L’edizione
2012 di Lucca Comics & Games, iniziata lo scorso giovedì, mostrava
già al primo giorno come fare una programmazione ricca, interessante e
variata sia la scelta vincente anche in tempi difficili. La folla che
si aggira per le vie di Lucca durante la manifestazione è sempre uno
spettacolo: in tantissimi sono travestiti da personaggi del mondo
Comics &Games e quest’anno già nei primi giorni di manifestazione i
numeri erano davvero impressionanti, con più di centomila presenze
ancor prima del fine settimana. Fra Obelix e un gruppo di personaggi di
un manga giapponese, insieme a un paio di marines in assetto da guerra
e due improbabili Cip e Ciop era difficile trovare uno spazio
tranquillo, venerdì però i partecipanti alla presentazione del dossier
Comics & Jews, terza incursione di Pagine Ebraiche nel mondo del
fumetto sono riusciti nell’intento ed è stato interessante vedere
seduti fianco a fianco David B., Luca Enoch e Vittorio Giardino che di
fronte all’immancabile minestra toscana chiacchieravano e insieme a
Giorgio Albertini e Cinzia Leone confrontavano gli attrezzi del
mestiere, scambiando penne, pennini e lapis in un misto di lingue,
tecniche ed esperienze. Il gruppo si è poi spostato per assistere al
secondo evento organizzato da Comics & Jews: lo showcase di David
B. che è riuscito con grande disinvoltura a rispondere alle domande
dell’intervistatore (il giornalista e critico del fumetto Marco
Pellitteri), mentre disegnava. E le sue risposte hanno confermato
l’impressione ricavata nelle ore precedenti: nonostante l’estrema
lucidità e a volte durezza con cui affronta argomenti anche difficili
le sue risposte hanno lasciato l’impressione di una persona serena, che
ama appassionatamente il suo lavoro e che tratta con estrema serietà e
voglia di approfondire anche i temi più difficili. Ha risposto sugli
argomenti più svariati, a partire da un’infanzia serena, in cui mentre
dagli amici non si poteva disegnare o dipingere per non fare disastri a
casa sua la situazione era diametralmente opposta, fra libri d’arte e -
sin da subito – fumetti ovunque. L’interesse di David B. per la storia
risale forse proprio a quegli anni in cui con suo fratello metteva in
scena e spesso anche disegnava grandi battaglie, che a volte diventavano dei piccoli albi illustrati da
vendere per pochi centesimi ai genitori. E quando è scoppiata la guerra
del Golfo la sua reazione è stata immediata: mentre terminava di
disegnare un turbante, inquadrato dalle telecamere che proiettavano i
movimenti delle sue mani a favore del folto pubblico presente in sala,
ha raccontato come la sua prima sensazione sia stata che si trattava di
un tema troppo vasto e che bisognava assolutamente farne qualcosa,
raccontare il rapporto fra gli americani e il mondo arabo. E ha
continuato spiegando come all’epoca del primo incontro, con la Libia,
l’America fosse un paese molto povero e totalmente ignoto agli abitanti
dei paesi musulmani che non avevano alcuna nozione della sua esistenza.
Per gli americani i libici erano solo pirati, e la politica nei loro
confronti era schierata in maniera paradossalmente simile a quella
attuale, con posizioni opposte fra falchi e colombe, e anche allora
erano i falchi a fare la politica, scegliendo quella guerra
mirabilmente narrata da David B. e dall’arabista Jean-Pierre Filiu,
nella prima puntata de Il mio miglior nemico. Storia delle relazioni
tra Stati Uniti e Medio Oriente. Si tratta appunto della prima parte,
che arriva fino al 1953. Seguiranno altri due volumi - il prossimo è
già in lavorazione - e, forse, in futuro potrebbe arrivare anche una
rivista di Storia e fumetti, se David B. e l’Association, gruppo di
artisti capace negli anni ’90 di rivoluzionare il fumetto francese e
non solo che lo vede fra i suoi fondatori, decideranno di proseguire in
un progetto che anche se solo rapidamente accennato attorno a un tavolo
ha raccolto molto interesse fra gli autori di Comics & Jews, che
già avevano discusso dell’argomento durante la presentazione del terzo
dossier dedicato al rapporto fra fumetti e cultura ebraica.
Ada Treves -
twitter @atrevesmoked
|
|
Un
pubblico numeroso e coinvolto, alla Casa del Cinema di Roma ha
applaudito i 105 minuti di Footnote, pellicola di apertura della
settima edizione del Pitigliani Kolno'a Film Festival, rassegna
cinematografica in Italia dedicata al cinema israeliano e di argomento
ebraico, diretta da Dan Muggia e Ariela Piattelli, che fino al 7
novembre propone, a ingresso gratuito, 33 pellicole fra film e
documentari.
Ad aprire la serata il saluto presidente dell'Istituto Pitigliani Ugo
Limentani assieme a quelli del consigliere Ronen Fellus curatore del
progetto, del presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane, Renzo Gattegna e dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor
Gilon. Fra il pubblico in sala, per citare alcuni nomi, il rabbino capo
di Roma Riccardo Di Segni, i consiglieri dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Anselmo Calò e Victor Magiar, i consiglieri della
Comunità ebraica di Roma Ruben Della Rocca e Giacomo Moscati,
l'assessore dell'XI Municipio Carla Di Veroli, ma anche il regista
David Ofek, a cui è dedicata una delle quattro sezioni del Festival di
quest'anno e Hadas Yaron, attrice protagonista de La sposa promessa
della regista Rama Burshtein, in uscita nelle sale cinematografiche il
15 novembre, che sarà proiettato in anteprima questa sera.
Interpretato da grandi attori israeliani, come Shlomo Bar Aba e Lior
Ashkenazi (Camminando sull’acqua, Matrimonio tardivo), Footnote del
regista Joseph Cedar racconta la rivalità fra padre e figlio,
attraverso la storia di Eliezer Shkolnik e suo figlio Uriel, entrambi
professori di Talmud all’Università Ebraica di Gerusalemme, il padre è
caduto nel dimenticatoio, il figlio è all’apice del successo, quando ad
Eliezer viene annunciato il conferimento del premio più prestigioso
d’Israele come riconoscimento per i suoi lavori, ma è un errore: il
premio è in realtà attribuito a suo figlio Uriel. Toccherà proprio ad
Uriel, combattuto tra il desiderio di vedere il padre ritirare il
premio e quello di ricevere lui stesso un meritato riconoscimento,
decidere se svelare a suo padre l'errore o tenerlo dentro di sé
rinunciando per sempre al conferimento del premio. Il film aveva già
vinto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes
(2011), quando è arrivata la candidatura agli Oscar come miglior film
in lingua straniera.
Tra le altre opere in programma nelle quattro sezioni, The Exchange di
Eran Kolirin, già autore del film La Banda, Shargiya, premiato al
Festival di Gerusalemme 2012, God's neighbours di Meni Yaesh,
Restoration di Joseph Madmony e The cutofiman di Idan Hubel. Nella
sezione Storie di cinema l'omaggio a tre grandi registi ebrei,
raccontati attraverso documentari: Stanley Kubrik, Roman Polanski e
Woody Allen.
Il Kolno'a è realizzato dall'Istituto Pitigliani con il sostegno e il
patrocinio, fra gli altri, dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane, dell'ambasciata di Israele a Roma, della Rabinovich
Foundation, della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma.
Da quest'anno è possibile scaricare su tablet l'applicazione che
consente di vedere tutto il programma e i trailers di alcuni film in
programma.
Lucilla Efrati
- twitter@lefratimoked
|
|
|
Un rancido gulasch |
L’Ungheria
è un paese al centro dell’Europa, sia la sua posizione geografica ma
anche per la sua storia. Dal 2004 è membro dell’Unione europea. Le
vicende dell’insediamento ebraico, nell’ultimo conflitto mondiale, sono
note. Se nel 1941 vivevano nei territori della Grande Ungheria 785mila
ebrei, di cui 400mila magiari, con la fine della guerra non ne erano
rimasti che circa 206mila. La grande mattanza si svolse tra il marzo
del 1944 e il gennaio del 1945, con l’attivo impegno del
Nyilaskeresztes Párt – Hungarista Mozgalom, letteralmente il Partito
delle croci frecciate – movimento ungarista di Ferenc Szálasi. La
partecipazione dei carnefici locali, istigati e protetti dai nazisti,
fu volenterosa e, purtroppo, efficace. Su quanto il Danubio si sia
tinto di rosso in quei terribili dieci mesi di tragica oppressione e su
come Auschwitz fosse divenuta la meta ultima per centinaia di migliaia
di persone si sono versati, e a ragione, fiumi d’inchiostro. Quella
storia è nota, in buona sostanza. Il paese, dopo la sconfitta, fu
trasformato in una cosiddetta democrazia popolare, nazione satellite
dell’Unione Sovietica. Di fatto,negli anni che andarono dal 1946 al
1989, non solo un’insopportabile cappa politico-ideologica ma anche un
conformismo intellettuale spinto al parossismo impedirono un riesame
critico del proprio recente. L’antifascismo di Stato concorse a
rimuovere ogni orizzonte problematico, semplicemente celebrando
l’apologia del presente “socialista”. Quando l’Ungheria si liberò dal
nodo scorsoio della sudditanza a Mosca, con la caduta del muro di
Berlino, molti dei problemi che fino ad allora non erano stati
affrontati, quindi, si riproposero inesorabilmente con la loro forza.
Tra questi anche il rapporto con la componente ebraica della
popolazione. L’Ungheria ha una tradizione e una storia robustissime. Ne
è parte integrante l’insediamento ebraico, che risale al III secolo
dell’era volgare, precedente alla stesso stanziamento magiaro, che si
stanzializzò su quelli che sarebbero divenuti i propri territori
nazionali solo seicento anni dopo. Al primo censimento, effettuato nel
XVIII secolo, risultavano circa 5mila ebrei. Nei cento anni successivi
la crescita della comunità fu prima costante e poi sempre più
accelerata. Se nel 1805 aveva superato i 125mila membri, cinquant’anni
dopo era corrispondente al 3,7% (340mila persone) dell’intera
popolazione ungherese. Nel 1880 era pressoché raddoppiata, raggiungendo
la considerevole cifra di poco meno di 625mila elementi, mentre
trent’anni dopo, su ventuno milioni di ungheresi 910mila erano ebrei.
Benché la situazione demografica fosse in decisa evoluzione non
altrettanto si poteva dire dell’estensione dei diritti civili, poiché
la loro concretizzazione, attraverso gli statuti emancipatori, si compì
tra il 1867 e il 1895. Peraltro a questo relativo ritardo, rispetto ai
paesi liberali dell’Europa atlantica, si accompagnava il pieno
inserimento degli ebrei nella vita economica, potendo svolgere ruoli di
avanguardia nella trasformazione del paese, che nella seconda metà
dell’Ottocento ancora scontava i ritardi derivanti da una forte
presenza dell’aristocrazia terriera. Questi, in estrema sintesi, i
precedenti. Per venire ai giorni nostri, se vogliamo cogliere alcuni
situazioni indice dobbiamo rivolgere l’attenzione alla condizione dei
rom. La quale, pur scontando molte differenze di fondo con il solido
insediamento ebraico, è parte della montante questione delle cosiddette
"minoranze nazionali", che nello Stato danubiano si va ripresentando
con crescente drammaticità. I rom sono grosso modo 800mila,
prevalentemente presenti nelle regioni nord-occidentali del paese,
quelle economicamente più depresse. La loro esclusione sociale è un
fatto che è andato incrementando dal 1989 ad oggi. Ad essi, come agli
ebrei, è rivolta l’accusa di essere corresponsabili della crisi
economica in cui versa l’Ungheria. E qui veniamo al dunque. La destra
"liberale” governa il paese che, formalmente, rimane una Repubblica
democratica, fondata sul parlamento monocamerale. Di fatto, dal 1º
gennaio 2012, con l'entrata in vigore della nuova Costituzione, il nome
dello Stato è diventato "Ungheria" mentre la parola "Repubblica", che
prima ne caratterizzava il nome completo, è stata cancellata. I
deputati del parlamento ungherese, dagli originari 386, sono stati
ridotti a 199 membri. Le prerogative dell’opposizione sono state
fortemente limitate. Il partito di maggioranza, il Fidesz - Unione
Civica Ungherese, nato nel 1988 e poi trasformatosi nel corso degli
anni, tra scissioni e ricomposizioni, esprime l’attuale premier, Viktor
Orbán. Nelle elezioni politiche del 2010, con il tracollo dello
screditato Partito socialista, l’alleanza promossa da Orbán ha ottenuto
la maggioranza del 52,73% dei voti, assicurandosi così, in virtù delle
leggi elettorali, i due terzi dei seggi parlamentari e
l’autosufficienza nella definizione e nell’approvazione di una
Costituzione dai tratti decisamente autoritari. In due anni di governo
si è succeduto il varo vorticoso di una selva di leggi, molte delle
quali di stampo nettamente illiberale, in contrasto con i vincoli
imposti dall’appartenenza all’Unione europea: regolamentazione, con
indirizzo restrittivo, della libertà di stampa; limitazione dei poteri
e del numero delle autorità indipendenti; rimozione del presidente
della Corte costituzionale; controllo sistematico sulla magistratura e
sulla Banca centrale; statuizione in senso conservatore nel merito
delle libertà civili. Alla destra del Fidesz, che è una formazione
politica conservatrice, populista, anticomunista e "cristiana", si
colloca lo Jobbik Magyarországért Mozgalom, il Movimento per una
Ungheria migliore, attivo dal 2003, avendo raccolto l’eredità del
precedente Partito ungherese giustizia e vita» Di fatto lo Jobbik è una
organizzazione su posizioni non solo populiste ma
ipernazionaliste, basate sulle dottrine del radicalismo di destra. Per
molti osservatori la sua ideologia di riferimento è il neofascismo.
Alle elezioni del 2010 ha ottenuto il 16,7% dei voti e ben 47 seggi.
Tra le sue file milita l’avvocatessa Krisztina Morvai, eurodeputata,
che ha inaugurato il suo mandato a Strasburgo affermando che «sarei
contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne
andassero a giocherellare con i loro piccoli peni circoncisi, invece di
insultare me». Il rapporto di stretta contiguità che Jobbik intrattiene
con la Guardia ungherese, un’organizzazione paramilitare, è oggetto di
molte polemiche. La Guardia, infatti, è accusata di sostenere e
diffondere posizioni razziste, e quindi antisemite, avverse alla
popolazione Rom nonché omofobe. In questo quadro, tra le altre cose,
nei mesi scorsi si è assistito al tentativo di riabilitare la figura di
Miklos Horthy, Reggente d’Ungheria dal 1920 al 1944, alleato dei
tedeschi (dai quali fu poi deposto con un colpo di Stato), promotore e
promulgatore della legislazione antiebraica che ebbe il suo culmine con
l’introduzione, nel 1938, da parte del governo di Kálmán Darányi, di
numerose disposizioni discriminatorie che, di fatto, prepararono il
terreno alle successive deportazioni naziste. L’ideologia di
riferimento della destra ungherese è quella turanista (Turan è l’antico
nome con il quale i persiani chiamavano la regione centrale dell’Asia),
che situa l’origine dei magiari in Asia, in netta contrapposizione agli
slavi. Il turanismo, dottrina geopolitica in voga soprattutto ai tempi
del post-ottomanismo per parte delle élite dirigenti turche, in
Ungheria conobbe in un primo tempo le sue glorie maggiori grazie alle
Croci frecciate, durante il periodo tra le due guerre mondiali. In
Turchia fu poi fatta propria dal movimento ultranazionalista
Bozkurtlar, i Lupi grigi, dalle cui file, per intenderci, veniva quel
Mehmet Ali Ağca che attentò alla vita di Karol Józef Wojtyła. Oggi è
recuperata dalla destra radicale ungherese con il tacito consenso di
quella al governo, in un gioco di ruoli e di specchi molto pericoloso.
Il panturanismo è praticato anche dai nazionalisti finlandesi ed
estoni, per indicare un più ampio movimento transnazionale, includente
popoli diversi, discendenti però da un comune ceppo asiatico, e tra
questi, oltre ovviamente agli ungheresi, i baltici, i turchi, i
manciuriani, i giapponesi, i coreani e le comunità dell’Asia centrale.
Il quotidiano d’area Magyar Nemzet, il secondo in termini di tiratura a
livello nazionale, da tempo veicola questa impostazione, che rimanda al
principio per il quale «la più antica civilizzazione europea arriva
dall’Ungheria». In questo quadro, dove tra l’altro l’euroscetticismo è
la moneta corrente dei risentimenti collettivi, il cattolicesimo
tradizionalista trova nuova ispirazione e linfa. Poiché la vera cornice
ideologica, in Ungheria come negli altri paesi dell’Europa centrale,
della reviviscenza del fascismo riscontra nel riferimento alla dottrina
cattolica più regressiva i suoi corollari imprescindibili. I magiari,
secondo questa impostazione, sono un popolo che somma su di sé la
benedizione divina, in quanto duplici depositari: da un lato dell’onore
della difesa del sacro altare e, dall’altro, della matrice profonda del
sangue europeo, che rinvia addirittura ai sumeri, agli sciiti e agli
unni (non si cerchi al riguardo una coerenza di religiosità e percorsi
storici, trattandosi di ricostruzioni al limite della deliberata
manipolazione). Le ideologie revansciste correnti in Ungheria hanno ad
obiettivo, ça va sans dire, gli «elementi stranieri», che
inquinerebbero, con la loro stessa presenza, il paese e i suoi
interessi. La gravissima crisi della moneta nazionale, il fiorino,
dovuta all’isolamento in cui Orbán ha portato l’economia del paese, è
imputata agli ebrei. La Morvai, rivolgendosi alla comunità ebraica
ungherese, aveva avuto modo di dichiarare che "la gente come voi è
abituata a vedere la gente come noi mettersi sull’attenti ogni volta
che date sfogo alle vostre flatulenze. Dovreste per cortesia rendervi
conto che tutto questo è finito. Abbiamo rialzato la testa e non
tollereremo più il vostro tipo di terrore. Ci riprenderemo il nostro
paese". Questo, per intenderci, è il programma politico che va
avanzando in un paese dell’Unione europea.
Claudio
Vercelli
|
|
Nugae - Fred e Ginger
|
C’è
un mondo tutto in bianco e nero dove le scarpe suonano e il tempo non
passa mai: è quello dei film di Fred Astaire e Ginger Rogers. I vestiti
lunghi e svolazzanti pieni di piume e brillantini e i boccoli biondi di
lei, così longilinea e stupenda, le scarpe lucide e il fiore nel
taschino di lui, tutto evoca leggerezza ed eleganza. Rifugiati
sotto un gazebo in un temporale improvviso o nella sala da ballo di un
caffè parigino, ogni situazione e ogni luogo sono buoni per lanciarsi
in un allegro tiptap o in un valzer romantico. E sembra davvero che in
quei momenti nulla di male possa succedere al mondo. La loro intesa
insuperabile, la loro grazia maestosa, i loro movimenti che sembrano
disegni, tutto conferisce l’idea di un’armonia che nulla può intaccare.
Nonostante il bianco e nero si percepisce ogni singola sfumatura di
questa realtà assolutamente perfetta. E il fatto che la storia di Fred
abbia origini lontane e un po’ sperdute, ma il suo successo sia venuto
in modo così spontaneo, non fa altro che alimentare questa atmosfera da
sogno. Il suo vero nome infatti era Frederick Austerlitz, suo
padre era nato a Linz, in Austria, da genitori ebrei poi convertiti al
cristianesimo. Si era trasferito a Omaha, in Nebraska, per cercare
fortuna, ma sua moglie sognava di scappare, e per questo incoraggiò i
figli, Fred e sua sorella Adele, a sfruttare il loro talento,
portandoli finalmente alla conquista di Broadway. Quando Adele si sposò
e abbandonò le scene, per Fred fu un trauma perdere la sua partner. Ma
poi incontrò Ginger, agli inizi degli anni trenta, e con lei formò la
coppia che, anche una volta sciolta, nessuno ha mai dimenticato. Certo
tutta questa spensieratezza danzante potrebbe risultare un po’
stucchevole. Forse sono solo i vaneggiamenti di una dilettantissima
ballerina di tiptap. O probabilmente provengo da un’altra epoca, ne
sono sempre più convinta. Ma qualche volta si ha bisogno di pensare che
esista un posto protetto da tutte le cose brutte, e Fred e Ginger sono
lì per ricordarcelo.
Francesca Matalon - twitter
@MatalonF
|
|
notizieflash |
|
rassegna
stampa |
Sorgente di
Vita - Il monumento
a Graziani e Wallenberg in onda
|
|
Leggi la rassegna |
Il mausoleo dello scandalo dedicato a Rodolfo Graziani, Governatore
della Libia durante il fascismo, responsabile di efferati crimini di
guerra, costruito con fondi pubblici ad Affile, nel Lazio (...)
Continua
>>
|
|
In primo piano sui quotidiani è la vicenda del bambino di Caldogno
(Vicenza) rasato dagli istruttori di nuoto: rasato “come gli ebrei”,
secondo quello che avrebbero dichiarato gli istruttori durante la
punizione.
Continua
>>
|
|
 |
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo
messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare
con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete
comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|
|
|
|