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27 settembre 2012 - 11 Tishrì 5773
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


Questa Parasha, che quasi sempre leggiamo nello Shabbàth fra Ro’sh Ha-Shanà e Kippùr, ci viene presentata in forma poetica, di cantica; lo scopo, dichiarato, è che sia facile da imparare a memoria, affinché il suo messaggio non venga mai dimenticato. È un contenuto quantomai opportuno per questo periodo dell’anno: l’ammonizione di Moshè affinché Israele ricordi i benefici che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ ha dato, ed eviti di cadere negli errori già commessi. È un monito a una continua Teshuvà, un monito da ripetere e ricordare in continuazione, come le filastrocche dell’infanzia. I toni sono a volte morbidi, a volte sferzanti, a volte ironici. Ogni persona deve trovarvi il linguaggio più adatto a se stessa. La cantica è stata effettivamente trasmessa, per iscritto e oralmente, fino ai nostri giorni: ricordo ancora che alcuni anni fa c’era chi la ricordava tutta a memoria fin dai tempi delle elementari. Sembra però che al giorno d’oggi essa non sia più patrimonio comune come solo due generazioni fa. Il rischio è che, se già allora essa era recitata a memoria, ma si era persa la conoscenza e la coscienza del suo messaggio, oggi stia per diventare solo un testo oscuro che sul Séfer compare con un incolonnamento particolare. Dovremmo certamente reimpararla  "‘ad tummàm”, fino al suo completamento, che certamente non coincide semplicemente con l’ultimo versetto: bisognerebbe che la forma “curiosa” in cui compare nella Torah diventasse motivo di studio e di approfondimento, in modo da farla ridiventare materia di ogni giorno.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Solo ora, molti mesi dopo, vediamo su UTube un filmato del Fatto Quotidiano dello scorso aprile in cui il francescano Atermio Victores, Vicario della Custodia di Terra Santa, parla della riduzione dalla popolazione cristiana a Gerusalemme e nella zona circostante. Victores attribuisce il calo demografico alla discriminazione di cui sarebbero vittime i cristiani in Israele. I fatti sono ben diversi. Nella città di Gerusalemme nel 1947, prima dell'occupazione della città vecchia e dei quartieri orientali da parte della Legione Araba, i cristiani erano 32.700. Nel 1967, al momento dell'annessione di quegli stessi quartieri orientali da parte di Israele dopo la guerra dei Sei Giorni, i cristiani erano ridotti a 12.900. Oggi sono 14.600. In tutta Israele, al momento dell'indipendenza nel 1948, vivevano 34.000 cristiani e all'inizio del 2012 il loro numero era aumentato a 154.000. Dunque sotto regime israeliano i cristiani sono aumentati, anche se meno di fronte all'enorme crescita proporzionale e assoluta dei musulmani. La fuga dei cristiani è avvenuta interamente dai territori governati dall'Autorità palestinese. Città storicamente cristiane come Betlemme-Beit Jalah e Ramallah-El Bireh, sono diventate roccaforti musulmane. Atermio Victores dica allora tutta la verità: la fuga dei cristiani non è dalle aree ebraiche, è dalle aree islamiche sotto la spinta della continua intimidazione retorica e fisica della dirigenza politica e religiosa e dei movimenti terroristici palestinesi. Il Fra Victores che attribuisce il calo demografico dei suoi correligionari agli israeliani è un rozzo polemista, un demagogo manipolatore di mezze verità, e un seminatore di odio e di discordia che fanno molto male al dialogo inter-religioso. Concediamo pure a Fra Victores di essersi espresso a titolo personale, magari per far piacere alla redazione del Fatto Quotidiano. Ma ci aspettiamo dal Custode di Terra Santa, Monsignor Pierbattista Pizzaballa, un autorevole esplicito cenno di rettifica delle false e nocive esternazioni del suo vicario.

davar
Claims Conference - Nuovi criteri per l'accesso al fondo
La Segreteria dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rende noto che sono stati migliorati i criteri di accesso al fondo "Articolo 2" gestito dalla Claims Conference a beneficio dei perseguitati ebrei sopravvissuti alla Shoah. Recentemente la Claims ha negoziato con il governo tedesco un'ulteriore riduzione del periodo trascorso in condizioni di disagio estremo durante il nazifascismo aumentando così in modo significativo il numero di persone che possono accedere al fondo.
I criteri di ammissibilità sono adesso riservati ai sopravvissuti che possono dimostrare di aver vissuto:
1) Almeno 6 mesi di prigionia in un campo di concentramento (KZ) o in un campo di lavoro forzato
2) Almeno 6 mesi nei campi di lavoro determinati in Tunisia, Marocco o Algeria
3) Almeno 6 mesi di prigionia in un ghetto
4) Almeno 6 mesi di vita trascorsi in un nascondiglio in condizioni disumane, senza accesso all’esterno, nei territori occupati dai nazisti oppure loro alleato
5) Almeno 6 mesi di vita sotto falsa identità e in condizioni disumane, nei territori occupati dai nazisti oppure loro alleati.
Si ricorda che il periodo di occupazione nazista in Italia ha inizio l'8 settembre 1943 e finisce, nel Nord Italia il 25 aprile del 1945 mentre a Roma il 4 giugno dell'anno precedente, che gli eredi del sopravvissuto non sono ammessi al fondo e che il reddito netto annuale del richiedente non può superare in valuta locale l'importo di 16mila dollari (dal calcolo sono escluse le pensioni sociali, da lavoro, il vitalizio di benemerenza e il KZ)
Per ulteriori e più specifiche informazioni, la Segreteria UCEI è a vostra disposizione ai numeri: 06- 45542299/200. Il sito da cui è possibile stampare il modello per la domanda dell’Articolo 2 è www.claimscon.org.

Qui Roma - Maya Zack e le nuove tendenze israeliane
Terza tappa del progetto About Paper. Israeli Contemporary Art a Roma. L'iniziativa, curata da Giorgia Calò, vuol essere un ponte sulle ultime tendenze israeliane attraverso il talento di sette artiste impegnate su diversi fronti dell'esplorazione tematica ma unite dal mezzo comune utilizzato per raggiungere l'obiettivo: la carta. Dopo Maya Attoun e Hilla Ben Ari, protagoniste a gennaio con Failing in line, e le suggestioni primaverili della Sought City di Yifat Bezalel, è adesso la volta di Maya Zack, classe 1976 da Tel Aviv, di cui si inaugura domani pomeriggio la personale Made to Measure / videos and drawings. L'appuntamento è alle 18 alla Galleria Marie-Laure Fleisch, teatro delle precedenti performance e pronta ad ospitare prossimamente anche le opere di Etti Abergel, Yael Balaban e Ofri Cnaani. Ad accogliere il pubblico un'installazione che si presenta come un ufficio ricolmo di scartoffie, scaffalature metalliche e scatole di cartone che vogliono ricreare parte dell'ambientazione che appare nel video Black and White Rule (2011). L'obiettivo della Zack, vincitrice lo scorso anno dell'Hayetzira Award del Ministero israeliano della cultura e del Tel Aviv Museum of Art Prize, è quello di esplorare il rapporto tra video e disegno, due mezzi ricorrenti nel suo linguaggio artistico. Nel video, spiega la curatrice, i disegni sono lo strumento pratico utilizzato dai personaggi per misurare le cose apparendo sotto forma di equazioni, immagini di archivio e diagrammi, mentre i disegni su carta di varie dimensioni, accompagnano e proseguono lungo la galleria la trama del video che si fa così significato e significante. “La distorsione percettiva tra realtà e rappresentazione – afferma Calò – è enfatizzata anche dall’esposizione di carte raffiguranti personaggi disegnati in scala reale nell’atto di misurare ciò che li circonda. Il loro modo di mappare e ridefinire lo spazio in maniera quasi ossessiva, provoca nello spettatore uno stato di suspense che ritroviamo come elemento dominante anche nel video stesso, tutto giocato sul concetto di pausa narrativa in corrispondenza di un momento di tensione, in cui i personaggi compiono ancora una volta gesti precisi. L’intera mostra verte quindi sul dialogo continuo tra dentro e fuori, senso e non senso, mediante la realizzazione di ambienti reali e fittizi che si mostrano come luoghi algidi e asettici, saturi della presenza/assenza dell’uomo”.

La mostra sarà visitabile fino al 17 novembre dalle 14 alle 20 (mattina e domenica su appuntamento).
           

Qui Parma - In ricordo del garibaldino Eugenio Ravà
Il ricordo dei defunti della Comunità ebraica di Parma nei giorni tra Rosh haShana e Yom Kippur si è intrecciato con la commemorazione del patriota garibaldino Eugenio Ravà, sepolto nel Cimitero ebraico all’interno del cimitero monumentale della Villetta in una tomba appena restaurata dal Comune di Parma. Hanno preso parte alla celebrazione il neo-nominato rabbino di Parma David Sciunnach, il presidente della Comunità Giorgio Yehuda Giavarini, il vice Riccardo Yoshua Moretti, il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti che ha auspicato una continuità nella collaborazione tra le Comunità in un periodo di crisi come l’attuale. Il direttore dell’Archivio storico comunale di Parma, Roberto Spocci, ha tenuto un ricordo di Ravà, nato a Reggio Emilia nel 1840, morto a Parma nel 1901, che lottò per l’unità d’Italia partecipando anche alla spedizione dei Mille, e collaborò con gli unionisti nella Guerra di secessione americana.
Il presidente Giavarini ha contestualizzato la vicenda di Ravà nell’ambito della presenza ebraica italiana che fu una componente importante del movimento risorgimentale. Gli ebrei italiani presero parte all’attività cospirativa mazziniana, furono attivi nei moti del 1820-21 e del 1830-31, e nella Repubblica romana del 1848, parteciparono alle guerre del Risorgimento e alla presa di Roma il 20 settembre 1870. Alla cerimonia ha partecipato un parente di Eugenio, Tobia Ravà, noto artista di Venezia, che ha ricordato altri membri della famiglia che si dedicarono alle lotte risorgimentali. Sulla lapide del patriota a Parma, sapientemente restaurata dopo un periodo di incuria, sono incise parole di una lettera del 1863 in cui Giuseppe Garibaldi raccomanda il capitano Ravà ad amici in America durante il suo esilio ricordando la sua partecipazione alle lotte per la libertà.

Laura Caffagnini

pilpul
Responsabilità
Alla presentazione delle lettere di Rav Sacks, il Rav Di Segni ha ricordato come con  Kippur espiamo unicamente le colpe nei confronti di D-o e non invece nei confronti del prossimo. Un insegnamento decisamente interessante che ci ricorda come la responsabilità individuale rappresenti un principio cardine dell’ebraismo e che il nostro scopo in questo mondo non possa ridursi alla mera trascendenza. Spetta a noi in questo mondo e con le persone che ci sono intorno adoperarci affinché le cose cambino. E per farlo, il primo passo di un nuovo cammino come quello dell’anno nuovo, non può essere altro che la riconciliazione tra persone della stessa comunità che condividono insieme lo stesso destino. Speriamo che questo possa essere l’auspicio per l’ebraismo italiano e per tutti noi.

Daniel Funaro, studente

Ora di religione

Rivedere l'ora di religione? A quanto pare Profumo svanito presto...


Gadi Polacco



notizieflash   rassegna stampa
La musica dei lager in scena alla Risiera   Leggi la rassegna

“L’Imperatore di Atlantide ossia Il rifiuto della morte”, scritta all’interno del Ghetto di Theresienstadt, andrà in scena stasera alla Risiera di San Sabba. L’opera musicata da Victor Ullmann, sul libretto di Peter Kien (entrambi morti ad Auschwitz) sarà diretta da Davide Casali con la regia di Lino Marrazzo. “La musica diventa così salvezza contro le violenze naziste” ha dichiarato Casali al quotidiano la Stampa.
 

Prosegue il dibattito a proposito dell’ora di religione. Alle considerazioni sulle opportunità di cambiare il programma della materia, per renderla meno legata alla religione cattolica, espresse negli scorsi giorni dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo














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