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19 novembre 2012 - 5 Kislev 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav

Adolfo Locci, rabbino capo
di Padova

"La tua discendenza sarà come la polvere della terra, e ti diffonderai…" (Genesi 28:14). Le stelle del cielo, la sabbia del mare e la polvere della terra, sono le espressioni che il Signore ha usato per definire il "futuro" popolo d'Israele. Se analizziamo queste espressioni da un punto di vista puramente numerico, sembrano assolutamente delle "guzmot", delle esagerazioni, perché è noto che il numero del popolo ebraico, oggi dopo seimila anni, non sia così numeroso e non lo è mai stato in effetti. Ma se invece volessimo considerare questo punto di vista numerico, cosa vuol dire allora "e ti diffonderai"? Quando un popolo è così numeroso non ha bisogno di diffondersi, è già ben diffuso. Allora, forse, per capire il messaggio del versetto, dobbiamo cambiare il piano del ragionamento. La terra è da sempre considerata la base della vita fisica del mondo in cui viviamo. Tutto germoglia da essa e tutto si ricerca in essa. Il popolo d'Israele è come "la polvere della terra", dunque, non dal punto di vista numerico e fisico, ma da quello spirituale e del pensiero, che è stato l'humus da cui sono germogliate le culture occidentali. Voglia il Signore, che queste culture riconoscano "veramente" questo merito ad Israele e lo aiutino ad uscire, in pace e sicurezza, da questo tragico momento. Un Israele in pace e sicurezza, sarà certamente garanzia per la pace, per la sicurezza, e perché no, per lo sviluppo anche di coloro che da sempre ne vogliono la totale distruzione. Yehi shalom bechelenu weshalwà beIsrael... 

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
"Conosco molto bene la spinta all'odio e so quanto sia facile arrendersi al sentimento di vendetta, concedersi alla gravità del dolore e della disperazione. Epppure dobbiamo pensare che dietro le armi, dietro le uniformi nostre e del nostro nemico, c'è un essere umano" (David Grossman sabato 17 novembre 2012, al Festival di Bookcity di Milano). Parole che non hanno bisogno di nessuna aggiunta, di nessun commento, e che dobbiamo avere presenti e meditare, in questi momenti più che mai.

davar
Israele - Il conflitto e il ruolo dell'informazione
Sono oltre 500 i giornalisti di ogni nazionalità giunti in Israele dall’inizio del crisi con Gaza, secondo quanto riporta il Government Press Office, che vanno ad aggiungersi agli oltre 1400 iscritti all’associazione della stampa estera nello Stato ebraico. Eppure, nonostante il massiccio dispiegamento di forze che la stampa internazionale mette in campo per coprire gli eventi, cresce l’insoddisfazione del pubblico più attento e vicino alle vicende mediorientali, com’è tradizionalmente il caso degli ebrei della Diaspora, per una descrizione degli eventi parziale e poco attenta nei confronti di ciò che accade in Israele. Un’informazione costantemente monitorata attraverso la rassegna stampa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane dalla redazione del Portale dell’ebraismo italiano, che ha espresso la sua preoccupazione nell’assemblea di redazione.
Lo scontento della gente emerge in primo luogo sui social network, dove moltissimi utenti reagiscono a ciò che i media raccontano o non raccontano postando foto, video e articoli che possono fornire un quadro più veritiero della situazione: sottolineano come Israele sia da anni sotto il tiro dei razzi sparati da Gaza, che sono piovuti in modo particolarmente massiccio per diversi giorni prima che avesse inizio l’operazione Pilastro di difesa, raccontano le sofferenze dei civili israeliani, spesso vissute in prima persona da parenti o amici trasferiti nello Stato ebraico, denunciano la tecnica diHamas di lanciare razzi e impiantare centri operativi in luoghi densamente abitati, quando non in scuole ed ospedali, e a usare i civili come scudi umani. Dimostrano infine la manipolazione di alcune delle foto che sconvolgono il mondo in queste ore, diffuse come immagini della sofferenza dei civili di Gaza e in realtà scattate in Siria, paese che i movimenti del mondo occidentale che si proclamano pacifisti si ostinano a ignorare dopo quasi 40mila morti dall’inizio del 2012, fa notare qualcuno.
Sono gli stessi giornali ad aver riconosciuto l’attitudine di questo conflitto a essere raccontato attraverso i social media: per molti la prima fonte d’informazione è divenuta twitter, in particolare l’account di Tzahal, ma anche quello dell’IronDomeCount e del governo israeliano, e persino il twitter delle Brigate Al Qassam.
Un’opera, quella di informare su ciò che accade veramente in Israele, portata avanti con impegno anche dal suo Ministero degli Esteri e dalle ambasciate nel mondo, che diffondono sul web notizie e immagini sulla situazione nello Stato ebraico (creato un apposito sito http://embassies.gov.il/Israel-Under-Fire/Pages/default.aspx). “Israele è deciso ad andare avanti nell'offensiva su Gaza fino a quando Hamas non capirà che un livello di lanci di razzi contro il territorio israelianocome quello degli ultimi mesi è inaccettabile” ha dichiarato alla stampa italiana l’ambasciatore a Roma Naor Gilon.
A raggruppare le informazioni che arrivano dalle fonti più disparate in un flusso continuo sono i siti web dei giornali israeliani, dal Jerusalem Post ad Haaretz. Che non dimenticano di sottolineare come nonostante le difficoltà, la voglia degli israeliani sia quella di non cedere alle minacce e alla rappresentazione della vita dello Stato ebraico in una dimensione diperenne conflitto: dove possibile, si continua ad andare a studiare e lavorare. La squadra di calcio di Ashdod, una delle città maggiormente bersagliate dai razzi da Gaza, prosegue con gli allenamenti, riferisce il Times of Israel, e ha visitato la batteria di Iron Dome vicino alla città, portando ai soldati compagnia cibo e bevande: tutti decisi a rimanere nonostante le difficoltà. Giocatori stranieri inclusi.

Rossella Tercatin
twitter @rtercatinmoked

Qui Parma - "Vigilare sui violenti"
Dopo i violenti slogan pronunciati davanti al Tempio Maggiore di Roma un nuovo inquietante episodio tocca da vicino una Comunità ebraica. Accade a Parma, dove balordi (ancora senza nome e senza volto) hanno imbrattato il portone della sinagoga con vernice rossa color sangue. Un'azione ignobile prontamente denunciata dal presidente della Comunità parmense Giorgio Giavarini attraverso un messaggio diffuso ieri sera ai leader ebraici. Numerose le manifestazioni di solidarietà dal mondo ebraico, dalle istituzioni e dalla società civile.
"Colpire un luogo di culto - sottolinea in una nota il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna - equivale a colpire i principi di libertà, rispetto e pluralismo su cui si fonda il concetto stesso di civiltà umana. Un segnale inquietante, che non deve essere in alcun modo sottovalutato e che per questo richiede massima attenzione e vigilanza da parte di ognuno di noi". L'auspicio, si legge ancora, è che i responsabili possano essere individuati e che allo stesso tempo possa essere fatta chiarezza sulle dinamiche di questo riprovevole episodio. Ad intervenire tra gli altri anche il suo predecessore, Amos Luzzatto, oggi presidente della Comunità ebraica di Venezia. "Reagiamo disgustati e preoccupati per l'oltraggio alla sinagoga parmense. Si tratta di un fenomeno antico e mai scomparso, che noi chiamiamo genericamente razzismo e più precisamente antisemitismo. Una società che voglia essere civile non può accettare e farsi soggiogare da tale cultura".

Qui Roma - La sfida del dialogo e della convivenza
Dialogo, incontro, mutua responsabilità. Entra nel vivo in queste ore la settima edizione del progetto per l'integrazione Una cultura in tante culture organizzato dall'Associazione Donne Ebree d'Italia con il contributo dei fondi della raccolta dell'Otto per Mille UCEI. Rivolto agli insegnanti e studenti delle scuole superiori e condotto da Edna Calò Livne, il laboratorio lancia quest'anno un nuovo straordinario messaggio di speranza e vitalità coinvolgendo, nelle sue iniziative, l'Istituto Castelfranchi di Finale Emilia. Una scelta che si inserisce nell'ottica dell'impegno a fianco delle popolazioni terremotate che l'Adei ha voluto intraprendere a fianco dell'Unione a partire dalla scorsa primavera.
Reciproca conoscenza attraverso la musica, la danza, il racconto. Una cultura in tante culture è un format di successo che ha attraversato l'Italia. Da Verona a Napoli, da Milano a Trieste. Oggi il via, per il terzo anno consecutivo, al Convitto Nazionale di Roma. A fare gli onori di casa il rettore Emilio Fatovic, che ha affermato la centralità ineludibile del dialogo come motore della civiltà umana facendo riferimento, in particolare, ai tanti nodi irrisolti del Medio Oriente. Un contesto in cui Calò Livne, fondatrice di Beresheet LeShalom, si muove da tempo cercando di avvicinare i popoli, le differenti religioni, culture ed etnie, attraverso l'espressione artistica e il teatro. Una piccola goccia nel mare, ha sottolineato l'educatrice, ma che è prova di una possibile e necessaria integrazione. “Conoscenza e comprensione – ha ricordato Ziva Fischer, responsabile del progetto – sono i primi baluardi per combattere il razzismo. Una sfida che dobbiamo vincere tutti assieme attraverso iniziative e progetti concreti. Sono orgogliosa di quello che è stato possibile fare fino ad oggi”.
Nelle prossime ore l'iniziativa verrà riproposta a Finale Emilia. Martedì, alle 10, presentazione del progetto alla Tensostruttura Soc con interventi, tra gli altri, del preside del Castelfranchi Rossella Rossi, del sindaco Fernando Ferioli e dell'assessore all'istruzione Angelo D'Aiello. Attività, anche per la giornata di mercoledì, sono inoltre previste a Bologna con la partecipazione del liceo Galvani e della locale Comunità ebraica dove, domani sera, Calò Livne sarà protagonista di un incontro dedicato ad approfondire le sue esperienze di pace. Fondamentale per la fase preparatoria di un calendario così ricco di eventi, sottolinea Fischer, il contributo offerto dalla presidente Adei di Bologna Ines Marach.

a.s - twitter @asmulevichmoked

Qui Milano - Bookcity a porte aperte 
“Siamo il popolo del libro. Ci sembrava più doveroso offrire il nostro contributo a una manifestazione che ha portato Milano a diventare la città della lettura. E il successo è andato oltre ogni aspettativa”. È soddisfatto Daniele Cohen, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano all’indomani della rassegna che ha portato nella sinagoga di via Guastalla centinaia e centinaia di persone per il filone ebraico di Bookcity. “Ci tengo a ringraziare i cittadini milanesi per essere venuti a trovarci nonostante la coda fuori dal tempio e la concorrenza di altri straordinari eventi in vari luoghi della città. Li ringrazio soprattutto per aver capito e apprezzato il nostro approccio al festival”. Un approccio che ha visto come grande protagonista la casa editrice fiorentina Giuntina, pilastro fondamentale della divulgazione e della riflessione sulla cultura ebraica in Italia: in occasione Jewish & the City – L’ebraismo a portata di libro, è stato chiesto a diversi esponenti del mondo della cultura di “adottare” un titolo del catalogo Giuntina, e di condividere con il pubblico emozioni e spunti scaturiti dalla sua lettura. “Ciò che ha caratterizzato il progetto Bookcity è stata la volontà di promuovere le idee più che il lato commerciale del mondo della lettura – spiega Shulim Vogelmann fondatore della Giuntina – Penso che questo filo conduttore bene si adatti anche al lavoro che compie la nostra casa editrice. Siamo particolarmente contenti del successo di pubblico, che ha dimostrato come l’ebraismo si confermi un linguaggio culturale adatto a tutti per comprendere meglio il mondo”.
Tanti i protagonisti della maratona di incontri, con la sinagoga affollata dal primo pomeriggio fino alla sera. Ad aprire l’intervento del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, che si è interrogato sul concetto di divulgazione culturale (nello specifico della Torah) nella tradizione ebraica, che appare controverso “Quando parliamo di divulgazione dobbiamo fare riferimento a due episodi: l’opera di Mosè che riportò la Torah in settanta libri e la traduzione in greco all’epoca di Tolomeo – le parole del rav – Ebbene dobbiamo ricordare che parliamo di due episodi molto diversi perché quella di Mosè fu un’iniziativa interna verso l’esterno, la Bibbia dei Settanta fu un’opera imposta da un re alle sue condizioni”.
Non si è limitato a scegliere un volume, ha invece adottato l’intero catalogo lo storico David Bidussa, che ha condotto la platea nella storia e nel significato dell’opera di Giuntina, a partire dalla sua fondazione nel 1980 con la pubblicazione de La Notte di Elie Wiesel. “Quello dell’editore è un mestiere strano, in cui si deve guardare al profitto, ma il profitto non può essere l’unico punto di riferimento. Un editore deve tentare di creare e innovare il gusto culturale, anche senza riuscirci. Ciò che caratterizza il lavoro di Giuntina è proprio il creare la domanda, prima che l’offerta” ha spiegato Bidussa, approfondendo poi vari aspetti della casa editrice, dalla scelta grafica delle copertine, alle caratteristiche del lettore tipico, fino al ritratto dell’ebraismo che merge dai libri pubblicati, dando così il la agli intellettuali che hanno partecipato all’evento: la direttrice del Teatro Parenti André Ruth Shammah parlando di Scrivere dopo per scrivere prima di Giacoma Limentani, il vicedirettore di Panorama Walter Mariotti con Angeli e uomini di Catherine Chalier, lo stesso Vogelmann che ha conquistato il pubblico con Le mie migliori barzellette ebraiche, il filosofo Giulio Giorello che ha scelto L'ebreo e l'ebraismo nell'opera di Rembrandt di Anna Seghers e infine Stefano Levi Della Torre con LTI di Victor Klemperer.
Già nei giorni precedenti, diversi gli appuntamenti di Bookcity in cui la cultura ebraica è stata grande protagonista, dalla presentazione di Qabbalessico di Haim Baharier (la Giuntina, 2012), all’incontro con lo scrittore David Grossman. A confermare l’interesse che Milano manifesta nei suoi confronti “Uno degli obiettivi che il nostro Consiglio si è dato è proprio quello di far crescere i momenti di incontro con la città – conclude Daniele Cohen - Il mio auspicio è che in un momento in cui spesso la Comunità fa fatica a trovare coesione, queste occasioni ci ricordino quanto la cultura rappresenti uno strumento per ritrovarci tutti insieme”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

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In cornice - Bezalel
daniele liberanomeQual è stato il primo artista ebreo? La risposta classica dice Bezalel, colui che ha costruito il Tabernacolo e i suoi arredi sotto diretta ispirazione divina. La mia risposta è invece che il primo nostro artista è stato Giacobbe, come dimostra la parashà di questa settimana – Vayetzé. Mentre fuggiva dal fratello, Giacobbe si fermò nel luogo dove sarebbe poi sorta Gerusalemme, si costruì un riparo dagli animali feroci della zona, e si addormentò su una pietra sognando poi gli angeli che salivano e scendevano dalla scala. La mattina, dopo (tradizione di Moise Levy) “prese la pietra che aveva messo attorno alla sua testa, la pose come stele...” In che modo esattamente Giacobbe abbia fatto quest'operazione non è importante: quel che conta è che prese un oggetto qualunque, una pietra, e lo manipolò in qualche modo per farne una stele, un'opera d'arte antica, in questo senso simile al complesso di Stonehenge. Anche lì vennero prese pietre della zona e sistemate in modo da farne un luogo di culto. Più tardi, Giacobbe ormai sposato, strinse un accordo con Labano, secondo cui ogni bovino striato o pezzato che nasceva da quel momento in poi, sarebbe stato suo. Ora, per indurre le mucche a partorire agnelli non bianchi Giacobbe “prese dei rami freschi... e vi cinse delle strisce bianche...poi li collocò presso le vasche dove il gregge veniva a bere...”. Quindi, Giacobbe lavorò il legno creando delle opere, che poi dispose in un qualche modo, compiendo comunque un'operazione diversa da quella eseguita con la pietra/stele: nel primo caso la Torà usa il verbo “lehaziv”, nel secondo “lehazig” che, per di più, è il verbo oggi correntemente tradotto come "esporre" e usato in relazione a mostre in gallerie o musei. Infine, negli ultimi versi della parashà, Giacobbe sancisce l'accordo definitivo con Labano creando un'altra opera. Comincia, apparentemente come ai tempi della fuga, prendendo una pietra che “eresse come una stele”. Come indica l'attento Moise Levy, sembra che qui Giacobbe abbia creato quella stele in modo diverso rispetto alla prima volta, “erigendola” (vayerimeha), e non semplicemente "ponendola" (un'evoluzione nello stile?). Poi chiamò i figli e insieme crearono un cumulo che lui chiamò “galed” in relazione alla forma di questo cumulo, che la Torà chiama “gal” (qui, la traduzione di Moise Levy mi sembra meno convincente, perchè “gal” almeno in ebraico moderno non è affatto un cumulo, ma ha a che fare con le onde e suggerisce una determinata forma data al cumulo). Insomma, senza entrare nei dettagli delle opere di Giacobbe che possiamo solo ipotizzare, resta il fatto che ne creò più d'una, di diverso aspetto e in diverso modo.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for Two - Caro amico ti scrivo
Amico/a dell'università, un po' ti conosco, tra una lezione e l'altra indosserai una sciarpina, prenderai dalla macchinetta un pessimo caffè e andrai in cortile per la pausa sigaretta. E inizierai con una certa levità a parlare. A parlare della crisi medio-orientale e di quanto gli israeliani, o meglio gli ebrei (se ti conosco preferirai questa scelta lessicale), siano dei sanguinari. Probabilmente io sarò lì a pochi passi e mi sentirò in dovere di rompere il cerchio dei tuoi amici consenzienti, ma non lo farò. Non lo farò perché mi sembra paurosa la facilità con la quale decidi da che parte stare. Mi inquieta con quanto intimo piacere dirai che le vittime sono diventate carnefici, che vi abbiamo riempito la testa di giornate della memoria e poi 'facciamo' apartheid. Questo è il punto, il piacere con cui si parla della morte, della violenza. Perché lì nel cortile della facoltà bevi caffè e giudichi la guerra come se fosse risiko? Scriverti non è facile vorrei cancellare tutto e ricominciare, vorrei non guardare video, vorrei non sentirmi sotto attacco, vorrei non mi guardassi con quella faccia beffarda. E vorrei sopratutto non ci fosse la guerra. Ma la sveglia sta suonando. E noi continuiamo a parlare senza essere lì, a combattere una guerra parallela di parole e veleni. Sai, quest'anno a me ed altri amici è capitato di conoscere un ragazzo palestinese. Ero tesa ed emozionata all'idea. Lo guardavo e dal modo con cui stritolava il tovagliolo avrei detto lo stesso di lui. Mi sentivo inadeguata, non sono israeliana, ma sono una sua coetaea e alla nostra età tutti i sogni si assomigliano. Poi la sua timidezza è finita e ha detto che non c'era possibilità di avere due stati per due popoli. Quella era la Palestina non Israele. Israele non esiste. E parlando in un colpo solo negava la speranza. Lì ho capito che le mie utopie si erano infrante e che la nostra amicizia era una meta lontana. Era molto colto, intelligente eppure non sapeva. Non sapeva delle migliaia di persone, ebrei di paesi arabi che hanno dovuto lasciare la terra che sentivano propria e continuare un vagabondaggio da apolidi. Penso a Medea che uccide i propri figli per far soffrire Giasone e si condanna a una vita di infelicità. Penso a quanta sofferenza senza falsa retorica, mi porta a scrivere niente se non questo. Non ti farò lezione di storia perché non ne sono capace, non ti dirò che Israele è un paese perfetto, perché i suoi abitanti lucidi e severi sono i primi a non aver paura di attaccare Bibi (lo chiamano Bibi come fosse un cugino militante che al seder di Pesach non sta un attimo zitto) e la sua politica. Ma prima di parlare e pontificare in cortile, prima di ergerti a protettore di vituperati dei quali non so quanto ti importi realmente, pensaci un secondo. Farai un passo verso la pace così? Facendo l'ultà di una partita con tempi supplementari infiniti, contento di avere altro da pensare, di lasciare per un momento il nostro paese scricchiolante e immergerti in un videogame tra agenti segreti, terroristi e terrorizzati? Forse alla prossima pausa 'caffé + sigaretta' nella quale una sirena non ti interromperà, nella quale non avrai paura di nulla se non dei prossimi esami, un pochino ci penserai.

Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2


notizie flash   rassegna stampa
Israele - La Difesa e i social network
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Il ministero della Difesa israeliano, sta usando Twitter, Youtube e Facebook per comunicare le sue azioni sul fronte della crisi con Gaza. L’uso dei social network ha fatto fare uno scatto in avanti alla comunicazione istituzionale: il governo è infatti riuscito, in questo modo a creare un flusso diretto di comunicazione con il pubblico, cercando la sua complicità e la sua partecipazione.





 

Ancora moltissime voci in rassegna sul Medio Oriente. Cronache, interviste, editoriali: la stampa italiana "copre" la crisi israelo-palestinese con grande ricchezza di interventi offrendo però il fianco a non poche critiche soprattutto sul fronte dell'equilibrio e dell'obiettività.



















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