos Leyniane Chinuch
di Milano secondo cui una scuola ebraica deve essere vista come un
tutt’uno, non può essere divisa in compartimenti con l’educazione
ebraica vista come se fosse una specializzazione. L’ebraismo deve
permeare la quotidianità e, ha ribadito più volte, l’attenzione deve
essere data alle famiglie, non solo ai singoli studenti. Che devono
essere rispettate, aiutate e supportate nel loro percorso. Più teso e
molto duro è stato l’intervento di rav Roberto Colombo, che prima di
essere direttore delle scuole di Roma è stato rabbino capo a Torino e
preside delle scuole della comunità a Milano, che ha dato una risposta
drastica alla domanda iniziale: “La scuola ebraica è una scuola per
ebrei che vivono una vita ebraica”. Ha continuato attaccando senza
mezzi termini le istituzioni criticando chi a parole difende le scuole
ma poi non vi manda i figli o chi è disponibile ad accettare qualsiasi
compromesso, sostenendo poi che chi si occupa di educazione ebraica
deve essere ebreo e non solo, ma poter essere un esempio e quindi
vivere una vita completamente ebraica. Ha preso poi la parola David
Cohenca, direttore della scuola Yoseph Tehillot di Milano che ha
ricordato come nelle prime scuole ebraiche, nel 64 E.V., la prima
caratteristica richiesta agli educatori fosse di essere affabili. Il
ruolo principale della scuola deve essere di mettere i ragazzi in grado
di fare scelte consapevoli, ma per farlo bisogna essere preparati,
avere gli strumenti necessari. La missione della scuola è anche di
trovare un punto di equilibrio tra i diversi messaggi che ricevono i
ragazzi, a scuola, a casa, dal mondo circostante. Come altri prima di
lui ha poi ribadito che le scuole milanesi non solo non sono in
conflitto né in competizione ma devono collaborare e, riprendendo
Hazan, ha ricordato come il fatto che un ragazzo si iscriva a una
qualsiasi delle scuole ebraiche sia una vittoria per tutte e tre le
scuole. Rav Benedetto Carucci, prima direttore di ebraismo, ora preside
della Scuola della Comunità di Roma è una figura che unisce in sé tutte
le caratteristiche descritte da chi ha parlato prima di lui, è un
rav-professore, coniuga una profonda preparazione ebraica e una
altrettanto profonda preparazione secolare. A suo dire bisogna
ricordare che il livello di ebraismo delle scuole ebraiche è mutevole,
e l’asticella in realtà si è notevolmente alzata negli anni,
aggiungendo livelli prima impensabili. Lo stesso concetto di scuola
ebraica non è fisso ma cambia nel tempo, e deve comunque contenere le
diverse visioni dell’ebraismo, in un difficilissimo lavoro costante di
comprensione e di mediazione, di valutazione delle diverse istanze. Per
rav Carucci manca un lavoro consapevole di costruzione di un
curriculum, manca l’idea stessa di dare un orientamento che possa
permeare tutta la scuola, tutte le materie, tutti gli argomenti.
Bisogna trovare una specificità ebraica che possa essere il cardine
intorno a cui far girare tutta la scuola, e questo ruolo può essere
ricoperto solo da un metodo di studio, un metodo che sia profondamente
ebraico. Spesso le culture non sono date dai contenuti ma dalle forme,
dai modi, ed è qui che sarebbe potrebbe trovare la risposta alle
domande della serata, usando la chavruta, lo studiare insieme, che è
poi la vera peculiarità metodologica ebraica. Per il rav non basta
dunque sapere, non basta essere, bisogna anche avere un metodo. A
conclusione della serata gli interventi del presidente della comunità
di Milano Walker Meghnagi e del rav Della Rocca che hanno ben espresso
la sensazione condivisa da tutto il pubblico: si è trattato di una
serata di grande interesse da cui sono usciti numerosi spunti che non
possono essere lasciati cadere nel nulla, ed è nato così l’impegno ad
organizzare un altro appuntamento, per proseguire il discorso.
Ada Treves twitter@atrevesmoked.it
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Premio Benatoff
- Un progetto per i leader di domani |
Da oltre tre anni
l'Associazione Hans Jonas propone iniziative rivolte ai giovani ebrei
d'Italia per aiutarli nella crescita umana e professionale e formare
così una nuova generazione di leader per l'ebraismo italiano del
futuro. L'ultima novità è il premio Rebecca Benatoff, che si
prefigge di sostenere la predisposizione di progetti tesi a promuovere
la partecipazione dei giovani alla vita comunitaria. “Attraverso
l'esperienza del master e delle conferenze che organizziamo, abbiamo
pensato fosse importante incentivare anche l’attivismo spontaneo dei
ragazzi, senza limitarci a coinvolgerli in iniziative proposte
dall’alto. Siamo molto curiosi di vedere cosa arriverà - spiega il
presidente di Hans Jonas Tobia Zevi - Ci aspettiamo idee innovative,
che ci stupiscano. Ma anche ispirarsi a ciò che viene fatto all’estero
è una buona strada”.
La capacità di dare vita a progetti autonomi è fondamentale nella
crescita dei giovani. Il rinnovamento della classe dirigente è uno dei
problemi che le Comunità ebraiche italiane si pongono. “Il tema
dell’impegno giovanile esiste in tutta la società, non soltanto in
ambito ebraico. Io penso che a mancare non sia il rinnovamento dal
punto di vista dell’età anagrafica, ma piuttosto l’apporto di nuove
proposte in un’ottica di critica costruttiva. La sensazione è che molti
giovani siano felici di limitarsi a seguire il percorso tracciato dagli
adulti” sottolinea ancora Zevi.
Hans Jonas quest’anno non riproporrà immediatamente il master come
nelle edizioni precedenti, ma si concentrerà sulla settantina di
ragazzi che lo hanno già frequentato per offrire loro nuove opportunità
di crescita, con uno sguardo alle istituzioni ebraiche internazionali e
magari favorendo l’ingresso di qualche alumno nel consiglio direttivo.
Ricordando che la grande sfida è allargare il più possibile il numero
di persone coinvolte “Quando parliamo dei giovani, ma anche degli
adulti, attivi nella vita comunitaria, facciamo riferimento sempre a
coloro che conosciamo – avverte il presidente di Hans Jonas - Ma
l’unico dato sul tema che abbiamo, cioè il numero degli iscritti che va
a votare in occasione delle elezioni comunitarie, ci racconta che la
partecipazione è molto bassa. La grande sfida, e l’ambizione del Premio
Rebecca Benatoff, per cui dobbiamo ringraziare la generosità della
famiglia Benatoff, è proprio quella di raggiungere anche tutti gli
altri”.
rt - twitter@rtercatinmoked
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Essere di parte |
Capita spesso di sentire
qualcuno affermare orgogliosamente di non occuparsi di politica, come
se questa fosse una sicura garanzia di serietà e affidabilità; come se
interessarsi al mondo che ci circonda, ragionare e discutere su come si
potrebbe migliorare la società, fossero terribili vizi da cui è bene
tenersi lontani; come se disinteressarsi dei problemi della propria
città o nazione fosse un merito. Di fronte al dilagare di questa strana
moda (a ben pensarci illogica e un po’ inquietante) di vantare il
proprio disimpegno politico, fa piacere ripensare all’esempio opposto
di una comunista orgogliosa delle proprie idee e della propria
militanza come Giorgina Arian Levi zl, ricordata a Torino il 12
settembre scorso a un anno dalla sua scomparsa. Nel corso della serata
è stata lasciata un po’ in ombra la sua esperienza parlamentare (alla
Camera dei Deputati dal 1963 al 1972), forse per la mancanza di
testimoni diretti, forse per l’affollamento di altri ricordi, o magari
anche un po’ perché di questi tempi il Parlamento non sembra godere di
grande stima e averne fatto parte non appare poi un gran merito. Molto
diversa l’immagine che emergeva dai racconti di Giorgina: mi colpiva in
particolare che affermasse di essere sempre riuscita a lavorare bene
anche con chi aveva idee politiche molto lontane dalle sue. Oggi le
opinioni politiche, e a volte semplicemente le idee, sono considerate
una stranezza di cui vergognarsi; in compenso si litiga furiosamente a
tutti i livelli, dal Parlamento alle Comunità ebraiche. Chissà, forse
solo chi è consapevole di essere “di parte” riesce davvero ad accettare
che altri possano avere opinioni diverse.
Anna
Segre, insegnante
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Calcio - Kiryat Shmona protagonista in Europa |
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la rassegna |
Impresa
storica per l'Hapoel Kiryat Shmona che ieri sera, nel primo incontro
della fase a gironi di Europa League, ha ottenuto un inaspettato
pareggio esterno in casa dell'Athetic Bilbao vicecampione in carica.
Passati in vantaggio al 14esimo minuto del primo tempo con Rochet, gli
israeliani si sono fatti raggiungere poco prima dell'intervallo da
Susaeta. Nella seconda frazione partita a senso unico ma gli ospiti
sono stati bravi (e fortunati) a resistere al lungo assedio offensivo
dei baschi.
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Tensione ancora
altissima nei paesi islamici. Dal Cairo a Teheran, da Islamabad a
Giakarta: rappresentanze diplomatiche occidentali blindate per il
pericolo di nuovi attacchi e nuove violenze dopo i drammatici
accadimenti degli scorsi giorni. "Sulle religioni c'è troppa
suscettibilità.
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