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20 novembre 2012 - 6 Kislev 5773 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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I passaggi della Torah che ci
raccontano le Toledòt,
le discendenze,
di Itzchàk (Bereshìt,
25;19) e quelle di Yaakòv dopo (Bereshìt,37; 2),
sono preceduti, ambedue le volte, dalle Toledòt dei loro rispettivi
fratelli Yshmaèl (Bereshìt,
25;12) ed Esàv (Bereshìt,37;1).
La modalità con cui la Torah ci riferisce di
queste coppie di Toledòt/
storie
è significativamente diversa e asimmetrica. Nelle Toledòt di
Yshmaèl e di Esàv, che cronologicamente precedono quelle dei
nostri patriarchi, la Torah elenca un albero
genealogico, una sorta di certificato di famiglia. Le Toledòt/storie
di Itzchàk e di Yaakòv sono caratterizzate, sin
dall'inizio, da conflittualità fraterne e da scelte
di vita. Storie da decodificare per non essere ingannati da apparenze e
da letture in superficie. La lingua ebraica, alla
parola historia (in
greco, ricerca, indagine ), che non trova diritto di
cittadinanza nel suo vocabolario,
preferisce Toledòt,
storie, generazioni, come se ci trovassimo a fare
i conti con una storia che si costruisce attraverso una discendenza che
non è mai solo un dato biologico.
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Dario
Calimani,
anglista
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Quando
da Gaza sparano missili su Israele e Israele risponde, l’ebreo di
sinistra che non ama le smaccate partigianerie e l’ideologizzazione
fine a se stessa, sente tutta la fragilità della sua posizione. Perché,
se non è disposto a dire che il governo di Israele ha sempre ragione,
non è neppure disposto a dire che lo stato di Israele ha torto per
definizione. L’antisemitismo, quello vero, passa proprio per questa
sottile linea di demarcazione. Che Israele sia manifestamente sotto
attacco è fuori di dubbio, e sembra non si voglia ammettere che la
cortina fumogena dei missili palestinesi intenda far velo ai massacri
siriani e all'inverno dello scontento che ha fatto seguito alle fallite
primavere arabe. Israele funziona sempre da ottimo distraente. E a far
male, oltre al sangue che sta scorrendo, è il silenzio vergognoso della
sinistra italiana che non osa giudicare gli eventi in corso con i
propri occhi, e, quando lo fa, lo fa dall’ottica delle sue ideali
alleanze populiste. Vendola, almeno, parla chiaro e pronuncia la sua
verità ideologizzata, rafforzata da inamovibili certezze. Così, fra una
sinistra demagogica, cieca e vigliacca, e una destra che offre sostegno
ad alto tasso di interesse, mentre a Roma fascismi di destra e di
sinistra ci sguazzano, l’ebreo si ritrova ancora una volta solo con i
suoi incubi. Bersani, Renzi, Di Pietro, l’equilibrista Casini, e tutti
gli altri, sono troppo impegnati a giocare con i programmi elettorali.
Perché sporcarsi mani e bocca con rischiose uscite su Israele, specie
se fuori dal coro, quando invece il silenzio assicura il consenso di
gran parte dell’opinione pubblica? Ora, a dirla franca, Netanyahu e i
suoi alleati non sono certo i personaggi giusti per portare Israele
fuori dalla palude. Ma, sia detto senza esitazioni, lo stato d’Israele
ha il diritto e il dovere di difendere le sue città e la sua gente. E
serve a poco richiamare le lontane origini del conflitto e tutta la sua
intricata storia, e l’ingiustizia degli insediamenti dei coloni. Un
missile rimane un missile, e un crimine terroristico rimane sempre un
crimine terroristico. Ma la politica tace, mentre la stampa imperversa
con animose semplificazioni. L’ebreo di sinistra, orfano sventurato, si
troverà di fronte a un bel dilemma quando, fra qualche mese, andrà a
inserire la scheda nell’urna. Noi tuttavia paghiamo solo con la crisi
delle nostre coscienze. Altrove stanno pagando prezzi ben più alti. E
beato l’ebreo di destra, che queste crisi non le conosce!
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"Noi che non ci
arrendiamo alle sirene, ai missili, al terrore"
Le mille voci degli italkim in queste ore difficili |
“La prima volta che ho
assistito ad un’esercitazione della popolazione civile in Israele è
stato due anni fa. Non avendo sentito la notizia alla radio, la sirena
mi ha colta di sorpresa ed ero terrorizzata. Gli israeliani del mio
ufficio mi sbeffeggiavano. Io volevo correre nel bunker, mentre tutti
sembravano infischiarsene. D’altra parte era solo un’esercitazione”.
Adesso invece si fa sul serio e per Alessia Di Consiglio, studentessa
romana trapiantata in Israele, è l'occasione per raccontare il 'suo'
primo attacco missilistico. È giovedì pomeriggio quando gli ordigni di
Hamas colpiscono Tel Aviv. Alessia si trova all'Università di Herzliya,
a pochi chilometri di distanza. Nonostante il clima di tensione che
serpeggia nell'aula, racconta nella nuova area blog di Hatikwa, la
voglia di reagire, di sdrammatizzare, di guardare avanti, prende il
sopravvento. “Con la sfiga che ho è sicuramente caduto su casa mia”,
dice uno studente. “Ci ho messo quattro ore a convincere i miei figli
che a Tel Aviv non sarebbe successo niente e ora si prenderanno gioco
di me a vita”, replica l'insegnante. Una prova di coraggio, tra i tanti
aneddoti a riguardo, che l'ha impressionata. “Devo dire che non ho mai
ammirato così tanto gli israeliani. Di solito mal digerisco la loro
aggressività e il loro modo di fare troppo informale. Ma non è proprio
in questo tipo di eventi – si chiede – che vengono realmente fuori le
persone?”.
Tra i blog più interessanti e aggiornati dal Medio Oriente 'Diario da
una città di mare' di Daniela Fubini, torinese. Un intervento è
dedicato alla prima angosciante sirena a Tel Aviv. “Ero appena tornata
a casa – racconta Daniela – stavo preparandomi a cenare in fretta prima
di una serata a teatro. Nell’istante in cui mettevo il pane sulla
tavola e mi apprestavo a spostare la sedia, sono rimasta con le mani a
mezz’aria mentre le mie orecchie comunicavano incredule al cervello:
questa che suona è 'la sirena'. Per ovvio che sia, ho sentito il cuore
rimbombare in tutto il corpo, le mani mi tremavano un pochino, ho preso
il cellulare, mi sono infilata le scarpe e sono scesa al piano di
sotto”. E del teatro che ne è stato? “Dopo la paura e l’immersione nel
cinismo condito di rassegnazione e fatalismo dei vicini – prosegue
Daniela – la domanda era che fare dei biglietti. All’ora
dell’appuntamento (45 minuti dopo il suono della sirena) la decisione è
stata: tra aspettare tutti soli a casa la prossima, e sentirla
eventualmente a teatro, in compagnia, buona la seconda”.
“Non so cosa voglia dire esattamente questa situazione, ma soprattutto
non so quanto possa durare. Oggi che, per la prima volta nella mia
vita, ho visto cos’è un rifugio e ci sono entrata – spiega Rebecca
Treves, torinese, sul blog Tre.no – mi sembra incredibile pensare che
ci sono città in cui questo succede quasi tutte le settimane. Sderot
per esempio. C'è una grande forza in questo Stato che sopporta”.
Rebecca sottolinea di aver colto tra la gente massimo senso di
appartenenza e condivisione. “Le persone sono consapevoli. Tutti sanno
cosa fare e cosa vuol dire Zeva Adom. Vuol dire allarme – scrive – vuol
dire che suona la sirena”.
Numerose le testimonianze di 'italkim', gli italiani d'Israele, anche
sui social network. Gabriel Maisto, livornese: “Stavo guidando il
motorino, in trenta secondi sono arrivato al bunker e poi un boom
assurdo. Maledetti!”. “Sto bene!”, posta da Gerusalemme Alisa Hagen,
fiorentina, che se la prende con i giornali italiani colpevole di
trasmettere “solamente ciò che interessa loro”. La vita intanto va
avanti. Malgrado le insidie, i missili, la tensione. “Sono spaventata e
senza sonno ma fiduciosa che presto finirà”, si augura Ylenia
Tagliacozzo. Aviva Bruckmayer, milanese, pubblica la foto di una
performance musicale svoltasi in piazza pochi istanti dopo l'ultimo
allarme. Con annesso commento: “Cari nemici di Israele, ecco la nostra
risposta”. Michael Sorani, torinese, non ha rinunciato a partecipare
all'evento organizzato da Tsad Kadima a sostegno dei ragazzi
cerebrolesi. “Alla faccia di Hamas”, sottolinea con orgoglio.
Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked
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Il presidente Shimon Peres: “Vogliamo solo essere sicuri che i nostri figli vadano a scuola senza il timore dei razzi” |
Il
presidente israeliano Shimon Peres ha rilasciato un’intervista al
corrispondere Rai in Israele Claudio Pagliara andata in onda al TG1
delle 20 di domenica 18 novembre. Questa la trascrizione completa
dell’intervista.
Signor Presidente, quali sono le condizioni israeliane per un cessate il fuoco? Israele
non ha iniziato a fare fuoco, quindi non abbiamo nessuna intenzione di
mantenere il fuoco. Se il fuoco viene fermato, allora non ci sarà alcun
fuoco da parte nostra. Israele non ha messo nessuna condizione. Israele
dice “Vogliamo essere sicuri che i nostri figli possano andare a scuola
senza cadere in un’imboscata di razzi, che le nostre mamme possano
avere una notte di sonno intera”. Non abbiamo l’intenzione di
conquistare Gaza, di restare a Gaza. Non abbiamo nessun altro scopo. La
natura del confronto è terribile. Sparano contro i nostri civili, i
nostri bambini, le nostre donne. Noi stiamo molto attenti a sparare
solo contro quelli che sparano ai nostri bambini e madri. Dall’operazione
Piombo fuso il contesto regionale è cambiato radicalmente in Medio
Oriente. Teme che la guerra di Haza possa estendersi e diventare una
guerra regionale? E perché? Quello
che sta succedendo nel Medio o fondamentalmente non ha nulla a che
vedere con Israele. I ribelli in Siria non hanno connessioni con
Israele, la battaglia contro Gheddafi non ha niente a che vedere con
Israele. Tunisia? Nulla a che vedere con Israele. Egitto? Nulla a che
vedere con Israele. C’è un risveglio nel mondo arabo. Devono decidere
se vogliono entrare nella nuova era della scienza, o no. Ma non è
legato a Israele. Che cosa si ottiene sparando a Israele? Israele ha
vissuto ormai molte guerre, abbiamo 64 anni, abbiamo passato sette
guerre, in inferiorità militare e di uomini, e non ne abbiamo persa
neanche una. Continueremo a difendere la nostra esistenza. Sappiamo che
ci sono forze che vogliono distruggere Israele. Non abbiamo nessuna
intenzione di dar loro soddisfazione. Come giudica le misure prese dal presidente egiziano Morsi, dai Fratelli musulmani verso Gaza? Apprezzo
la sua posizione, l’Egitto è il più grande e il più importante paese
arabo. Il presidente Morsi è stato eletto correttamente in elezioni
libere, rispettiamo i risultati delle elezioni e rispettiamo il suo
sforzo di porre fine al fuoco. Non è Israele a rifiutare le sue
proposte, è Hamas a rifiutarle. Vogliono avere un cessate il fuoco nel
quale loro abbiamo il diritto di sparare, e noi non abbiamo il diritto
di rispondere. Questo non è un cessate il fuoco. C’è il timore in Occidente che l’offensiva diventi terrestre con un alto numero di vittime civili a Gaza. Non
dipende da Israele, dipende da Gaza. Se Gaza smette, il fuoco si
fermerà, se il fuoco aumenta, continueremo a difendere le nostre vite.
Tutti i nostri amici ci dicono “Guardate, non fate questo, non fate
quello”. Io chiedo loro “Cosa fareste voi? Cosa ci suggerireste di
fare? Se aumentano il fuoco, dobbiamo smettere di difenderci?”. Non
siamo lì in cerca di gloria o per autosoddisfazione, facciamo quello
che ogni governo farebbe: difendere le vite dei propri cittadini. È
tutto. E qualunque cosa sia necessaria per la difesa, il governo e
l’esercito lo faranno, in modo ordinato, con estrema attenzione a non
colpire civili. Presidente c’è
una sensazione di déjà vu in questo conflitto. Quattro anni fa c’è
stato Piombo fuso, adesso un’altra operazione, questa guerra non si
ferma mai. Lo dico a lei, che è un Premio Nobel per la pace, si ripete
sempre. Non è a causa nostra. Abbiamo fatto una lunga
strada. Abbiamo fatto pace con l’Egitto. Abbiamo restituito tutta la
terra e l’acqua. Abbiamo fatto la pace con la Giordania e restituito
tutta la terra e tutta l’acqua. Abbiamo iniziato con i palestinesi, e
gli abbiamo detto che siamo pronti ad avere una soluzione di due Stati.
Un déjà vu forse, ma il nostro déjà vu è fare la pace, e il loro déjà
vu è cercare di distruggerci. Non è lo stesso vu. Continueremo i nostri
sforzi per raggiungere la pace, non ci stancheremo. Ma allo stesso
tempo, non permetteremo che il nostro popolo sia vittima di pazzi
attacchi, del concetto di morte.
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Qui Milano - Il musical Titanic per il sogno di Ben Gurion |
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Spararla grossa
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La
tentazione di spararla grossa è fortissima. Irresistibile. Colpisce
quasi tutti e quasi sempre nella speranza di guadagnarsi un po’ di
visibilità. Gli intellettuali non ne sono immuni. Anzi. Spesso e
volentieri sono i più sensibili a questa sirena. Ci sarebbero alcuni
casi degni di menzione, ma si finirebbe per contribuire a questo gioco.
Dunque passo oltre, e cito solamente l’ultima bravata di Piergiorgio
Odifreddi. Uno scienziato stimato noto al grande pubblico soprattutto
per le sue posizioni in tema di laicità. Bene. Ieri l’ottimo
Odifreddi ha pensato bene di scrivere un articolo in cui paragona
l’operazione “Colonna di fumo” (i raid israeliani su Gaza) alla strage
delle Fosse Ardeatine, a Roma, il 23 marzo 1943. Al suo testo ha
risposto puntualmente David Bidussa, contestando nel merito l’analogia
tra le due vicende. Ma siamo sicuri che sia la giusta risposta? Non
corriamo il rischio di concentrarci sul particolare dimenticando la
dinamica generale? Non compiamo lo stesso errore di quando replichiamo
ai negazionisti – lo rileva opportunamente Donatella Di Cesare – nel
merito e non affrontando il cuore del loro messaggio? Esistono dei
confini invalicabili anche nel dibattito delle idee. Sostenere che
l’atteggiamento israeliano nei confronti dei palestinesi – pur
criticabilissimo - sia assimilabile al nazismo è una posizione che per
me va oltre la cittadinanza democratica delle idee. Innanzitutto perché
è una scempiaggine assoluta (qualche tempo fa andava di moda anche il
paragone con i Centri di permanenza temporanea per immigrati
clandestini, copyright Oliviero Diliberto), e inoltre perché a forza di
spararla grossa si fa un danno a chi quella tragedia la vive veramente
sulla sua pelle, cioè israeliani e palestinesi. Ma Odifreddi ha
pure concluso in bellezza. Quando si è reso conto che la castroneria
che aveva scritto era un pochino troppo castroneria, ha cancellato il
post dal sito. Quando si dice il coraggio delle idee.
Tobia
Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi
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Come è facile odiare |
Cari
amici, vorrei entrare per un momento nella vostra riunione di redazione
- so che non mi escluderete, anche se è finita, anche se non ci sono -
per portarvi un saluto e la condivisa preoccupazione per come i media
stanno (in)formando. Ho letto il pezzo di Rachel Silvera, che non
conosco personalmente ma che leggo sempre: brava, bravissima, lo farò
circolare. Mai come in questi giorni le persone si rivolgono a me. Che
cosa curiosa. Voi lo sapete: io chi sono? Eppure, nella mente di
tante e tanti mantovani, rappresento, in qualche modo, una piccola
parte del piccolo ebraismo di qui; o meglio, pensano a me come tale. E
allora, appositamente, mi telefonano, mi fermano per strada, con la
'sciarpetta', alcuni, e mi chiedono di Israele, aggiungendo - con
sguardi spudorati - riferimenti diretti al 27 gennaio. Ed io rispondo
che sono triste, innanzitutto, e che cerco di leggere il più possibile
e più fonti possibili, ma che trovo un'informazione piuttosto
allineata. Penso: "Perché lo chiedi a me? Perché hai attraversato la
strada per raggiungermi, ti sei sbracciato perché io ti vedessi,
proprio per chiedermi questo? E che c'entra, dannazione, il 27 gennaio?
Di cosa intendi incolparmi e a che titolo (mio, tuo), esattamente, a
centinaia di chilometri da laggiù? Perché il tuo sguardo del 27 gennaio
scorso - così manieratamente compassionevole! non mi piaceva neppure
quello - oggi è minaccioso, mi sfida?". Sull'autobus gli occhi di
chi mi siede di fronte cadono spesso sulla mia stella di David, oppure
sul siddur. Normalmente sono incuriositi, a volte solidali. Ieri
mattina pareva che un ragazzo mi ci volesse strozzare con questa
catenina. Non sa nulla di me, e scommetto che non sa nulla neppure dei
palestinesi e degli israeliani. Eppure, come gli è stato facile
odiarmi. E un altro pezzo di antisemitismo ha nutrito il mio Paese. Vi
abbraccio, buon lavoro.
Angelica Bertellini
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Qui Tomar - Come Abramo
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Storie - Facebook e I
Giovani Fascisti Italiani
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notizie flash |
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rassegna
stampa |
Hillary Clinton in Israele |
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Leggi la rassegna |
Il
segretario di Stato americano, Hillary Clinton, da oggi sarà in
Israele, dove avrà ampie consultazioni. Secondo quanto riporta Haaretz
la Clinton domani incontrerà il premier Benjamin Netanyahu, il
presidente Shimon Peres, il ministro della Difesa, Ehud Barak, e il
ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman.
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Oltre cento le schede che
entrano in rassegna stampa stamattina, in maggioranza dedicati alle
vicende mediorientali, e agli echi che suscitano in Italia.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono
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