Il
prossimo mercoledì, al termine della festività di Sukkot, gli ebrei
romani si ritroveranno al Tempio Maggiore per una cerimonia in ricordo
dell'attacco in cui, il 9 ottobre di 30 anni fa, sotto i colpi del
terrorismo palestinese, perse la vita il piccolo Stefano Gay Taché. Tra
gli ospiti il Capo dello Stato Giorgio Napolitano e alcune tra le più
alte cariche istituzionali.
Un nuovo studio, a cura di Arturo
Marzano e Guri Schwarz, ricostruisce intanto il clima difficile di
quegli anni, il linguaggio sempre più aspro dei media e dell'opinione
pubblica verso la legittimità stessa di Israele, con riflessi
significativi per tutto l'ebraismo italiano, a partire dalla Guerra dei
sei giorni (1967) fino alle ore ad altissima tensione che precedettero
l'agguato. Nella seconda parte dell'opera una densa analisi sulla nuova
stagione di riflessione che, in seguito ai tragici fatti del 9 ottobre,
si sviluppò all'interno dei partiti, delle comunità ebraiche e di tutta
la società italiana.
Il numero di ottobre di Pagine Ebraiche in
distribuzione offre ai suoi lettori un'anteprima su questo lavoro
inedito e prezioso che sarà nelle librerie in primavera, in prossimità
della cerimonia in cui ogni 9 maggio al Quirinale sono ricordate le
vittime del terrorismo. Per la prima volta, tra i nomi solennemente
pronunciati dal presidente della Repubblica, dovrebbe esserci anche
quello di Stefano Gay Taché.
La Guerra dei sei giorni (1967)
rappresentò uno spartiacque decisivo per il modo di rapportarsi
dell'opinione pubblica italiana nei confronti di Israele – e di
riflesso anche verso tutto il mondo ebraico – segnando l'inizio di un
processo di allontanamento oltre che di imbarimento verbale il cui
apice sarà toccato con la bara lanciata da alcuni facinorosi davanti al
Tempio Maggiore di Roma in seguito ai fatti di Sabra e Chatila. Un arco
temporale dal quale prende avvio il denso lavoro di ricerca che gli
storici Arturo Marzano e Guri Schwarz stanno completando in questi mesi
con l'obiettivo di fare chiarezza da una parte sul clima pesantissimo
degli anni che precedettero l'attentato alla sinagoga, sul linguaggio
adottato dai dirigenti politici e sui venti d'odio propagati dalle
realtà sociali e aggregative più influenti, e dall'altra di cogliere le
conseguenze di questa campagna una volta arrivati al punto di non
ritorno del 9 ottobre 1982. Conseguenze politiche, giudiziarie e
mediatiche. Ma anche l'inizio di una fase di ripensamento, all'interno
delle comunità ebraiche, sull'effettiva consistenza del morbo
antisemita in Italia. Una presa di coscienza che portò a guardare con
occhi diversi non solo al presente ma anche a un passato non troppo
lontano, alle responsabilità della popolazione italiana negli
ingranaggi delle persecuzioni nazifasciste e della Shoah. Lo scritto
arriverà nelle librerie a marzo. Giusto in tempo per le celebrazioni
del 9 maggio, il giorno solenne del ricordo delle vittime del
terrorismo al Quirinale. A trent'anni da quel Sheminì Atzeret profanato
dal sangue e, dopo la menzione speciale della scorsa primavera, con un
nuovo nome pronto ad essere iscritto nel registro: Stefano Gay Taché.
L'approfondimento di Marzano, curatore della prima sezione del volume,
si apre con il fatidico 1967 dipanandosi in varie direzioni: politica,
con la strada di un sempre più marcato sentimento anti-israeliano
percorsa a partire da quel momento, con tempi e modalità differenti, da
Democrazia cristiana, Partito comunista e Psi, ma inevitabilmente anche
sociale, con l'esordio della questione palestinese nel discorso
pubblico, nei giornali, nel palinsesto televisivo, e con la
collocazione della lotta dell'Olp e degli altri gruppi di guerriglieri
orbitanti nella galassia anti-israeliana tra le grandi vicende
partigiane del secondo Novecento. Un fenomeno che guadagna spazio e
consenso, molto forte negli ambienti dell'estrema sinistra ma diffuso
in modo trasversale anche in contesti sulla carta più moderati, che ha
tra i suoi effetti più concreti l'entrata in scena di una retorica che
attinge dalle avversità vissute sulla propria pelle dal popolo ebraico
per puntare il dito contro Israele secondo uno schema che ancora oggi
miete consensi: la trasformazione della vittima in carnefice, il
“nazisionista”. “Analizzando i giornali di quel tempo, soprattutto
dallo scoppio della guerra del Libano in poi – spiega Marzano – vengono
fuori cose terribili. Costanti riferimenti ai nazisti di Palestina, al
Ghetto di Varsavia, ad Auschwitz. Un linguaggio velenoso che degenera
nell'antisemitismo più becero alimentando un clima davvero pesante
sulle comunità ebraiche d'Europa. La tensione si fa sempre più alta”. È
una prospettiva di totale irrazionalità svincolata dal contesto in cui
fu progettato l'agguato alla sinagoga di Roma, continua lo studioso, ma
che finì lo stesso per influenzare in negativo non pochi italiani.
Tracce di quella dilagante aggressività è possibile ritrovarle anche
negli archivi del ministero degli Interni e in quello della Cgil dove,
afferma Marzano, a lettere di condanna dure e senza appello ma non
contaminate da un sentimento almeno apparentemente antiebraico, si
affiancano testimonianze, anche autorevoli, che non lasciano dubbi
sulla loro matrice. Per gli ebrei italiani arriva così il momento di
fare chiarezza. Su se stessi, ma anche e soprattutto sugli altri. Amici
veri, finti amici, nemici autentici: è tempo di sgombrare il campo
dagli equivoci. “La prima guerra del Libano – afferma Schwarz – fu
l'occasione di una vera e propria 'crisi di memoria' che portò a una
trasformazione della rappresentazione collettiva della seconda guerra
mondiale, dell'autocoscienza ebraica e dell'immagine stessa dell'ebreo.
Un processo che portò a interrogarsi su temi fino ad allora toccati
solo marginalmente”. Ad agire nell'ottica di un ripensamento delle
proprie posizioni, ma soltanto dopo il 9 ottobre, saranno anche alcuni
settori dell'opinione pubblica e della classe politica. Significativo
in questo senso toccare con mano le diverse parabole dei partiti di
sinistra. È quello che ha fatto Schwarz, cogliendo vari aspetti di un
fenomeno estremamente dinamico e complesso. E se il Psi continua ad
estendere la propria infuenza sui paesi arabi è nel Pci, sottolinea lo
storico, che avvengono le cose più interessanti. Ad aprire il dibattito
contribuisce una relazione di Giorgina Arian Levi in cui l'attivista
torinese spiega alla dirigenza nazionale i perché più difficili da
raccontarsi sulla defezione di numerosi ebrei dal partito. “Nel Pci,
nei mesi successivi all'attentato si inizia realmente a discutere di
antisemitismo e di rapporto con le minoranze. Un lavorio interno che
darà i suoi frutti – spiega Schwarz – portando ad esempio al grande
convegno sulle Leggi razziali organizzato da Nilde Iotti alla Camera
(1988) e ancora prima alla missione di Giorgio Napolitano in Israele.
Segnali di un Pci sempre più distante da Mosca che stava cambiando
pelle e mentalità.
Adam
Smulevich, Pagine Ebraiche ottobre 2012
30 anni - Il ricordo del rav: "
Un risveglio terribile"
È
una cicatrice che non potrà mai rimarginarsi, una sensazione di
precarietà che talvolta affiora e torna a sconvolgere come in occasione
del recente attacco alla scuola Ozar Hatorah di Tolosa. Rav Benedetto
Carucci Viterbi, preside delle scuole ebraiche di Roma, l'agguato al
Portico d'Ottavia l'ha vissuto in prima persona e ancora oggi, nella
mente ma anche nel corpo, conserva una traccia indelebile di quei
momenti. “Ero appena uscito dal Tempio in compagnia di alcuni amici,
dalla parte di via Catalana – racconta – quando ebbi l'impressione che
ci stessero tirando contro dei petardi. Erano i terroristi, ovviamente.
Colpito da alcune schegge, caddi subito a terra e persi conoscenza per
diversi minuti. Tra i dieci e venti, non so valutare con esattezza.
Dalla ferita, una volta ripreso, mi accorsi che usciva molto sangue”.
Valutato tra i feriti più gravi, il rav – all'epoca 22enne – viene
caricato su un'ambulanza e trasportato all'ospedale Nuova Regina
Margherita. Dopo alcune ore lo raggiungono i genitori, in quei giorni
fuori città, che apprendono del ricovero del figlio senza ulteriori
ragguagli sul suo stato di salute (la diagnosi evidenzierà un danno
permanente al malleolo). “Dev'essere stato un viaggio terribile –
commenta – posso solo immaginare l'angoscia e la tensione di quei
momenti”. L'ospedalizzazione dura poco più di una settimana: sono
giorni durissimi, colmi di dolore e sofferenza in cui, come tanti
altri, si sforza di mettere in fila i tasselli del puzzle di violenza e
orrore che ha sconvolto gli ebrei di Roma. Anche se le informazioni dal
mondo esterno, su decisione della madre presa di comune accordo con il
medico di famiglia, filtrano solo parzialmente. “Nei mesi precedenti
l'aria si era fatta molto pesante in tutta Europa con attacchi,
aggressioni e violenze. Ciò nonostante – afferma – l'ipotesi di un
attentato alla sinagoga di Roma non era in alcun modo contemplata nel
mio orizzonte mentale. Fu un risveglio atroce”.
as - Pagine Ebraiche ottobre 2012
Qui Gerusalemme - Il racconto dei
testimoni
L'agguato mortale al Portico d'Ottavia sarà ricordato anche a
Gerusalemme con una serata di riflessione, testimonianze e dibattito in
programma mercoledì 10 ottobre alle 20 nella Sala degli Affreschi in
Rechov Hillel. Nel corso dell'incontro, cui prenderà parte anche il neo
ambasciatore d'Italia in Israele Francesco Maria Talò, saranno
proiettati spezzoni di telegiornali e rubriche televisive, commenti e
interviste dell'epoca, titoli delle testate più importanti, racconti
dei testimoni diretti che oggi vivono in Israele. Spazio infine per le
valutazioni di Gadiel Taché, fratello del piccolo Stefano e vittima
egli stesso del commando palestinese che portò morte e violenza nel
cuore di Roma. A moderare i vari interventi David Pacifici, che ha
raccolto e ordinato tutto il materiale. Tra gli altri sarà presente
anche il dottor Moshé Zarfati, tra i primi a prestare soccorso ai
feriti in quella drammatica circostanza.
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Circoncisione -
Germania verso una nuova legge
La soddisfazione di comunità ebraiche e islamiche
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Soddisfazione, da parte delle
massime rappresentanze ebraiche e islamiche di Germania, è stata
espressa in seguito all'intesa appena raggiunta dal governo tedesco su
una proposta di legge per regolare la pratica della circoncisione. La
notizia arriva a pochi mesi di distanza dalla ben nota sentenza del
tribunale di Colonia che aveva equiparato la pratica rituale a una
forma di lesione dolosa. Un pronunciamento che aveva suscitato stupore
e sdegno in tutta Europa e l'intervento tra gli altri del presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna che, in un
messaggio inviato al suo omologo tedesco Dieter Graumann, aveva
affermato: "L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane approva il vostro
preciso e circostanziato intervento a difesa della libertà religiosa e
la decisione di investire direttamente il Parlamento tedesco della
questione al fine di impedire che possano essere violati principi
praticati in tutte le democrazie progredite e che stanno alla base
della convivenza fra i popoli”.
In futuro, prevede il documento, non saranno punibili le operazioni di
circoncisione sui minori praticate rispettando determinati standard
medici. Le circoncisioni rituali, in particolare, potranno essere
eseguite entro sei mesi dalla nascita del bambino anche da
rappresentanti della comunità religiosa con competenze specifiche. I
genitori dovranno essere inoltre informati delle conseguenze e dei
possibili rischi dell'intervento e bisognerà in ogni caso tenere conto
della volontà dei bambini più grandi.
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Qui Roma - Uno shabbat
speciale al Bet Michael |
Vigilia di festa speciale
quella di oggi: fervono gli ultimi ritocchi degli operai, mentre uomini
con la kippà aiutano nel trasloco che da questa sera renderà operativo
per le molte persone che abitano nel quartiere Monteverde il nuovo
Centro per la famiglia Bet Michael, uno spazio concesso dalla Provincia di
Roma che ospiterà la sinagoga che prima era situata in via Fonteiana e
dove si svolgeranno attività per i bambini. Tanti i frequentatori del
Tempio che questa mattina hanno voluto rendersi utili. Chi prende in
mano un trapano, chi trasporta libri di preghiera: è
come se questa fosse la casa di tutti. La sera di lunedì il presidente
della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, proprio in questa
nuova sinagoga, sarà Hatan Torah.
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Qui Firenze - L'armonia
del cedro |
Nella solenne sala de’ Dugento,
sede del Consiglio Comunale a Palazzo Vecchio, ha avuto luogo un
convegno dal titolo “Il cedro simbolo del’armonia” centrato sul
bellissimo agrume che con il lulav fa parte del rituale di questa festa.
L’iniziativa è stata promossa dall’Associazione Italia Israele, e in
particolare dal suo presidente Rodolfo Foti, stabilendo così un
riuscito contatto con la città di Santa Maria del Cedro, nota in campo
internazionale per la cultura del cedro, il cui labaro spiccava accanto
a quello gigliato di Firenze, e ha avuto la collaborazione del Centro
Studi Valdarno Cultura presieduto da Domenico Ammirati,
dell’Associazione Brutium che raccoglie i calabresi di Firenze, e della
Banca Ifigest.
Il saluto della città ospitante è stato portato dal vicesindaco Dario
Nardella, cui hanno fatto seguito gli interventi di Giuseppe Aulicino,
sindaco di Santa Maria del Cedro, e Franco Galliano, presidente
dell’Accademia del Cedro della cittadina calabra.
Ambedue hanno toccato l’animo del pubblico con le loro parole di
amicizia verso Israele, bagnato dal loro stesso mare, ricordando come i
rapporti risalgano forse a più di 2mila anni fa, essendo stato il
cedro, pianta di origine asiatica, probabilmente introdotta dai primi
ebrei arrivati su quelle coste per i loro commerci. Entrambi figli di
coltivatori delle “cedriere”, gli oratori hanno esaltato le molteplici
qualità di questo frutto che ha dato la possibilità di vivere a tante
generazioni agricole augurandosi che i giovani continuino le tradizioni
avite in un lavoro non semplice per la difficoltà materiale di
rincalzare e potare le piante spinose e di difenderle dal freddo e
dalle intemperie. Dal presidente dell’Accademia sono state ricordate
antiche tradizioni popolari sugli influssi benefici del cedro e citati
i vari poeti e scrittori che ne parlano nelle loro opere, in
particolare Gabriele D’Annunzio che da un amico aveva imparato a
gustare i “panicelli”, involtini di foglie di cedro ripieni di zibibbo
appassito.
Quindi la professoressa Ida Zatelli, ordinaria di lingua e letteratura
ebraica dell’Università fiorentina, ha tenuto una dotta lezione su “Il
frutto dell’albero magnifico” con varie considerazioni sulla festa
delle capanne, e Marina Clauser, curatrice dell’Orto Botanico, ha
approfondito la nostra conoscenza di questo frutto e della sua
millenaria storia, illustrando al pubblico la sua conformazione e le
varie tipologie, con frutti dalle forme anche strane come quella a
cinque dita del “cedro di Budda”.
Infine è toccato al rabbino capo rav Joseph Levi parlare de “Il cedro
nella tradizione ebraica” concludendo gli interventi del convegno con
le varie benedizioni che si usano dire sul frutto e anche sul suo
profumo.
La mattinata si è chiusa nella sala d’Armi con un assaggio delle varie
specialità di Santa Maria del Cedro: dai crostini con le olive condite
al cedro agli squisiti dolci e marzapani che accompagnavano i frutti
canditi, bevendo “acqua di cedro”.
Lionella
Viterbo
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Attenzione allo Shabbat! |
Mi ha stupito la settimana
scorsa leggendo il programma di Torino Spiritualità constatare che un
noto personaggio ebreo era previsto tre volte (in due delle quali per
parlare di temi inerenti alla cultura ebraica), tutte e tre
rigorosamente di Shabbat. Il problema, a mio parere, non riguarda tanto
la persona (anche per questo non faccio nomi), quanto gli
organizzatori: perché prevedere l’intervento di un ebreo che parli di
ebraismo in un contesto a cui un ebreo osservante non potrebbe
partecipare? Forse i temi trattati non sonostati ritenuti strettamente
attinenti alla religione (anche se si trattava pur sempre di Torino
Spiritualità, ed uno dei temi era il chassidismo); comunque capita
spesso a molti ebrei, magari in contesti più limitati (scuole,
parrocchie, circoli culturali), di essere invitati a parlare di Shabbat
su temi strettamente legati alle mitzvot, magari sullo stesso Shabbat.
E’ paradossale che si cerchi affannosamente qualcuno che con la sua
stessa presenza dimostrerebbe di non essere la persona giusta, eppure
non c’è verso: se rispondiamo che non possiamo partecipare perché è
Shabbat nessuno pensa a spostare l’evento; semplicemente ci viene
chiesto di indicare il nome di un’altra persona che invece potrebbe
essere disponibile. Nel caso di Torino Spiritualità magari gli
organizzatori hanno anche pensato che sia giusto far vedere gli ebrei
come sono realmente e che in fin dei conti la maggioranza degli ebrei
italiani non osserva lo Shabbat. Mi pare comunque una scelta sbagliata.
Prima di tutto perché molti ebrei, anche se non osservanti, sentono
comunque la responsabilità di rappresentare l’intera comunità: se si
vuole dare un’idea corretta e onesta di cos’è l’ebraismo non si può
tralasciare la sua dimensione collettiva e presentare gli ebrei come un
insieme di cani sciolti. In secondo luogo – e mi sembra il problema più
grave nel caso di Torino Spiritualità – perché si limita fortemente la
possibilità che gli ebrei partecipino; si parla di ebraismo senza ebrei
in sala, senza dibattito, senza confronto, senza la possibilità di
sentire opinioni diverse, note dissonanti: quanto somiglia all’ebraismo
una cosa del genere? La dimensione collettiva dovrebbe emergere anche
nell’organizzazione dell’evento stesso, nella sua pubblicità, negli
inviti. La Comunità Ebraica di Torino ha segnalato puntualmente a tutti
gli iscritti altri eventi nell’ambito di Torino Spiritualità, che in
questo modo sono stati anche occasioni di aggregazione tra gli ebrei
stessi; niente di tutto questo, giustamente, per gli eventi previsti di
Shabbat. Se le religioni sono vissute in una dimensione comunitaria,
anche il dialogo e il confronto tra di loro dovrebbe avvenire in una
dimensione comunitaria. Altrimenti molti eventi, anche interessanti e
di alto livello, rischiano di trasformarsi in occasioni perdute.
Anna
Segre, insegnante
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Rosh haShana è puntuale
ci
raggiunge a Tishrì.
Pur se ci pare uguale (e il mistero sta qui)
ogni anno noi tendiamo
a raggiungere mete
e ogni sforzo facciamo
per
sedar questa sete
Sete esistenziale
di procedere avanti.
E' come
una spirale che D. ci ha posto innanzi.
Rosh Hashanà é puntuale
ci
raggiunge a Tishrì,
ma avanza la spirale:
e il futuro...è già qui!
Nedelia Tedeschi
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In arrivo a Napoli
la nave Estelle, terza edizione della Freedom Flotilla diretta a Gaza,
e si levano le critiche al sindaco Luigi De Magistris per aver scelto
di patrocinare l’iniziativa.
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
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