se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

7 ottobre 2012 - 21 Tishri 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav

Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino

 


"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"
(G. Ungaretti).
Una citazione poetica e non ebraica che mi sembra dia bene il senso di Succot e, forse, anche delle foglie cadute dai nostri rami di salice in questo ultimo giorno della festa. Una precarietà corretta, però, dalla protezione che ci garantiscono le nubi della gloria divina/il tetto della Succah, e dalla acqua/Torah, studiando la quale ci sforziamo di dare un senso alla realtà e alla vita.

David Bidussa, storico sociale
delle idee


Nella storia dell’Italia repubblicana il 9 ottobre è una data infausta. Non solo per ciò che avviene, ma anche perché poi, dopo farvi i conti è sempre complicato e  imbarazzante. La prima volta è il Vajont. Il 9 ottobre 1963 duemila persone scompaiono in un attimo. L’Italia per riuscire a confrontarsi con quella tragedia dovrà aspettare a lungo. Trenta anni dopo è Marco Paolini a raccontare con “Vajont”, quello che nessun vuol dire: l’industrialismo senza regole; i tecnici senza un’etica del mestiere; i politici senza una morale; la miseria diffusa; la distruzione dell’Italia contadina e montanara.
La seconda volta è il 9 ottobre 1982. Alle 11.55 di quel sabato mattina, un commando terroristico palestinese attacca chi sta uscendo dal Tempio maggiore di Roma. 39 feriti un morto.
Quel 9 ottobre, luogo della memoria della comunità ebraica di Roma non lo è diventato, almeno finora, per l’opinione pubblica italiana. Aspetta che ci sia un cantore civile (anche uno storico non guasterebbe) che ad occhi asciutti e sguardo fermo raccontasse una storia comprensiva di tutto ciò che è avvenuto prima e soprattutto di cosa è rimasto dopo.

davar
30 anni - Roma non dimentica
Il numero di ottobre di Pagine Ebraiche in distribuzione contiene molti servizi legati al trentesimo anniversario dell'attentato alla sinagoga di Roma. Dopo lariflessione del professor Ugo Volli, pubblichiamo oggi il pensiero della storica Anna Foa.

L'inizio di una nuova fase in cui ci siamo ritrovati


Parlare da storica e non da testimone di un evento a cui si è assistito da vicino è difficile. I sapori e le emozioni si mescolano alla riflessione e la disturbano. È quello che mi succede se penso all’attentato alla sinagoga del 9 ottobre 1982 e se mi pongo delle domande sul suo significato utilizzando non i ricordi ancora brucianti di quel giorno ma gli strumenti del mio mestiere di storica. Cosa è cambiato con quell’attentato, ed è veramente cambiato qualcosa, e in che misura, nei rapporti tra gli ebrei italiani e la società italiana? La questione richiederebbe un’analisi approfondita, mi limito qui ad alcuni spunti di riflessione. È stato detto che l’attentato ha rappresentato il momento della rottura fra la sinistra italiana e il mondo ebraico. Ma questa rottura era ben precedente, risale alla guerra dei Sei Giorni, e si consolida ben prima del 1982 nelle posizioni fortemente filopalestinesi che prevalgono nella sinistra extraparlamentare negli anni Settanta. Si, è vero, nel giugno 1982 c’era stato l’orribile episodio della bara lasciata da un corteo sindacale davanti alla sinagoga, e il clima filopalestinese, e non solo nei movimenti dell’ultrasinistra, era divenuto incandescente dopo il massacro di Sabra e Chatila, avvenuto solo tre settimane prima, il 15 settembre. L’opinione pubblica e i media erano concordemente antiisraeliani. Si può forse ritenere che in generale il 1982, con la guerra del Libano, abbia rappresentato il momento di massima rottura fra la sinistra e il mondo ebraico italiano, un mondo ebraico comunque non omogeneo e agitato da molte critiche alla politica di Israele e da molte tensioni interne. Ma il momento dell’attentato ha semmai rappresentato da una parte il momento in cui il mondo ebraico si è ricompattato nella tragedia e dall’altra quello in cui l’opinione pubblica, di fronte ad un attentato terroristico di quella natura, ha cominciato, sia pur faticosamente e con molte incertezze, a prendere le distanze dal terrorismo palestinese e dai suoi strumenti. Perché a molti è diventato allora chiaro che sostenere le ragioni dei palestinesi, questione su cui si poteva discutere ed essere o meno d’accordo, non aveva come sbocco necessario l’attentato e il massacro. Che un attentato terroristico non poteva non essere condannato senza se e senza ma. Il 1982 ha segnato così l’inizio di una fase nuova, in cui gli ebrei e i non ebrei hanno ricominciato, forse, a parlarsi e a vedersi. Cosa che non facevano da molto tempo, che non avevano ricominciato davvero a fare nel dopoguerra. Il processo è certamente stato lungo e faticoso, non privo di ulteriori drammatiche rotture, di sospetti e diffidenze da parte ebraica, di propaganda e di luoghi comuni da parte della sinistra. Ci sono voluti quasi altri dieci anni prima che il mutamento toccasse, nel periodo della prima guerra del Golfo, la sinistra ufficiale, e anche allora solo in parte. Che tutto questo sia cominciato con il sangue di un bambino, è un’altra terribile beffa della storia.

Anna Foa, storica


Nasce Amici del Magen David Adom Italia
Si aprirà fra pochi giorni a Tel Aviv la conferenza delle associazioni internazionali Amici del Magen David Adom, organizzazione nata in Israele nel 1930 con funzioni analoghe a quelle della Croce rossa. Per la prima volta, oltre alle nutrite delegazioni australiane, americane, tedesche, parteciperà anche la neonata Amici del Magen David Adom Italia, fondata a Milano da un comitato guidato dall’imprenditore Sami Sisa, che ne è diventato presidente.
“Il Magen David Adom è un’organizzazione fondamentale per la vita dello stato d’Israele, non soltanto in quanto ente responsabile dei servizi di pronto soccorso, ma anche perché gestore dell’unica banca del sangue che esiste nel paese - spiega Sisa – Pur essendo un’associazione costituita per legge, non riceve aiuti diretti dal governo. Ecco perché i gruppi di supporto sono così importanti per la sua esistenza”. Tanti i progetti che Amici del Magen David Adom Italia si propone di portare avanti “Vogliamo innanzitutto sensibilizzare il pubblico sul lavoro che il Magen David Adom svolge, anche perché crediamo che possa aiutare a raccontare un aspetto di Israele che la gente non conosce, quello di una nazione che guarisce, che studia le tecnologie più avanzate per portare soccorso a tutti. Naturalmente le nostre attività saranno concentrate qui in Italia. Per esempio siamo già in contatto con alcune scuole per portare degli istruttori israeliani a tenere corsi di primo soccorso nelle classi. E poi certo, per quanto possibile in questo momento di crisi, cercheremo di raccogliere fondi. Quello che chiediamo è un piccolo sforzo per obiettivi molto concreti: comprare ambulanze, telefoni satellitari, rifugi prefabbricati, kit di pronto soccorso”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

pilpul
Africa, sui cristiani la minaccia islamica
C’è una guerra, a bassa intensità ma, proprio per questo continuativa e quindi insidiosa, che sta mettendo in discussione la presenza cristiana nell’Africa centro-settentrionale e in Medio Oriente. Un solo dato, per capire le dimensioni del problema. Nell’Iraq di Saddam Hussein i cristiani erano circa un milione e mezzo. Oggi, a quasi dieci anni dalla detronizzazione del tiranno, si sono ridotti a un terzo. In Siria, anche se i giochi in quest’ultimo caso sono ancora aperti, grande è il timore per il futuro della robusta minoranza, corrispondente al dieci per cento della popolazione, distribuita tra ortodossi, cattolici, assiri, armeni, protestanti e così via. L’emigrazione verso paesi meno ostili alle comunità cristiane sta divenendo un indice del mutamento che sta investendo gli ampi territori che vanno dalla costa atlantica del Continente africano (ed in particolare Il Senegal, la Mauritania, il Marocco) per arrivare al Golfo persico. Rispetto ai decenni trascorsi, dove all’espulsione delle comunità ebraiche nel Maghreb e nel Mashrek non si era accompagnato un identico trattamento per questa grande minoranza monoteista, ora invece le cose sono mutate. La crescente avversione nei confronti dei secolari insediamenti cristiani, al di là delle contingenze che riguardano le singole aree di crisi, è da ricondurre essenzialmente alla crescita dell’islamismo radicale e alla sua capacità di riprodursi come una sorta di organismo flessibile, dai molti volti ma dotato dell’indiscutibile capacità di muoversi come un soggetto transnazionale. Il fondamentalismo, infatti, risponde alla crisi degli Stati nazionali che è particolarmente acuta laddove questi erano già deboli di per sé, essendo il risultato di processi di decolonizzazione incompleti, faticosi e, spesso, dai risultati deludenti. In altre parole, la capacità aggregativa e militante dei gruppi islamisti trova un buon terreno nelle clamorose inadempienze delle élites di potere. La mappatura della presenza fondamentalista, soprattutto laddove essa si manifesta attraverso ripetuti episodi di violenza contro i cristiani, indica al momento nell’Africa i maggiori focolai di crisi. Il nord del Mali, la regione centrale e quella meridionale del Niger, tutti gli Stati settentrionali della federazione nigeriana, il Sudan meridionale e la Repubblica centrale africana insieme a ciò che resta della Somalia, soprattutto nell’area meridionale, e a parte del Kenya orientale, costituiscono i punti più problematici. Al-Qaeda, un network sempre attivo e proteiforme, ha stretto legami di reciprocità ideologica ed operativa con i gruppi salafiti, e di osservanza radicale, che da anni operano nel Continente: così con i somali al-Shabab, i Boko Haram presenti in Nigeria, l’Ansar Ezzedine per l’area mediterranea. Centrale è il rapporto con lo Yemen, dove l’organizzazione che fu di Osama bin Laden ha un fortissimo radicamento, derivante dai contatti con l’Afghanistan. Un collante efficace sono i traffici illegali di armi, droga ed esseri umani, insieme ai business della pirateria e dei rapimenti. Più in generale, tutti i gruppi islamisti si avvantaggiano delle situazioni di guerra, laddove le tensioni creano un terreno favorevole per la violenza e i commerci clandestini, così come della possibilità di indicare nella presenza di comunità cristiane lo «scandalo» contro il quale indirizzare la popolazione musulmana, soprattutto se disagiata economicamente. È tutta l’Africa, compresa tra il Mediterraneo e la fascia sahelo-sahariana a sud del deserto, ad essere stata trascinata in questi ultimi vent’anni dentro le dinamiche del mondo arabo-musulmano. Il jihadismo politico contende all’Occidente (e ai cristiani, impropriamente identificati con esso), ma anche e soprattutto alle corrotte élites locali, e finanche all’islamismo "moderato" dei Fratelli musulmani, il ruolo di figura egemone nel controllo di ampissime aree di territorio nel quale i confini tra paesi sono stati messi in discussione dai mutamenti macroeconomici accaduti in questi anni. In tale gioco, destinato ancora a ridisegnare equilibri e rapporti di forza, ha senz’altro qualcosa da dire la Cina, la vera potenza neocoloniale, anche se di natura diversa da coloro che l’anno preceduta, la quale si sta accaparrando risorse ma anche rapporti privilegiati con i gruppi dirigenti africani. Sta di fatto che dinanzi ai grandi investimenti fatti dai paesi oramai emersi del sistema del Bric, la politica americana arranca, vincolata com’è dalla mancanza di risorse proprie, per non parlare dell’assenza dell’Unione Europea. I jihadisti lo sanno bene poiché non sono privi di una logica politica, ancorché perversa. Noi europei sembriamo invece completamente incapaci di cogliere i mutamenti strutturali che stanno letteralmente cambiano la terra sotto i nostri piedi.

Claudio Vercelli

notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di vita - Il ricordo di Stefano
  Leggi la rassegna

Sarà replicata lunedì 15 ottobre alle 10 su Raidue la puntata di Sorgente di vita programmata dalla Rai per stanotte. Trent'anni dopo l’attentato alla sinagoga di Roma parla Gady Gaj Taché, fratello maggiore di Stefano, il bambino di due anni ucciso dai terroristi palestinesi il 9 ottobre 1982, quando un commando attaccò la folla di fedeli che usciva dal tempio, lasciando a terra decine di feriti (...)

 





 

Una vasta operazione antiterrorismo è stata portata a termine nelle scorse ore in diverse città della Francia.
A Strasburgo Jeremy Sidney, francese convertito all’Islam, ha sparato contro le forze dell’ordine ed è rimasto ucciso nello scontro a fuoco. A casa sua hanno trovato un elenco di possibili obiettivi ebraici per un attentato. A riferirne i dettagli è Giampiero Martinotti su Repubblica, che riporta anche una breve intervista allo scrittore Marek Halter.


L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.