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27 novembre 2012 -13 Kislev 5773
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Roberto
Della Rocca,
rabbino

Un bacio è una forma di comunicazione intima ma, secondo il Midrash (Bershìt Rabbah, 70; 12), anche di potere, pacificazione e separazione. Quale di questi sentimenti ha voluto comunicare Yaakov a Rachel quando incontrandola per la prima volta la baciò e ...pianse? (Bershìt, 29; 11). La Torah ritorna spesso sul fatto che Rachel è figlia del fratello di sua madre non usando mail il termine "cugina", assente nell'ebraico biblico. La parola "dodan" è di fatto un neologismo dell'ebraico moderno che deriva da dod/a, zio/a. Perché questo pianto simultaneo al bacio? Gli esegeti ci forniscono differenti interpretazioni anche se per nulla contradditorie tra di loro. 1) è un pianto di gioia legato a un momento di grande intensità emotiva; b) Yaakov piange perché sa che Rachel non sarà sepolta accanto a lui: quando si ama si vorrebbe condividere anche la vita ultraterrena ; c) piange perché è  stato appena  derubato e non ha nulla da offrirle: vive la frustrazione di non poter dimostrarle la sua generosità; d) piange per convincere i pastori presenti testimoni di quell'incontro che sospettavano dell'innocenza di quel bacio e convincerli delle sue buone intenzioni. Il pianto è quasi sempre riconducibile a una qualche forma di mancanza. Il bacio invece è una forma  di abbeveramento. Non per caso c'è un'assonanza linguistica tra l'etimo ebraico "nashaq baciare" e " Ieashkòt abbeverare", che di fatto è anche l'azione che Rachel sta per compiere quando Yaakov la bacia. 

Dario
 Calimani,
 anglista



È in atto una faziosa campagna contro Israele da parte di una stampa e di un’opinione pubblica poco interessate all’obiettività dei fatti. Con questa fa il paio la perdurante inversa campagna all’interno dell’ebraismo italiano contro gli ebrei che non sostengono Israele a spada tratta. E non si tratta di uno scontro sulle idee, ma di un odioso linciaggio delle persone. Ultima vittima ne è Daniel Barenboim, superlativo direttore d’orchestra, in possesso fra gli altri di regolare passaporto israeliano. Grazie a un’avventata analogia con i nazisti che ascoltavano Wagner nei campi di sterminio, Barenboim viene trattato da collaboratore nazista per aver suonato Wagner in Israele. Una tecnica retorica che piacerebbe a Oddifreddi, il matematico e logico (logico?) che di recente ha assimilato le azioni israeliane contro i palestinesi a quelle dei nazisti. Ostracismo, quindi, non solo a Wagner, ma anche a Barenboim, ebreo traditore perché, fiducioso che la musica possa favorire il dialogo fra i popoli, ha messo insieme un’orchestra di musicisti israeliani e palestinesi, e li ha fatti suonare anche a Gaza. Barenboim al bando, dunque. E io non potrò più ascoltare le sue sinfonie di Beethoven e i suoi concerti per pianoforte di Mozart. O lo farò di nascosto, al buio in cantina, là dove tengo il mio Chateau Lafite Rothschild, e brinderò a tutti gli estensori delle liste di proscrizione.

davar
Qui Firenze - Elia Dalla Costa, Giusto fra le Nazioni
Elia Dalla Costa (1872-1961), arcivescovo di Firenze negli anni bui delle persecuzioni, è Giusto fra le Nazioni. Il conferimento dell'onoreficenza da parte dello Yad Vashem sta suscitando grande attenzione nel mondo ebraico e in quello cattolico.
“L'iscrizione nel registro dello Yad Vashem – commenta l'attuale arcivescovo di Firenze, cardinal Giuseppe Betori – raggiunge un pastore ancora nel cuore dei fiorentini con un gesto che rafforza l'amicizia e il dialogo fra la chiesa cattolica e il popolo ebraico. Il cardinal Dalla Costa, con il suo agire e il suo dire, ha riaffermato come la dignità inviolabile della persona non possa mai essere messa in discussione da nessuna ideologia. Quello dello Yad Vashem è un prezioso contributo a riscoprirlo e pregarlo mentre è in corso la sua causa di beatificazione”.
Una memoria comune tra ebrei e cattolici. È quella che auspica Gian Maria Vian, direttore dell'Osservatore romano, riferendosi in particolare all'acquisizione di nuovi documenti che dimostrerebbero come quella portata avanti dalle alte sfere vaticane sia stata un'operazione di soccorso ai perseguitati concentrata più sulle azioni che sulle parole. “L'atteggiamento nei confronti del ruolo svolto da Papa Pacelli - osserva il giornalista - sta lentamente facendosi più equilibrato, questo anche perché si preferisce far parlare documenti e testimonianze come d'altronde sta facendo da diversi anni proprio l'Osservatore romano con articoli e interventi di cattolici e non. Ho fiducia che col passare del tempo questa memoria diventi sempre più larga e riconosciuta sia da ebrei sia da cattolici. Poi naturalmente il dibattito resta aperto”.
Ma esiste anche una lettura completamente opposta a quella che filtra dal Vaticano.
Quando sei mesi fa il direttore è intervenuto all'improvviso sul giornale in chiusura liberando due facciate di Pagine Ebraiche da dedicare alla figura di Elia Dalla Costa ("Nuova luce sul cardinale del coraggio"), molti di noi in redazione si sono domandati cosa gli fosse saltato in testa. La sua risposta, allora, fu enigmatica: “A Roma votarono gli uomini, ma a Gerusalemme un giorno, forse molto presto, voteranno gli angeli”. Era il riferimento a una frase mormorata al cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani al termine del conclave che portò all'elezione di Pacelli (“Avessero votato i diavoli avrebbero scelto me, avessero votato gli angeli sarebbe stato eletto Elia Dalla Costa. Ma questa volta hanno votato gli uomini”). La soluzione ha tardato mesi ad arrivare, ma ieri in serata, quando le agenzie di stampa hanno battuto la notizia del conferimento da parte dello Yad Vashem dell'altissimo riconoscimento, l'enigma ha finalmente trovato una risposta.
Nella riunione di redazione di questa mattina, Guido Vitale ha finalmente spiegato perché a suo avviso ci troviamo di fronte a una notizia molto significativa. Quello che in genere è destinato a rimanere fra le mura della redazione in questo caso può forse interessare il lettore. “Con questa azione - ha detto - lo Yad Vashem sembra riprendersi un ruolo nella delicatissima partita della definizione delle responsabilità della Chiesa durante gli anni della Shoah. In questi ultimi mesi abbiamo assistito a segnali contraddittori, come la mano tesa della revisione della didascalia sotto l'immagine di papa Pacelli con un giudizio storico ammorbidito rispetto alla precedente formulazione. Una decisione che soprattutto a Roma era stata poco gradita e male digerita. L'assegnazione dell'onore di Giusto fra le Nazioni a Dalla Costa, al di là della soddisfazione formale espressa in Vaticano, non è scontato sia da leggere come un segno di incoraggiamento nel processo di revisione positiva della figura di Pio XII cui la Chiesa mostra di tenere molto. Elia Dalla Costa, infatti, non rappresentò solo un rivale di Pacelli nella corsa al soglio pontificio, ma anche la dimostrazione vivente di come per la gerarchia ecclesiastica fosse concretamente possibile in quegli anni comportarsi con dignità e con coraggio estremo. Se Dalla Costa fosse stato papa è lecito ritenere che molti, moltissimi perseguitati avrebbero potuto essere messi al riparo dalla bestialità nazifascista. E questo accresce la percezione delle responsabilità di Pacelli, non la diminuisce”.
Per il presidente emerito dell'Assemblea rabbinica italiana rav Giuseppe Laras quello che gli ebrei pensano di Pio XII è un fatto noto. “Se Pacelli avesse gridato apertamente contro il nazismo avrebbe con tutta probabilità ottenuto un effetto maggiore. Però, allo stesso tempo, non possiamo impedire al Vaticano di pensarla diversamente. Non credo che, in queste ultime affermazioni, ci siano i presupposti per dare vita a una nuova polemica”. Preferisce evitare commenti, invece, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che negli scorsi mesi si era espresso in maniera molto critica sulle scelte della direzione scientifica dello Yad Vashem che aveva mitigato il suo giudizio nei confronti di Pacelli. Netto il giudizio di Sergio Minerbi, già ambasciatore dello Stato d'Israele a Bruxelles ed esperto di rapporti ebraico-cristiani. “Dalla Costa si merita pienamente questo riconoscimento. Un riconoscimento – afferma il diplomatico – che dimostra ancora una volta quello che la Chiesa avrebbe potuto fare per gli ebrei se tutti avessero agito come il cardinale. Purtroppo nella sua azione, come in quella di altri personaggi straordinari come il cardinale di Genova Pietro Boetto, non c'è traccia di sollecitazioni, ordini, consigli pervenuti in qualche modo dal Vaticano. Non è giusto che si continui a perorare la causa di beatificazione di Pio XII adducendo suoi presunti meriti nella difesa degli ebrei dagli aguzzini. Ci portino le prove, altrimenti è più corretto scindere i due argomenti”.
Si susseguono intanto le testimonianze di quanti, grazie all'intervento di Dalla Costa, videro salva la propria vita o quella dei propri cari. Aveva cinque anni Guidobaldo Passigli, presidente della Comunità ebraica di Firenze, quando - per disposizione del cardinale - fu trasferito in un convento di suore a Rovezzano insieme alla madre e alla nonna per restarvi, sotto falsa identità, fino alla caduta del regime. “Ricordo molti bambini, la colazione, le preghiere. Mia madre e mia nonna – racconta – erano vestite da suore e, naturalmente, mi era stato detto di non far trapelare in alcun modo il legame familiare che ci univa. Mi era stato assegnato anche un nome, Giuseppe Dalmasso, detto Guido, pensando che per un bambino piccolo sarebbe stato facile tradirsi dicendo il proprio vero nome. In seguito venni a sapere che il parroco di Grassina, dove noi abitavamo, aveva avuto una precisa disposizione dalla Curia e quindi dal cardinale di condurre gli ebrei in quel convento'”.
Commosso anche il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. “Fu Dalla Costa, insieme alla Delasem, il regista dell'operazione che portò mio padre, allora ragazzino, a nascondersi in convento nel comune di Fiorenzuola. Per questo – sottolinea – è con profonda commozione che a nome mio personale e della mia famiglia soprattutto di mio padre, ora malato e non in grado di rievocare quella storia, voglio esprimere soddisfazione e gioia per questo riconoscimento”.

Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked   
Il KKL presenta in anteprima a Milano il musical Titanic
In testa la romantica immagine di due innamorati sulla punta di una nave che al tramonto volano su un oceano rosa, nella borsetta un indispensabile pacchetto di fazzoletti. Questo avevano ieri sera gli spettatori dell’anteprima milanese del musical Titanic, presentata al Teatro Nuovo dal Keren Kayemeth Leisrael in occasione dell’annuale serata per la raccolta di fondi destinati a finanziare la sfida ambientale della protezione dell’ambiente in Israele.  “In momenti difficili come quello attuale, occasioni come questa sono importanti per sentirci tutti vicini, ma anche come momento di distrazione”, ha affermato il Vicepresidente del KKL Italia Silvio Tedeschi, che ha introdotto lo spettacolo. “La nostra missione è quella di realizzare il sogno di Ben Gurion di rendere abitabile e coltivabile il deserto del Negev grazie all’innovazione tecnologica, ma anche di fornire protezione e ospitalità nelle nostre strutture agli abitanti del sud d’Israele”, ha specificato. Presenti in sala tra gli altri il Presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi, il rabbino capo Alfonso Arbib, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, e la nipote del Cardinale Carlo Maria Martini, al quale il Keren Kayemeth ha dedicato una nuova foresta per ricordare “un uomo vicino al nostro sentire e che ha sempre operato per la fratellanza”, come ha voluto ricordarlo Silvio Tedeschi.
Subito dopo queste parole di benvenuto, si è dato inizio allo spettacolo, che celebra i cento anni della vicenda della leggendaria nave, per la prima volta in Italia con la regia di Federico Bellone. Chi sostituirà il bel Leonardo di Caprio? Come sarà vestita l’elegante protagonista? E come riusciranno a rappresentare la scena dell’affondamento? Queste le domande che chiunque avesse visto l’indimenticabile e strappalacrime film di James Cameron non poteva fare a meno di porsi. La storia però non è proprio la stessa: niente Jack e Rose, niente Cuore dell’Oceano, niente canzoni di Celine Dion. Attraverso un tema del maestro Ennio Morricone, il musical sviluppa una storia più teatrale, che racconta l’amore apparentemente impossibile nato sul celebre transatlantico fra la bellissima Isabelle, cantante lirica parigina che aspira a liberarsi da una madre opprimente e dalle cerimonie dell’alta società, e dal giovane e squattrinato Francesco, prestigiatore ed ex assistente del mago Houdini che sogna l’America. Inutile svelare quale sia il finale, non tanto per non rovinare la sorpresa, ma perché è tragicamente conosciuto da tutto il mondo. Insomma, basta dire che è per quello che servivano i fazzoletti.   

Francesca Matalon- twitter @MatalonF
Qui Roma - Reti, indagare l'incontro
Indagare l'incontro tra parola, arte e scienza con una serie di eventi che abbracciano diversi ambiti e forme di espressione: dalla poesia al cinema, dalla musica alla ricerca. Questa l'affascinante sfida alla base del Festival Reti-Incontri straordinari di musica, scienza e poesia che si inaugura oggi a Roma al Teatro Palladium con la partecipazione di numerosi ospiti italiani e internazionali. Curato nella sua declinazione scientifica da Viviana Kasam, il Festival - che avrà durata di tre giorni - si apre nel segno del pentagramma e con un ospite d'eccezione: il noto violinista rumeno Alexander Baianescu che, per l'occasione, proporrà col suo quartetto una reinterpretazione dei Kraftwerk, gruppo che fu tra i primi a diffondere nel mondo la musica elettronica. Tra i vari appuntamenti l'incontro, alle 19.30, con Luisa Lopez e Massimo Coen (Cervello e note. Dalla fisiologia alla musica), le letture del poeta Valerio Magrelli (Musica, rapimenti, cosmogonie) e la dissertazione di Ruggero Pierantoni sul senso dell'inizio e della fine. Molto atteso anche l'intervento del neuroscienziato Alessandro D'Ausilio che, intervistato dalla Kasam, racconterà come nasce la musica nel cervello e come i quartetti riescono a trovare la giusta sintonia.
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Il giudizio, la misura
La settimana appena trascorsa, stando alle cronache dei giornali, è stata proprio horribilis. I danneggiamenti alla sinagoga di Parma e al cimitero ebraico di Vercelli, l’aggressione ai tifosi inglesi in un pub di Campo de’ Fiori a Roma, le code polemiche sulle manifestazioni con denunce, scambi d’accuse, insulti di fronte alla Sinagoga di Roma. Come si dice in questi casi, sono segnali che non vanno sottovalutati.
Ma quale è il compito di una dirigenza ebraica seria e lungimirante nel momento in cui il contesto internazionale è incerto e i conflitti sociali acuiti dalla crisi economica? Io ritengo che tutti dovremmo compiere un esercizio di cautela, affrontare ogni singolo episodio nella sua specificità, evitare le semplificazioni, fondarci sui dati reali e non sulle impressioni emotive, evitare allarmismi. Siamo davvero sicuri che l’antisemitismo in Italia sia così diffuso e in crescita? Le indagini su questo argomento si prestano a diverse letture, ma innanzitutto vanno lette.
E siamo sicuri che questa continua denuncia di episodi sicuramente gravi, ma spesso marginali, faccia il gioco della nostra comunità e non quello dell’estremismo intollerante? A forza di gridare sempre che il lupo sta arrivando, non rischiamo di creare assuefazione e persino stanchezza in chi ci ascolta? Io temo di sì. Ritengo che prima di parlare di antisemitismo sui mezzi di informazione dovremmo fare mille verifiche, e mai amplificare ciò che clamoroso non è, come sono le bravate di energumeni (da condannare, ca va sans dire).
Facendo il contrario si fa leva sullo stesso meccanismo di tanta parte della politica italiana ed europea in tempo di crisi. Iniettare paura aumenta il consenso interno e la capacità di mobilitazione. Se il nemico ci ascolta tutti sono pronti a partire. Basta leggere i forum su Facebook per rendersi conto degli scambi quasi sempre sopra le righe e decisamente troppo allarmati. Occorre cautela, realismo e senso delle (nostre) proporzioni. Cerchiamo di non dimenticarlo mai.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi
Storie - L’ultimo treno, racconti del viaggio verso il lager
«Quasi sempre all’inizio della sequenza del ricordo sta il treno che ha segnato la partenza verso l’ignoto […] Non c’è diario o racconto, fra i molti nostri, in cui non compaia il treno, il vagone piombato, trasformato da veicolo commerciale in prigione ambulante o addirittura in strumento di morte». Così scrive Primo Levi ne I sommersi e i salvati.  E in effetti l’esperienza del viaggio costituisce una “stazione” fondamentale del processo di deportazione.
Mancava finora un libro che raccontasse dal di dentro questa tappa del calvario concentrazionario, che tra il 1943 e il 1945 interessò più di 30 mila italiani: uomini, donne, vecchi e bambini, che furono stipati su treni merci e carri bestiame e trasportati nei campi di concentramento del Terzo Reich. L’appassionante studio di Carlo Greppi, L’ultimo treno. Racconti del viaggio verso il lager (Donzelli, 281 pagine), che sarà presentato domani 28 novembre dall’Aned alla Libreria Feltrinelli di via Emanuele Orlando 78/81 a Roma, alle ore 18, ricostruisce proprio questa fase essenziale nell’esperienza dei deportati e nella memoria dei salvati, ripercorrendo le vicende di decine di comunità viaggianti, ebrei o deportati per motivi politici, attraverso le voci di 120 sopravvissuti.
Un’istantanea dell’Italia e della vita che si allontanano dalle feritoie dei vagoni piombati, di un abbraccio collettivo, di una mano tesa, di un sorriso, ma anche di gesti di codardia e di indifferenza o di sguardi che si distolgono. Il viaggio di andata, come scrive Carlo Greppi, «è il solo momento dell’esperienza concentrazionaria comune a tutti i deportati, vissuto dai salvati come dai sommersi». Un mosaico di emozioni, sensazioni, riflessioni. E un libro che, come scrive David Bidussa nell’introduzione, «ci costringe a misurarci con quel fatto e a valutarlo nella sua originalità e nella sua specificità».

Mario Avagliano
notizie flash   rassegna stampa
Congresso Associazioni Italia Israele: "Pieno sostegno allo Stato ebraico"   Leggi la rassegna

Si è concluso, a Roma, il XXIII Congresso della Federazione Associazioni Italia-Israele, in cui è stato presentato il primo "Rapporto sui finanziamenti pubblici italiani alle ONG che fanno delegittimazione di Israele"' a cura di Giovanni Quer. Erano presenti, fra gli altri, l'Ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, Fiamma Nirenstein, vice- presidente della Commissione Esteri della Camera, Gilbert Steinberg, presidente di Ngo Monitor, che controlla le attività di boicottaggio contro Israele su scala mondiale. Il Congresso unanime ha espresso solidarietà allo Stato ebraico, che nella vicenda di Gaza - è stato ribadito - " è l'aggredito, non l'aggressore," e ha condannato il terrorismo. Contestualmente è stato confermato Carlo Benigni alla Presidenza della Federazione per un secondo mandato triennale.

 

Ancora tante le schede che entrano in rassegna stamattina (oltre ottanta). Diversi i fatti in primo piano.
















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