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12 novembre 2012 - 27 Cheshwan
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Adolfo
Locci, rabbino capo
di Padova
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Abramo
è definito "Ba Bayamim" (Genesi 24: 1), espressione che indica colui
che ha raggiunto una veneranda età. Il Midrash mette in relazione
quest'appellativo con '''Atik Yomin", appellativo riferito a D-o, che è
"più antico dei giorni". Una volta creato l'universo, il Signore vuole
riversargli la Sua influenza positiva, solo che la nostra realtà non
può riuscire a contenerla. Abramo opera chesed veemet, compie atti di
vero amore e verità (come ospitare i viandanti e seppellire i defunti)
dimostrando di essere il "recipiente" che riceve e ridistribuisce
"l'influenza divina" in maniera che tutte "le genti della terra"
possano assorbirla. Il popolo d'Israele continua, e continuerà sempre,
ad avere questo compito - dato da "'Atik Yomin" a "Ba Bayamim" - "ad
Acharit Hayamim - fino alla fine dei giorni"...
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Anna
Foa,
storica
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Domenica
prossima, il 18 novembre, l'Amicizia ebraico-cristiana (AEC) di Roma
celebrerà il trentesimo anniversario della sua fondazione. Le AEC
italiane sono nove, e aderiscono all'International Council of
Christians and Jews (ICCJ), che ha sede in Germania, a Heppenheim, in
quella che fu la casa di Martin Buber. L'Amicizia romana è nata nel
1982, la seconda ad essere costituita in Italia dopo quella di Firenze
che si era costituita già nel 1950 con il fondamentale apporto di
Giorgio La Pira. L'Amicizia ebraico-cristiana nasce infatti nel clima
difficile del primo dopoguerra, ancora lontano dagli esiti del Concilio
e della Nostra Aetate, ma segnato dall'impegno di tanti. Poco prima il
fondatore dell'Amitié Judéo-Chrétienne in Francia, il grande storico
Jules Isaac, aveva incontrato Pio XII e gli aveva presentato senza
esito alcuno il programma di Seelisberg, che il cardinal Bea
avrebbe anni dopo accolto e ripreso nella sua attività conciliare
intorno ai rapporti della Chiesa con l'ebraismo. Quando nel 1982
l'Amicizia nasce anche a Roma, i tempi sono evidentemente assai mutati
rispetto a quell'immediato dopoguerra, ma forte è rimasta la necessità
di un dialogo fra ebraismo e cristianesimo che tocchi capillarmente e
in profondità anche Roma, sede non solo della Chiesa ma anche
dell'antica e numerosa Comunità ebraica romana. Un dialogo che si è
soprattutto centrato in questi decenni intorno alla conoscenza, allo
studio, all'approfondimento dei propri legami reciproci. Un
dialogo portato avanti nonostante le difficoltà, i passi indietro, i
cambiamenti del mondo intorno, le carenze nell'impegno sia da parte
cristiana che da parte ebraica, l'indifferenza. Un dialogo, credo,
indispensabile tanto ai cristiani che a noi ebrei.
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Qui Ferrara - Paolo Ravenna (1926-2012) |
Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato:
"L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane si unisce al cordoglio della famiglia,
della Comunità ebraica di Ferrara e di tutti coloro che piangono la
scomparsa di Paolo Ravenna. Avvocato, intellettuale, uomo affabile
e generoso, Ravenna è stato lungamente attivo nella riscoperta e nella
valorizzazione del patrimonio culturale ferrarese e del significativo
contributo ad esso apportato dalla Comunità ebraica. Al suo fianco in
particolare ho avuto il privilegio di veder prendere forma il Museo
nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah. Una sfida dai
molteplici risvolti che lo entusiasmava e di cui era stato, con grande
lungimiranza, tra i primissimi ideatori. Gli sono riconoscente per
tutte le emozioni che è stato in grado di trasmettere in questa
amicizia recente “ma già profondissima”, come lui stesso mi ha scritto
in una dedica autografa all'ultimo lavoro realizzato in ambito ebraico.
Una densa testimonianza sull'antica sinagoga cittadina, data alle
stampe appena pochi giorni fa e di cui ho l'onore di avere la prima
copia, che leggerò con grande affetto e gratitudine. Che il suo ricordo
sia di benedizione".
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Qui Ferrara - Paolo Ravenna (1926-2012) |
Quando
si spegne una voce come quella di Paolo Ravenna, mancato ieri nella sua
Ferrara all’età di 86 anni, se ne va irreparabilmente un pezzo della
cultura critica italiana e nel contempo un elemento fondamentale di
quel legame d’amore forte e profondo che caratterizza il rapporto fra
l’ebraismo e l’Italia tutta, intesa come territorio, beni artistici,
panorama umano e intellettuale. Primo di tre figli dell’avvocato Renzo
Ravenna – che era stato podestà di Ferrara per tre lustri e che aveva
incarnato nel suo operato le contraddizioni di una questione ancora
assai dibattuta come quella del rapporto fra mondo ebraico e fascismo –
Paolo si era formato nutrendosi dell’amicizia e della cultura di
Giorgio Bassani. Aveva scelto la professione di avvocato, sulle orme
del padre, e come il padre aveva da subito colto l’imprescindibile
necessità di operare attivamente per il recupero e la salvaguardia di
un territorio come quello di Ferrara che sentiva profondamente suo.
Assieme all’amico Giuseppe (Beppe) Minerbi aveva fondato Italia Nostra,
un’associazione che solo in seguito prendeva forma a livello nazionale.
Iniziava in questo modo un lavoro lungo decenni, che ha portato fra
l’altro al recupero dell’intera cinta delle mura di Ferrara. Convinto
profondamente che la vita e la storia della sua comunità ebraica non
potesse essere concepita come disgiunta dal territorio, Paolo Ravenna
si adoperò per recuperare e rendere fruibile il monumentale edificio di
via Mazzini (la storica via dei Sabbioni) che ospita tre sinagoghe e
che oggi è anche sede del bel museo della comunità. Sull’edificio,
sulla sua importanza storica, culturale e artistica, e sulla sua
centralità per l’intera realtà ferrarese, Paolo Ravenna aveva appena
finito di realizzare un prezioso volume che purtroppo non ha fatto in
tempo a vedere pubblicato. L’impegno nella salvaguardia del patrimonio
culturale ebraico, concepito nella sua connessione stretta con la
realtà italiana, lo ha spinto in anni recenti ad essere fra gli
ideatori e poi attore protagonista nella realizzazione del MEIS, il
Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoà che va prendendo forma nella
sua Ferrara, dalla quale il recente terremoto l’ha dolorosamente
espulso rendendo inagibile la sua storica abitazione di via Palestro.
Mancherà ai vivi, che il suo ricordo sia di benedizione.
Gadi Luzzatto Voghera, storico |
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Premio Adei - I segreti del 1492 conquistano i ragazzi |
Appuntamento
questo pomeriggio a Venezia, nella cornice di Palazzo Pisani, per la
premiazione del dodicesimo Premio letterario organizzato
dall'Associazione Donne Ebree d'Italia in memoria di Adelina Della
Pergola. Ad aggiudicarsi il riconoscimento, patrocinato tra gli altri
dall'UCEI, dalla Comunità ebraica lagunare e dal Ministero dei Beni
Culturali, lo scrittore di origine russa Vladimir Vertlib con il suo
ultimo lavoro, edito da Giuntina, Stazioni intermedie. Vincitore nella
sezione ragazzi (otto i licei coinvolti su tutto il territorio
nazionale) è invece Mitchell J. Kaplan con l'avvincente romanzo Per
mare e per terra (Neri Pozza). Entrambi gli autori saranno presenti
alla premiazione. Con loro anche Gabriele Rubini, che ha ricevuto una
menzione speciale per Generazioni 1881-1907 (Phasar Edizioni, World Hub
Press), e Anatolij Krim che, con il suo Racconti intorno alla felicità
ebraica (Spirali), è entrato nella terna finalista. Protagonisti
della cerimonia di premiazione, condotta dalla giornalista Francesca
Vigori, lo storico Simon Levis Sullam, il consigliere UCEI Victor
Magiar e il direttore della rivista Il Carabiniere Roberto Riccardi.
È
sempre meraviglioso venire in Italia per Mitchell J. Kaplan, storico
americano che con la sua prima fatica letteraria si è aggiudicato il
Premio letterario ragazzi. Non potrebbe essere altrimenti per un
appassionato delle vicende che intrecciano i rapporti fra ebraismo e
cattolicesimo nei momenti in cui il mondo è stato sul punto di cambiare
per sempre. Come nel 1492 quando con la scoperta dell’America e il
completamento della Reconquista, cui seguì la cacciata degli ebrei
dalla Spagna, la storia dell’umanità e del popolo ebraico voltarono
pagina per sempre. Proprio in quel periodo si svolge Per mare e per
terra (Neri Pozza, 350 pp.), all’epoca in cui, nel regno di Ferdinando
d’Aragona e Isabella di Castiglia, si scatenò con folle crudeltà la
persecuzione contro ebrei e conversos che precedette l’espulsione.
Protagonista del romanzo è Luis de Santángel, cancelliere alla corte
spagnola di origine ebraica. Durante un infruttuoso viaggio a Roma per
convincere il papa a frenare la carneficina dell’Inquisizione, il
dignitario viene in possesso di preziosi quanto pericolosi manoscritti
in ebraico, i cui segreti si trova quasi suo malgrado a cercare di
scoprire. Mettendo però in pericolo tutto quello che ha nel rischiare
di essere associato con l’ebraismo dopo tante cautele per evitarlo.
L’unica speranza di salvezza è nel progetto di un navigatore genovese
sognatore, che forse è più reale di quello che sembra: si tratta di
Cristoforo Colombo. “Un giorno in biblioteca, mi imbattei nella lista
degli uomini che partirono con Colombo. Uno di loro era stato
ingaggiato come traduttore dall’ebraico e dall’aramaico. Questo fatto
mi affascinò a tal punto che iniziai le ricerche per il mio libro”
racconta l’autore. Libro che, ci tiene a sottolineare, è basato su
fatti storici documentati. “Naturalmente io ho aggiunto tutta la parte
legata alle emozioni e alle vicende personali dei protagonisti, ma
tutto il resto è storicamente provato”. Ragione per cui, Per mare e per
terra non dà per esempio peso a quelle teorie secondo cui Cristoforo
Colombo appartenesse a una famiglia di conversos. “Ci sono sicuramente
degli indizi, ma non a sufficienza perché si possa considerare un
fatto” puntualizza lo scrittore. Ad affascinarlo invece è soprattutto
il tema dell’identità delle religioni, quella ebraica e quella
cristiana, alla vigilia di un nuovo mondo. Ragione per cui il suo
prossimo libro, su cui è già al lavoro, rivolgerà lo sguardo a un altro
momento storico di questo tipo: quello della distruzione del Tempio di
Gerusalemme, quando per gli ebrei iniziava la Diaspora e la religione
cristiana cominciava a diffondersi. “Era un momento incredibilmente
complesso, alcuni continuarono a trovare risposte nell’ebraismo, altri
si rivolsero al cristianesimo – spiega Kaplan – Ancora una volta, ciò
che mi interessa è capire chi siamo e da dove veniamo e raccontare che
le religioni si evolvono”.
Pagine Ebraiche, novembre 2012
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In cornice - La vertigine dei colori |
In
un'opera d'arte, il colore è uno dei primi elementi che ci colpiscono,
qualche volta anche troppo, impedendoci di vedere il resto. Ovvio, si
dirà, ma nessuno l'aveva veramente capito e sfruttato prima degli
espressionisti di inizio Novecento; nessuno aveva cercato di creare un
parallelo fra un colore e stato d'animo che provoca e che trasmette,
come Kandinsky. Se volete sentire l'impatto del colore sulla vostra
percezione dell'arte, non perdete tempo, e il prossimo fine settimana
prendete la macchina, attraversate la frontiera con la Svizzera dal
Gran S.Bernando o dal Sempione e andate a Martigny. Alla fondazione
Giannada sono esposte un gran numero di opere della collezione
Merzbacher, fatta di Matisse, Kandinsky, Vlaminck, Jawlensky, Beckmann,
un tripudio di grandi nomi, ma soprattutto di colori impressionanti, di
opere scelte con cura una dopo l'altra. Prendete “Dame au chapeau de
paille jaune” (donna col capello di paglia giallo) di Jawlensky. Il
rosso intenso dello sfondo, che è lo stesso delle rose che la donna ha
in mano e sul cappello e del bordo del cappotto, ci parla delle
aspettative romantiche di quella donna, e del luogo altrettanto
romantico che aveva scelto per il suo incontro. A contrasto, il giallo
che poi sfuma in verde/blu del suo viso, la stessa posizione del viso
appoggiato sulla mano, dà invece immediatamente la sensazione dello
sconforto, della delusione delle sue aspettative. Come scriveva
Kandinsky, il giallo abbaglia e respinge. Per questo il capello, sempre
in giallo, ci dice che in qualche misura la donna è abituata a queste
delusioni, lei stessa in parte le provoca con il suo atteggiamento;
così Jawlensky scrive nel titolo che il cappello è di paglia,
inconsistente, debole, anche se di paglia non è affatto. Andate a
Martigny, o altrimenti su Google, e guardate l'opera: vi colpirà senza
dubbio, e soprattutto grazie ai colori. Dopo aver bene osservato la
collezione, la sua ricchezza e bellezza, soffermatevi a pensare anche a
chi l'ha creata, Werner Merzbacher, uno dei maggiori collezionisti di
arte moderna al mondo, spedito in Svizzera quand'aveva poco più di
dieci anni dai suoi genitori che poi vennero uccisi, con tutta la
famiglia, ad Auschwitz.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
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Tea for Two - Aliyah stories
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Quando
una delle mie più grandi amiche ha fatto l'aliyah, abbiamo organizzato
una cena d'addio in un ristorante e ho un vago ricordo di pannocchie.
Avevamo quattordici anni, ancora ignare di molte delusioni ma non
digiune da bocconi amari. Credevamo di avere il sapere in tasca e di
aver provato il livello massimo di dolore, disappunto, disperazione e
fase babbuino. Leggevamo libri che sembravano manuali di auto-aiuto per
adolescenti e io guardavo a ripetizione Bridget Jones e tenevo un
diario segreto dalla copertina rossa: un giorno pieno di parole
fiduciose verso la vita, quello dopo con strani istinti distruttivi. In
un momento del genere, solitamente, se la tua migliore amica parte dopo
solo tre anni di conoscenza, vale la frase di Mina "Sai come si dice,
va' e sii felice". Ma l'adolescenza, oltre ad essere un vespaio e la
fase in assoluto nella quale si spende di più per vestirsi ottenendo
risultati tra il disastroso e il ridicolo (ho dei pantaloni
nell'armadio che lo testimoniano), è anche il momento nel quale si ha
la forza e l'energia per far andare le cose in maniera inaspettata.
Allora l'aliyah della nostra amica è diventata una risorsa in più, una
finestra aperta nello stanzino angusto della crescita. Delocalizzandoci
ci siamo unite, dandoci una speranza: se andava male sarebbe potuta
andare meglio, vivendo uno sliding doors continuo e consapevole. Per
non parlare poi dei reciproci viaggi, ogni volta carichi di tesori,
storie, bauli di novità, fiumi di inchiostro. Un'atmosfera sospesa
nella quale non si apparteneva ad un posto; non eri niente e allo
stesso tempo eri tutto. Noi amiche aspettavamo l'arrivo dall'Oriente
come un carico di spezie, tra pianti e pigiama party. Cd, giornali
scandalistici israelianiani, caramelle gommose permesse in un mondo di
gelatina animale, orecchie di Aman a Purim e quaderni con la copertina
da destra a sinistra. Perfino i compari del liceo aspettavano questo
arrivo: "La tua amica è già qui?", perché sapevano che sarei tornata a
scuola con qualche gadget e tante storie. Mi piacerebbe scriverle
diluite, a poco a poco, farle raccontare anche all'amica magari davanti
a un the (Wissotzky, ovviamente). Aliyah stories.
Rachel
Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2
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notizie flash |
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rassegna
stampa |
Kfar Gaza - Parlamentari italiani in visita di solidarietà dopo attacchi
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Leggi
la rassegna |
Il
kibbutz di Kfar Gaza, tra i luoghi più colpiti dalle continue scariche
di missili provenienti dalla Striscia di Gaza, è stato visitato da una
delegazione bipartisan di deputati e senatori italiani in missione in
Medio Oriente a nome dell'Associazione Parlamentare di Amicizia
Italia-Israele. L'incontro è stato organizzato in segno di solidarietà
alla popolazione locale costretta in queste ore a fronteggiare
l'ennesima situazione di emergenza.
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Tensione
altissima in Medio Oriente. Centinaia i razzi sparati dalla Striscia di
Gaza verso il Sud di Israele e nuovo incandescente fronte che si apre
sulle alture del Golan.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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