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  4 novembre 2012 - 19 Cheswan 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
Roberto Della Rocca
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino


Ha detto Ravà: "Quando una persona verrà portata al giudizio del tribunale celeste, dopo la sua morte, le verrà detto: "Hai condotto i tuoi affari con onestà? Hai stabilito dei tempi precisi per lo studio della Torah? Ti sei preoccupato di procreare? Hai atteso la salvezza? Ti sei immerso nella sapienza? Studiando hai cercato di desumere una cosa da un'altra?" E tuttavia: se il timore di Dio è il suo tesoro tutto ciò ha valore, altrimenti non lo ha. (Talmud bavlì, Shabbat 31a il Daf yomì di ieri).
David Bidussa, storico sociale
delle idee
   

Matilde Passa
“Rasato a zero come gli ebrei” con questo titolo è stato presentato e raccontato sui giornali italiani l’episodio, - peraltro ancora in fase di accertamento da parte delle autorità inquirenti – su una possibile violenza su un minore da parte dei suoi istruttori di nuoto per la mancata prestazione in una gara sportiva.
Ho delle perplessità sul titolo e anche sul modo di parlare di questo episodio. Non penso che l’alternativa sarebbe il silenzio, ma mi chiedo: perché concentrare l’attenzione su chi ha subito la violenza? Non è più logico concentrarla su chi l’avrebbe perpetrata? Forse perché si pensa che in questa maniera il titolo sia più efficace. Ma l’effetto è che si attenua l’attenzione dal centro vero della questione che è la violenza messa in pratica da chi si trova a esercitare l’autorità. In questo episodio, accanto al trauma subìto da un minore, sta soprattutto il comportamento non tanto genericamente degli adulti, ma di chi pensa secondo il doppio principio: essere il padrone del corpo degli altri e applicare la norma “punirne uno per educarne cento”.
 

davar
Qui Firenze – I Giovani Ebrei in congresso
“Vi porto il saluto di Firenze, una città curiosa, litigiosa, laica senza essere in nessun modo antireligiosa, una città che vi invito a esplorare e che vi dà il benvenuto”. È stato il sindaco di Firenze Matteo Renzi, insieme al presidente della Comunità ebraica Guidobaldo Passigli e al rabbino capo Joseph Levy, ad accogliere i partecipanti al diciottesimo congresso dell’Unione giovani ebrei d’Italia riunitosi nel capoluogo toscano. Oltre 180 ragazzi da tutta Italia hanno preso parte al finesettimana ugeino che ha alternato momenti di confronto e dibattito a occasioni di svago.
“Viviamo un momento di grande cambiamento. Le comunità hanno sempre meno iscritti eppure i giovani hanno tanta voglia d’incontrarsi e di condividere. Siamo la parte più importante, rappresentiamo il presente ed il futuro dell’ebraismo italiano – ha spiegato Daniele Regard, che dopo due anni come presidente Ugei terminerà il suo mandato il 31 dicembre 2012 all’entrata in carica del nuovo consiglio.
Eventi aggregativi, relazioni esterne, cultura, informazione, problematiche legate alla vita dell’organizzazione sono stati alcuni dei temi affrontati durante il lavoro in commissione, aperto dopo l’assemblea plenaria. Mentre la partecipazione del presidente di Equality Aurelio Mancuso, ha offerto un’occasione di confronto sul tema dei diritti civili e in particolare dei diritti delle minoranze.
I lavori hanno portato alla votazione delle mozioni che determineranno il lavoro del prossimo consiglio. Molteplici le sfide che l’Ugei si trova ad affrontare: dall’organizzazione di eventi per coinvolgere ragazzi delle piccole così come delle grandi Comunità in chiave aggregativa e culturale, al rappresentare la voce dei giovani ebrei nel dibattito pubblico italiano. Particolarmente presenti nel confronto che ha caratterizzato il finesettimana sono stati i temi della opportunità di favorire una effettiva partecipazione ai lavori congressuali, in particolare per i nuovi partecipanti, e delle modalità di adesione agli eventi per coloro che non sono iscritti a una Comunità ebraica.
In corso le votazioni per rinnovare il Consiglio esecutivo 2013.


Memoria condivisa per vittime dei pogrom di Tripoli
Memoria condivisa, patrimonio di tutti. Saranno il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici ad aprire, domani sera, lunedì 5 novembre, alle 20 nel tempio Bet El di via Padova, le celebrazioni dei tragici episodi che colpirono la comunità libica nel novembre del 1945. A 67 anni dal pogrom di Tripoli, quando nella capitale libica furono massacrati centinaia di cittadini ebrei inermi, Pacifici mette in evidenza che non si tratterà solo di un momento celebrativo, ma piuttosto di una svolta nella concezione della memoria della nostra storia. “Anche nel caso delle sofferenze degli ebrei di Libia – spiega – parleranno i testimoni, si apriranno le porte dei musei, si trasmetterà alla società e alle nuove generazioni cosa sono state le persecuzioni che si sono protratte ben oltre il Secondo conflitto mondiale, fino allo sradicamento di una realtà ebraica gloriosa e antichissima dal proprio ambiente naturale”.
Su proposta di Leone Naouri, celebre mohel di origini libiche ora stabilitosi in Israele e di Shalom Teshuba, che con Pacifici è Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e presidente della comunità degli ebrei di Libia, si avvierà un processo che integri nell'azione di salvaguardia della Memoria anche la memoria degli ebrei tripolini. “All'incontro al Bet El – aggiunge Pacifici – seguiranno iniziative nell'ambito delle Scuole ebraiche, una nuova collaborazione con il Museo ebraico di Roma, che condurrà allo sviluppo di spazi espositivi soprattutto nella grande area della sinagoga principale cui fanno riferimento gli ebrei di Libia stabilitisi a Roma (oltre a quella di via Padova sono operativi a Roma altre tre tempi realizzati dagli ebrei di Libia). Una lapide che sarà scoperta porterà a perenne ricordo i nomi delle 136 vittime accertate del pogrom del 1945 (di molte altre vittime la documentazione non è completa) e ricorderà gli altri che soffrirono, anche nel 1948 e nel 1967, a causa degli attacchi antisemiti e dell'intolleranza islamica.


Qui Lucca - Comics&Jews di Pagine Ebraiche con David B.
L’edizione 2012 di Lucca Comics & Games, iniziata lo scorso giovedì, mostrava già al primo giorno come fare una programmazione ricca, interessante e variata sia la scelta vincente anche in tempi difficili. La folla che si aggira per le vie di Lucca durante la manifestazione è sempre uno spettacolo: in tantissimi sono travestiti da personaggi del mondo Comics &Games e quest’anno già nei primi giorni di manifestazione i numeri erano davvero impressionanti, con più di centomila presenze ancor prima del fine settimana. Fra Obelix e un gruppo di personaggi di un manga giapponese, insieme a un paio di marines in assetto da guerra e due improbabili Cip e Ciop era difficile trovare uno spazio tranquillo, venerdì però i partecipanti alla presentazione del dossier Comics & Jews, terza incursione di Pagine Ebraiche nel mondo del fumetto sono riusciti nell’intento ed è stato interessante vedere seduti fianco a fianco David B., Luca Enoch e Vittorio Giardino che di fronte all’immancabile minestra toscana chiacchieravano e insieme a Giorgio Albertini e Cinzia Leone confrontavano gli attrezzi del mestiere, scambiando penne, pennini e lapis in un misto di lingue, tecniche ed esperienze. Il gruppo si è poi spostato per assistere al secondo evento organizzato da Comics & Jews: lo showcase di David B. che è riuscito con grande disinvoltura a rispondere alle domande dell’intervistatore (il giornalista e critico del fumetto Marco Pellitteri), mentre disegnava. E le sue risposte hanno confermato l’impressione ricavata nelle ore precedenti: nonostante l’estrema lucidità e a volte durezza con cui affronta argomenti anche difficili le sue risposte hanno lasciato l’impressione di una persona serena, che ama appassionatamente il suo lavoro e che tratta con estrema serietà e voglia di approfondire anche i temi più difficili. Ha risposto sugli argomenti più svariati, a partire da un’infanzia serena, in cui mentre dagli amici non si poteva disegnare o dipingere per non fare disastri a casa sua la situazione era diametralmente opposta, fra libri d’arte e - sin da subito – fumetti ovunque. L’interesse di David B. per la storia risale forse proprio a quegli anni in cui con suo fratello metteva in scena e spesso anche disegnava grandi battaglie, che a volte diventavano dei piccoli albi illustrati da vendere per pochi centesimi ai genitori. E quando è scoppiata la guerra del Golfo la sua reazione è stata immediata: mentre terminava di disegnare un turbante, inquadrato dalle telecamere che proiettavano i movimenti delle sue mani a favore del folto pubblico presente in sala, ha raccontato come la sua prima sensazione sia stata che si trattava di un tema troppo vasto e che bisognava assolutamente farne qualcosa, raccontare il rapporto fra gli americani e il mondo arabo. E ha continuato spiegando come all’epoca del primo incontro, con la Libia, l’America fosse un paese molto povero e totalmente ignoto agli abitanti dei paesi musulmani che non avevano alcuna nozione della sua esistenza. Per gli americani i libici erano solo pirati, e la politica nei loro confronti era schierata in maniera paradossalmente simile a quella attuale, con posizioni opposte fra falchi e colombe, e anche allora erano i falchi a fare la politica, scegliendo quella guerra mirabilmente narrata da David B. e dall’arabista Jean-Pierre Filiu, nella prima puntata de Il mio miglior nemico. Storia delle relazioni tra Stati Uniti e Medio Oriente. Si tratta appunto della prima parte, che arriva fino al 1953. Seguiranno altri due volumi - il prossimo è già in lavorazione - e, forse, in futuro potrebbe arrivare anche una rivista di Storia e fumetti, se David B. e l’Association, gruppo di artisti capace negli anni ’90 di rivoluzionare il fumetto francese e non solo che lo vede fra i suoi fondatori, decideranno di proseguire in un progetto che anche se solo rapidamente accennato attorno a un tavolo ha raccolto molto interesse fra gli autori di Comics & Jews, che già avevano discusso dell’argomento durante la presentazione del terzo dossier dedicato al rapporto fra fumetti e cultura ebraica.

Ada Treves - twitter @atrevesmoked

Qui Roma - Kolno'a presenta il grande cinema di Israele
Un pubblico numeroso e coinvolto, alla Casa del Cinema di Roma ha applaudito i 105 minuti di Footnote, pellicola di apertura della settima edizione del Pitigliani Kolno'a Film Festival, rassegna cinematografica in Italia dedicata al cinema israeliano e di argomento ebraico, diretta da Dan Muggia e Ariela Piattelli, che fino al 7 novembre propone, a ingresso gratuito, 33 pellicole fra film e documentari.
Ad aprire la serata il saluto presidente dell'Istituto Pitigliani Ugo Limentani assieme a quelli del consigliere Ronen Fellus curatore del progetto, del  presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna e dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon. Fra il pubblico in sala, per citare alcuni nomi, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, i consiglieri dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Anselmo Calò e Victor Magiar, i consiglieri della Comunità ebraica di Roma Ruben Della Rocca e Giacomo Moscati, l'assessore dell'XI Municipio Carla Di Veroli, ma anche il regista David Ofek, a cui è dedicata una delle quattro sezioni del Festival di quest'anno e Hadas Yaron, attrice protagonista de La sposa promessa della regista Rama Burshtein, in uscita nelle sale cinematografiche il 15 novembre, che sarà proiettato in anteprima questa sera.
Interpretato da grandi attori israeliani, come Shlomo Bar Aba e Lior Ashkenazi (Camminando sull’acqua, Matrimonio tardivo), Footnote del regista Joseph Cedar racconta la rivalità fra padre e figlio, attraverso la storia di Eliezer Shkolnik e suo figlio Uriel, entrambi professori di Talmud all’Università Ebraica di Gerusalemme, il padre è caduto nel dimenticatoio, il figlio è all’apice del successo, quando ad Eliezer viene annunciato il conferimento del premio più prestigioso d’Israele come riconoscimento per i suoi lavori, ma è un errore: il premio è in realtà attribuito a suo figlio Uriel. Toccherà proprio ad Uriel, combattuto tra il desiderio di vedere il padre ritirare il premio e quello di ricevere lui stesso un meritato riconoscimento, decidere se svelare a suo padre l'errore o tenerlo dentro di sé rinunciando per sempre al conferimento del premio. Il film aveva già vinto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes (2011), quando è arrivata la candidatura agli Oscar come miglior film in lingua straniera.
Tra le altre opere in programma nelle quattro sezioni, The Exchange di Eran Kolirin, già autore del film La Banda, Shargiya, premiato al Festival di Gerusalemme 2012, God's neighbours di Meni Yaesh, Restoration di Joseph Madmony e The cutofiman di Idan Hubel. Nella sezione Storie di cinema l'omaggio a tre grandi registi ebrei, raccontati attraverso documentari: Stanley Kubrik, Roman Polanski e Woody Allen.
Il Kolno'a è realizzato dall'Istituto Pitigliani con il sostegno e il patrocinio, fra gli altri, dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dell'ambasciata di Israele a Roma, della Rabinovich Foundation, della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma. Da quest'anno è possibile scaricare  su tablet l'applicazione che consente di vedere tutto il programma e i trailers di alcuni film in programma.

Lucilla Efrati  - twitter@lefratimoked


pilpul
Un rancido gulasch
L’Ungheria è un paese al centro dell’Europa, sia la sua posizione geografica ma anche per la sua storia. Dal 2004 è membro dell’Unione europea. Le vicende dell’insediamento ebraico, nell’ultimo conflitto mondiale, sono note. Se nel 1941 vivevano nei territori della Grande Ungheria 785mila ebrei, di cui 400mila magiari, con la fine della guerra non ne erano rimasti che circa 206mila. La grande mattanza si svolse tra il marzo del 1944 e il gennaio del 1945, con l’attivo impegno del Nyilaskeresztes Párt – Hungarista Mozgalom, letteralmente il Partito delle croci frecciate – movimento ungarista di Ferenc Szálasi. La partecipazione dei carnefici locali, istigati e protetti dai nazisti, fu volenterosa e, purtroppo, efficace. Su quanto il Danubio si sia tinto di rosso in quei terribili dieci mesi di tragica oppressione e su come Auschwitz fosse divenuta la meta ultima per centinaia di migliaia di persone si sono versati, e a ragione, fiumi d’inchiostro. Quella storia è nota, in buona sostanza. Il paese, dopo la sconfitta, fu trasformato in una cosiddetta democrazia popolare, nazione satellite dell’Unione Sovietica. Di fatto,negli anni che andarono dal 1946 al 1989, non solo un’insopportabile cappa politico-ideologica ma anche un conformismo intellettuale spinto al parossismo impedirono un riesame critico del proprio recente. L’antifascismo di Stato concorse a rimuovere ogni orizzonte problematico, semplicemente celebrando l’apologia del presente “socialista”. Quando l’Ungheria si liberò dal nodo scorsoio della sudditanza a Mosca, con la caduta del muro di Berlino, molti dei problemi che fino ad allora non erano stati affrontati, quindi, si riproposero inesorabilmente con la loro forza. Tra questi anche il rapporto con la componente ebraica della popolazione. L’Ungheria ha una tradizione e una storia robustissime. Ne è parte integrante l’insediamento ebraico, che risale al III secolo dell’era volgare, precedente alla stesso stanziamento magiaro, che si stanzializzò su quelli che sarebbero divenuti i propri territori nazionali solo seicento anni dopo. Al primo censimento, effettuato nel XVIII secolo, risultavano circa 5mila ebrei. Nei cento anni successivi la crescita della comunità fu prima costante e poi sempre più accelerata. Se nel 1805 aveva superato i 125mila membri, cinquant’anni dopo era corrispondente al 3,7% (340mila persone) dell’intera popolazione ungherese. Nel 1880 era pressoché raddoppiata, raggiungendo la considerevole cifra di poco meno di 625mila elementi, mentre trent’anni dopo, su ventuno milioni di ungheresi 910mila erano ebrei. Benché la situazione demografica fosse in decisa evoluzione non altrettanto si poteva dire dell’estensione dei diritti civili, poiché la loro concretizzazione, attraverso gli statuti emancipatori, si compì tra il 1867 e il 1895. Peraltro a questo relativo ritardo, rispetto ai paesi liberali dell’Europa atlantica, si accompagnava il pieno inserimento degli ebrei nella vita economica, potendo svolgere ruoli di avanguardia nella trasformazione del paese, che nella seconda metà dell’Ottocento ancora scontava i ritardi derivanti da una forte presenza dell’aristocrazia terriera. Questi, in estrema sintesi, i precedenti. Per venire ai giorni nostri, se vogliamo cogliere alcuni situazioni indice dobbiamo rivolgere l’attenzione alla condizione dei rom. La quale, pur scontando molte differenze di fondo con il solido insediamento ebraico, è parte della montante questione delle cosiddette "minoranze nazionali", che nello Stato danubiano si va ripresentando con crescente drammaticità. I rom sono grosso modo 800mila, prevalentemente presenti nelle regioni nord-occidentali del paese, quelle economicamente più depresse. La loro esclusione sociale è un fatto che è andato incrementando dal 1989 ad oggi. Ad essi, come agli ebrei, è rivolta l’accusa di essere corresponsabili della crisi economica in cui versa l’Ungheria. E qui veniamo al dunque. La destra "liberale” governa il paese che, formalmente, rimane una Repubblica democratica, fondata sul parlamento monocamerale. Di fatto, dal 1º gennaio 2012, con l'entrata in vigore della nuova Costituzione, il nome dello Stato è diventato "Ungheria" mentre la parola "Repubblica", che prima ne caratterizzava il nome completo, è stata cancellata. I deputati del parlamento ungherese, dagli originari 386, sono stati ridotti a 199 membri. Le prerogative dell’opposizione sono state fortemente limitate. Il partito di maggioranza, il Fidesz - Unione Civica Ungherese, nato nel 1988 e poi trasformatosi nel corso degli anni, tra scissioni e ricomposizioni, esprime l’attuale premier, Viktor Orbán. Nelle elezioni politiche del 2010, con il tracollo dello screditato Partito socialista, l’alleanza promossa da Orbán ha ottenuto la maggioranza del 52,73% dei voti, assicurandosi così, in virtù delle leggi elettorali, i due terzi dei seggi parlamentari e l’autosufficienza nella definizione e nell’approvazione di una Costituzione dai tratti decisamente autoritari. In due anni di governo si è succeduto il varo vorticoso di una selva di leggi, molte delle quali di stampo nettamente illiberale, in contrasto con i vincoli imposti dall’appartenenza all’Unione europea: regolamentazione, con indirizzo restrittivo, della libertà di stampa; limitazione dei poteri e del numero delle autorità indipendenti; rimozione del presidente della Corte costituzionale; controllo sistematico sulla magistratura e sulla Banca centrale; statuizione in senso conservatore nel merito delle libertà civili. Alla destra del Fidesz, che è una formazione politica conservatrice, populista, anticomunista e "cristiana", si colloca lo Jobbik Magyarországért Mozgalom, il  Movimento per una Ungheria migliore, attivo dal 2003, avendo raccolto l’eredità del precedente Partito ungherese giustizia e vita» Di fatto lo Jobbik è una organizzazione  su posizioni non solo populiste ma ipernazionaliste, basate sulle dottrine del radicalismo di destra. Per molti osservatori la sua ideologia di riferimento è il neofascismo. Alle elezioni del 2010 ha ottenuto il 16,7% dei voti e ben 47 seggi. Tra le sue file milita l’avvocatessa Krisztina Morvai, eurodeputata, che ha inaugurato il suo mandato a Strasburgo affermando che «sarei contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne andassero a giocherellare con i loro piccoli peni circoncisi, invece di insultare me». Il rapporto di stretta contiguità che Jobbik intrattiene con la Guardia ungherese, un’organizzazione paramilitare, è oggetto di molte polemiche. La Guardia, infatti, è accusata di sostenere e diffondere posizioni razziste, e quindi antisemite, avverse alla popolazione Rom nonché omofobe. In questo quadro, tra le altre cose, nei mesi scorsi si è assistito al tentativo di riabilitare la figura di Miklos Horthy, Reggente d’Ungheria dal 1920 al 1944, alleato dei tedeschi (dai quali fu poi deposto con un colpo di Stato), promotore e promulgatore della legislazione antiebraica che ebbe il suo culmine con l’introduzione, nel 1938, da parte del governo di Kálmán Darányi, di numerose disposizioni discriminatorie che, di fatto, prepararono il terreno alle successive deportazioni naziste. L’ideologia di riferimento della destra ungherese è quella turanista (Turan è l’antico nome con il quale i persiani chiamavano la regione centrale dell’Asia), che situa l’origine dei magiari in Asia, in netta contrapposizione agli slavi. Il turanismo, dottrina geopolitica in voga soprattutto ai tempi del post-ottomanismo per parte delle élite dirigenti turche, in Ungheria conobbe in un primo tempo le sue glorie maggiori grazie alle Croci frecciate, durante il periodo tra le due guerre mondiali. In Turchia fu poi fatta propria dal movimento ultranazionalista Bozkurtlar, i Lupi grigi, dalle cui file, per intenderci, veniva quel Mehmet Ali Ağca che attentò alla vita di Karol Józef Wojtyła. Oggi è recuperata dalla destra radicale ungherese con il tacito consenso di quella al governo, in un gioco di ruoli e di specchi molto pericoloso. Il panturanismo è praticato anche dai nazionalisti finlandesi ed estoni, per indicare un più ampio movimento transnazionale, includente popoli diversi, discendenti però da un comune ceppo asiatico, e tra questi, oltre ovviamente agli ungheresi, i baltici, i turchi, i manciuriani, i giapponesi, i coreani e le comunità dell’Asia centrale. Il quotidiano d’area Magyar Nemzet, il secondo in termini di tiratura a livello nazionale, da tempo veicola questa impostazione, che rimanda al principio per il quale «la più antica civilizzazione europea arriva dall’Ungheria». In questo quadro, dove tra l’altro l’euroscetticismo è la moneta corrente dei risentimenti collettivi, il cattolicesimo tradizionalista trova nuova ispirazione e linfa. Poiché la vera cornice ideologica, in Ungheria come negli altri paesi dell’Europa centrale, della reviviscenza del fascismo riscontra nel riferimento alla dottrina cattolica più regressiva i suoi corollari imprescindibili. I magiari, secondo questa impostazione, sono un popolo che somma su di sé la benedizione divina, in quanto duplici depositari: da un lato dell’onore della difesa del sacro altare e, dall’altro, della matrice profonda del sangue europeo, che rinvia addirittura ai sumeri, agli sciiti e agli unni (non si cerchi al riguardo una coerenza di religiosità e percorsi storici, trattandosi di ricostruzioni al limite della deliberata manipolazione). Le ideologie revansciste correnti in Ungheria hanno ad obiettivo, ça va sans dire, gli «elementi stranieri», che inquinerebbero, con la loro stessa presenza, il paese e i suoi interessi. La gravissima crisi della moneta nazionale, il fiorino, dovuta all’isolamento in cui Orbán ha portato l’economia del paese, è imputata agli ebrei. La Morvai, rivolgendosi alla comunità ebraica ungherese, aveva avuto modo di dichiarare che "la gente come voi è abituata a vedere la gente come noi mettersi sull’attenti ogni volta che date sfogo alle vostre flatulenze. Dovreste per cortesia rendervi conto che tutto questo è finito. Abbiamo rialzato la testa e non tollereremo più il vostro tipo di terrore. Ci riprenderemo il nostro paese". Questo, per intenderci, è il programma politico che va avanzando in un paese dell’Unione europea.

Claudio Vercelli


Nugae - Fred e Ginger
C’è un mondo tutto in bianco e nero dove le scarpe suonano e il tempo non passa mai: è quello dei film di Fred Astaire e Ginger Rogers. I vestiti lunghi e svolazzanti pieni di piume e brillantini e i boccoli biondi di lei, così longilinea e stupenda, le scarpe lucide e il fiore nel taschino di lui, tutto evoca leggerezza ed eleganza.  Rifugiati sotto un gazebo in un temporale improvviso o nella sala da ballo di un caffè parigino, ogni situazione e ogni luogo sono buoni per lanciarsi in un allegro tiptap o in un valzer romantico. E sembra davvero che in quei momenti nulla di male possa succedere al mondo. La loro intesa insuperabile, la loro grazia maestosa, i loro movimenti che sembrano disegni, tutto conferisce l’idea di un’armonia che nulla può intaccare. Nonostante il bianco e nero si percepisce ogni singola sfumatura di questa realtà assolutamente perfetta. E il fatto che la storia di Fred abbia origini lontane e un po’ sperdute, ma il suo successo sia venuto in modo così spontaneo, non fa altro che alimentare questa atmosfera da sogno. Il suo vero nome infatti era  Frederick Austerlitz, suo padre era nato a Linz, in Austria, da genitori ebrei poi convertiti al cristianesimo. Si era trasferito a Omaha, in Nebraska, per cercare fortuna, ma sua moglie sognava di scappare, e per questo incoraggiò i figli, Fred e sua sorella Adele, a sfruttare il loro talento, portandoli finalmente alla conquista di Broadway. Quando Adele si sposò e abbandonò le scene, per Fred fu un trauma perdere la sua partner. Ma poi incontrò Ginger, agli inizi degli anni trenta, e con lei formò la coppia che, anche una volta sciolta, nessuno ha mai dimenticato. Certo tutta questa spensieratezza danzante potrebbe risultare un po’ stucchevole. Forse sono solo i vaneggiamenti di una dilettantissima ballerina di tiptap. O probabilmente provengo da un’altra epoca, ne sono sempre più convinta. Ma qualche volta si ha bisogno di pensare che esista un posto protetto da tutte le cose brutte, e Fred e Ginger sono lì per ricordarcelo.

Francesca Matalon - twitter @MatalonF

notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di Vita - Il monumento
a Graziani e Wallenberg in onda
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Il mausoleo dello scandalo dedicato a Rodolfo Graziani, Governatore della Libia durante il fascismo, responsabile di efferati crimini di guerra, costruito con fondi pubblici ad Affile, nel Lazio (..
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In primo piano sui quotidiani è la vicenda del bambino di Caldogno (Vicenza) rasato dagli istruttori di nuoto: rasato “come gli ebrei”, secondo quello che avrebbero dichiarato gli istruttori durante la punizione.

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