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5 ottobre 2012 - 19 Tishrì 5773
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alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 
 

 

Durante Sukkòt venivano presentati complessivamente 70 sacrifici che, secondo la tradizione rabbinica, corrispondono alle 70 nazioni del mondo. A Sukkòt si prega per l'umanità intera, si prega per la pioggia e perché Dio dia l'acqua al mondo intero; è forse la festa più universalistica della tradizione ebraica. Subito dopo Sukkòt, a Sheminì Atzèret, la Torà dice di portare un solo sacrificio. Secondo il Midràsh quel sacrificio rappresenta il rapporto speciale tra Dio e il popolo ebraico. Proprio nel momento di maggiore apertura verso il mondo, nel momento in cui si prega per l'intera umanità senza distinzioni viene sottolineata la particolarità e l'identità ebraica.  Nell'800 una parte dell'ebraismo emancipato propose come obbiettivo l'abolizione delle differenze in nome di un ideale universalistico ma, per l'ebraismo l'identità, la diversità e la differenza sono valori costituivi a cui non si può mai rinunciare.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
"La cultura ebraica raramente viene trasmessa nel modo in cui noi ebrei intendiamo che venga trasmessa. Se gli stessi ebrei sanno così poco del loro giudaismo, non possono certo lamentarsi che gli altri lo capiscano ancor meno. Persino Benedetto Croce, che ci fu così vicino durante gli anni della persecuzione, poteva solo raccomandare che gli ebrei cercassero di eliminare le loro peculiarità. Sarebbe follia concludere su una nota di ottimismo quando accade che un bambino ebreo possa essere assassinato nella sinagoga di Roma, come avvenne nel 1982, senza che si manifesti un sollevamento dell’opinione pubblica". Arnaldo Momigliano, “Gli ebrei d’Italia”, 1984

davar
30 anni - Roma non dimentica, la ferita resta aperta
Il prossimo mercoledì, al termine della festività di Sukkot, gli ebrei romani si ritroveranno al Tempio Maggiore per una cerimonia in ricordo dell'attacco in cui, il 9 ottobre di 30 anni fa, sotto i colpi del terrorismo palestinese, perse la vita il piccolo Stefano Gay Taché. Tra gli ospiti il Capo dello Stato Giorgio Napolitano e alcune tra le più alte cariche istituzionali.
Un nuovo studio, a cura di Arturo Marzano e Guri Schwarz, ricostruisce intanto il clima difficile di quegli anni, il linguaggio sempre più aspro dei media e dell'opinione pubblica verso la legittimità stessa di Israele, con riflessi significativi per tutto l'ebraismo italiano, a partire dalla Guerra dei sei giorni (1967) fino alle ore ad altissima tensione che precedettero l'agguato. Nella seconda parte dell'opera una densa analisi sulla nuova stagione di riflessione che, in seguito ai tragici fatti del 9 ottobre, si sviluppò all'interno dei partiti, delle comunità ebraiche e di tutta la società italiana.
Il numero di ottobre di Pagine Ebraiche in distribuzione offre ai suoi lettori un'anteprima su questo lavoro inedito e prezioso che sarà nelle librerie in primavera, in prossimità della cerimonia in cui ogni 9 maggio al Quirinale sono ricordate le vittime del terrorismo. Per la prima volta, tra i nomi solennemente pronunciati dal presidente della Repubblica, dovrebbe esserci anche quello di Stefano Gay Taché.

La Guerra dei sei giorni (1967) rappresentò uno spartiacque decisivo per il modo di rapportarsi dell'opinione pubblica italiana nei confronti di Israele – e di riflesso anche verso tutto il mondo ebraico – segnando l'inizio di un processo di allontanamento oltre che di imbarimento verbale il cui apice sarà toccato con la bara lanciata da alcuni facinorosi davanti al Tempio Maggiore di Roma in seguito ai fatti di Sabra e Chatila. Un arco temporale dal quale prende avvio il denso lavoro di ricerca che gli storici Arturo Marzano e Guri Schwarz stanno completando in questi mesi con l'obiettivo di fare chiarezza da una parte sul clima pesantissimo degli anni che precedettero l'attentato alla sinagoga, sul linguaggio adottato dai dirigenti politici e sui venti d'odio propagati dalle realtà sociali e aggregative più influenti, e dall'altra di cogliere le conseguenze di questa campagna una volta arrivati al punto di non ritorno del 9 ottobre 1982. Conseguenze politiche, giudiziarie e mediatiche. Ma anche l'inizio di una fase di ripensamento, all'interno delle comunità ebraiche, sull'effettiva consistenza del morbo antisemita in Italia. Una presa di coscienza che portò a guardare con occhi diversi non solo al presente ma anche a un passato non troppo lontano, alle responsabilità della popolazione italiana negli ingranaggi delle persecuzioni nazifasciste e della Shoah. Lo scritto arriverà nelle librerie a marzo. Giusto in tempo per le celebrazioni del 9 maggio, il giorno solenne del ricordo delle vittime del terrorismo al Quirinale. A trent'anni da quel Sheminì Atzeret profanato dal sangue e, dopo la menzione speciale della scorsa primavera, con un nuovo nome pronto ad essere iscritto nel registro: Stefano Gay Taché. L'approfondimento di Marzano, curatore della prima sezione del volume, si apre con il fatidico 1967 dipanandosi in varie direzioni: politica, con la strada di un sempre più marcato sentimento anti-israeliano percorsa a partire da quel momento, con tempi e modalità differenti, da Democrazia cristiana, Partito comunista e Psi, ma inevitabilmente anche sociale, con l'esordio della questione palestinese nel discorso pubblico, nei giornali, nel palinsesto televisivo, e con la collocazione della lotta dell'Olp e degli altri gruppi di guerriglieri orbitanti nella galassia anti-israeliana tra le grandi vicende partigiane del secondo Novecento. Un fenomeno che guadagna spazio e consenso, molto forte negli ambienti dell'estrema sinistra ma diffuso in modo trasversale anche in contesti sulla carta più moderati, che ha tra i suoi effetti più concreti l'entrata in scena di una retorica che attinge dalle avversità vissute sulla propria pelle dal popolo ebraico per puntare il dito contro Israele secondo uno schema che ancora oggi miete consensi: la trasformazione della vittima in carnefice, il “nazisionista”. “Analizzando i giornali di quel tempo, soprattutto dallo scoppio della guerra del Libano in poi – spiega Marzano – vengono fuori cose terribili. Costanti riferimenti ai nazisti di Palestina, al Ghetto di Varsavia, ad Auschwitz. Un linguaggio velenoso che degenera nell'antisemitismo più becero alimentando un clima davvero pesante sulle comunità ebraiche d'Europa. La tensione si fa sempre più alta”. È una prospettiva di totale irrazionalità svincolata dal contesto in cui fu progettato l'agguato alla sinagoga di Roma, continua lo studioso, ma che finì lo stesso per influenzare in negativo non pochi italiani. Tracce di quella dilagante aggressività è possibile ritrovarle anche negli archivi del ministero degli Interni e in quello della Cgil dove, afferma Marzano, a lettere di condanna dure e senza appello ma non contaminate da un sentimento almeno apparentemente antiebraico, si affiancano testimonianze, anche autorevoli, che non lasciano dubbi sulla loro matrice. Per gli ebrei italiani arriva così il momento di fare chiarezza. Su se stessi, ma anche e soprattutto sugli altri. Amici veri, finti amici, nemici autentici: è tempo di sgombrare il campo dagli equivoci. “La prima guerra del Libano – afferma Schwarz – fu l'occasione di una vera e propria 'crisi di memoria' che portò a una trasformazione della rappresentazione collettiva della seconda guerra mondiale, dell'autocoscienza ebraica e dell'immagine stessa dell'ebreo. Un processo che portò a interrogarsi su temi fino ad allora toccati solo marginalmente”. Ad agire nell'ottica di un ripensamento delle proprie posizioni, ma soltanto dopo il 9 ottobre, saranno anche alcuni settori dell'opinione pubblica e della classe politica. Significativo in questo senso toccare con mano le diverse parabole dei partiti di sinistra. È quello che ha fatto Schwarz, cogliendo vari aspetti di un fenomeno estremamente dinamico e complesso. E se il Psi continua ad estendere la propria infuenza sui paesi arabi è nel Pci, sottolinea lo storico, che avvengono le cose più interessanti. Ad aprire il dibattito contribuisce una relazione di Giorgina Arian Levi in cui l'attivista torinese spiega alla dirigenza nazionale i perché più difficili da raccontarsi sulla defezione di numerosi ebrei dal partito. “Nel Pci, nei mesi successivi all'attentato si inizia realmente a discutere di antisemitismo e di rapporto con le minoranze. Un lavorio interno che darà i suoi frutti – spiega Schwarz – portando ad esempio al grande convegno sulle Leggi razziali organizzato da Nilde Iotti alla Camera (1988) e ancora prima alla missione di Giorgio Napolitano in Israele. Segnali di un Pci sempre più distante da Mosca che stava cambiando pelle e mentalità.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche ottobre 2012

30 anni - Il ricordo del rav: " Un risveglio terribile"

È una cicatrice che non potrà mai rimarginarsi, una sensazione di precarietà che talvolta affiora e torna a sconvolgere come in occasione del recente attacco alla scuola Ozar Hatorah di Tolosa. Rav Benedetto Carucci Viterbi, preside delle scuole ebraiche di Roma, l'agguato al Portico d'Ottavia l'ha vissuto in prima persona e ancora oggi, nella mente ma anche nel corpo, conserva una traccia indelebile di quei momenti. “Ero appena uscito dal Tempio in compagnia di alcuni amici, dalla parte di via Catalana – racconta – quando ebbi l'impressione che ci stessero tirando contro dei petardi. Erano i terroristi, ovviamente. Colpito da alcune schegge, caddi subito a terra e persi conoscenza per diversi minuti. Tra i dieci e venti, non so valutare con esattezza. Dalla ferita, una volta ripreso, mi accorsi che usciva molto sangue”. Valutato tra i feriti più gravi, il rav – all'epoca 22enne – viene caricato su un'ambulanza e trasportato all'ospedale Nuova Regina Margherita. Dopo alcune ore lo raggiungono i genitori, in quei giorni fuori città, che apprendono del ricovero del figlio senza ulteriori ragguagli sul suo stato di salute (la diagnosi evidenzierà un danno permanente al malleolo). “Dev'essere stato un viaggio terribile – commenta – posso solo immaginare l'angoscia e la tensione di quei momenti”. L'ospedalizzazione dura poco più di una settimana: sono giorni durissimi, colmi di dolore e sofferenza in cui, come tanti altri, si sforza di mettere in fila i tasselli del puzzle di violenza e orrore che ha sconvolto gli ebrei di Roma. Anche se le informazioni dal mondo esterno, su decisione della madre presa di comune accordo con il medico di famiglia, filtrano solo parzialmente. “Nei mesi precedenti l'aria si era fatta molto pesante in tutta Europa con attacchi, aggressioni e violenze. Ciò nonostante – afferma – l'ipotesi di un attentato alla sinagoga di Roma non era in alcun modo contemplata nel mio orizzonte mentale. Fu un risveglio atroce”.

as - Pagine Ebraiche ottobre 2012

Qui Gerusalemme - Il racconto dei testimoni

L'agguato mortale al Portico d'Ottavia sarà ricordato anche a Gerusalemme con una serata di riflessione, testimonianze e dibattito in programma mercoledì 10 ottobre alle 20 nella Sala degli Affreschi in Rechov Hillel. Nel corso dell'incontro, cui prenderà parte anche il neo ambasciatore d'Italia in Israele Francesco Maria Talò, saranno proiettati spezzoni di telegiornali e rubriche televisive, commenti e interviste dell'epoca, titoli delle testate più importanti, racconti dei testimoni diretti che oggi vivono in Israele. Spazio infine per le valutazioni di Gadiel Taché, fratello del piccolo Stefano e vittima egli stesso del commando palestinese che portò morte e violenza nel cuore di Roma. A moderare i vari interventi David Pacifici, che ha raccolto e ordinato tutto il materiale. Tra gli altri sarà presente anche il dottor Moshé Zarfati, tra i primi a prestare soccorso ai feriti in quella drammatica circostanza.

Circoncisione - Germania verso una nuova legge
La soddisfazione di comunità ebraiche e islamiche
Soddisfazione, da parte delle massime rappresentanze ebraiche e islamiche di Germania, è stata espressa in seguito all'intesa appena raggiunta dal governo tedesco su una proposta di legge per regolare la pratica della circoncisione. La notizia arriva a pochi mesi di distanza dalla ben nota sentenza del tribunale di Colonia che aveva equiparato la pratica rituale a una forma di lesione dolosa. Un pronunciamento che aveva suscitato stupore e sdegno in tutta Europa e l'intervento tra gli altri del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna che, in un messaggio inviato al suo omologo tedesco Dieter Graumann, aveva affermato: "L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane approva il vostro preciso e circostanziato intervento a difesa della libertà religiosa e la decisione di investire direttamente il Parlamento tedesco della questione al fine di impedire che possano essere violati principi praticati in tutte le democrazie progredite e che stanno alla base della convivenza fra i popoli”.
In futuro, prevede il documento, non saranno punibili le operazioni di circoncisione sui minori praticate rispettando determinati standard medici. Le circoncisioni rituali, in particolare, potranno essere eseguite entro sei mesi dalla nascita del bambino anche da rappresentanti della comunità religiosa con competenze specifiche. I genitori dovranno essere inoltre informati delle conseguenze e dei possibili rischi dell'intervento e bisognerà in ogni caso tenere conto della volontà dei bambini più grandi.

Qui Roma - Uno shabbat speciale al Bet Michael
Vigilia di festa speciale quella di oggi: fervono gli ultimi ritocchi degli operai, mentre uomini con la kippà aiutano nel trasloco che da questa sera renderà operativo per le molte persone che abitano nel quartiere Monteverde il nuovo Centro per la famiglia Bet Michael, uno spazio concesso dalla Provincia di Roma che ospiterà la sinagoga che prima era situata in via Fonteiana e dove si svolgeranno attività per i bambini. Tanti i frequentatori del Tempio che questa mattina hanno voluto rendersi utili. Chi prende in mano un trapano, chi trasporta libri di preghiera: è come se questa fosse la casa di tutti. La sera di lunedì il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, proprio in questa nuova sinagoga, sarà Hatan Torah.

Qui Firenze - L'armonia del cedro
Nella solenne sala de’ Dugento, sede del Consiglio Comunale a Palazzo Vecchio, ha avuto luogo un convegno dal titolo “Il cedro simbolo del’armonia” centrato sul bellissimo agrume che con il lulav fa parte del rituale di questa festa.
L’iniziativa è stata promossa dall’Associazione Italia Israele, e in particolare dal suo presidente Rodolfo Foti, stabilendo così un riuscito contatto con la città di Santa Maria del Cedro, nota in campo internazionale per la cultura del cedro, il cui labaro spiccava accanto a quello gigliato di Firenze, e ha avuto la collaborazione del Centro Studi Valdarno Cultura presieduto da Domenico Ammirati, dell’Associazione Brutium che raccoglie i calabresi di Firenze, e della Banca Ifigest.
Il saluto della città ospitante è stato portato dal vicesindaco Dario Nardella, cui hanno fatto seguito gli interventi di Giuseppe Aulicino, sindaco di Santa Maria del Cedro, e Franco Galliano, presidente dell’Accademia del Cedro della cittadina calabra.
Ambedue hanno toccato l’animo del pubblico con le loro parole di amicizia verso Israele, bagnato dal loro stesso mare, ricordando come i rapporti risalgano forse a più di 2mila anni fa, essendo stato il cedro, pianta di origine asiatica, probabilmente introdotta dai primi ebrei arrivati su quelle coste per i loro commerci. Entrambi figli di coltivatori delle “cedriere”, gli oratori hanno esaltato le molteplici qualità di questo frutto che ha dato la possibilità di vivere a tante generazioni agricole augurandosi che i giovani continuino le tradizioni avite in un lavoro non semplice per la difficoltà materiale di rincalzare e potare le piante spinose e di difenderle dal freddo e dalle intemperie. Dal presidente dell’Accademia sono state ricordate antiche tradizioni popolari sugli influssi benefici del cedro e citati i vari poeti e scrittori che ne parlano nelle loro opere, in particolare Gabriele D’Annunzio che da un amico aveva imparato a gustare i “panicelli”, involtini di foglie di cedro ripieni di zibibbo appassito.
Quindi la professoressa Ida Zatelli, ordinaria di lingua e letteratura ebraica dell’Università fiorentina, ha tenuto una dotta lezione su “Il frutto dell’albero magnifico” con varie considerazioni sulla festa delle capanne, e Marina Clauser, curatrice dell’Orto Botanico, ha approfondito la nostra conoscenza di questo frutto e della sua millenaria storia, illustrando al pubblico la sua conformazione e le varie tipologie, con frutti dalle forme anche strane come quella a cinque dita del “cedro di Budda”.
Infine è toccato al rabbino capo rav Joseph Levi parlare de “Il cedro nella tradizione ebraica” concludendo gli interventi del convegno con le varie benedizioni che si usano dire sul frutto e anche sul suo profumo.
La mattinata si è chiusa nella sala d’Armi con un assaggio delle varie specialità di Santa Maria del Cedro: dai crostini con le olive condite al cedro agli squisiti dolci e marzapani che accompagnavano i frutti canditi, bevendo “acqua di cedro”.

Lionella Viterbo


pilpul
Attenzione allo Shabbat!
Anna SegreMi ha stupito la settimana scorsa leggendo il programma di Torino Spiritualità constatare che un noto personaggio ebreo era previsto tre volte (in due delle quali per parlare di temi inerenti alla cultura ebraica), tutte e tre rigorosamente di Shabbat. Il problema, a mio parere, non riguarda tanto la persona (anche per questo non faccio nomi), quanto gli organizzatori: perché prevedere l’intervento di un ebreo che parli di ebraismo in un contesto a cui un ebreo osservante non potrebbe partecipare? Forse i temi trattati non sonostati ritenuti strettamente attinenti alla religione (anche se si trattava pur sempre di Torino Spiritualità, ed uno dei temi era il chassidismo); comunque capita spesso a molti ebrei, magari in contesti più limitati (scuole, parrocchie, circoli culturali), di essere invitati a parlare di Shabbat su temi strettamente legati alle mitzvot, magari sullo stesso Shabbat. E’ paradossale che si cerchi affannosamente qualcuno che con la sua stessa presenza dimostrerebbe di non essere la persona giusta, eppure non c’è verso: se rispondiamo che non possiamo partecipare perché è Shabbat nessuno pensa a spostare l’evento; semplicemente ci viene chiesto di indicare il nome di un’altra persona che invece potrebbe essere disponibile. Nel caso di Torino Spiritualità magari gli organizzatori hanno anche pensato che sia giusto far vedere gli ebrei come sono realmente e che in fin dei conti la maggioranza degli ebrei italiani non osserva lo Shabbat. Mi pare comunque una scelta sbagliata. Prima di tutto perché molti ebrei, anche se non osservanti, sentono comunque la responsabilità di rappresentare l’intera comunità: se si vuole dare un’idea corretta e onesta di cos’è l’ebraismo non si può tralasciare la sua dimensione collettiva e presentare gli ebrei come un insieme di cani sciolti. In secondo luogo – e mi sembra il problema più grave nel caso di Torino Spiritualità – perché si limita fortemente la possibilità che gli ebrei partecipino; si parla di ebraismo senza ebrei in sala, senza dibattito, senza confronto, senza la possibilità di sentire opinioni diverse, note dissonanti: quanto somiglia all’ebraismo una cosa del genere? La dimensione collettiva dovrebbe emergere anche nell’organizzazione dell’evento stesso, nella sua pubblicità, negli inviti. La Comunità Ebraica di Torino ha segnalato puntualmente a tutti gli iscritti altri eventi nell’ambito di Torino Spiritualità, che in questo modo sono stati anche occasioni di aggregazione tra gli ebrei stessi; niente di tutto questo, giustamente, per gli eventi previsti di Shabbat. Se le religioni sono vissute in una dimensione comunitaria, anche il dialogo e il confronto tra di loro dovrebbe avvenire in una dimensione comunitaria. Altrimenti molti eventi, anche interessanti e di alto livello, rischiano di trasformarsi in occasioni perdute.

Anna Segre, insegnante

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Rosh haShana è puntuale
ci raggiunge a Tishrì.
Pur se ci pare uguale (e il mistero sta qui) ogni anno noi tendiamo
a raggiungere mete
e ogni sforzo facciamo
per sedar questa sete
Sete esistenziale
di procedere avanti.
E' come una spirale
che D. ci ha posto innanzi.
Rosh Hashanà é puntuale
ci raggiunge a Tishrì,
ma avanza la spirale:
e il futuro...è già qui!

Nedelia Tedeschi
 

In arrivo a Napoli la nave Estelle, terza edizione della Freedom Flotilla diretta a Gaza, e si levano le critiche al sindaco Luigi De Magistris per aver scelto di patrocinare l’iniziativa.






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