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21 settembre 2012 - 5 Tishrì 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 
 

 


Secondo un famoso verso della Torà le colpe dei padri ricadono sui figli. Sembra una punizione palesemente ingiusta. Secondo Rav Ovadia Sforno non si tratta di una punizione ma della constatazione di una realtà. Gli errori commessi dai padri vengono ripetuti dai figli, non solo, ma con la ripetizione l'errore si radica e non viene più considerato tale. Sforno però dice che la Torà ci dà lo strumento per interrompere questo processo. Questo strumento è Yom Kippùr. Yom Kippùr rappresenta la possibilità di cominciare una pagina nuova evitando così il radicamento dell'errore.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer

Nel 1934 e 1936 Korczak trascorse alcune settimane in Palestina, nel kibbutz Ein Harod. Durante il suo primo soggiorno si accorse che i bambini del kibbutz non avevano nessun giocattolo; tornato in Polonia si mise a studiare la tecnica per la costruzione degli aquiloni, le diverse correnti del vento. Nel suo secondo soggiorno a Ein Harod insegnò ai bambini a realizzare gli oggetti alati, e le regole di una festa, gli Aquiloni della Speranza, per molti anni celebrata ai piedi del monte Gilboa. Nel libro “Quando tornerò bambino” aveva scritto: “Gli adulti dicono che gli esseri umani non avranno mai le ali. Ma io sono stato adulto e posso dire che, ebbene, anche loro possono averle”.

davar
Qui Roma, Qui Chieri - I giorni della libertà
Pennacchi, fanfara, passo di corsa. I bersaglieri sono nuovamente al Portico d'Ottavia, 142 anni dopo la breccia di Porta Pia e l'abbattimento dei cancelli del vecchio ghetto. È stato un concerto, fortemente voluto da Roma Capitale e dalla Comunità ebraica, a chiudere la prima giornata di eventi legati alle celebrazioni del 20 settembre. Nel repertorio della fanfara un excursus storico-musicale che ha allietato il pubblico raccoltosi a Largo XVI ottobre per il secondo anno consecutivo, tra i vicoli e le piazze che proprio i combattenti col pennacchio contribuirono ad affrancare dal giogo pontificio. A ricordare le loro azioni, con particolare riferimento ai benefici di cui potè da allora godere la popolazione ebraica, il sindaco Gianni Alemanno, il presidente dell'Associazione Nazionale Bersaglieri Marcello Cataldi, il generale Antonino Torre, il presidente della Comunità ebraica e consigliere UCEI Riccardo Pacifici e il direttore del Dipartimento di cultura ebraica della Cer Claudio Procaccia. Distribuita a tutti i presenti una copia della storia a fumetti che Saverio Di Tullio ha voluto dedicare alla presa di Porta Pia e ai giorni che che fecero da preambolo all'impresa. “Il 20 settembre – ha affermato Alemanno – segnò il ricongiungimento della nostra città con il resto d'Italia. Questa sera, al vostro fianco, festeggiamo l'ingresso di Roma nella modernità”.
Grande intensità anche per le celebrazioni apertesi ieri mattina a Chieri, luogo di nascita di Giacomo Segre, militare di carriera cui fu dato l'ordine di sparare il primo colpo perché, in quanto ebreo, non sarebbe potuto incorrere nella scomunica di papa Pio IX. Di fronte alla sua tomba, nella sezione ebraica del cimitero chierese, sono stati in molti a rendergli omaggio. Assieme al sindaco Francesco Lancione, all'assessore provinciale alla cultura Ugo Perone, al coordinatore della Consulta per la laicità delle istituzioni Tullio Monti, anche una rappresentanza della Comunità di Torino con gli interventi del vicepresidente Emanuel Segre Amar, che ha ricordato il significativo contribuito dato dagli ebrei italiani al processo di unificazione nazionale, e dell'avvocato Bruno Segre, che si è invece soffermato sul tema della laicità.

a.s - twitter @asmulevichmoked

Qui Milano - Scuola ebraica o scuola per ebrei?
Le giornate comprese fra Rosh haShana e Yom Kippur sono dedicate alla riflessione sui nostri destini, sul nostro futuro, sui nostri figli. In quest’ottica nell’aula magna della scuola ebraica della comunità di Milano ieri si è svolta una serata dal titolo Scuola ebraica o scuola per ebrei, organizzata grazie a una collaborazione fra l’UCEI, il Dipartimento Educazione e Cultura e la Comunità ebraica di Milano.
Il direttore del Dec UCEI rav Roberto della Rocca ha introdotto e moderato gli interventi, chiarendo subito che l’intento non era di concentrarsi su obiettivi e politiche scolastiche bensì ragionare insieme su qual è la visione ebraica, o più precisamente su Quale vision e quale mission per una Scuola Ebraica oggi?, sottotitolo dell’incontro.
Le realtà educative ebraiche italiane sono molto diversificate: si va dalle scuole aperte di Trieste e Torino alle situazioni molto diverse di Roma e Milano dove convivono tre istituti, come sottolineato dall’assessore alla scuole della Comunità di Milano Daniele Schwarz, che ha rivendicato orgogliosamente come la specificità ebraica e l’importanza data all’educazione abbia sempre portato a risultati eccellenti. Rav Alfonso Arbib, che oltre ad essere rabbino capo è responsabile delle scuole per l’ebraismo ha centrato il suo intervento sull’ipotesi che una scuola ebraica debba essere anche un rifugio. Rifugio prima dalle leggi razziste e poi da ignoranza, violenza, droga e anche, innegabilmente, dai matrimoni misti. Il rav ha però poi chiuso il suo intervento negando con forza che la scelta di definire le scuole un rifugio possa essere una scelta giusta: “Per alcune famiglie la scuola ha tutta la responsabilità dell’educazione ebraica, quasi come se si trattasse di una delega totale. Ma ciò è sbagliato, il ruolo delle famiglie è insostituibile e non può essere occupato dalla scuola. A seguire rav Igal Hazan, direttore delle scuole Merkos Leyniane Chinuch di Milano secondo cui una scuola ebraica deve essere vista come un tutt’uno, non può essere divisa in compartimenti con l’educazione ebraica vista come se fosse una specializzazione. L’ebraismo deve permeare la quotidianità e, ha ribadito più volte, l’attenzione deve essere data alle famiglie, non solo ai singoli studenti. Che devono essere rispettate, aiutate e supportate nel loro percorso. Più teso e molto duro è stato l’intervento di rav Roberto Colombo, che prima di essere direttore delle scuole di Roma è stato rabbino capo a Torino e preside delle scuole della comunità a Milano, che ha dato una risposta drastica alla domanda iniziale: “La scuola ebraica è una scuola per ebrei che vivono una vita ebraica”. Ha continuato attaccando senza mezzi termini le istituzioni criticando chi a parole difende le scuole ma poi non vi manda i figli o chi è disponibile ad accettare qualsiasi compromesso, sostenendo poi che chi si occupa di educazione ebraica deve essere ebreo e non solo, ma poter essere un esempio e quindi vivere una vita completamente ebraica. Ha preso poi la parola David Cohenca, direttore della scuola Yoseph Tehillot di Milano che ha ricordato come nelle prime scuole ebraiche, nel 64 E.V., la prima caratteristica richiesta agli educatori fosse di essere affabili. Il ruolo principale della scuola deve essere di mettere i ragazzi in grado di fare scelte consapevoli, ma per farlo bisogna essere preparati, avere gli strumenti necessari. La missione della scuola è anche di trovare un punto di equilibrio tra i diversi messaggi che ricevono i ragazzi, a scuola, a casa, dal mondo circostante. Come altri prima di lui ha poi ribadito che le scuole milanesi non solo non sono in conflitto né in competizione ma devono collaborare e, riprendendo Hazan, ha ricordato come il fatto che un ragazzo si iscriva a una qualsiasi delle scuole ebraiche sia una vittoria per tutte e tre le scuole. Rav Benedetto Carucci, prima direttore di ebraismo, ora preside della Scuola della Comunità di Roma è una figura che unisce in sé tutte le caratteristiche descritte da chi ha parlato prima di lui, è un rav-professore, coniuga una profonda preparazione ebraica e una altrettanto profonda preparazione secolare. A suo dire bisogna ricordare che il livello di ebraismo delle scuole ebraiche è mutevole, e l’asticella in realtà si è notevolmente alzata negli anni, aggiungendo livelli prima impensabili. Lo stesso concetto di scuola ebraica non è fisso ma cambia nel tempo, e deve comunque contenere le diverse visioni dell’ebraismo, in un difficilissimo lavoro costante di comprensione e di mediazione, di valutazione delle diverse istanze. Per rav Carucci manca un lavoro consapevole di costruzione di un curriculum, manca l’idea stessa di dare un orientamento che possa permeare tutta la scuola, tutte le materie, tutti gli argomenti. Bisogna trovare una specificità ebraica che possa essere il cardine intorno a cui far girare tutta la scuola, e questo ruolo può essere ricoperto solo da un metodo di studio, un metodo che sia profondamente ebraico. Spesso le culture non sono date dai contenuti ma dalle forme, dai modi, ed è qui che sarebbe potrebbe trovare la risposta alle domande della serata, usando la chavruta, lo studiare insieme, che è poi la vera peculiarità metodologica ebraica. Per il rav non basta dunque sapere, non basta essere, bisogna anche avere un metodo.
A conclusione della serata gli interventi del presidente della comunità di Milano Walker Meghnagi e del rav Della Rocca che hanno ben espresso la sensazione condivisa da tutto il pubblico: si è trattato di una serata di grande interesse da cui sono usciti numerosi spunti che non possono essere lasciati cadere nel nulla, ed è nato così l’impegno ad organizzare un altro appuntamento, per proseguire il discorso.

Ada Treves twitter@atrevesmoked.it

Premio Benatoff - Un progetto per i leader di domani
Da oltre tre anni l'Associazione Hans Jonas propone iniziative rivolte ai giovani ebrei d'Italia per aiutarli nella crescita umana e professionale e formare così una nuova generazione di leader per l'ebraismo italiano del futuro. L'ultima novità è il premio Rebecca Benatoff, che si  prefigge di sostenere la predisposizione di progetti tesi a promuovere la partecipazione dei giovani alla vita comunitaria. “Attraverso l'esperienza del master e delle conferenze che organizziamo, abbiamo pensato fosse importante incentivare anche l’attivismo spontaneo dei ragazzi, senza limitarci a coinvolgerli in iniziative proposte dall’alto. Siamo molto curiosi di vedere cosa arriverà - spiega il presidente di Hans Jonas Tobia Zevi - Ci aspettiamo idee innovative, che ci stupiscano. Ma anche ispirarsi a ciò che viene fatto all’estero è una buona strada”. 
La capacità di dare vita a progetti autonomi è fondamentale nella crescita dei giovani. Il rinnovamento della classe dirigente è uno dei problemi che le Comunità ebraiche italiane si pongono. “Il tema dell’impegno giovanile esiste in tutta la società, non soltanto in ambito ebraico. Io penso che a mancare non sia il rinnovamento dal punto di vista dell’età anagrafica, ma piuttosto l’apporto di nuove proposte in un’ottica di critica costruttiva. La sensazione è che molti giovani siano felici di limitarsi a seguire il percorso tracciato dagli adulti” sottolinea ancora Zevi.
Hans Jonas quest’anno non riproporrà immediatamente il master come nelle edizioni precedenti, ma si concentrerà sulla settantina di ragazzi che lo hanno già frequentato per offrire loro nuove opportunità di crescita, con uno sguardo alle istituzioni ebraiche internazionali e magari favorendo l’ingresso di qualche alumno nel consiglio direttivo. Ricordando che la grande sfida è allargare il più possibile il numero di persone coinvolte “Quando parliamo dei giovani, ma anche degli adulti, attivi nella vita comunitaria, facciamo riferimento sempre a coloro che conosciamo – avverte il presidente di Hans Jonas - Ma l’unico dato sul tema che abbiamo, cioè il numero degli iscritti che va a votare in occasione delle elezioni comunitarie, ci racconta che la partecipazione è molto bassa. La grande sfida, e l’ambizione del Premio Rebecca Benatoff, per cui dobbiamo ringraziare la generosità della famiglia Benatoff, è proprio quella di raggiungere anche tutti gli altri”.

rt - twitter@rtercatinmoked

pilpul
Essere di parte
Anna SegreCapita spesso di sentire qualcuno affermare orgogliosamente di non occuparsi di politica, come se questa fosse una sicura garanzia di serietà e affidabilità; come se interessarsi al mondo che ci circonda, ragionare e discutere su come si potrebbe migliorare la società, fossero terribili vizi da cui è bene tenersi lontani; come se disinteressarsi dei problemi della propria città o nazione fosse un merito. Di fronte al dilagare di questa strana moda (a ben pensarci illogica e un po’ inquietante) di vantare il proprio disimpegno politico, fa piacere ripensare all’esempio opposto di una comunista orgogliosa delle proprie idee e della propria militanza come Giorgina Arian Levi zl, ricordata a Torino il 12 settembre scorso a un anno dalla sua scomparsa. Nel corso della serata è stata lasciata un po’ in ombra la sua esperienza parlamentare (alla Camera dei Deputati dal 1963 al 1972), forse per la mancanza di testimoni diretti, forse per l’affollamento di altri ricordi, o magari anche un po’ perché di questi tempi il Parlamento non sembra godere di grande stima e averne fatto parte non appare poi un gran merito. Molto diversa l’immagine che emergeva dai racconti di Giorgina: mi colpiva in particolare che affermasse di essere sempre riuscita a lavorare bene anche con chi aveva idee politiche molto lontane dalle sue. Oggi le opinioni politiche, e a volte semplicemente le idee, sono considerate una stranezza di cui vergognarsi; in compenso si litiga furiosamente a tutti i livelli, dal Parlamento alle Comunità ebraiche. Chissà, forse solo chi è consapevole di essere “di parte” riesce davvero ad accettare che altri possano avere opinioni diverse.

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Calcio - Kiryat Shmona
protagonista in Europa
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Impresa storica per l'Hapoel Kiryat Shmona che ieri sera, nel primo incontro della fase a gironi di Europa League, ha ottenuto un inaspettato pareggio esterno in casa dell'Athetic Bilbao vicecampione in carica. Passati in vantaggio al 14esimo minuto del primo tempo con Rochet, gli israeliani si sono fatti raggiungere poco prima dell'intervallo da Susaeta. Nella seconda frazione partita a senso unico ma gli ospiti sono stati bravi (e fortunati) a resistere al lungo assedio offensivo dei baschi.
 

Tensione ancora altissima nei paesi islamici. Dal Cairo a Teheran, da Islamabad a Giakarta: rappresentanze diplomatiche occidentali blindate per il pericolo di nuovi attacchi e nuove violenze dopo i drammatici accadimenti degli scorsi giorni. "Sulle religioni c'è troppa suscettibilità.






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