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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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In
merito all’identità dell’essere col quale Ya‘aqòv si trova a dover
lottare, i Maestri sono praticamente unanimi: si tratta del “sarò shel
‘Esàw”, il principe, l’angelo rappresentativo di ‘Esàw. Vario e
molteplice è, invece, il significato di questa identificazione. Molte
sono le considerazioni che si possono fare a partire da questo assunto.
Considerando che ‘Esàw, nell’ottica dei Maestri, è il prototipo di chi
vive di sola materialità, possiamo considerare la lotta di Ya‘aqòv come
lotta epocale tra la tendenza al bene e la tendenza al male, tendenza –
quest’ultima – che è presente in ogni essere umano. Ya‘aqòv (il bene)
non può esistere senza il suo gemello, cui è legato dalla nascita,
‘Esàw (il male): la lotta è quindi una lotta interiore necessaria ed
inevitabile. Ma è interessante anche analizzare la tendenza al male.
Nel Talmùd (Chullìn 91) è riportata l’opinione di due diversi Maestri.
Uno afferma che l’angelo apparve a Ya‘aqòv nelle vesti di un idolatra,
l’altro sostiene che il sembiante era quello di un grande studioso e
sapiente. In realtà esistono due tipi di “yétzer ha-rà‘” (tendenza al
male). C’è quello che tenta di sedurre apertamente e direttamente
spingendo alla trasgressione; noi sappiamo perfettamente quando
qualcosa non si deve fare, ma spesso proprio ciò che è vietato ci
sembra più appetibile, più seducente. C’è poi quello “yétzer ha-rà‘”
che si traveste di sapienza, che vuole a tutti i costi dimostrare che
la trasgressione è positiva, è addirittura una mitzwà. Di questa
duplicità dello “yétzer ha-rà‘” parla il Talmùd in un altro brano
(Berakhòth 61), dove si afferma che, secondo l’opinione di Rav, esso è
come una mosca situata tra i due ricettacoli del cuore, mentre secondo
l’opinione di Shemu’èl è come un chicco di grano. La mosca svolazza
sempre nei luoghi più immondi, e pertanto rappresenta – come l’idolatra
– l’opposizione diretta al nostro sistema di vita e di pensiero. Il
grano è, invece, simbolo di intelligenza e di sapienza. I Maestri
insegnano (Berakhòth 40) che si può insegnare qualcosa al figlio quando
questi è in grado di mangiare derivati dal grano; inoltre, il grano è
l’unico prodotto della natura che non è utilizzabile così come si
trova, se non attraverso le trasformazioni che l’intelligenza umana ha
saputo escogitare. È quindi simbolo di quella tendenza al male più
subdola, perché si riveste di sapienza; di quella tendenza al male che
ci spinge a vedere come giusto ciò che è sbagliato. La lotta con esso è
più ardua; ma è necessaria, e porterà necessariamente alla benedizione.
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Qui Milano, qui Brescia - Va in scena la Serenata al Vento
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Arriva
finalmente a calcare le scene La Serenata al Vento, opera prima
presentata dal compositore Aldo Finzi per un concorso indetto dal
Teatro della Scala nel 1937 e mai rappresentata a causa della
promulgazione delle leggi razziste. Questa sera alle 21, alla
Fondazione Corriere della Sera di Milano, concerto dedicato a brani di
Finzi con introduzione di Gian Mario Benzing e interventi di Bruno
Finzi, Diego Montrone e Gottfried Wagner. Il primo dicembre la
rappresentazione al Bergamo Musica Festival.
Settantacinque
anni per riparare a un torto. Tutto inizia a Milano nel 1937, quando il
Teatro alla Scala bandisce un concorso per una nuova opera lirica da
rappresentare nella stagione seguente. Tra i molti lavori pervenuti
compare un’opera in tre atti, firmata da Aldo Finzi. Finzi è
un’originale figura di compositore: nato nel 1897 in una famiglia
ebraica milanese, compositore per vocazione, fu spinto a seguire la
carriera di avvocato. Ma l’amore per la musica non venne mai meno: poco
più che ventenne infatti, Finzi era già rappresentato da Ricordi,
mentre alcuni dei suoi lavori furono eseguiti con successo in diversi
palcoscenici italiani. Profondamente imbevuto di cultura musicale
europea, autore di brani cameristici e pagine sinfoniche, per il
concorso scaligero presentò un’opera – La serenata al vento – che nelle
parole del presidente del Conservatorio milanese di allora (uno dei
membri della giuria) era stato scelto per la vittoria. Ma la storia
decise diversamente, e le origini ebraiche di Finzi – pochi mesi dopo
sarebbero entrare in vigore le leggi razziste – decretarono
l’esclusione della Serenata. Al termine del concorso la commissione
esaminatrice affermò così che nessuno dei lavori presentati meritava il
primo premio. Finzi morì nel 1945 e non vide mai la sua opera
rappresentata. A causa della guerra e delle difficoltà che seguirono,
l’opera avrebbe rischiato di scomparire nel nulla, come molta altra
musica di Finzi. Eppure, a 75 anni di distanza, La serenata al vento –
recentemente stampata da Ricordi – andrà in scena il primo dicembre al
Teatro Donizetti nell’ambito del Bergamo Festival. “Il desiderio
di veder suonata la musica di mio padre risponde più di ogni altra cosa
alla volontà di mio figlio, e l’esecuzione della Serenata è il culmine
di un processo di riscoperta della musica di Finzi iniziato nei primi
anni ‘90”, spiega l’avvocato Bruno Finzi, figlio del compositore. “Fu
allora che un’amica, una pianista di Brescia alla ricerca di opere
inedite, entrò in contatto con alcune partiture di mio padre. Quando
poi morì Nino Sanzogno, il figlio prese a interessarsi alla musica di
Finzi: trovò il Salmo per orchestra e coro di voci femminili e scrisse
un’articolo su questa partitura che venne pubblicato sulla rivista del
Teatro alla Scala. Pochi mesi dopo andai a Gerusalemme: all’epoca
sostenevo un’associazione che si occupava di piantare alberi in
Israele, e fui invitato per i festeggiamenti della ricorrenza dei
tremila anni dalla fondazione della città. Portai con me l’articolo,
parlai di mio padre e mi fu chiesto di eseguire il Salmo. Fu l’inizio
della riscoperta della musica sua musica sinfonica. Era il 1994... Due
anni più tardi, mio figlio fece in modo che il poema sinfonico Inni
alla notte fosse eseguito in Italia. A quel concerto era presente un
discografico di Monaco che, mosso da uno spirito di mecenatismo, si
occupò di eseguire e registrare una serie di partiture di Aldo Finzi
(vedi box). Nel frattempo il figlio di Sanzogno aveva scritto a vari
teatri per proporre l’esecuzione della Serenata al vento. Entrammo in
contatto anche con la Scala, ma non se ne fece mai nulla”. Aldo
Finzi è il figlio di Bruno: oltre a chiamarsi come il nonno, ha seguito
anche lui la carriera avvocatizia. “Ogni volta che tornavamo a casa
dallo studio di mio padre mi lasciavo incuriosire dai racconti
familiari, e la storia di questo nonno che non ebbi mai modo di
conoscere, mi rimase impressa. Dopo l’esecuzione del Salmo capii che la
musica di Aldo Finzi aveva un grande valore e iniziai a spingere per la
sua riscoperta. Da allora praticamente tutto è stato eseguito, ma la
Serenata continuava a restare nascosta. Così spedimmo la partitura a
Ricordi, che si fece sentire dopo pochi giorni. Credevo si sarebbe
trattato di un appuntamento senza particolari risvolti, ma Ricordi
affermò che l’opera era bellissima e che sarebbe stata pubblicata dì lì
a poco. A questo punto l’esecuzione della Serenata per la prima volta
sembrava essere una possibilità concreta. Le avvisaglie non erano
mancate: già nel 2011, il direttore dell’opera di Tel Aviv ci aveva
contattato per metterla in scena, ma una serie di difficoltà bloccarono
il progetto”. “Sono venuto a conoscenza della Serenata al vento
durante un pranzo con Aldo Finzi. Stavo cercando una partitura inedita
da eseguire, e mi sono imbattuto in quest’opera”, spiega Diego
Montrone, che il primo dicembre, a capo dell’orchestra Accademia delle
Opere, dirigerà l’opera di Finzi. “Se dovessi definirla, direi che si
tratta dell’ultimo grande capolavoro del ‘900. Grazie alla sua
curiosità intellettuale e ai suoi numerosi viaggi nell’Europa
dell’epoca, Finzi è stato un compositore profondamente legato alla
cultura del suo tempo. E nei novanta minuti della partitura – un’opera
giocosa su libretto di Carlo Veneziani – ci sono una serie di influenze
che da Rossini spaziano fino a Richard Strauss, passando per la musica
francese. Per le voci soliste la scrittura è decisamente complessa,
mentre dal punto di vista musicale è contraddistinta da continui cambi
di tempo. Ne ho misurati più di 250... Per quanto infine riguarda la
regia (affidata a Otello Cenci) abbiamo pensato di ambientare l’opera
nella Milano degli anni ‘30 del secolo scorso, giocando su una serie di
anomalie che distorcono oggetti della quotidianità, ingigantiti o
diversi rispetto alla norma. I costumi e un trucco vistoso faranno il
resto... ». L’ultimo elemento riguarda il modo in cui questo
progetto verrà portato in scena: lo sponsor della Serenata al vento è
infatti la Regione Lombardia, ma i soggetti coinvolti nella produzione
sono la Jerusalem Foundation e il Centro di formazione professionale
Galdus di Milano. “La Jerusalem Foundation di Gerusalemme è una realtà
attiva nel sociale, con una serie di programmi che orientano i giovani
verso il mondo del lavoro”, continua Montrone, direttore artistico e
musicale dell’orchestra dell’Accademia delle Opere, creata nel 2005. “I
cantanti dell’opera sono solisti russi da anni residenti in Israele,
mentre i musicisti dell’orchestra – quasi ottanta elementi – sono
quelli del Donizetti di Bergamo, a fianco di strumentisti
dell’Accademia delle Opere. I gioielli e gli oggetti di scena sono
invece stati realizzati dagli studenti del Centro di formazione Galdus,
che tentiamo di avvicinare alla musica attraverso il coinvolgimento
diretto nella produzione di un’opera. Poi ci sono una serie di altri
progetti, tra cui l’idea di riproporre la Serenata a Gerusalemme.
Stiamo anche pensando all’eventualità di una registrazione”. Settanticinque
anni per riparare a un torto. “In punto di morte mio padre si
raccomandò che la sua musica fosse eseguita. Fu il suo ultimo e più
grande desiderio”, conclude Bruno. “Dopo che la Scala gli negò la
vittoria al concorso, gli eventi precipitarono. Le leggi razziste del
‘38 non permisero più a mio padre di lavorare. Trovò un impiego a
Chicago per insegnare musica, ma scoppiò la guerra e non volle
abbandonare la sua famiglia. Seguirono anni difficili... Mio padre
venne arrestato dalle SS italiane, ma erano solo dei volgari rapinatori
e lo rilasciarono in cambio di soldi e gioielli: nei continui
spostamenti molta della sua musica andò persa per sempre e quando la
guerra finì i tempi erano cambiati e non riuscimmo a farla eseguire.
Soltanto una ventina di anni fa i lavori di mio padre hanno ripreso ad
essere suonati. L’esecuzione della Serenata è il segno di una rivalsa”.
“O, se vogliamo, il raggiungimento di un traguardo straordinario -
aggiunge Aldo - perché l’intento di riportare alla luce la musica di
mio nonno è giunto a compimento. Ormai la si suona da più parti ed è il
traguardo più importante che potessimo immaginare. Poi accadono di
continuo cose strane, e una di queste riguarda anche Amadeus: nel
numero dello scorso febbario compariva un’intervista a Franco Battiato,
al termine della quale lui insisteva sul fatto che ci fosse ancora
molta musica da riscoprire tra cui, appunto, quella di Aldo Finzi..."
Edoardo Tomaselli, Amadeus - Pagine Ebraiche, dicembre 2012
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La ragione e l'accusa
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«Mantenere
salda la ragione, cercare di essere razionali quando intorno tutti si
fanno prendere dalle emozioni, fa sì che a volte tu sia guardato come
un traditore». Quante volte nel corso degli anni alcuni di noi hanno
vissuto questa dolorosa sensazione. Ma a scriverlo con tanta semplicità
e chiarezza è stato Iyad El-Baghdadi, un blogger arabo (segnalatomi
dalla mia giovane amica Anna Momigliano) “colpevole” di avere criticato
Hamas.
Stefano Jesurum, giornalista
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Equilibrio e giustizia per la Scuola privata
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Le
manifestazione degli studenti e la scelta di far pagare l’Imu alle
scuole cattoliche hanno riacceso l’attenzione sulla scuola pubblica e
su quella privata. Definizione che, dagli addetti ai lavori, viene
giustamente definita errata, in quanto la corretta distinzione è fra
scuola statale e non. L’errore, molto spesso involontario, è dovuto a
un sottofondo ideologico presente nella cultura italiana per cui spetti
unicamente allo Stato il compito di formare le nuove generazioni.
Una sorta di monopolio dell’educazione che impedisce di comprendere il
beneficio che apporterebbero alla società italiana dei modelli
variegati d’istruzione. Con questo non intendo certo dire che la scuola
pubblica (pardon, statale) debba essere smantellata, ma che altre forme
d’istruzione come per esempio le scuole paritarie debbano essere invece
supportate maggiormente invece che ostacolate. Sia perché si deve avere
timore del fatto che l’intera educazione di un paese venga decisa
attraverso la burocrazia di un Ministero, sia perché le tasse le pagano
anche i genitori di chi non frequenta la scuola statale e pertanto non
usufruisce del servizio. Se poi pensiamo che dalla presenza delle
scuole paritarie il risparmio per lo Stato ammonta a circa 8 miliardi,
forse appare più chiaro perché una parte di quei soldi può essere
investita senza fare del torto a nessuno.
Daniel Funaro, studente
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A Haifa una piazza per Primo Levi |
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La città di Haifa ha intitolato una piazza allo scrittore italiano Primo Levi, nel quartiere Ramat Shaul, fra la via Emile Zola e la via Victor Hugo.
La cerimonia si è svolta alla presenza del sindaco di Haifa Yona Yahav,
dell'ambasciatore di Italia in Israele Francesco Maria Talò e una
piccola folla di estimatori dello scrittore, esponenti della comunità
Bahai locale e anche i suoi parenti diretti che vivono in Israele.
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L'assemblea generale delle Nazioni Unite si esprimerà oggi sull'ammissione della Palestina come stato osservatore.
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