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15 ottobre 2012 - 29 Tishrì 5773
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Adolfo Locci, rabbino capo
di Padova

"…separò le acque sotto il firmamento da quelle sotto il firmamento, e così fu" (Genesi 1:7). Nel trattato di Sanhedrin (98b) c'è un detto di Rabbì Chaninà che dice che il Mashiach arriverà quando servirà del pesce per un malato e non verrà trovato. Queste parole sembrano senza senso, ma il verso della Torah che parla della separazione tra le acque, ci può suggerire un'interpretazione. I maestri del Talmud spiegano che che quando ciò avvenne, fu creato lo spirito della discussione e i pesci (il pesce grande ingoia quello piccolo) ne rappresentano la peculiarità negativa. Il malato di Rabbì Chaninà, non è altro che il popolo d'Israele che quando non troverà più lo spirito negativo della machloket-discussione dimostrerà di essere veramente unificato, così da permettere la venuta messianica.

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Domani è il 16 ottobre, la data che per gli ebrei romani e italiani, e per tutti gli italiani più rappresenta l'immagine della Shoah in Italia. Domani saranno consegnati alla Comunità Ebraica di Roma i documenti ritrovati nell'archivio di Bad Arolsen che riguardano i trecentocinquanta bambini ebrei deportati da Roma fra il 16 ottobre 1943 e il giugno 1944. Quei bambini non hanno potuto raccontare né testimoniare, perché sono finiti subito nelle camere a gas, perché nessuno di loro è tornato. Quei bambini hanno avuto il destino che Hitler voleva riservare a tutti gli ebrei, scomparire senza lasciare traccia. Sono i non testimoni. Quelli sommersi nel primo istante. E quante generazioni perdute, da quei bambini assassinati prima di vivere, quanti figli e nipoti che non sono nati dopo di loro a percorrere la loro vita, crescere, imparare, amare, soffrire e gioire come tutti. Quei documenti non potranno dirci, come per altri, adulti, sopravvissuti al campo, come essi hanno compreso e vissuto il loro percorso di morte. Ma ci potranno raccontare chi erano, ricordarci il loro nome, sapere degli sforzi per ritrovarli fatti dai loro cari dopo la Liberazione, dare insomma anche un volto ai loro nomi.
davar
Gerusalemme - Allo Yad Vashem i nomi italiani della Shoah
In concomitanza con il 69esimo anniversario del rastrellamento nazifascista al Portico d'Ottavia, data tra le più simboliche delle persecuzioni antiebraiche in Italia, la Fondazione CDEC-Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea consegnerà al Memoriale dello Yad Vashem, a Gerusalemme, la lista con i nomi delle vittime italiane della Shoah affinché questi nomi, quasi 7mila unità – 918 i sopravvissuti, siano inseriti nel Central Data Base of the Shoah Victims. La consegna avverrà domani alle 16.30 nel corso di una cerimonia che vedrà la partecipazione tra gli altri dell'ex rabbino capo di Israele Meir Lau, sopravvissuto ad appena 8 anni all'inferno di Buchenwald, dell'ambasciatore Francesco Talò e di numerose autorità locali. In rappresentanza del CDEC il presidente Giorgio Sacerdoti e la storica Liliana Picciotto, entrambi consiglieri dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Si tratta, come è stato evidenziato, del momento culminante di lunghi anni di ricerche finalizzate a catalogare nomi, date di nascita, dati anagrafici, luoghi e date degli arresti, date della deportazione e destinazioni finali dei prigionieri. Un lavoro monumentale, anticipato dalla pubblicazione de Il libro della memoria (ed. Mursia) e dall'apertura del sito web www.nomidellashoah.it, concluso il quale la dottoressa Picciotto e il CDEC consegnano alle nuove generazioni un patrimonio di volti e di storie da non dimenticare. Al termine della cerimonia allo Yad Vashem, nella sede della Hevrat Yehudè Italia, si terrà la presentazione del volume, sempre di Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944 (Mondadori). Introdurrà l'ospite Cecilia Nizza, responsabile alla cultura della Hevrà.

Rav Sacks: Educare, far crescere, tutelare il futuro
Intervenendo a Londra alla Camera dei Lord sul tema Sviluppo infantile e benessere nazionale nel Regno Unito, il rabbino capo del Commonwealth rav lord Jonathan Sacks ha pronunciato il seguente discorso:

  
Miei Lord, vi ringrazio per avere voluto questo dibattito importante e tempestivo.
Dico tempestivo perché nelle ultime settimane sono state spese molte parole sull’espressione “one nation”, una nazione.
Miei Lord, in mezzo secolo siamo diventati due nazioni, composte da coloro che da bambini hanno avuto, e da coloro che non hanno avuto il dono di crescere in un nucleo familiare stabile e pieno di amore, con i due genitori che li hanno fatti nascere.
Coloro che non hanno avuto questo dono secondo numerose ricerche saranno svantaggiati in diverse maniere. In media essi andranno meno bene a scuola. Avranno meno possibilità di frequentare l’università. È meno probabile che trovino e che mantengano un lavoro stabile. Saranno meno benestanti. È meno probabile che riescano ad avere una relazione stabile. Saranno più predisposti alla depressione e alle sindromi ad essa collegate. Potrebbero anche essere meno in buona salute. E tutto questo senza che abbiano la minima colpa, solo a causa delle circostanze in cui hanno vissuto durante la prima infanzia.
Ne risulta che si sta approfondendo il divario sociale fra due culture, in una delle quali i bambini stanno crescendo senza il supporto e la presenza dei loro padri naturali, e spesso senza un modello maschile positivo. Corrono il rischio di venire deprivati delle abitudini del cuore – la sicurezza e l’autostima, la disciplina e la moderazione – di cui avranno bisogno per affrontare con tranquillità le sfide di un mondo in continua evoluzione. A troppi dei nostri bambini è stata rubata la speranza.
La profondità di questo divario è stata nascosta alla pubblica attenzione per il desiderio, perfettamente onorevole, di non dare l’impressione di giudicare; di non condannare una qualsiasi libera scelta di vita e di non aggiungere peso ad una situazione già enormemente difficile come quella di essere genitori single. Miei Lord, rispetto questi scrupoli. Ma nelle ultime settimane abbiamo visto come un altrettanto onorevole desiderio di non offendere alcuna sensibilità abbia permesso di sfruttare spietatamente delle ragazzine a Rochdale. C’è un prezzo da pagare per il silenzio, e a pagare sono di solito i bambini.
Miei Lord, non possiamo cambiare il passato. Ma possiamo cambiare il futuro. Molti anni fa mentre partecipavo alla produzione di un documentario televisivo sullo stato delle famiglie in Gran Bretagna, ho scoperto il lavoro di un logopedista che insegnava a bambini di cinque anni e alle loro famiglie una serie di competenze – la capacità di ascoltare, di risolvere i problemi, di lodare, negoziare e stringere contratti. Lo scopo era di aiutare a curare la balbuzie dei bambini ma una dopo l’altra le famiglie mi dicevano come quel lavoro li avesse aiutati a salvare i loro matrimoni.
Mi sono improvvisamente reso conto di come competenze che si possono insegnare senza difficoltà possano cambiare la capacità dei giovani di creare e mantenere delle relazioni e mi chiedo perché non abbiamo studiato la possibilità di inserirle nel curriculum (di studi). Non sono competenze cognitive. Non implicano nessun giudizio. Vengono apprese giocando. Portano a delle trasformazioni e sono divertenti.
Miei Lord, la nostra società ha il dovere di far sì che i bambini abbiano le migliori possibilità di successo che possiamo loro offrire e questo significa che dobbiamo fare tutto il possibile, specialmente attraverso il sistema educativo, per insegnare loro fin dalla più tenera età possibile le competenze e la sensibilità che li aiuterà a diventare genitori amorevoli e responsabili. Vorrei sollecitare il governo a prendere in considerazione modi nuovi e creativi di fare semplicemente questo.

(Versione italiana di Ada Treves)

Gerusalemme - Le carte di Kafka in pubblico dopo decenni
Una saga degna di un romanzo quella della raccolta di manoscritti del grande scrittore di lingua tedesca Franz Kafka e del suo amico e biografo Max Brod. Una saga su cui una sentenza della Corte distrettuale di Tel Aviv ha scritto la parola fine, decretando che quelle carte, da decenni disperse e in mani private, saranno custodite ed esposte nella Biblioteca nazionale d’Israele a Gerusalemme, accessibili a pubblico e ricercatori. Migliaia di pagine: i quaderni dell’autore delle Metamorfosi, i diari personali di Brod mai pubblicati che potrebbero gettare una nuova luce su Kafka stesso, la corrispondenza tra i due. “Non capita spesso – si legge nella decisione del magistrato Talia Pardo Kupelman – che un giudice abbia l’opportunità di investigare nelle pieghe della storia, che si ritrovi a doverla ricostruire pezzo per pezzo”.
In effetti, l’origine della contesa che ha visto lo stato d’Israele opporsi alle presunte proprietarie dei carteggi, le sorelle Eva Hoffe e Ruth Wiesler, che dichiaravano di averli ereditati dalla madre Esther (segretaria di Max Brod), va ricercata nelle vite di Brod e Kafka, scomparso nel 1924 a Praga, la città dove era nato nel 1883 da una famiglia ebraica di lingua tedesca. Ad appoggiare la rivendicazione delle sorelle anche il German Literature Archive, che reclamava la legittimità dell’acquisto di una parte delle preziose testimonianze dalla madre delle due donne, in quanto appartenenti di diritto alla Germania. Pretese in contraddizione con il testamento di Brod scomparso nel 1968 a Tel Aviv, dove si era trasferito da Praga nel 1939. Alla sua morte i manoscritti portati con sé dalla Cecoslovacchia passarono alla segretaria. Esther Hoffe ignorò il desiderio espresso dal suo principale che il fondo venisse passato a un archivio pubblico e ne vendette una parte all’estero. Molti manoscritti finirono al German Literature Archive della città di Marbach, altre in cassette di sicurezza della Hoffe stessa a Tel Aviv e Zurigo. Esther morì nel 2007 e la figlia Ruth sei mesi fa.
Oggi Eva dovrà consegnare quelle pagine, ma rimarrà titolare di una quota dei profitti di qualsiasi eventuale pubblicazione. Il direttore della Biblioteca nazionale Oren Weinberg ha accolto con soddisfazione la sentenza, sottolineando l’importanza di rendere i carteggi accessibili al pubblico “Non appena possibile, i documenti saranno messi a disposizione anche online” la promessa di Weinberg al quotidiano Haaretz.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Roma - Cosa raccontare, come raccontare
Obiettivo dell'iniziativa è quello di approfondire la storia del primo Novecento con un focus specifico sugli strumenti didattici idonei all'insegnamento della Shoah. Rivolto a insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, il Corso di Storia e didattica della Shoah promosso dalla Rete Universitaria per il Giorno della Memoria con il patrocinio del Miur, Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, è stato introdotto questa mattina alla Camera dei Deputati alla presenza di numerosi addetti ai lavori e giornalisti.
Ad offrire un contributo sulle specificità e sull'alto valore di questa iniziativa, tra gli altri, il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, l'ambasciatore dello Stato di Israele in Italia Naor Gilon, il sottosegretario all'Istruzione Marco Rossi Doria, l'ex deputato Luciano Violante, e i due coordinatori, Paolo Coen e David Meghnagi (nella foto).
Sottolineata da quest'ultimo la multidisciplinarietà del modello formativo proposto. Un approccio, ha evidenziato il docente, ideatore e direttore del Master internazionale di secondo livello in Didattica della Shoah presso l’Ateneo di Roma Tre, che ha permesso in questi anni la formazione di oltre 80 ricercatori "di qualità" e che sarà in questa occasione rivolto a cinque atenei italiani distribuiti su tutto il territorio.
In apertura di lavori commosso omaggio, da parte di tutti i presenti, alla figura del Testimone Shlomo Venezia. "La sua scomparsa - ha affermato Fini - ci ha addolorato e ammonito sulla necessità morale di continuare l'opera sua e degli altri sopravvissuti, che nel corso degli anni si sono impegnati a evitare che l'oblio, l'indifferenza e la manipolazione storico-ideologica potessero cancellare il ricordo".

Qui Roma - Il regalo della Memoria
Il valore della Memoria, l'impegno dei sopravvissuti, il passaggio di testimone tra le generazioni. Argomenti che sono stati al centro della densa giornata di incontri vissuta ieri al Centro ebraico Pitigliani e declinata, in tre distinte sessioni, sul tema “I nonni scrivono, i giovani leggono”. Una riflessione ad ampio raggio, alle porte del 69esimo anniversario del rastrellamento nazifascista al Portico d'Ottavia, che si è aperta in mattinata con l'intervento sviluppato dal rav Roberto Colombo a partire dall'imperativo ebraico Zakhor – ricorda –, è proseguita in compagnia di Fabio Isman, Roberto Olla e Nando Tagliacozzo con la presentazione del progetto Memorie di famiglia, brillante iniziativa realizzata dal Pitigliani in occasione dell'ultimo Giorno della Memoria, e si è conclusa con la messa in scena di Shorashim, spettacolo di Johara Breda con i ragazzi del Talmud Torà di Firenze. Una prima uscita in trasferta, per questa intensa e commovente performance con giovanissimi attori protagonisti, che è stata a lungo applaudita dal pubblico romano in attesa di essere prossimamente replicata anche in altre città. Shorashim racconta di un gruppo di adolescenti e della loro ricerca di un regalo per Nathan, l'amico 13enne “passato” Bar Mitzvah. Non un dono tangibile, si scoprirà, quanto la piena consapevolezza delle proprie radici e l'eredità di una storia che emerge dagli incubi del passato in cui finiranno tutti per immedesimarsi. È un dono, fatto non solo all'amico ma anche a se stessi, che cambierà il modo di pensare di questi ragazzi, li farà maturare, diventare adulti.

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Tea for Two - Come eravamo
daniele liberanomeIl mio obiettivo, una volta finite momentaneamente le fatiche universitarie, era uno solo: tirare fuori l'impolverato libro di cinematerapia acquistato in tempi non sospetti. E seguendo pedissequamente il primo capitolo dall'eloquente titolo Film da vedere tra pianto torrenziale e furia omicida, ecco le istruzioni: guardare Come eravamo. Da anni mi preparavo a questo lungometraggio, il padre di innumerevoli nastri dedicati agli amori infelici, non corrisposti e jellati fin dai titoli di testa. Carrie Bradshaw e le sue discepole lo usano come antidoto al mal d'amore, antidoto e veleno. Come eravamo, ha fondamentalmente quattro protagonisti: Barbra Streisand, Robert Redford, il naso di Barbra Streisand e i capelli di Robert Redford. Inserito il vhs (meravigliosi, vintage vhs, con nastri che si impigliano nel registratore e righe bianche comprese), non avevo preso l'atto con la giusta serietà e canticchiavo stonando la hit di qualche anno fa dei Duck Sauce (uhuhuhuh Barbra Streisand). Mi sono addirittura alzata più volte per rifornirmi di provviste mentre Katie/Barbra rimproverava qualcuno dicendo che era il ritratto della decadenza. Ma la mammoletta che dimora in me fin dai tempi dei cartoni Disney, non ha esitato ad uscire fuori e mi sono trovata impelagata in questa storia struggente. Struggente perché non ci lascia le penne nessuno come nell'ospedaliero Love story o nei film tratti dal 'lialoso' Nicholas Sparks. Struggente perché l'amore non è eterno e si scioglie inesorabilmente come neve al sol. La trama è nota ai più: da igloo alle palafitte, da una zattera in mezzo al mare a una penthouse di New York. Katie/Barbra potrebbe tranquillamente essere la figlia naturale di Karl Marx e Rosa Luxemburg, rossa quanto il vestito di Jessica Rabbit, fa comizi universitari per risvegliare le coscienze, ha una cotta per Roosvelt e il ritratto di Lenin nel suo appartamentino da donna emancipata. Ovviamente è ebrea, come specificano tutti i dizionari dei film e suo papà, al quale ha promesso di chiamare una eventuale figlia Rachele. Hubbel (un nome che riecheggia il viscido Humbert Humbert di Lolita) è biondissimo, bel visetto, mago degli sport: insomma basti dire che è Robert-occhi da orsacchiotto- Redford. Uno di quelli che gli americani adorano definire WASP. Ama la bella vita, le ragazze shallow (frivole e poco impegnative) e scrive romanzi senza per questo essere engagé. Come da copione, Katie non resiste e perde di vista i suoi ideali pur di sistemargli i capelli biondo nuance 'Brad Pitt a inizio carriera'. Hubbel fa il vago, indossa la sua divisa e vuole semplicemente poter azionare e spegnere la verbosa Katie a seconda dei momenti, se è in vena di predicozzi comunisti o se vuole farsi un drink e deridere Eleonor Roosvelt con la sua manica di amici ricchi e vuoti quanto una pancia all'ora di Ne'illà.  Lei si strugge, lui è evasivo. Lei indossa completi anni '70, lui tenute da tennis. Lapalissiana la conclusione: "La verità, cara Katie, è che non gli piaci abbastanza, peccato perché saresti stata la rivalsa per tutte noi che ti adoriamo anche per il tuo naso che ti rende ancora più affascinante". Allora è giunto il momento, non si può fare altro se non cantare The way we were, precursore delle canzoni di Adele, mentre le lacrime cadono giù come rolling stones. La cosa più divertente è che Redford/Hubbel rimane sorpreso constatando come Katie sia sopravvissuta alla cocente delusione. Come ogni uomo, animale alle volte piuttosto elementare, è basito nel vederla ancora in piedi, con un nuovo taglio di capelli e la forza negli occhi di una che non lo chiamerà più in singhiozzi farneticando scuse per non lasciarlo andare. Grazie Katie, vai al diavolo Hubbel. Oops.

Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2


notizie flash   rassegna stampa
Da Israele una nuova speranza
nella lotta al cancro
  Leggi la rassegna

Ispirandosi al principio che "I conflitti non si vincono con i muscoli, ma con l’intelligenza" Eshel Ben-Jacob dell’Università di Tel Aviv ha trasferito questa realtà alla lotta contro il cancro. La ricerca intitolata “Ripensare il modello di azione del cancro alla luce delle strategie di sopravvivenza dei batteri”, infatti, suggerisce che, così come alcune forme batteriche, anche le cellule tumorali sarebbero dotate di una sorta di “Intelligenza sociale” che le rende in grado di coordinarsi per studiare l’ambiente in cui agiscono, organizzando tattiche di sopravvivenza e adattamento. Una efficace strategia per combattere la malattia sarebbe, dunque, quella di conoscere cosa le cellule tumorali in stato embrionale si “dicono” per poi “tagliare” le comunicazioni tra di loro e impedire che si coordinino.


 

“Israele potenza nucleare senza controllo”. È destinata a suscitare un polverone l'ennesima sparata anti-israeliana di Gunther Grass, noto intellettuale tedesco già premio Nobel per la Letteratura che, ai microfoni della radio pubblica, si è reso ieri protagonista di una nuova filippica contro lo Stato ebraico “pericoloso” e “razzista”.



















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