La
Comunità ebraica di Livorno è in festa per il 50esimo anniversario
della costruzione della sinagoga sorta sulle macerie del vecchio Tempio
seicentesco.
Numerosi i cittadini che
si sono stretti attorno alla Comunità in questa intensa giornata di
celebrazioni apertasi con l'ingresso in sinagoga di un nuovo Sefer
Torah dedicato alla memoria di Benjamin, Moise e Flora Yerushalmi, e
con i saluti delle autorità cittadine, del leader comunitario Vittorio
Mosseri e del rabbino capo Yair Didi.
In programma, dopo la
cerimonia in Tempio, l'inaugurazione di una mostra fotografica alla
Goldonetta, la presentazione del volume Un Tempio Nuovo per una Fede
Antica e il concerto conclusivo del Coro Ernesto Ventura (si ringrazia
il blog Comunitando per l'immagine).
Questo il discorso pronunciato dal presidente Mosseri per l'occasione:
In una soleggiata mattina di cinquantaquattro anni fa, alla presenza
delle autorità e del Ministro Giuseppe Togni il rabbino Alfredo Toaff
di z.l. pronunziò la benedizione “shehekheyianu” che suona così:
“Benedetto sia Tu, Signore nostro Dio Re del Mondo, che ci hai fatto
vivere, ci hai mantenuto e ci hai fatto giungere fino a questo momento”.
È questa la benedizione che oggi noi possiamo e dobbiamo ripetere nel
mentre ci accingiamo a celebrare i 50 anni dall’inaugurazione
dell’opera che chiuse per noi l’era delle distruzioni belliche e della
provvisorietà nell’esercizio del culto nei locali invero poco capienti
della Yeshivà Marini.
Il cammino però non era stato facile: falliti i tentativi di salvare e
consolidare i ruderi della Sinagoga che i ripetuti furti di travi ed
altro materiale fecero crollare definitivamente, iniziarono le
trattative con lo Stato cui competeva di finanziare la ricostruzione.
La Comunità insisteva per la formula “com’era e dov’era”, formula che
lo Stato non volle accettare, e per la spesa che fu giudicata
eccessiva, e per la difficoltà di reperire i materiali come marmi
preziosi, stucchi ecc e il personale che li mettesse in opera.
I maggiorenti della Comunità e il rabbino Toaff dovettero pertanto
rinunziare all’idea di rivedere l’imponente e fastoso monumentoalla
fede dei Padri che era stato per oltre 3 secoli l’orgoglio della città
e meta di visite da parte di tutti i sovrani che giungevano a Livorno.
I lavori del nuovo progetto, arditamente moderno, redatto
dall’architetto Angelo di Castro, si protrassero per quattro anni: la
scatola muraria fu finanziata dallo Stato ma l’arredamento fu lasciato
alla cura e alle spese della Comunità, che dovette lanciare una
sottoscrizione internazionale per coprire la ragguardevole somma
necessaria per completare l’opera.
L’edificio così concepito fu successivamente completato con un’Arca
Santa in finissima fattura barocca (firmata e datata 1708) proveniente
dalla cessata Comunità ebraica di Pesaro.
Un Sefer Torah nuovo è stato inaugurato due settimane or sono ed è
stato dedicato alla memoria di quattro benefattori locali che donarono
ingenti somme alle nostre istituzioni, affinché la Comunità, pure nelle
attuali difficili circostanze, provveda anche alle necessità dei
bisognosi che fra di noi non mancano.
Oggi un altro Sefer Torah, donato da benefattori esteri, fa il suo
ingresso nel nostro Tempio, e questo ovviamente, collegato al
Cinquantenario che celebriamo, costituisce festa grande, per noi e per
la cittadinanza che ha visto risorgere un monumento che rimanda alla
gloria di quella che fu la più attiva Comunità ebraica del Mediterraneo
e che ha illustrato nel mondo il nome di Livorno. Ancora oggi in
Israele si stampano formulari di preghiera con l’indicazione “Nosach
Livorno”, secondo l’uso di Livorno.
“Ai livornesi noi livornesi diciamo: Ecco, il Tempio è di nuovo al suo
posto. Vedete siamo qui, non ci hanno distrutto: Siamo ancora e
continuiamo ad essere la nota ebraica di un unico folklore livornese,
insieme intesi a rifare la città, risorgente sulle sue rovine”.
Con queste parole l’allora presidente della Comunità ebraica, professor
Renzo Cabib, concluse il discorso che tenne il giorno
dell’inaugurazione del Tempio 50 anni fa.
Gioia, dunque, per tutti noi e per la nostra città, con l’auspicio che
si possa godere di rinnovata prosperità nella pace e nella reciproca
civile convivenza che da Livorno è stata nei secoli un vanto della
Comunità ebraica e della città.
Con l’aiuto di Dio.
Vittorio Mosseri, presidente della Comunità ebraica di Livorno
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Ladri di futuro
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I messaggi cinicamente offensivi, nonché deliberatamente diffamatori,
che si sono accompagnati alla dipartita di Shlomo Venezia z.l., così
come contro l’attività politica di Carla Di Veroli, comparsi sul web,
insieme al riproporsi, in varie forme e in diversi contesti, della
deliberata e sfacciata apologia del fascismo, hanno rilanciato la
discussione sui rischi ai quali è esposta la nostra libertà così come
sulla necessità di una più solida normativa che punisca le
manifestazioni di denigrazione della democrazia e di sfacciato
razzismo. Oggi stesso, domenica 28 ottobre 2012, in occasione della
ricorrenza del novantesimo anniversario della marcia su Roma,
l’episodio che sancì la trasformazione del fascismo, in quanto
movimento politico, in regime liberticida, sono previsti, ed in
pubblico, eventi e manifestazioni a “imperitura memoria”. La sede
operativa – e ideologica – rimane Predappio, paese natale di Mussolini,
laddove si trovano anche le sue spoglie, divenuto luogo di un lugubre
culto, di un macabro pellegrinaggio, entrambi peraltro in piena
sintonia con lo spirito mortifero del movimento politico di cui il
“duce” degli italiani fu il fondatore. Se nella piazza principale del
comune romagnolo è prevista un’“adunata” affettuosa dei camerati di
ieri e di oggi, il fermento anima altre città d’Italia, come Perugia –
da cui si originò a suo tempo la marcia sull’Urbe – , dove si sta
svolgendo un “convegno di studi” («Marciare su Roma»), promosso da una
decina di organizzazioni della galassia neofascista, più o meno
assortite e variamente note alle cronache, tra le quali l’Associazione
d’Arma Fiamme Nere, l’Ordine dell’Aquila Romana, l’Associazione Decima
Flottiglia Mas-Rsi e così via. A Varese, coniugando manganelli a
gastronomia, è programmata una cena commemorativa. Altro, più o meno
degno di nota, è in corso di svolgimento nella penisola. Ovviamente
l’occasionalità celebrativa si accompagna alla perduranza delle
motivazioni ideologiche di fondo: il fascismo, sostengono i suoi
apologeti, non si è concluso con l’inglorioso crollo del regime
mussoliniano prima e con la fine della Seconda guerra mondiale poi. La
sua visione del mondo, il suo feroce antiegualitarismo, la sua
concezione apocalittica delle relazioni umane, la sua dottrina
razzista, l’esaltazione della violenza come essenza “pura” dell’uomo,
sono tutte cose che appartengono alla nostra contemporaneità, sembrano
volerci ammonire quanti dichiarano, apertamente e spregiudicatamente,
di rifiutare la democrazia come "sifilide dello spirito moderno»"(Pino
Rauti). A questa piccola esplosione di nostalgia, una componente
essenziale nelle motivazioni rancorose del neofascismo nostrano, si
lega quindi la diffusione, in sé forse ancora più inquietante, del
"fascismo del terzo millennio", così come si autodefinisce quello
animato da un circuito che trova in CasaPound, "associazione di
promozione sociale", in realtà vero e proprio movimento politico, un
suo caposaldo essenziale. Di fatto nostalgici e “innovatori”,
passatisti e futuristi, sono due facce della stessa medaglia. Non tutto
è ingenuamente riconducibile ad una sola centrale operativa, e neanche
ad un unico pensiero, ma è certo che dietro l’apparente pluralismo
delle posizioni c’è il filo nero di una comune identità. Parte
integrante, mai venuta meno, di questo modo di essere, è la pervicacia
del pensiero che sancisce l’inesistenza dell’umanità, sostituita dalla
presunta concretezza delle razze, rivendicando inoltre l’ineguaglianza
che vigerebbe tra di esse e la gerarchia “naturale” che ne dovrebbe
riordinarne la presenza su questa terra. Dentro questa cornice di
merito l’antisemitismo rivela la sua consustanzialità al fascismo, sia
da un punto di vista ideologico che culturale, non rappresentandone la
deviazione senescente ma piuttosto il compimento ultimo, il momento più
tristemente autentico. Della dottrina dell’odio nazionalista e di razza
l’avversione contro gli ebrei ne è pertanto la cornice. Il nesso tra
antisemitismo e negazionismo (quest’ultimo da intendersi come l’insieme
di posizioni pseudo-scientifiche e di atteggiamenti falso-storici che
negano l’evidenza materiale e fattuale dello sterminio delle comunità
ebraiche europee negli anni del dominio nazi-fascista) riposa nella
necessità dirilegittimare il primo facendo ricorso alla rimozione della
catastrofe del genocidio, il frutto maturo del terrore totalitario.
Quando si parla di fascismo e di neofascismo è quindi bene sapere che
ci si concentra su qualcosa che è indissolubilmente legato non solo al
pregiudizio contro gli ebrei ma anche alla sua traduzione in politiche,
di discriminazione prima e di persecuzione poi, perseguite dallo Stato
quand’esso si fa regime dell’intolleranza. Si tratta della terribile
novità che il Novecento ci ha consegnato: il razzismo sterminazionista
realizzato apertamente da una pubblica amministrazione, con il
consenso, più o meno compiuto e consapevole, della grande maggioranza
della popolazione. In altre parole, la partita non è chiusa. Non basta
dirci, infatti, che ci si trova dinanzi a manifestazioni minoritarie,
di nicchia, destinate a non raccogliere ulteriore eco. Ogni fascismo è
nato in tali vesti per poi, una volta trovate le condizioni utili e
necessarie, dettate dalle trasformazioni storiche, mutare in sistema e
regimi di massa. Una ferita aperta, per rimanere ai giorni nostri, è la
deriva che da alcuni anni sta conoscendo l’Ungheria. Sulla sua scia
parrebbe purtroppo essersi incamminata anche la Grecia. Alle rabbiose,
truculente e livorose espressioni di piccoli gruppi si lega infatti
l’acquiescenza con la quale queste vengono raccolte da parte di quanti
– e possono essere molti – vivono con crescente insoddisfazione la
crisi delle democrazie. Ai giorni nostri, oltre a un problema di ordine
quantitativo (l’incremento delle manifestazioni di odio razzista, di
antisemitismo nonché di avversione verso le forme della partecipazione
democratica), sussiste una più generale urgenza, quella di porre un
freno alla rassegnazione, ai limiti della condiscendenza, che in questi
ultimi due decenni è andata sostituendosiall’indignazione e alla
condanna. Quasi che ci si trovasse dinanzi ad una sorta di male tanto
incurabile quanto ovvio, con il quale convivere. In Italia il declino
dell’arco costituzionale, delle culture politiche che avevano sancito
la nascita e il faticoso sviluppo di una Repubblica libera dalle
incrostazioni della barbarie, si è accompagnato ad una secca riduzione
degli anticorpi in seno alla collettività: certi discorsi, un tempo
impensabili perché sconfitti con la guerra medesima, di cui erano stati
la causa diretta, sono oggi tornati in auge. La reviviscenza del
negazionismo, di cui si è fatta ripetuta menzione anche in tanti
interventi succedutisi su questa newsletter, ne è una sorta di indice,
ovvero di riscontro diretto. In poche parole, a rischio di
semplificare, maggiore è la propensione a negare l’evidenza della
Shoah, minore è il grado di autonomia e di libertà degli individui. Si
tratta di una equazione morale poiché il negazionismo è, in quanto
costrutto ideologico, uno strumento per imprigionare le persone dentro
un perverso meccanismo di credenze mistificanti, trasformando la storia
in un credo superstizioso. La risposte da dare a queste derive sono
tuttavia complesse, non potendo essere ricondotte ad un solo strumento.
Esiste un problema di pedagogia civile, che rimanda non solo alla
necessità di fare conoscere il passato ma soprattutto di sensibilizzare
alla sua conoscenza, in un’epoca dove questa virtù è invece ben poco
praticata. Si desidera conoscere tanto più quando ci si vuole
emancipare. Esigenza, quest’ultima, scarsamente presente tra molti dei
nostri contemporanei, semmai impauriti dalle molte difficoltà che il
presente, ed il futuro soprattutto, sembrano presentare. Non è quindi
la mancanza di consapevolezza del passato che vincola i più ma
piuttosto i timori per un tempo a venire, un’epoca minacciosa alla
quale non pensare perché imponderabile e piena di angosce. Il
negazionismo, in quanto insulsa rilettura di ciò che è stato, dove
tutto è ricondotto ad un complotto, quello messo in opera dagli ebrei a
danno della collettività planetaria, trova pertanto terreno fertile.
Sulla necessità di porre un freno legislativo molti si sono
pronunciati. Il problema è, ancora una volta, tanto più in un regime
democratico, di non facile soluzione: dove si pone la soglia tra
opinione legittima, ancorché radicale e irritante, e deliberata
deviazione patologica, dove al pensiero si sostituisce l’insulto
immorale a fini politici? Chi ha lavorato sull’analisi del
negazionismo, proprio perché bene ne conosce l’insidiosa pervasività,
sa come esso non sia un monoblocco, dai perimetri definiti, come tale
identificabile aprioristicamente. Non si creda che sia sufficiente
sanzionare l’invettiva. Per questo aspetto gli strumenti già esistono.
Piuttosto si pone il problema di capire quali siano e dove si
collochino i limiti varcati i quali si innesca un processo distruttivo,
per poi agire con i mezzi che la democrazia ci offre. Tra questi, va da
sé, anche quelli della repressione penale. Il tema, comunque, è di
scottante attualità. Sottovalutarlo implica condannarsi a subire un
passato che non è mai del tutto “trapassato”.
Claudio Vercelli
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Nugae - Jewish Mum of the Year |
Jewish
Mum of the Year non è un prestigioso premio conferito da qualche
associazione, bensì l’ultimissima trovata televisiva di una rete
britannica. Si tratta di un reality show che ogni settimana mette in
competizione otto mamme ebree in prove singolari, fra cui ad esempio
organizzare un bar-mitzvah da favola o trovare la moglie perfetta
all’adorato figliolo. Come in ogni reality che si rispetti non mancano
i litigi, dovuti alle diverse personalità delle protagoniste, e i
personaggi eccentrici, come Leslie, che sostiene che per la mamma ebrea
moderna non sia necessario cucinare. Inevitabili le polemiche,
provenienti da molti esponenti ebrei dello show business e
dell’informazione inglesi: Jewish Mum è stato definito “al limite del
razzismo”, “disgustoso”, “molto dannoso”, “pieno di chlichés”. E da un
certo punto di vista queste critiche sono condivisibili: è chiaro che
si sfrutta fino all’osso e si mette in ridicolo il carattere forte di
queste madri ai fini dello spettacolo, ed è vero che generalizzare e
stereotipare non va mai bene. Però in realtà c’è anche del buono in
tutto questo. Perché la tipizzazione dei personaggi è sempre stata un
espediente tipico della commedia, e oggi che il teatro non è più un
passatempo così popolare, il reality l’ha un po’ sostituita
nell’intrattenimento delle masse. E se il latino Plauto usava per far
ridere il giovane innamorato e sfortunato e il servo scaltro, gli
autori televisivi del 2012 hanno a disposizione la bionda non troppo
sveglia, l’artista incompreso e la mamma ebrea. A nessuno oggi verrebbe
mai in mente di mettere in scena un soldato fanfarone, ma tutti hanno
trovato esilarante la mamma invadente di Woody Allen in Edipo Relitto
(New York Stories). Osservato da questa prospettiva Jewish Mum non è
dunque pubblicità negativa, ma semplicemente lo specchio della società
che cambia e comprende il mondo ebraico con tutte le sue sfaccettature.
E poi, in effetti come si fa a non sorridere?
Francesca Matalon - twitter @MatalonF
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rassegna
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Tel Aviv - Decine di migliaia
in piazza per ricordare Rabin
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Decine
di migliaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv ieri sera per
ricordare il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Rabin fu ucciso
da un estremista di destra il 12 Cheswan 5756, esattamente 17 anni fa.
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I
bambini deportati da Roma nel 1943 cui è dedicato il volume della
Fandango Libri “Li hanno portati via” sono al centro della pagine
Cultura e Tempo Libero del Corriere della Sera Roma.
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