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13 novembre 2012 - 28 Cheshwan 5773
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linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

Una delle immagini che più conservo di alcuni Saggi di scuole rabbiniche frequentate  è la modalità flemmatica con cui sorseggiano qualsiasi bevanda che viene loro offerta dai discepoli accorsi ad ascoltare una lezione di Torah. Nella Parashah letta lo scorso Shabat assistiamo alla scena in cui Eliezer, il servo di Avraham, chiede cortesemente a Rivkah di poter “sorseggiare” dell’acqua dalla sua brocca (Bereshìt, 24; 17).  Nella Parashah del prossimo Shabbat, leggiamo  come  Esàv, viceversa, dice al fratello Yaakòv di fargli “trangugiare” la minestra di lenticchie…(Bereshìt ,25; 30). Si pensa giustamente che una persona si riconosce da come si comporta a tavola di fronte al cibo. Talvolta si può apprendere di più da piccoli gesti nobili e gentili che da una dotta conferenza. Non a caso è proprio a proposito della modalità ridondante con cui la Torah ci racconta la missione di Eliezer che i Maestri insegnano di come : “...è più bella la conversazione dei servi dei patriarchi rispetto alla Torah dei figli….”.


Dario
 Calimani,
 anglista



Per contestare gli stereotipi antigiudaici del malvagio ebreo errante e del vendicativo usuraio Shylock creati dalla cultura cristiano-occidentale, Maria Edgeworth, un’intrepida irlandese, scrisse a inizio Ottocento un romanzo filosemita, ‘Harrington’, una perla più unica che rara nell’ampio panorama europeo della letteratura antisemita. Un romanzo che cerca di decostruire la lunga tradizione di luoghi comuni sull’ebreo per sostituirli con figure di ebrei benevoli, generosi, umani. Un impegno non semplice nell’Inghilterra che, dopo averli espulsi per quattro secoli, non riusciva a riconoscere agli ebrei il diritto all’uguaglianza e alla naturalizzazione. E a ben poco servirono l’epoca dei lumi e ‘Nathan il saggio’ di Lessing. ‘Harrington’ è allora un documento di raro valore storico oltre che una coraggiosa impresa letteraria. Ora pubblicato per la prima volta in italiano, a cura di Carla de Petris, da Belforte di Livorno. Dovrebbe leggerlo anche Beppe Grillo.

davar
Giacomo Saban assume la presidenza del Collegio probiviri
Avviato il lavoro di molte Commissioni del nuovo Consiglio
Il professor Giacomo Saban è il nuovo presidente del Collegio probiviri dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Al suo fianco, in qualità di vicepresidente, Dario Disegni. Le due nomine, avvenute per acclamazione in occasione della prima riunione del Collegio, completano il quadro istituzionale generato dalla riforma delle istituzioni dell'ebraismo italiano e avviato dal nuovo Consiglio a 52 componenti. La prima seduta del Collegio, che si è svolta a Roma alla presenza del presidente dell'Unione Renzo Gattegna, ha poi assegnato il ruolo di verbalizzatrice delle riunioni a Giuditta Servi e ha definito le proprie modalià di lavoro predisponendo inoltre una bozza di modifiche all'attuale Regolamento interno che verrà sottoposto all'approvazione del Consiglio UCEI.
Al via intanto anche il lavoro di molte delle dieci Commissioni formate dal Consiglio e incaricate di svolgere un fondamentale ruolo di supporto alle attività della nuova Giunta dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Tre le Commissioni che hanno già individuato la figura incaricata di coordinare le attività svolte al proprio interno. Coordinatori della Commissione Statuto-Regolamenti-Affari Legali, riunitasi a Roma  nella sede dell'Unione, saranno Giorgio Sacerdoti e Barbara Pontecorvo. La Commissione Scuole-Educazione-Giovani, che si è riunita a Bologna, ha eletto coordinatrice Daniela Pavoncello mentre  la Commissione Antisemitismo e Memoria, anch'essa riunitasi a Bologna, ha affidato il coordinamento a Liliana Picciotto.
Numerosissime le riunioni delle altre Commissioni in agenda per i prossimi giorni, molte delle quali proprio nelle sedi comunitarie di Firenze e Bologna, più agevole punto di incontro per tutti i componenti che dovranno prendere parte ai lavori.
       

Qui Venezia - Letteratura in festa con il Premio Adei
Neanche l’acqua alta ha fermato la cerimonia del XII Premio letterario Adelina Della Pergola organizzato dall’Associazione donne ebree d’Italia, sezione della Women International Zionist Organization. In una Venezia inondata della luce rosea del tramonto dopo tanto brutto tempo, le numerose socie delle sezioni Adei di tutte le Comunità d’Italia si sono mosse dall’antico quartiere ebraico verso il prestigioso Palazzo Pisani, sede del Conservatorio Benedetto Marcello, che ha ospitato la premiazione. Nella Sala concerti il pubblico ha avuto modo di ascoltare le parole dei tre autori premiati, intervistati ciascuno da un esponente del mondo della cultura italiana.
A moderare l’incontro la giornalista Francesca Vigori, che ha introdotto innanzitutto gli interventi dei “padroni di casa”: la copresidente dell’Adei Venezia Manuela Fano, la presidente dell’Associazione Amici del Conservatorio Sonia Guetta Finzi, l’assessore alla Cultura del Comune Tiziana Agostini, la presidente dell’Adei nazionale Ester Silvana Israel.
Apprezzata la scelta di portare a Venezia quello che è ormai diventato un appuntamento importante nel panorama culturale ebraico italiano, iniziativa che ha ricevuto già nel 2011 l’adesione della Presidenza della Repubblica, e che quest’anno è stato patrocinato, oltre che dalle istituzioni locali e dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, anche dal Consolato austriaco (presente in sala il console Sigrid Berka). Proprio l’intervento del console ha dato il via alla conversazione tra il vincitore del Premio, lo scrittore ebreo viennese Vladimir Verlib, autore di Stazioni intermedie (Giuntina, 2011), e lo storico Simon Levis Sullam. “Vienna è stata per molto tempo la porta degli ebrei sovietici verso una nuova vita, solitamente in Israele o negli Stati Uniti. Nella storia di Vertlib ho ritrovato i destini di tante persone che ho realmente conosciuto nel mio lavoro. Anche per la sua famiglia Vienna doveva rappresentare solamente una ‘stazione intermedia’, e poi così non è stato”.
“Questo romanzo vuole senz’altro essere un libro sull’esperienza della Diaspora, ma anche un tentativo di dare alla mia storia un significato più amplio” ha spiegato Vertlib sollecitato da Sullam ad approfondire il rapporto tra esperienza autobiografia e finzione in Stazioni intermedie.
A dialogare con Mitchell Kaplan, vincitore del Premio ragazzi con Per terra e per mare (Neri Pozza, 2011), è stato invece Victor Magiar, consigliere UCEI con delega alla Cultura. “William Styron, autore di La scelta di Sophie, che io considero il mio primo mentore, mi ha insegnato che il primo segreto di uno scrittore è quello di far credere al suo pubblico che ciò che sta leggendo è vero. Per questa ragione ho scelto di scrivere romanzi storici, perché io per primo ci posso credere” ha sottolineato Kaplan, fornendo la ragione per cui il suo romanzo è radicato nella storia, con una ricostruzione così accurata degli avvenimenti della seconda Inquisizione e un notevole apparato di note, come messo in rilievo da Magiar.
A chiudere la cerimonia, il confronto su Generazioni 1882-1907 (Phasar, 2011), che ha ottenuto la menzione speciale per la migliore opera prima. L’autore Gabriele Rubini ha risposto alle domande del giornalista Roberto Riccardi, raccontando l’intreccio delle vicende dei protagonisti del libro, che si snodano tra vari decenni e numerosi paesi d’Europa. Già in lavorazione il secondo volume. E già partito anche il lavoro della giuria qualificata, presieduta da Maria Modena, per selezionare tra tutti i libri di argomento ebraico usciti negli ultimi mesi, la terna finalista dell’anno prossimo, che verrà poi sottoposta alla giuria popolare per individuare il vincitore. L’appuntamento con il Premio Adelina Della Pergola è dunque per il 2013.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Torino - La danza di Israele conquista la scena
Nonostante i lunghi minuti di applausi, alla fine di Sadeh 21 – il primo dei due spettacoli presenti a Torinodanza in questi giorni - la Batsheva Dance Company non torna in scena, ma continua a cadere, lanciarsi e tuffarsi nel vuoto in maniera sempre più leggera dal quel muro che per tutto lo spettacolo ha delimitato la scena. Scena vuota, bianca, in cui i diciassette ballerini hanno mostrato una capacità di emozionare percepita in tutta la sua potenza dal numerosissimo pubblico che, all’uscita, non ha smetto un attimo di commentare con sorpresa la bellezza dello spettacolo. La sala delle Fonderie Limone era colma e sono state molte le persone che avevano pensato di trovare posto semplicemente presentandosi alle casse, e che hanno dovuto rinunciare a vedere la compagnia israeliana. Anche per lo spettacolo di questa sera, quel Deca Dance dal contenuto mutevole che presenta una sorta di antologia delle creazioni di Ohad Naharin, i biglietti sono esauriti da settimane, a riprova della fama della compagnia e del successo ottenuto già a Roma dal nuovo ambasciatore di Israele Naor Gilon e dall’ottimo staff che lo affianca. L’addetto culturale Ofra Farhi con la grinta che la caratterizza raccontava ieri come è arrivata a portare a Romaeuropa prima e ora a Torinodanza questi ambasciatori di cultura e di pace che stanno avendo tanto successo da aver già previsto di tornare in Italia nell’autunno del prossimo anno. E anche per Pagine Ebraiche, che ha pubblicato la scorsa estate un dossier sulla danza contemporanea israeliana e che nell’ultimo numero ha dedicato una intervista al coreografo Ohad Naharin la serata è stata un successo: le tantissime copie richieste dall’organizzazione di Torinodanza sono state sia portate in sala e lette nell’attesa dello spettacolo che poi prese all’uscita, con evidente interesse a capire e conoscere quel patrimonio di cultura e bellezza che sa esprimere la minoranza ebraica italiana.

a.t. twitter@atrevesmoked
           

Melamed - La meraviglia delle storie ebraiche, in video
Lo slogan iniziale della pagina è accattivante, così come la grafica, e la sensazione quando si scopre il sito www.g-dcast.com e si guarda per la prima volta un G-cast è di grande meraviglia. Poi si torna bambini ed è davvero difficile riuscire a resistere e non mettersi a guardare in maniera compulsiva tutti i video presenti, senza riuscire a fermarsi. La chiave sta tutto in quel “si torna bambini” perché i G-dcast a loro soprattutto sono dedicati: si tratta di cartoni animati, tutti della durata di pochi minuti, che raccontano in maniera accattivante le storie ebraiche. Ci sono varie sezioni, si può scegliere fra video sulle parashot, sulle feste, sulla Torah o sui profeti, oppure scegliere fra la selezione di storie adatte ai bambini più piccoli. E un’area dedicata agli educatori, in cui si possono trovare i materiali più vari, dai progetti artistici ai suggerimenti per una sessione di studio in chavruta, dalle schede sinottiche a proposte di quiz… E non sono da dimenticare le guide per gli insegnanti, che in due pagine raccolgono idee, proposte e suggerimenti preziosi, ovviamente collegati al cartone a cui si riferiscono.
Ma sono i cartoni i veri protagonisti: al momento ne sono presenti sul sito quasi un centinaio, tutti disponibili gratuitamente, e tutti con l’obiettivo dichiarato di aumentare la conoscenza dei testi ebraici. Per i bambini. E il successo è notevole, per esempio il filmato dedicato a Bereshit, che riesce a porre in maniera poetica alcune domande davvero non banali sulla creazione, è stato visto quasi 13mila volte, cosa che dovrebbe far riflettere chiunque sull’importanza di usare mezzi che riescano a coinvolgere e interessare il pubblico a cui sono destinati. E senza neppure andare a cercare i materiali - dedicati agli educatori - nella stessa pagina web oltre al video sono presenti le fonti e alcuni spunti (vengono chiamati Table talk, conversazione da tavola) per uno scambio di idee sulla parashah. E, ancora per pochissime ore, è possibile scaricare gratuitamente il primo eBook prodotto da G-dcast, The Five eBooks of Moses, che raccoglie cinquantacinque cortometraggi: la Torah, come annuncia il team di G-dcast, come non l’abbiamo mai vista prima.

Ada Treves twitter@atrevesmoked

pilpul
La sinistra, gli ebrei
Si può essere ebrei di sinistra? In America – ne parlavo su queste colonne la settimana scorsa – certamente sì. Gli ebrei votano come cittadini e quindi sulla base di questioni economiche, sociali, ambientali, terreni sui quali è possibile (negli Usa è assolutamente così) che abbiano una sensibilità progressista. C’è poi la questione di Israele. Negli ultimi anni i partiti conservatori (anche da noi) sono stati più determinati nell’appoggiare i governanti israeliani, talvolta con un atteggiamento più realista del re. Per gli ebrei italiani come per tutti gli ebrei il rapporto con Israele è imprescindibile. Il giovane storico Matteo Di Figlia ricostruisce nel suo libro “La sinistra e Israele” le vicende umane e politiche di vari ebrei di sinistra nel Dopoguerra, delusi dall’appoggio sempre più marcato del Pci e delle forze extra-parlamentari agli stati arabi e alla politica sovietica anti-israeliana. Si tratta di storie tormentate, perché fin dagli albori del movimento socialista gli ebrei erano stati tra i più ferventi sostenitori della nuova ideologia. Negli ultimi anni questa contrapposizione si è attenuata, con i partiti di sinistra che hanno assunto posizioni assai più favorevoli allo Stato ebraico. Eppure, paradossalmente, sembra che nelle comunità la diffidenza nei confronti della gauche sia in alcuni casi aumentata (forse più nei dirigenti che nella piazza). Perché? Certamente per le avances da parte dei partiti di destra, ma anche per una difficoltà della sinistra a spiegarsi, a farsi capire, a elaborare un nuovo linguaggio che sapesse sganciarsi dai tic del passato.
Di questo e di altro parleremo il 20 novembre prossimo, alla presentazione del volume di Di Figlia promossa da Donzelli editore e dall’Associazione Hans Jonas. Partecipano Pier Luigi Bersani (Segretario del PD), Paolo Mieli (Presidente RCS libri), Emanuele Fiano (Deputato del PD ed ex-presidente della Comunità ebraica di Milano) e Riccardo Pacifici (Presidente della Comunità ebraica di Roma).

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi

Storie - il 17 novembre, le leggi razziste e i baroni di razza
Il 17 novembre del 2013 ricorre il 75° anniversario dell’emanazione del regio decreto legge  sulle leggi razziali (meglio sarebbe dire leggi razziste). Un appuntamento importante per riflettere e approfondire, anche dal punto di vista storiografico, la prima fase della persecuzione degli ebrei in Italia, quella che Michele Sarfatti ha definito la persecuzione dei diritti, un po’ messa in ombra dalla tragicità della fase successiva della Shoah.
Credo che il 27 gennaio costituisca una data-simbolo insostituibile del calendario internazionale della Memoria. Non vi è dubbio però che quella giornata riguardi in particolare le immani responsabilità della Germania nella vicenda delle deportazioni, non solo di tipo razzista, ma anche politico e militare. E per evidenti motivi, a partire dall’altissimo numero delle vittime, nelle scuole, sui giornali, nei convegni si parla quasi esclusivamente dell’esperienza dei lager.
Il dramma universale di Auschwitz, in qualche modo, oscura il 1938. E a noi italiani, bisogna ammetterlo, in fondo questa lettura storica non dispiace, perché ci consente di autoassolverci e, come diceva Vittorio Foa, di scaricare sui tedeschi il peso storico che portiamo sulle nostre coscienze e di soffermarci sui Giusti e sugli episodi, che pure ci sono stati, di salvataggio degli ebrei.
D’altra parte l’incredibile fretta con cui, dopo la liberazione, in un clima imbevuto di logiche di amnistia collettiva, ci si precipitò ad archiviare quanto accaduto tra il 1938 e il 1943, ha impedito una vera presa di coscienza del passato e ha coperto, omettendoli, i nomi e i cognomi dei responsabili. Che non furono solo Benito Mussolini e i gerarchi fascisti.
Un bel libro appena uscito, Baroni di razza di Barbara Raggi (Editori Riuniti, 216 pagine), spiega, come recita il sottotitolo, «come l’Università del dopoguerra ha riabilitato gli esecutori delle leggi razziali». Per sei anni intellettuali, docenti universitari, magistrati, avvocati e funzionari di baso e di alto livello prestarono la propria opera al servizio della propaganda antisemita e della persecuzione. Rimasero tutti (o quasi) al loro posto. L’epurazione annunciata dal nuovo Stato democratico non ci fu e l’apparato burocratico, culturale, amministrativo del fascismo “subentrò” a se stesso, in una sostanziale continuità.
I baroni del potere culturale, scientifico, professionale e universitario, che avevano fatto il bello e il cattivo tempo durante il Ventennio mussoliniano, scansarono senza colpo ferire le dure sentenze della Storia. E a questo gioco, rivela lo studio di Barbara Raggi, si prestarono anche figure luminose dell’antifascismo, come Guido Calogero, che ad esempio scrisse una lettera già nel 1944 per difendere Antonio Pagliaro, insigne linguista e glottologo, che aveva fatto parte del Consiglio superiore della demografia e della razza e aveva “lavorato” per dare un’inclinazione storica e culturale al razzismo fascista. Grazie a Calogero anche Pagliaro venne degnamente riabilitato nel 1946 e concluse serenamente la sua carriera col rango di professore emerito.
I francesi, com’è noto, hanno  istituito una giornata nazionale del ricordo il 16 luglio, data in cui nel 1942 fu attuato il cosiddetto Rastrellamento del Velodromo d'inverno e le milizie francesi arrestarono 13.152 ebrei, gran parte dei quali furono deportati e morirono ad Auschwitz. A titolo personale, avanzo una proposta. Perché non fare lo stesso anche in Italia, magari in coincidenza dell’anniversario del 2013, istituendo un giorno della memoria delle responsabilità nazionali proprio il 17 novembre, data di emanazione delle leggi razziali del 1938?

Mario Avagliano

notizie flash   rassegna stampa
Adei Wizo online   Leggi la rassegna

Online il nuovo sito dell'Adei Wizo (www.adeiwizo.org). Il lancio della piattaforma, online da poche ore, avviene in concomitanza con i festeggiamenti per gli 85 anni di attività dell'associazione.
   




 

Resta altissima la tensione in Medio Oriente, e oltre alle centinaia di colpi sparati dalla Striscia di Gaza verso il Sud di Israele è arrivata ora anche la fine della pace armata che ha caratterizzato i rapporti con la Siria negli ultimi 40 anni.


















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