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9 novembre 2012 - 24 Cheshwan 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
 

 


All'inizio della parashà di Chayè Sarà assistiamo alla lunga trattativa di Avrahàm per acquisire la Mearàt Hamakhpelà, la grotta di Makhpelà, in cui verrà sepolta Sarà. La parola Makhpelà viene da una radice che significa doppio. Il midràsh spiega che questa grotta si chiama così perché è la soglia del Gan Eden. Sarà deve essere sepolta in quella grotta perché è vissuta tutta la sua vita sulla soglia del Gan Eden, cioè ha vissuto contemporaneamente in questo mondo e in un altro. La Mearàt Hamakhpelà rappresenta simbolicamente la vita di Sarà ma forse non solo la sua, forse è il paradigma dell'intera vita ebraica che è il tentativo di vivere a cavallo di due mondi.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
Pochi giorni fa abbiamo potuto leggere una recensione all’ultimo libro del professore di Talmud dell’università di Berkeley Daniel Boyarin, nella quale veniva definito “uno dei due o tre massimi luminari rabbinici al mondo”. Leggendola mi è tornato in mente un incontro svoltosi con Boyarin pochi anni fa al centro Bibliografico di Roma. Al termine di una assai dotta lezione su Paolo di Tarso, un’ingenua spettatrice gli aveva chiesto: "Ma tutto ciò come può aiutarci a vivere meglio, a essere migliori?”. Invece che con una sprezzante alzata di spalle, Boyarin, talmudista e gay militante, le aveva risposto con grande serietà: “Non sottolineare le differenze. Non usare il ‘noi’ in contrapposizione al ‘loro’”. Questo (apparentemente) semplice accorgimento, un accorgimento anche linguistico, potrebbe in effetti aiutarci a essere migliori. A essere meno “etnici”, meno “locali”, e semplicemente più “umani”.

davar
Qui Roma - Israele, un successo a passo di danza
Emozione palpabile e lunghi minuti di applausi: così ieri sera a Roma una sala gremita all'auditorium di via della Conciliazione ha salutato i danzatori della Batsheva Dance Company, alla prima italiana di Deca Dance, lo spettacolo con cui nel 2000 la compagnia e il suo direttore artistico, Ohad Naharin, hanno festeggiato i dieci anni di collaborazione assemblando alcuni estratti delle coreografie da lui create. Un grande successo per Roma e per la cultura di Israele, in una sala immensa, dove in mezzo a un grande pubblico si notava una significativa rappresentanza del governo Monti, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna assieme a diversi Consiglieri UCEI, altri esponenti della società civile e del mondo ebraico. Un successo soprattutto per il nuovo ambasciatore di Israele Naor Gilon e per lo staff formidabile che lo affianca, a cominciare dall'addetto culturale Ofra Farhi che con il suo coraggio sta portando in tutta Italia ambasciatori di cultura e di pace senza eguali. Un successo per il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, che alla cultura di Israele e in particolare al valore della sua danza ha dedicato un dossier, molti servizi e una grande intervista al coreografo Ohad Naharin sul numero di novembre, attualmente in distribuzione.
Decadance è uno spettacolo che ha una struttura aperta e mutevole che racconta il senso lavoro svolto e al tempo stesso in qualche modo presenta lo stato attuale della ricerca portata avanti dal grande coreografo israeliano e i suoi possibili sviluppi. Il risultato è un concentrato dell’espressività dei corpi, segno preponderante e caratteristico di una compagnia che unisce in maniera forte e coesa contenuti e forma arrivando così a parlare dei grandi temi della natura umana con un linguaggio che colpisce ed emoziona. Grazie agli sforzi congiunti di RomaEuropa, Torinodanza e dell'ufficio culturale dell'Ambasciata di Israele il pubblico italiano ha così avuto la possibilità di assistere a una performance di altissimo livello, e altri tre appuntamenti seguiranno nei prossimi giorni, portando in scena anche Sadeh 21, l’ultimo lavoro di Ohad Naharin, che rappresenta l’apertura di una nuova fase. Deca Dance e Sadeh 21 saranno poi riproposti da Torinodanza lunedì e martedì. Nel fine settimana un’altra occasione ghiotta: proprio a Torino si svolgerà infatti un workshop di Gaga, la tecnica che è alla base del linguaggio con cui il grande coreografo israeliano è già riuscito ieri sera a colpire l’immaginario di un pubblico che anche nelle prossime serate si prevede numerosissimo.
“Una cosa che amo insegnare alle persone che lavorano con me è che possono superare i loro limiti, ogni giorno. Oggi superi il limite, il confine, e sei in un posto nuovo. Domani potrai di nuovo superare i tuoi limiti perché non c’è fine, mai”. E ancora: “La danza è la forma d’arte giusta per me perché c’è sempre spazio per correggersi, e perché sparisce, istantaneamente”. Sono gli stessi motivi per cui Ohad Naharin non ama i documentari, né tenere traccia del suo lavoro. “Perché è l’opposto dello scomparire, dello svanire della danza, che nel momento stesso in cui la guardi, la vedi e sparisce... Questo provoca un pensiero astratto che è collegato con i sentimenti e con il tuo mondo di immaginazione e di emozioni, che sono causate proprio dal suo sparire in un attimo”.
Eppure Out of Focus è un documentario realizzato da Tomer Heymann, che è riuscito a montare un raro e onesto ritratto di quello che è considerato il più influente coreografo israeliano. Nonostante la sua resistenza all’essere ripreso e al suo totale disinteresse per l’idea stessa di documentare il proprio lavoro, il risultato è un racconto molto articolato, intenso e a tratti filosofico non solo di una persona ma di un processo creativo. I ballerini vengono spinti a prendersi rischi e a usare il proprio corpo in maniera completamente nuova e non familiare ed è evidente come Ohad Naharin sia capace di trasformarsi in un catalizzatore di emozioni portando le prove ben al di là di un mero processo tecnico.
Il mondo della danza è ben consapevole dell’esistenza di questo fascinoso coreografo israeliano che ha un enorme impatto sul panorama internazionale, attraverso le sue coreografie, il suo linguaggio e i frequenti tour all’estero della sua compagnia. Tutto ciò senza che sia necessaria una sua presenza evidente: si tratta di persona molto riservata, rispettosa, attentissima a non urtare i sentimenti degli altri e che si pone sempre in un’ottica di critica costruttiva con i danzatori con cui lavora. Il Gaga, il linguaggio corporeo inventato da Ohad Naharin e diventato negli anni una tecnica di grande rilevanza sulle scene mondiali, è stato sviluppato anche in conseguenza di un problema dello stesso Naharin che in seguito ad un incidente occorsogli quando aveva vent’anni soffre di dolori costanti alla schiena. Il che spiega anche perché in quasi tutto il documentario lo si veda sdraiato per terra: in movimento sta bene ma lo stare seduto è un disagio intollerabile. Il titolo stesso del documentario è molto significativo: spesso il coreografo sceglie di guardare le prove, il lavoro dei danzatori, senza metterli a fuoco (nel senso letterale del termine) perché è un trucco che gli permette di vedere la ricerca in corso da un punto di vista differente. Si tratta di un esercizio rivelatore del suo atteggiamento mentale: il lavoro di un coreografo non può mai dirsi terminato e riflettere e rielaborare in continuazione il senso del movimento è ciò che permette di far sprigionare agli spettacoli quell’energia vibrante che è diventata uno dei segni distintivi della compagnia.
Il movimento deve andare oltre alla tecnica per rivelare qualcosa di personale, di intimamente connesso con la gioia e con il piacere. E questo non vale solo per i ballerini professionisti, infatti il Gaga ha due direzioni, Gaga/ballerini, quotidianamente seguita dai membri della compagnia - adesso insegnata a danzatori non solo della Batsheva, sia in Israele che all'estero - e Gaga/persone, aperto a tutti, adatto a ogni età, senza la necessità di una precedente esperienza.
È curioso anche scoprire perché si chiama Gaga: “Ad un certo punto ho pensato che la mia tecnica si meritasse un nome, non mi piaceva che diventasse ‘il linguaggio di Ohed Naharin’, cercavo un suono semplice e mi hanno detto che Kaka non andava bene...”. L’ironia è un altro lato di un artista tutto da scoprire, che durante le prove riesce a far ridere fino alle lacrime i suoi ballerini, prendendoli in giro, con affetto.

Ada Treves  twitter@atrevesmoked

Qui Roma - Edgeworth, una penna contro il pregiudizio
Un romanzo ispirato al principio illuminista di tolleranza religiosa, una prova letteraria coraggiosa e densa di significato sullo stato del pregiudizio nella società anglosassone del 19esimo secolo. Harrington, scritto dato alle stampe nel 1817 da Maria Edgeworth e oggi assurto a classico della letteratura irlandese, è la storia di un giovane allevato nell'antisemitismo più viscerale che, a seguito di alcuni incontri fatali, anche e soprattutto amorosi, finirà per assumere un atteggiamento opposto verso il mondo ebraico. Contestualizzato nell'epoca in cui fu prodotto, l'Inghilterra di inizio Ottocento fortemente divisa sul tema della naturalizzazione degli ebrei, non sorprende pertanto che sia considerato un contributo fondamentale a favore dei diritti civili e dell'uguaglianza. Ieri pomeriggio, nella sede dell'ambasciata d'Irlanda a Roma, la presentazione ufficiale della versione italiana dell'opera, tradotta da Raffaella Leproni per la casa editrice ebraica Salomone Belforte. Un impegno meticoloso ed estremamente soddisfacente, ha spiegato l'editore Guido Guastalla, “che mi ha molto emozionato anche in virtù del particolare legame familiare che ho con quei luoghi”.
A disquisire di Harrington, accolti dall'ambasciatore Pat Hennessy, Ian Campbell Ross del Trinity College di Dublino, Carla De Petris dell'Università Roma Tre e Dario Calimani, anglista dell'Università Ca' Foscari di Venezia (nell'immagine). È stato quest'ultimo, in particolare, a offrire una panoramica sui contrasti tra società inglese e minoranza ebraica nel corso dei secoli. Un rapporto paradossalmente sviluppatosi “a distanza”, è stato ricordato, a causa dell'assenza quasi totale di ebrei sull'isola dall'editto di espulsione del 1290 fino alle prime aperture della seconda metà del 17esimo secolo. Ciò nonostante l'Inghilterra resterà per lungo tempo un paese profondamente intriso di antisemitismo. A livello politico, giuridico, sociale. E nella letteratura, come testimoniato dalla vasta produzione di Caucher, Marlowe e Shakespeare o da altri celebri e più recenti autori Per questo, ha affermato Calimani, “dobbiamo leggere questo libro con lo spirito di quei tempi e riconoscere a Maria Edgeworth un grande atto di coraggio”.

a.s - twitter @asmulevichmoked


Qui Torino - Primo Levi, racconto e autorevolezza
Quarta edizione della Lezione su Primo Levi nell’Aula Magna della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali di Torino. Un progetto, ideato dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi, teso ad alimentare il dibattito sui temi più cari allo scrittore torinese.
Relatore di questa lezione dal titolo un po’ provocatorio “Perché crediamo a Primo Levi?” è stato Mario Barenghi, docente di Letteratura italiana contemporanea dell’Università di Milano-Bicocca, che si è chiesto quale sia il fondamento dell’autorità e dell’attendibilità del resoconto dell’esperienza di Auschwitz narrata in Se questo è un uomo. Le risposte, ha spiegato, vanno ricercate nella scrittura stessa e nel procedimento che ha portato Levi a raccontare per ricordare, e non viceversa: l’obiettivo è dare valenza passata ai ricordi perché se non vi è passato non può esserci memoria.
Il punto di partenza di questa analisi sta nella difficoltà del raccontare, che è propria dei memorialisti di esperienze estreme. Il racconto attinge esclusivamente dalla memoria: più che di “fallace memoria”, così la definisce lo stesso Levi, bisogna rifarsi a una definizione platonica secondo cui “la memoria non è un blocco di cera su cui si imprime un sigillo”. Anzi, la memoria è per sua definizione elastica e plasmabile, serve ad operare un servizio del futuro e non del passato; per essere conservata deve essere modificata, nel senso che bisogna darle una forma.
Se questo è un uomo si fonda perciò su un’economia della memoria, in quanto essa è una miscela di ricordo e di oblio, è selezione. Levi sottopone i suoi ricordi al vaglio, utilizzando parametri analitici ed estende questo metodo propriamente scientifico alla scrittura stessa, che diventa limpida e lineare, priva di particolari scabrosi e atroci. Ed è proprio questa scrittura lapidaria che gli permette di penetrare nelle menti di una vasta platea di lettori. Il ruolo di cui Levi si ritiene investito è quello di testimone: raccontare per non dimenticare. Il problema non è il rievocare, è lui stesso a parlare di “ricettività esaltata” della sua memoria nel periodo dell’internamento, anche perché il ricordo del lager è impresso in modo indelebile nella sua mente, il rischio è semmai di esserne sopraffatto.
Ciò che ha fatto è stato dare una struttura alle proprie esperienze, facendole transitare dall’orizzonte personale dei ricordi vivi e dirompenti del campo di sterminio, all’orizzonte collettivo. Ha fatto della memoria un fatto sociale. Per rendere la memoria condivisibile occorre quindi introdurre un diaframma temporale: utilizzare il passato in funzione del presente, elaborarlo, filtrarlo, distillarlo: “meditate che questo è stato”. L’obiettivo è rendere tutto al “passato prossimo”: rendere il ricordo passato affinché possa mantenersi nel futuro. È questo a conferirgli piena autorevolezza agli occhi del lettore, è questo a renderlo testimone e scrittore insieme.

Alice Fubini 

Qui Milano - Le virtù dei Giusti e l’identità dell’Europa
Si parla tanto d’Europa in questi ultimi tempi, un’entità grande ma un po’ vacillante, che si cerca di aiutare in tutti i modi a stare in equilibrio, sorreggendola da ogni lato e scavando a fondo per capirla meglio. In questo dibattito s’inserisce il convegno internazionale Le virtù dei giusti e l’identità dell’Europa, organizzato dall’Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano, costituita da Comune di Milano, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Gariwo, la foresta dei Giusti. Due pomeriggi, quelli del 9 e del 13 novembre dalle 15 alle 19, di incontri rivolti agli insegnanti e aperti alla cittadinanza, nella bella cornice di Palazzo Marino, per riflettere con filosofi e scrittori sui valori fondanti dell’identità europea attraverso l’esempio dei Giusti. Verità, dignità, solidarietà, responsabilità, giustizia, tolleranza, questi sono i vessilli di cui questi uomini e donne sono stati portatori e che potrebbero essere la chiave per risolvere i problemi di un’Europa così confusa. Il convegno rappresenta il primo appuntamento in vista delle celebrazioni che si terranno in diverse città europee il 6 marzo, Giornata europea in Memoria dei Giusti, istituita dal Parlamento di Strasburgo in risposta all’appello di Gariwo. Il 6 marzo 2007 è morto Moshe Bejski, presidente per molto tempo della Commissione dei Giusti di Yad Vashem, e in suo onore è stata scelta questa data. A intervenire nel pomeriggio del 9 novembre saranno Salvatore Natoli, filosofo, Università  di Milano Bicocca, Stefano Levi Della Torre, saggista, Politecnico di Milano, Sante Maletta, filosofo, Università  della Calabria, introdotti da Gabriele Nissim, vicepresidente dell’Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano. Il quale parlerà anche il 13 novembre, insieme a Francesca Nodari, filosofa, direttrice del festival "Filosofi lungo l’Oglio", Francesco Tava, filosofo, Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, e Massimo Cacciari, filosofo, Università Vita e Salute S.Raffaele di Milano. Interverranno inoltre Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale, Gabriele Albertini, eurodeputato, primo firmatario per l’istituzione della Giornata Europea dei Giusti, Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia, Giorgio Mortara, consigliere UCEI. “Dopo l’importante risultato ottenuto al Parlamento Europeo, questo convegno è fondamentale per capire quale significato può assumere oggi in Europa la Giornata dedicata ai Giusti”, ha dichiarato Gabriele Nissim. “Milano è ancora una volta capofila nella riflessione e nelle iniziative su questo tema”.

Francesca Matalon – twitter @MatalonF
 
Torà La'am, conoscere per crescere
Dopo il successo dell'anno scorso a Siena e a Firenze, è iniziato ieri a Verona, presso la Comunità ebraica e con docente Alfonso Sassun, il corso di Torà La'am promosso dal Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Si tratta di un progetto che ha già fatto scalpore in altre città del mondo: con il suo metodo innovativo sa infatti coinvolgere, con solo otto incontri, le persone più diverse, avvicinandole alle dense e affascinanti pagine della Torah. Ideata da Raphael Zarum, direttore della London School of Jewish Studies, Torà La’am è un'iniziativa ormai diffusa a livello internazionale e decine di persone negli Stati Uniti, in Israele e nel Regno Unito hanno già avuto modo di apprezzarne i contenuti. In Italia il corso è stato attivato per la prima volta a Milano dal progetto Revivim, grazie al lavoro di Moria Maknoutz, che ha tradotto e pubblicato le dispense necessarie alla frequentazione del corso. Torà La'am offre la possibilità di scoprire la struttura della Torah, dei diversi livelli e temi che la compongono, e di apprendere un metodo che consente di essere autonomo nella preparazione e nella produzione di brevi lezioni e discorsi in pubblico sull'argomento. Questo approccio prevede l’utilizzo e la presentazione di strutture e processi di studio tradizionali, con l’obiettivo di sviluppare un rapporto personale con la Torah, imparando a elaborare i propri pensieri partendo dal testo.
Il corso proseguirà a Verona fino a febbraio e inizierà anche in altre Comunità proprio questa domenica: a Parma (docente Daniele Cohenca), dove si attendono già oltre una trentina di partecipanti provenienti anche da Mantova, Genova e Milano, e a Firenze dove si svolgerà un corso di secondo livello a cura di Alfonso Sassun sul tema "La leadership, tra maggioranza e opposizione". Un risultato molto significativo che è stato possibile raggiungere grazie alla collaborazione tra il Dec-Ucei, le singole Comunità e il progetto Revivim della Comunità di Milano.

Ilana Bahbout, coordinatrice Dec Ucei
 
pilpul
Poche parole nella vita di tutti
Anna SegreLe Poste Italiane emetteranno il 10 novembre un francobollo da 75 centesimi dedicato a Primo Levi. Chissà quanti tra coloro che lo useranno (il francobollo sarà commercializzato in quasi tre milioni di esemplari) faranno caso alle parole iniziali di Se questo è un uomo che si leggono dietro il ritratto dello scrittore, ma comunque quelle parole entrano simbolicamente a far parte della vita di tutti. Il rapporto tra dimensione individuale e collettiva della memoria è stato uno dei numerosi temi trattati ieri da Mario Barenghi, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l'Università di Milano-Bicocca, nell’annuale lezione organizzata dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi, dal titolo Perché crediamo a Primo Levi? Da ogni Lezione Primo Levi (da questa come dalle tre degli anni precedenti) sono uscita con la gioia stupita di aver scoperto qualcosa di nuovo in testi che credevo di conoscere perfettamente. Una lezione così ricca di idee, suggestioni e spunti per ulteriori riflessioni non può essere riassunta in poche righe. In questo contesto vale la pena di notare, comunque, che alcune di queste suggestioni potrebbero essere sviluppate ulteriormente in ambito ebraico: per esempio, quando il prof Barenghi ha sottolineato la concretezza determinata dall’uso di “questo” (Considerate se questo è un uomo, Considerate se questa è una donna, Meditate che questo è stato, Vi comando queste parole) mi è venuta in mente l’Haggadà di Pesach: “Io faccio questo per quello che il Signore fece a me quando io uscii dall’Egitto”.

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Un nuovo museo ebraico a Mosca   Leggi la rassegna

Inaugurato a Mosca, alla presenza del presidente israeliano Shimon Peres, un nuovo museo ebraico che ripercorre la storia tumultuosa degli ebrei in terra russa, dai tempi dello zar al presente, passando per le repressioni staliniane e la Shoah. "Non esiste un altro museo come questo", ha detto Peres in occasione dell'apertura in un sito già di per sé d'eccezione: un ex deposito di autobus costruito nel 1926 dall'architetto Konstantin Melnikov. "Questa è una importante testimonianza storica della grandezza dell'uomo, ma anche delle sue debolezze", ha detto il capo dello Stato ebraico, che ha 89 anni ed è nato sul territorio dell'attuale Bielorussia prima che la famiglia emigrasse in Palestina nel 1930.




 

Commenti antisemiti sul blog di Beppe Grillo. La denuncia è di Gad Lerner, preso di mira da alcuni frequentatori del sito con ripetuti incresciosi epiteti a sfondo razziale.


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