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  31 ottobre 2012 - 15 Cheswan 5773
l'Unione informa
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moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Roberto Della Rocca
David
Sciunnach,
rabbino


“… gli disse: prendi il tuo figlio, il tuo unico, quello che ami, Itzhak, e và alla terra di Morià …”(Bereshìt 22, 2). Ha detto l’Admor Rabbì Chaìym di Tzanz: "Due monti sono particolarmente importanti per il popolo d’Israele, dove sono avvenuti due eventi fondamentali della nostra storia. Uno è il monte Morià, dove nostro padre Avrahàm stava per sacrificare suo figlio Itzhak a Dio, superando la prova più difficile della sua vita. Il secondo è il monte Sinai sul quale è stata donata la Torah. Ed ecco che ci sorprende vedere che il Beth ha-Mikdash - il Santuario, non è stato edificato sul monte Sinai, il monte della Torah, bensì sul monte Morià, il monte della akedà - sacrificio. Questo perché? Perché ciò che è veramente importante per noi è la messirut nefesh – la dedizione assoluta, ed è per questo che ai tempi dei patriarchi il monte Morià è stato consacrato".

Davide
Assael,
ricercatore
   

Matilde Passa
Tra meno di una settimana si svolgeranno le tanto attese elezioni statunitensi, che, ancora una volta si annunciano apertissime. Forse non è più il tempo in cui si richiedeva, provocatoriamente, che il Presidente degli Stati Uniti fosse eletto dal mondo intero, in quanto, nei fatti, decisore di ultima istanza su scala globale, ma la posta in gioco resta alta ed avrà senz’altro grandi ripercussioni sui prossimi anni, visto che si stabilirà la direzione che l’Occidente assumerà nei confronti del mondo. C’è chi invoca la necessità di porsi in una posizione conflittuale, con Russia, Cina e mondo arabo, chi propone strategie per costringere ad un dialogo. Sanzioni all’Iran e guerra di svalutazione con la Cina insegnano. Grazie anche all’informazione di “Pagine ebraiche” sappiamo da che parte sono orientati gli ebrei americani, non mi pare, però, che per l’ebraismo europeo la tendenza sia la stessa.

davar
Qui Lucca - Comics&Jews con Pagine Ebraiche
Pagine Ebraiche ancora una volta protagonista a Lucca Comics & Games, tra i massimi appuntamenti internazionali dedicati all’illustrazione, al fumetto e al fantasy (1-4 novembre). Il giornale dell’ebraismo italiano, con il dossier Comics & Jews, terza incursione negli intrecci tra mondo del fumetto e cultura ebraica sarà distribuito alle biglietterie e a tutti i punti informazioni. Comics and Jews sarà inoltre ufficialmente presentato all’incontro in programma il 2 novembre (ore 11, Sala D’Oro): a partecipare saranno Giorgio Albertini, disegnatore e docente dell’Università statale di Milano, il grande illustratore italiano Vittorio Giardino, i fumettisti Walter Chendi e Luca Enoch (rispettivamente autori di La porta di Sion e La banda Stern), Ada Treves, curatrice del dossier Comics & Jews. E quest’anno per la prima volta Pagine Ebraiche entra nel programma di Lucca anche uno showcase: un faccia a faccia con David B., autore de Il Mio Miglior Nemico (Rizzoli Lizard) che disegnerà per il pubblico durante l’intervista (l’appuntamento è in Sala via Vittorio Veneto alle 13).

Comics and Jews - Israele allo specchio del graphic novel

L'anno 2008 segna per molti versi una svolta nella percezione del fumetto in Israele. Non solo per la prima volta nella storia dell’editoria israeliana un romanzo grafico, Exit Wounds, di Rutu Modan (nata a Tel Aviv nel 1966), entra nella classifica dei libri in ebraico più venduti dell’anno, ma ai comics vengono dedicati due prestigiosi convegni internazionali, uno alla Bezalel Academy of Arts sui legami tra politica e caricatura, l’altro a Mishkenot Shananim per celebrare il centenario della nascita del belga Hergé (1907-1983), il creatore di Tintin. Tra i partecipanti l’allora redattore capo del quotidiano Haaretz, Dov Alfon, direttore editoriale di una delle principali case editrici israeliane, la Kinneret Zemora Bitan, metteva a confronto la quasi assoluta indifferenza con cui fu accolta la prima traduzione ebraica di Tintin nel 1964 e il trionfo invece delle sette nuove traduzioni proposte al pubblico israeliano a partire per l’appunto dal 2007. La constatazione era tanto più interessante che la difficile aliyah di Tintin in Israele non poteva essere solo attribuita ai trascorsi collaborazionisti di Hergé durante la guerra, né ad alcuni episodi di carattere antisemita e razzista delle avventure dell’eroe e del suo cagnolino (tra cui una visita lampo nella Palestina mandataria in tempo per essere rapito da “terroristi” dell’Irgun), accuratamente espunti nelle riedizioni dell’immediato dopo-guerra e di cui negli anni Sessanta poco si sapeva fuori dai circoli di tintinologi accaniti. In realtà questa era dovuta alla diffidenza nei confronti di un ibrido culturale, quale il fumetto, percepito come forma espressiva che al peggio veicolava valori piccolo borghesi e al meglio aveva diritto di cittadinanza solo come mero intrattenimento per l’infanzia. Non bisogna dimenticare che sui comics, come del resto su tutta la cultura popolare, pesava quello stesso pregiudizio che aveva portato le autorità nel 1964 a vietare l’ingresso in Israele ai Beatles di cui era previsto un concerto a Tel Aviv. Tanto si temeva l’esterofilia e le nefande influenze del pop sull’ethos halutzistico della nuova nazione che alla celebre banda di Liverpool ci si riferiva chiamandoli esclusivamente con il nome ebraico di Hipushiot (appunto i maggiolini). Fu così che anche Mickey Mouse, il celebre topolino della Disney, divenne, nei giornaletti per bambini israeliani dell’epoca, Micky Motz, topo sionista le cui avventure vengono ambientate alternativamente nel Kibbutz dove lavora come contadino (Motz in ebraico significa paglia) o nelle file di Zahal di cui è un soldato senza macchia e senza paura. Questo non significa che le prime generazioni di adolescenti israeliani non fossero avide come altrove di fumetti e comics. I supereroi americani erano invece molto popolari anche in Israele e i giovani, ma non solo loro, consumavano tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, gli Stalag, giornaletti a carattere semi-pornografico ambientati in campi di lavoro forzato nazisti e prodotti da autori locali in modo semiclandestino, braccati com’erano dalla censura ufficiale e da genitori pruriginosi. Il titolo di uno di questi fascicoli “Ero la cagna del colonello Schulz” la dice lunga sul suo contenuto, oggi oggetto di rivalutazione culturale e ricercati items di collezionismo fetish, come mostrano il multipremiato documentario di Ari Libsker (Haifa, 1972) nel 2007 e gli studi del sociologo Oz Almog. Allora, quando la politica era una passione nazionale israeliana molto più di quanto non lo sia oggi, solo i vignettisti di satira ideologica che pubblicavano le loro caricature sulla stampa quotidiana potevano aspirare al riconoscimento ufficiale del loro talento artistico, come Dosh (1921- 2000), creatore per Maariv e per il Jerusalem Post di Srulik, simbolo del sabra, o ancora Dudu Geva (1950- 2005), caricaturista celebre in tutto il paese per il suo paperozzo giallo, il cui erede è oggi il disegnatore Michel Kishka (nato a Liegi nel 1964). Affrontare invece il trauma della Shoah attraverso il fumetto rimarrà un tabu infranto solo dall’americano Art Spiegelman con la pubblicazione di Maus nel 1991. Questo non significa che sopravvissuti non avessero fatto ricorso all’arte grafica per testimoniare la loro esperienza già all’indomani della liberazione e alcuni persino nei campi stessi, come Horst Rosenthal, internato a Gurs nel sud della Francia e ucciso ad Auschwitz. Solamente quest’aspetto della loro opera verrà scoperto solo molto più tardi, spesso a titolo postumo, come è avvenuto per quella del disegnatore e inventore di nuove tecniche d’animazione Joseph Bau (1920- 2002), che riuscì a sopravvivere nel campo di concentramento di Plasow e nel ghetto di Cracovia grazie al suo talento di caricaturista e di falsario di documenti. Per un radicale cambiamento nella percezione pubblica del potenziale artistico del fumetto bisogna attendere gli anni Novanta e la concomitante rivoluzione del panorama audio- visivo israeliano, con l’apparizione di reti televisive private – si pensi che sino ad allora non c’era pubblicità in tv! - e l’accesso generalizzato ai nuovi media digitali e satellitari, in un contesto in cui Israele si afferma a livello mondiale come una superpotenza del high tech e delle telecomunicazioni. Il fumetto esce finalmente dagli stretti limiti della caricatura e del libro per l’infanzia e diventa strumento di auto- rappresentazione collettiva, di critica sociale e di testimone dell’attualità. Ma senza la creazione del dipartimento di Tikshoret Hazutit (comunicazione visiva) presso l’accademia di belle arti Bezalel a Gerusalemme, che nei suoi tre lustri di esistenza è diventata una vera e propria serra di giovani talenti, probabilmente non si potrebbe parlare di scuola israeliana del fumetto. Non c’è praticamente oggi professionista delle arti grafiche che non abbia studiato o insegnato a Bezalel, da David Polonsky, illustratore del film di Ari Folman, Valzer con Bashir (2008), di cui ha poi curato la trasposizione in formato di romanzo grafico, a Gilad Seliktar (nato nel 1977) autore, assieme alla sorella Galit (nata nel 1970), del recentissimo Farm 54, per menzionare solo alcuni dei più famosi artisti oltre a quelli che nel 1995 hanno fondato il gruppo Actus Tragicus Comics con l’intenzione di dare massima diffusione internazionale al mondo dei comics israeliano. Amitai Sandy (nato a Kfar Saba nel 1976), rinomato illustratore per la stampa quotidiana, ha persino fondato una casa editrice interamente dedicata al fumetto, la Dimona Comix Publishing e oggi i fans del fumetto possono riferirsi a pubblicazioni specializzate nel settore e a un festival annuale di comics e animazione alla cineteca di Tel Aviv, intitolato Animics e ormai alla sua dodicesima edizione, fondato da Dudu Shalita. Negli ultimi anni si assiste peraltro a un proliferare di scuole che offrono una formazione professionale nel campo dell’animazione e del design, dalla Shenkar di Tel Aviv al collegio Bet Berl di Kfar Saba. Inoltre, accanto a un’intensa attività di traduzione in ebraico dei classici del fumetto internazionale, parallela all’esportazione quasi immediata dei prodotti israeliani all’estero, vale la pena insistere sul fascino che la realtà israeliana esercita sull’immaginazione di artisti. Da prospettive politiche e sensibilità diverse, ma spesso riuscendo a superare le immagini stereotipate, Israele è al centro di tre romanzi grafici che hanno riscosso un successo planetario. Il libro di Sarah Glidden, How to Understand Israel in 60 Days or Less, 2010, che descrive l’esperienza di una partecipante americana al progetto dell’Agenzia ebraica Birth Right, quello di Joe Sacco del 2001, Palestine, diario di un viaggio compiuto a Gaza e nella West Bank tra il 1991 e il 1992, sino al recentissimo Jerusalem: Chronicles from the Holy City del canadese Guy Delisle, uscito quest’anno dopo un soggiorno nel paese di un anno nel 2008. Non c’è dubbio insomma che lo straordinario successo dei comics in Israele a cui si assiste da dieci anni sia uno dei tanti segni della grande creatività del paese e del profondo rinnovamento culturale in atto.

Asher Salah, Accademia Bezalel Gerusalemme, Pagine Ebraiche novembre 2012

Qui Roma - Pitigliani Kolno'a Film Festival al via
Saranno Footnote di Joseph Cedar e La sposa promessa di Rama Burshstein, la cui protagonista, Hadas Yaron ha vinto la Coppa Volpi come miglior attrice alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ad aprire la settima edizione del Pitigliani Kolno'a Film Festival che si svolgerà alla Casa del Cinema a Largo Mastroianni nella splendida cornice di Villa Borghese dal 3 al 7 novembre.
Trentatre fra film e documentari divisi in quattro sezioni tematiche che propongono la miglior cinematografia israeliana, che negli ultimi anni sta attirando l'attenzione delle platee internazionali, sono stati presentati questa mattina: la conferenza stampa si è svolta all'Istituto Pitigliani di Roma alla presenza di Ariela Piattelli che assieme a Dan Muggia ne è il direttore artistico, Ronen Fellus curatore del progetto e consigliere del Pitigliani, Ofra Farhi addetto culturale dell'ambasciata di Israele a Roma, Cecilia d'Elia e Dino Gasperini rispettivamente assessori alle politiche culturali della Provincia e del Comune di Roma. Presenti in sala fra gli altri anche la vicepresidente del Pitigliani e responsabile delle relazioni esterne Rossella Veneziano, i consiglieri Daniele Naim e Sira Fatucci e la direttrice Ambra Tedeschi.
Filo conduttore della rassegna è presentare al pubblico la società israeliana nelle sue numerose sfaccettature, senza trascurare il mondo degli ortodossi, tradizionalmente poco rappresentato nelle produzioni artistiche, che ora inizia invece a dialogare e a farsi conoscere. La sposa promessa racconta la storia di Shira, giovane ebrea ortodossa promessa in sposa ad un ragazzo della sua stessa età ed estrazione sociale, le cui aspettative vengono infrante da una terribile tragedia.
La pellicola è offerta nella sezione Sguardo sul cinema israeliano che propone dieci film, fra cui Footnote, God's Neighbors, Life in Stills, Six Million and one. Vi è poi la sezione dedicata ai tre grandi registi Stanley Kubrik, Roman Polanski e Woody Allen intitolata Storie di cinema. La terza sezione è intitolata Percorsi ebraici, quattro documentari che toccano storie, luoghi e epoche molto diversi fra loro e infine la sezione dedicata al regista David Ofek.
Il Kolno'a è realizzato dall'Istituto Pitigliani con il sostegno e il patrocinio, fra gli altri, dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dell'Ambasciata di Israele a Roma, della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma.
L'ingresso alle proiezioni, che si svolgeranno interamente alla Casa del Cinema, è libero fino a esaurimento posti. E' possibile scaricare sull'Ipad l'applicazione che consente di vedere tutto il programma ed i trailers di alcuni film proiettati. Clicca qui per scaricare il programma completo delle proiezioni.

le - twitter @lefratimoked

Qui Milano - Status giuridico e fiscalità.
Confronto in Consiglio
Consiglio straordinario per la Comunità ebraica di Milano, che nell’esame della propria posizione fiscale sembra destinata a fare da apripista nella complessa definizione dello status giuridico delle realtà ebraiche italiane. Oltre agli adempimenti per conformare la Comunità alle previsioni legislative in materia di responsabilità delle persone giuridiche, particolarmente pressante è la questione del riconoscimento della qualifica di ente no profit. Una questione con importanti conseguenze sulla situazione economica complessiva. Si tratta, si è ricordato in Consiglio, di temi cruciali per il futuro non soltanto dell’istituzione ebraica milanese, ma di tutte le Comunità italiane su cui anche l'Unione delle Comunità ebraiche Italiane sta operando per garantire alle realtà ebraiche l'assetto migliore, e l’applicazione uniforme del diritto a tutte le comunità ed enti ad esse connessi. Nel corso dei lavori l’assessore comunitario al Bilancio Raffaele Besso e il segretario generale Alfonso Sassun hanno illustrato le problematiche attualmente aperte e hanno ribadito che la Comunità milanese si sta muovendo in sintonia con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che si sta occupando del tema a livello nazionale, al fine di ottenere un riconoscimento chiaro e univoco delle Comunità ebraiche come enti non lucrativi di utilità sociale, per i vari segmenti ed attività istituzionale da queste svolte.

rt - twitter @tercatinmoked

pilpul
Ticketless - Sardi, zanzare e cosacchi
Quando, per una ragione o per l’altra, la modalità ticketless s’inceppa, queste righe saranno sostituite dal Libro dei buoni. Mia nonna chiamava così un quadernetto dove segnare il nome degli amici più cari. Il libro dei cattivi, diceva, non esiste. Da molti anni in quel quadernetto segno le pagine più belle che mi sia capitato di leggere sugli ebrei in Italia. Un giorno penso di cavarne un’antologia. Altri studiosi della storia degli ebrei d’Italia, con più zelo di me, aggiornano invece di continuo il Libro dei cattivi. In Sardegna non torno da molti anni; mi capita di pensare ai sardi ogni volta che leggo un libro sulle origini del sionismo (è accaduto con la bella edizione, a cura di

Roberta Ascarelli, del romanzo di Herzl Altneuland, ne ha parlato David Bidussa su queste pagine). Sopra la silhouette dell’Uganda a me viene spontaneo sempre sovrapporre la silhouette della Sardegna. Se Herzl avesse scelto quest’isola come prima Sionne non si sarebbe pentito. Ecco due schedine sarde dal mio Libro dei buoni: “Per quanto federalista e autonomista, io sono per la fusione dei sardi e degli ebrei. Gli ebrei saranno i benvenuti per noi e per le zanzare fedeli, le quali saranno, con loro, miti e discrete come lo sono con noi” (Emilio Lussu, “Giustizia e Libertà”, 30.9.1938, si noti la data!). Seconda scheda: “Al contrario dei cosacchi, i sardi non distinguono gli ebrei dagli altri uomini” (Lettera di Gramsci a Tania Schucht, 12.10.1931).

Alberto Cavaglion
La scelta
Come spesso capita, e come è naturale che sia, anche stavolta, nell’accingermi a stendere le brevi note per il mio appuntamento settimanale con l'Unione informa, ho valutato diversi eventuali argomenti degni di commento. La possibilità di scelta, purtroppo, è sempre molto ampia, perché le cattive notizie abbondano. Due, alla fine, sono gli argomenti che si sono imposti alla mia attenzione, come particolarmente interessanti: da una parte, l’imponenza delle manifestazioni celebrate in memoria del 90° anniversario della Marcia su Roma, che sembrano avere ormai definitivamente ‘sdoganato’ (se già non era accaduto prima, forse da molto tempo) il fascismo; dall’altra, le diverse pubbliche attestazioni, pronunciate da alcuni parlamentari del Partito Democratico e dell’Italia dei Valori, a sostegno della recente spedizione marittima contro Israele. Le cose da dire, nell’uno e nell’altro caso, apparivano facili, l’unico rischio era, se mai, quello di ripetersi. Avrei posto, nell’uno e nell’altro caso, alcune semplici domande retoriche, quelle di sempre. Per la Marcia su Roma: esiste ancora il reato di apologia del fascismo? è ancora vietata la ricostituzione del PNF? ministri, prefetti e questori avevano cose più importanti di cui occuparsi? il mondo politico non ha nulla da commentare? a destra sono d’accordo? la Chiesa che ne pensa? ecc. ecc. Sostegno a Flotilla 3: la sinistra tornerà a depositare bare davanti alle sinagoghe? ormai ha dimenticato il vecchio amore della Palestina (forse perché governata da gente troppo moderata, o forse, semplicemente, perché ogni amore, col tempo, si logora…) per la nuova ‘fiamma’ (indubbiamente più passionale e rapinosa) di Gaza? La solidarietà per Hamas riguarda anche la quotidiana pioggia di missili lanciata contro le scuole e gli asili di Sderot? Bersani, Renzi e Vendola, che si accapigliano su tutto, su questo non hanno niente da dire? ecc. ecc.
Qualsiasi dei due argomenti avessi scelto, insomma, la stesura del breve pezzo si preannunciava decisamente agevole. Quel che mi si presentava come difficile, però, era la scelta. Quale dei due argomenti era più importante? Confesso che, nel valutare i ‘pro’ e i ‘contro’ di ciascuna delle due opzioni, mi sono lasciato andare a diverse considerazioni. Qualche tempo fa, avrei pensato che il neofascismo è un fenomeno ributtante, ma, tutto sommato, abbastanza marginale, capace di dare fastidio soprattutto sul piano morale, direi anche estetico, ma non davvero pericoloso. Più gravi, quindi, le ‘scivolate’ verso la violenza e l’antisemitismo presenti nei grandi partiti democratici, che rischiano di inquinare il pensiero di sempre più larghe fasce di cittadini, convertendoli alla cultura dell’odio e della sopraffazione. Quindi, scelta a favore della Flotilla. Però, mi sono poi detto, è ancora vero che il fascismo è un fenomeno di nicchia? Le immagini televisive sembrerebbero dimostrare il contrario. E non è raro che squadracce neofasciste effettuino raid aggressivi nelle scuole, sempre beatamente indisturbate. È proprio impossibile che un domani, più o meno prossimo, una nuova Marcia su Roma, mutatis mutandis, abbia a ripetersi? L’Europa, si dice, non lo permetterebbe. Ma ne siamo proprio sicuri? Contrordine: parliamo di Predappio.
Ma, mi sono detto ancora, non è che questa scelta, come in alte occasioni, viene preferita anche perché più ‘comoda’? Nessun amico ti criticherà, l’antifascismo, quantunque un po’ invecchiato, è ancora un valore largamente condiviso, è facile sventolarne la bandiera. Nel criticare i corsari della domenica e i loro ammiratori, invece, bisogna stare più attenti a misurare le parole, andare a leggere bene cosa hanno detto, fare salva la buona fede, non irridere il generoso sostegno a chi soffre ecc. E non tutti, comunque, saranno d’accordo con te. Un motivo in più per scegliere la Marcia su Roma. Ma anche un motivo contro: non è, per caso, una scelta un po’ vile? Come si vede, non ho saputo scegliere. Sono rimasto fermo, in triste contemplazione delle due moltitudini che premono minacciose – a destra, la nera, a sinistra, la rossa – contro le vacillanti porte di una cittadella sempre più indifesa.

Francesco Lucrezi, storico

notizieflash   rassegna stampa
A Tel Aviv la moda ManoAMano
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Cangiari, marchio stilistico calabrese che in dialetto calabrese significa cambiare, sbarca a Tel Aviv. Fondato sotto il tutorato di Santo Versace, ha presentato ieri a Tel Aviv 'ManoAMano', mostra sospesa tra moda, ambiente e società, nell vecchio municipio in piazza Bialik, ora museo 'Beit Ha'ir. Cangiari appartiene al Gruppo cooperativo Goel a capo di numerose imprese sociali della Calabria e opera per l'inserimento nel mondo del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne. 
 

Mentre le immagini di una New York prostrata dall’uragano Sandy sconvolgono il mondo, lo scrittore Nathan Englander (...)









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