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6 novembre 2012 - 21 Cheshwan 5773
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linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

Nella Parashah di Vayerà  è significativamente ricorrente il verbo “vedere”. L’Eterno si fa vedere (appare) da Avraham (Bereshìt,18; 1) il quale a sua volte vede, attraverso tre messaggeri (18; 2), che la sua vita avrà una svolta. Sarah vede la degenerazione di Yshmael e l’influenza negativa che questa potrebbe avere sull’educazione di Ytzchak (21; 9). Avraham vede il Luogo dove sarà eretto più tardi il Santuario (22; 4) definendolo il Luogo della vista per eccellenza dove l’Eterno vede e vedrà (22; 14); quel Luogo dove tre volte all’anno ognuno di noi deve andare a farsi vedere (Devarìm,16; 16). C’è però anche chi non riesce a vedere in profondità ma si limita a guardare, come la moglie di Lot che si  volta e “guarda” indietro (Bereshìt, 19; 26). Quando ci voltiamo a  rimpiangere  il passato, e ne diventiamo ostaggi, rischiamo di  mineralizzarci e di trasformarci in statue di sale. Proiettarsi in avanti con fiducia significa, viceversa, riuscire a  vedere, anche in un momento tragico, un montone le cui corna sono impigliate ( 22; 13 ) dal cui suono verrà  annunciata la futura redenzione.

Dario
 Calimani,
 anglista



Quando l’ex-magistrato Antonio Di Pietro si presentò sulla scena politica pensai (e non fui l’unico) che era finalmente cominciata una stagione di denuncia e di lotta al sistema corruttivo che aveva infangato per decenni il paese. Spirava aria pulita. Non ho mai votato per il partito di Di Pietro, ma mi è sempre piaciuta la sua battaglia. Fino al Report televisivo della scorsa settimana, quando si è appreso dalle sue labbra che la signora Borletti ha dato poco meno di un milione di euro a lui in persona, e non al suo partito. La cosa è di per sé credibile. Ma non si può d’altro canto biasimare chi fatichi a crederci. Rimane infatti una sottile scheggia di curiosità sulle motivazioni di una donazione così generosa. E ora Grillo, ultimo simbolo della protesta contro corruzione e corrotti, proclama Antonio Di Pietro l’uomo giusto per il Quirinale. Anche questo è credibile, ma non si capisce se Grillo faccia sul serio o se stia ricorrendo alla retorica shakespeariana del “e Bruto è uomo d’onore”. A questo punto, comunque, il cittadino medio, quello che tutti prendono in giro impunemente, ha il diritto di chiedere almeno una verifica di certe affermazioni – e di certi comportamenti. Nel frattempo, quel cittadino medio, seduto alla finestra a fissare smarrito il vuoto che gli sta davanti, si chiede quale logica muova il nostro mondo e quale coerenza si possa ricercare nelle parole di tanti magici pifferai. Siamo sballottati dal sistema della corruzione a quello dell’indignazione che non offre facoltà di prova alla sua credibilità. A dare invece il segno della credibilità dei nostri politici è, più di ogni altra cosa, la situazione in cui si trova il paese. Nella incredibilità, dunque, è la crisi del nostro tempo.

davar
Qui Bologna - Sport, razzismo, Resistenza
Obiettivo dell'iniziativa è quello di procedere a una rilettura della storia europea degli anni bui del Novecento attraverso un filtro insolito: lo sport, il suo essere veicolo di consenso e approvazione, la strumentalizzazione delle imprese dei suoi protagonisti a servizio della grande macchina della propaganda. Queste le premesse con cui è stata inaugurata oggi negli spazi di Casa Saraceni a Bologna la mostra 'Lo sport europeo sotto il nazionalsocialismo. Dai Giochi olimpici di Berlino ai Giochi di Londra'. Un appuntamento molto atteso, accolto dall'alto patronato della presidenza della Repubblica e proposto per la prima volta in Italia dall'Assemblea legislativa dell'Emilia Romagna in collaborazione con il Memoriale della Shoah di Parigi. Cimeli, immagini, videoproiezioni, filmati – testimonianze preziose che permettono di inquadrare da una prospettiva inedita quell'epoca e che si dipanano in più direzioni: il controllo degli sportivi e degli spettatori, l'esclusione degli “indesiderati”, le umiliazioni e le violenze inflitte, in alcuni casi la deportazione. Non mancano infine storie di atleti che nello sport hanno trovato un potente strumento di resistenza al regime. “Uno dei nostri obiettivi – ha affermato Jacques Fredj, presidente del Memoriale della Shoah parigino – è quello di contribuire all'arricchimento della storiografia sulla persecuzione e sullo sterminio. Togliere il velo a vicende poco conosciute ma straordinariamente significative, insegnare, trasmettere qualcosa alle nuove generazioni”.
Tra il pubblico molti giovani e una vecchia conoscenza del calcio italiano, Lilian Thuram, che da quando ha appeso gli scarpini al chiodo combatte una lotta senza quartiere al pregiudizio attraverso la fondazione Education contre le racisme di cui è presidente. Parallelamente all'inaugurazione della mostra è in pieno svolgimento una giornata di studio suddivisa in due sessioni sul tema “Lo sport europeo dai fascismi alla democrazia”. I lavori, apertisi da poco a Palazzo Pepoli, riprenderanno nel pomeriggio con un denso panel moderato da Leo Turrini. Offriranno un contributo, tra gli altri, lo stesso Thuram, l'assessore regionale allo sport Massimo Mezzetti e il giornalista Roberto Olla. Un nuovo momento di approfondimento è in programma, sempre a Palazzo Pepoli, per domenica 4 dicembre. Tre in particolare le figure su cui si concentrerà l'attenzione di relatori e pubblico: Primo Lampronti, Arpad Weisz e Gino Bartali.

a.s - twitter @asmulevichmoked

Qui Roma - La Memoria di Libia patrimonio di tutti
Il pogrom degli ebrei di Libia del 1945 resta ancora oggi un capitolo poco approfondito e conosciuto. Un momento drammaticamente presente nella memoria di questa comunità che in molti hanno voluto ricordare ieri sera al Tempio Beth El di via Padova nel 67esimo anniversario dell'azione. Ad accogliere i numerosi iscritti presenti in sala, assieme ad Alessandro Luzon, il vicepresidente della Comunità ebraica di Roma Scialom Tesciuba, testimone oculare di quelle ore di sangue. La sua sofferta e dettagliata ricostruzione, le inequivocabili parole pronunciate in sinagoga ("Il pogrom è sempre presente nella mia testa, dimenticare è impossibile") hanno dato il senso di un appuntamento vissuto nel dolore ma anche, verrà poi sottolineato, nell'orgogliosa coscienza di quanto è stato possibile costruire successivamente a Roma.
L'arrivo nel 1967 di migliaia di profughi ebrei dal paese arabo rappresentò infatti un punto di svolta per l'intera Comunità capitolina. Fu l'inizio, ha ricordato il presidente Riccardo Pacifici, di un processo di incontro, di reciproca e positiva 'contaminazione' che continua a dare frutti molto significativi e che deve essere per questo ulteriormente stimolato. Anche, è stato evidenziato, nel segno di una comune memoria e consapevolezza. Lo stesso principio cui si è richiamato il rabbino capo rav Riccardo Di Segni invitando, con un riferimento alla parashah di Vayerà letta lo scorso sabato in sinagoga, a una maggiore compattezza e a una proficua collaborazione tra le differenti anime dell'ebraismo romano. "Ciascuno con le sue grane, le risolviamo insieme", ha affermato il rav. La commovente testimonianza di una sopravvissuta e un lizkor in ricordo delle vittime hanno concluso la serata.

Stelle e strisce - Le ragioni per vincere
Gli Stati Uniti d’America scelgono oggi il presidente che dovrà guidare il paese nei prossimi quattro anni. Pagine Ebraiche ha seguito l’avvicinamento alle elezioni attraverso la particolare prospettiva delle scelte degli ebrei americani. Di seguito l’intervento di Stephen Richer (Forbes Magazine.com) pubblicato sul numero di novembre attualmente in distribuzione.

 

Salve cari amici italiani!
Ho paura che questo sia l’ultimo editoriale dedicato alle elezioni presidenziali americane 2012 (in programma il 6 novembre), nonché il mio ultimo contributo per Pagine Ebraiche. Ma non disperate, a patto che mi reclamiate con sufficiente vigore, non si sa mai che non torni in futuro.
Bene, riprendiamo il nostro argomento di discussione, il voto ebraico in America. Nelle puntate precedenti abbiamo dato uno sguardo alla sua storia, alla sua reale importanza ai fini dell’esito delle elezioni, al contributo alla campagna elettorale degli ebrei americani. Per salutarvi, concluderò con una previsione su come andranno le cose stavolta. Opinionisti di ogni credo politico hanno dedicato fiumi d’inchiostro a questo esercizio. Si domandano se è finalmente arrivato il momento in cui gli ebrei svolteranno a destra e citano come fattori la precoce insistenza del presidente Obama su un congelamento degli insediamenti, il suo rapporto freddino con il primo ministro israeliano Netanyahu, la scelta di usare la parola “occupazione” per riferirsi ai territori palestinesi durante il discorso del Cairo nel 2009, l’incapacità di porre un freno al programma nucleare iraniano e allo stato di generale malessere dell’economia americana. Segnalando uno studio della società Tipp che attribuisce il 59 per cento delle preferenze degli ebrei americani a Obama e il 35 per cento a Romney (mentre gli indecisi sarebbero il 6 per cento), Jonathan Tobin scrive sul Commentary che il supporto ebraico ai democratici nel 2012sarà al livello più basso dalla corsa per la rielezione di Jimmy Carter. Altre ricerche dell’American Jewish Committee attribuiscono a Obama tra il 61 e il 70 per cento del voto ebraico, decisamente meno di quel 75/78 che conquistò nel 2008. Poi c’è Israele. Sulla questione del rapporto Stati Uniti-Israele, le statistiche mostrano che gli ebrei si dividono equamente tra Obama e Romney; alcune danno Romney addirittura in vantaggio. E tuttavia, per ogni editoriale che sostiene che questo sia l’anno buono per gli ebrei repubblicani, c’è un articolo che replica “Non così in fretta”. Questo secondo filone interpretativo si basa su alcuni presupposti. Prima di tutto la storia non può essere ignorata: nelle ultime cinque tornate elettorali (dal 1992) i democratici hanno ottenuto il 78,2 per cento del voto ebraico. Inoltre, se è vero che gli attuali sondaggi mostrano che il supporto per Obama rimane più basso, essi sono comunque in linea con quelli precedenti alle elezioni 2008. Inoltre questi editoriali mettono in dubbio il fatto che lo stato ebraico sia fondamentale nelle scelte di voto. David Breinart del Daily Beast asserisce che “nella maggioranza delle elezioni, i più fra gli ebrei americani considerano i candidati ‘abbastanza buoni per Israele’, e dunque tendono a basare la propria preferenza su altri fattori”. Jason Horowitz del Washington Post ha scritto che “solo il 6 per cento degli ebrei americani vota esclusivamente in base alle posizioni su Israele, e la maggior parte di questi è già saldamente repubblicana”. Mentre quando si prendono in considerazione temi come il sistema sanitario, la tassazione, l’aborto, il matrimonio omosessuale, gli ebrei sono molto più vicini ai democratici. Personalmente tendo a dare ragione al secondo gruppo di opinionisti: non penso che queste elezioni porteranno un grosso cambiamento per quanto riguarda il voto ebraico. Ma se gli sforzi combinati del miliardario ebreo repubblicano Sheldon Adelson, della Republican Jewish Coalition e della campagna di Romney, faranno scendere il supporto degli ebrei a Obama sotto il 70 per cento, potranno considerarsi vittoriosi. Al contrario, se il presidente riuscisse a ottenere più del 75 per cento delle preferenze, suggerirei ai repubblicani di seguire l’esempio dell’elettrice Carol Eberwein, che ha dichiarato alla Jewish Telegraph Agency: “Se i miei accidenti di correligionari votano Obama, in sinagoga non ci torno più”. Qualunque cosa sarà del voto ebraico questo novembre, scommetto che tutti i commentatori – incluso chi scrive – ricominceranno da capo la prossima volta. Appuntamento al 2016.

Stephen Richer, Pagine Ebraiche, novembre 2012

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Qui Roma - Al Kolno'a uno spaccato di vita israeliana
attraverso la lente di Eran Kolirin e David Ofek
L’idea gli è venuta una notte che si trovava fuori casa, per le riprese della sua opera prima La Banda. Alla ripresa della solita routine il regista Eran Kolirin si è interrogato sul senso dei ritmi quotidiani, che così spesso uccidono le emozioni e la capacità di guardarsi intorno. Nasce così The Exchange, il suo nuovo film, presentato al Festival di Venezia e proiettato ieri al Pitigliani Kolnoa Festival. “The Exchange – spiega il regista – non è un film su molte cose quanto sulle cose stesse. I tavoli, le porte, le stanze, le sedie: tutti gli strani oggetti di cui si compone la nostra vita. Strane di quella stranezza che è propria degli oggetti situati in piena luce. Il senso di mistero proprio della realtà delle cose, della realtà della vita”. E se Kolirin attraverso la storia di Oded, insegnante di fisica e dottorando, e di sua moglie Tami, ci restituisce, anche sotto il profilo delle ambientazioni, una Tel Aviv middle class David Ofek (nell'immagine a sinistra assieme a Dan Muggia e Ariela Piattelli), cui il festival dedica quest’anno un omaggio, ci conduce in scenari diversi.
Nel documentario Il N.o 17 ricostruisce l’indagine condotta dallo stesso regista per identificare la diciassettesima vittima dell’attentato che, nel giugno 2002, fece saltare l’autobus che da Tel Aviv andava a Tiberiade. E guida lo spettatore in uno slalom appassionante tra immigrati dalla Russia, giovani, pensionati e microcriminalità. “Il mio obiettivo – racconta il regista – era proprio quello di raccontare una serie di microstorie inquadrandole nella cornice più ampia dell’inchiesta con cui siamo riusciti a dare un nome e un volto alla vittima sconosciuta”.
Oggi, penultimo giorno del Pitigliani Kolno’a Festival, sono di nuovo di scena Kolirin e Ofek e si proiettano The Cutoff Man (Menatek HaMaim) di Idan Hubel e Tinghir-Gerusalemme di Kamal Hachkar che ricostruisce l’emigrazione in Israele della comunità berbera. Domani, a concludere il ciclo di film, Profughi a Cinecittà di Marco Bertozzi che ricostruisce la vicenda che nel 1944 vide migliaia di uomini, donne e bambini trovare rifugio a Cinecittà; God’s Neighbour’s di Meni Yaesh e Woody Allen: a documentary.

Daniela Gross -
twitter @dgrossmoked

pilpul
Neofascisti nostrani e modello Usa
Nelle ultime settimane molti hanno commentato i rigurgiti neofascisti presenti e rumorosi nella società italiana. Si tratta di fenomeni numericamente marginali ma pericolosi per l’assuefazione di cui rischiamo di essere vittime. E da tenere sotto osservazione in vista delle prossime scadenze elettorali: per un centrodestra in crisi di consensi e di idee, è possibile che si renda necessario un avvicinamento alle frange più estreme. Basti pensare alle posizioni di Francesco Storace, sdoganatissimo, ma anche di personaggi tragicomici alla Daniela Santanché.
È interessante approfittare della coincidenza temporale con le elezioni americane. Com’è noto, negli USA gli ebrei votano in larghissima maggioranza democratico. Qualcuno chiosò che sono gli unici a guadagnare come bianchi e a votare come portoricani. Senza dimenticare che i repubblicani sono la parte politica più smaccatamente pro-Israel. Come si spiega questo dato non scontato? Con la semplice ragione che gli ebrei americani non votano – e dunque non pensano – solo come-ebrei. Nelle urne sono americani di religione ebraica, il che è significativo per la struttura comunitarista di quella società, e lungimirante visti i trend demografici che rendono i bianchi sempre meno centrali nella geografia sociale del futuro.
Sarebbe forse il caso di studiarlo, il caso americano, oltre che di vagheggiarlo. Una comunità influente sul piano politico sa bene di non potersi concepire come una comunità chiusa (“Io sono ebreo e basta”). Esattamente il contrario di ciò che è accaduto in Italia: file di ebrei più o meno noti che si accreditavano con ex-fascisti, ci si candidavano nelle stesse liste, giustificandosi con il sostegno di Berlusconi allo Stato d’Israele. Intendiamoci: è un segno di maturità democratica il fatto che una minoranza possa votare liberamente a destra come a sinistra. Ma è un segnale di scarsa maturità della minoranza se le sue valutazioni sono fatte sulla base del solo interesse particolare e contingente.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi

Storie - Le scadenze elettorali e il 27 gennaio
notizie flash   rassegna stampa
L'ambasciatore Gilon in visita a Trento   Leggi la rassegna

L'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon è stato accolto stamani a Trento dal 
presidente della Provincia Lorenzo Dellai. Gilon guida una delegazione ospite in Trentino per il «Trento-Israele day», una giornata di incontri con i rappresentanti istituzionali ed economici organizzata dalla Provincia autonoma di Trento e dall'Ambasciata d'Israele in Italia, con la collaborazione di Trentino Sviluppo, Fondazione Bruno Kessler e Trento Rise.
L'incontro di stamani è stato un'occasione di vero e proprio confronto sui contenuti: una tavola rotonda sul tema «Le relazioni scientifiche e tecnologiche tra il sistema della ricerca e dell'alta formazione trentino e lo Stato di Israele».


 

Il rapporto tra fumetti e cultura ebraica e il dossier di Pagine Ebraiche Comics & Jews è raccontato da Cinzia Leone sull’Osservatore Romano. Elezioni americane alle porte. Il Corriere della Sera propone un’analisi per parole chiave tra cui spicca il binomio Israele-Iran. Sul Giornale, Fiamma Nirenstein interviene sulle differenze e somiglianze fra i due candidati nella prospettiva della politica estera. Lo scrittore David Grossman, in un intervento su Repubblica, invita il primo ministro israeliano Netanyahu a rispondere alle aperture del presidente palestinese Abu Mazen nell’intervista sulla tv israeliana.

















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