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29 novembre 2012 - 15 Kislev 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


In merito all’identità dell’essere col quale Ya‘aqòv si trova a dover lottare, i Maestri sono praticamente unanimi: si tratta del “sarò shel ‘Esàw”, il principe, l’angelo rappresentativo di ‘Esàw. Vario e molteplice è, invece, il significato di questa identificazione. Molte sono le considerazioni che si possono fare a partire da questo assunto. Considerando che ‘Esàw, nell’ottica dei Maestri, è il prototipo di chi vive di sola materialità, possiamo considerare la lotta di Ya‘aqòv come lotta epocale tra la tendenza al bene e la tendenza al male, tendenza – quest’ultima – che è presente in ogni essere umano. Ya‘aqòv (il bene) non può esistere senza il suo gemello, cui è legato dalla nascita, ‘Esàw (il male): la lotta è quindi una lotta interiore necessaria ed inevitabile. Ma è interessante anche analizzare la tendenza al male. Nel Talmùd (Chullìn 91) è riportata l’opinione di due diversi Maestri. Uno afferma che l’angelo apparve a Ya‘aqòv nelle vesti di un idolatra, l’altro sostiene che il sembiante era quello di un grande studioso e sapiente. In realtà esistono due tipi di “yétzer ha-rà‘” (tendenza al male). C’è quello che tenta di sedurre apertamente e direttamente spingendo alla trasgressione; noi sappiamo perfettamente quando qualcosa non si deve fare, ma spesso proprio ciò che è vietato ci sembra più appetibile, più seducente. C’è poi quello “yétzer ha-rà‘” che si traveste di sapienza, che vuole a tutti i costi dimostrare che la trasgressione è positiva, è addirittura una mitzwà. Di questa duplicità dello “yétzer ha-rà‘” parla il Talmùd in un altro brano (Berakhòth 61), dove si afferma che, secondo l’opinione di Rav, esso è come una mosca situata tra i due ricettacoli del cuore, mentre secondo l’opinione di Shemu’èl è come un chicco di grano. La mosca svolazza sempre nei luoghi più immondi, e pertanto rappresenta – come l’idolatra – l’opposizione diretta al nostro sistema di vita e di pensiero. Il grano è, invece, simbolo di intelligenza e di sapienza. I Maestri insegnano (Berakhòth 40) che si può insegnare qualcosa al figlio quando questi è in grado di mangiare derivati dal grano; inoltre, il grano è l’unico prodotto della natura che non è utilizzabile così come si trova, se non attraverso le trasformazioni che l’intelligenza umana ha saputo escogitare. È quindi simbolo di quella tendenza al male più subdola, perché si riveste di sapienza; di quella tendenza al male che ci spinge a vedere come giusto ciò che è sbagliato. La lotta con esso è più ardua; ma è necessaria, e porterà necessariamente alla benedizione.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Prima delle elezioni americane, Benjamin Netanyahu erastato rappresentato come l'alter-ego di Mitt Romney, ma ora la fazione del Tea Party ha stravinto le elezioni primarie del Likud sotto il naso e a dispetto di Bibi. Oggi, nel giorno in cui le Nazioni Unite votano sull'ammissione di uno Stato palestinese (proposta sulla quale il presidente Obama voterà contro), Israele è alla ricerca del suo Obama. Nel supermarket di partiti e partitini in corsa per la Knesset, di presunti Obama ce ne sono quattro o cinque. Ossia nessuno.

davar
Medio Oriente - Gattegna al Presidente del Consiglio:
"L'unica via di una pace duratura passa dal negoziato"
Il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha inviato al Presidente del Consiglio Mario Monti il seguente messaggio:

In questo momento così delicato nelle relazioni internazionali e per gli sviluppi nello scacchiere del Medio Oriente, desidero esprimere apprezzamento a Lei e al Suo governo per l'impegno sempre dimostrato nella costruzione di una pace giusta e duratura tra tutti i popoli del Mediterraneo. Desidero inoltre farmi interprete dei sentimenti della grande maggioranza degli ebrei italiani i quali ritengono che solo trattative dirette tra lo Stato di Israele e l'Autorità Nazionale Palestinese possano far compiere passi decisivi al processo di pace, che invece sarebbe indebolito da iniziative unilaterali e non preventivamente concordate sia presso le Nazioni Unite, che presso altri organismi internazionali.

Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


Qui Roma - Torah a chilometri zero
È una lezione del rav Riccardo Di Segni sul potere all'interno del mondo ebraico, su chi lo detiene e su chi dovrebbe averlo, ad inaugurare la stagione di studio del nuovo tempio Bet Michael di viale di Villa  Pamphilj. Aperta da poche settimane, fruibile per il momento in occasione di shabbatot e moadim, la struttura si candida ad essere un punto di riferimento non soltanto per le funzioni religiose ma anche per l'approfondimento dei testi sacri, il dibattito e la circolazione delle idee. L'obiettivo, nelle parole del maskil Gadi Piperno, è quello di fornire un servizio di Torah 'a chilometri zero'. Assecondare cioè il bisogno sempre più forte di conoscenza che si avverte a Monteverde, tra i quartieri più densamente ebraici di Roma, offrendo ai suoi abitanti occasioni di studio strutturate e distruibite con continuità nel tempo. Una sfida aperta a tutta la Comunità: “L'auspicio – spiega Roberto Amati – è quello di vedervi sempre così numerosi. Potenzialmente siamo molti e possiamo contare su due peculiarità: grande partecipazione al femminile e tra i giovani”.
Alcune centinaia le persone che hanno gremito il Tempio per questo primo appuntamento. Tra gli altri il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici e l'assessore al culto dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Settimio Pavoncello.
Tra i momenti più intensi l'omaggio a Bruno Valabrega z.l nel trentesimo giorno dalla scomparsa con testimonianze, tra gli altri, del rav Vittorio Della Rocca e del maskil Cesare Efrati. Su indicazione del figlio Stefano le offerte saranno destinate al Magen David Adom, l'organizzazione di soccorso israeliana quanto mai sollecitata nelle ultime difficili settimane.

a.s - twitter @asmulevichmoked

Qui Milano, qui Brescia - Va in scena la Serenata al Vento 
Arriva finalmente a calcare le scene La Serenata al Vento, opera prima presentata dal compositore Aldo Finzi per un concorso indetto dal Teatro della Scala nel 1937 e mai rappresentata a causa della promulgazione delle leggi razziste. Questa sera alle 21, alla Fondazione Corriere della Sera di Milano, concerto dedicato a brani di Finzi con introduzione di Gian Mario Benzing e interventi di Bruno Finzi, Diego Montrone e Gottfried Wagner. Il primo dicembre la rappresentazione al Bergamo Musica Festival.

Settantacinque anni per riparare a un torto. Tutto inizia a Milano nel 1937, quando il Teatro alla Scala bandisce un concorso per una nuova opera lirica da rappresentare nella stagione seguente. Tra i molti lavori pervenuti compare un’opera in tre atti, firmata da Aldo Finzi. Finzi è un’originale figura di compositore: nato nel 1897 in una famiglia ebraica milanese, compositore per vocazione, fu spinto a seguire la carriera di avvocato. Ma l’amore per la musica non venne mai meno: poco più che ventenne infatti, Finzi era già rappresentato da Ricordi, mentre alcuni dei suoi lavori furono eseguiti con successo in diversi palcoscenici italiani. Profondamente imbevuto di cultura musicale europea, autore di brani cameristici e pagine sinfoniche, per il concorso scaligero presentò un’opera – La serenata al vento – che nelle parole del presidente del Conservatorio milanese di allora (uno dei membri della giuria) era stato scelto per la vittoria. Ma la storia decise diversamente, e le origini ebraiche di Finzi – pochi mesi dopo sarebbero entrare in vigore le leggi razziste – decretarono l’esclusione della Serenata. Al termine del concorso la commissione esaminatrice affermò così che nessuno dei lavori presentati meritava il primo premio. Finzi morì nel 1945 e non vide mai la sua opera rappresentata. A causa della guerra e delle difficoltà che seguirono, l’opera avrebbe rischiato di scomparire nel nulla, come molta altra musica di Finzi. Eppure, a 75 anni di distanza, La serenata al vento – recentemente stampata da Ricordi – andrà in scena il primo dicembre al Teatro Donizetti nell’ambito del Bergamo Festival.
“Il desiderio di veder suonata la musica di mio padre risponde più di ogni altra cosa alla volontà di mio figlio, e l’esecuzione della Serenata è il culmine di un processo di riscoperta della musica di Finzi iniziato nei primi anni ‘90”, spiega l’avvocato Bruno Finzi, figlio del compositore. “Fu allora che un’amica, una pianista di Brescia alla ricerca di opere inedite, entrò in contatto con alcune partiture di mio padre. Quando poi morì Nino Sanzogno, il figlio prese a interessarsi alla musica di Finzi: trovò il Salmo per orchestra e coro di voci femminili e scrisse un’articolo su questa partitura che venne pubblicato sulla rivista del Teatro alla Scala. Pochi mesi dopo andai a Gerusalemme: all’epoca sostenevo un’associazione che si occupava di piantare alberi in Israele, e fui invitato per i festeggiamenti della ricorrenza dei tremila anni dalla fondazione della città. Portai con me l’articolo, parlai di mio padre e mi fu chiesto di eseguire il Salmo. Fu l’inizio della riscoperta della musica sua musica sinfonica. Era il 1994... Due anni più tardi, mio figlio fece in modo che il poema sinfonico Inni alla notte fosse eseguito in Italia. A quel concerto era presente un discografico di Monaco che, mosso da uno spirito di mecenatismo, si occupò di eseguire e registrare una serie di partiture di Aldo Finzi (vedi box). Nel frattempo il figlio di Sanzogno aveva scritto a vari teatri per proporre l’esecuzione della Serenata al vento. Entrammo in contatto anche con la Scala, ma non se ne fece mai nulla”.
Aldo Finzi è il figlio di Bruno: oltre a chiamarsi come il nonno, ha seguito anche lui la carriera avvocatizia. “Ogni volta che tornavamo a casa dallo studio di mio padre mi lasciavo incuriosire dai racconti familiari, e la storia di questo nonno che non ebbi mai modo di conoscere, mi rimase impressa. Dopo l’esecuzione del Salmo capii che la musica di Aldo Finzi aveva un grande valore e iniziai a spingere per la sua riscoperta. Da allora praticamente tutto è stato eseguito, ma la Serenata continuava a restare nascosta. Così spedimmo la partitura a Ricordi, che si fece sentire dopo pochi giorni. Credevo si sarebbe trattato di un appuntamento senza particolari risvolti, ma Ricordi affermò che l’opera era bellissima e che sarebbe stata pubblicata dì lì a poco. A questo punto l’esecuzione della Serenata per la prima volta sembrava essere una possibilità concreta. Le avvisaglie non erano mancate: già nel 2011, il direttore dell’opera di Tel Aviv ci aveva contattato per metterla in scena, ma una serie di difficoltà bloccarono il progetto”.
“Sono venuto a conoscenza della Serenata al vento durante un pranzo con Aldo Finzi. Stavo cercando una partitura inedita da eseguire, e mi sono imbattuto in quest’opera”, spiega Diego Montrone, che il primo dicembre, a capo dell’orchestra Accademia delle Opere, dirigerà l’opera di Finzi. “Se dovessi definirla, direi che si tratta dell’ultimo grande capolavoro del ‘900. Grazie alla sua curiosità intellettuale e ai suoi numerosi viaggi nell’Europa dell’epoca, Finzi è stato un compositore profondamente legato alla cultura del suo tempo. E nei novanta minuti della partitura – un’opera giocosa su libretto di Carlo Veneziani – ci sono una serie di influenze che da Rossini spaziano fino a Richard Strauss, passando per la musica francese. Per le voci soliste la scrittura è decisamente complessa, mentre dal punto di vista musicale è contraddistinta da continui cambi di tempo. Ne ho misurati più di 250... Per quanto infine riguarda la regia (affidata a Otello Cenci) abbiamo pensato di ambientare l’opera nella Milano degli anni ‘30 del secolo scorso, giocando su una serie di anomalie che distorcono oggetti della quotidianità, ingigantiti o diversi rispetto alla norma. I costumi e un trucco vistoso faranno il resto... ».
L’ultimo elemento riguarda il modo in cui questo progetto verrà portato in scena: lo sponsor della Serenata al vento è infatti la Regione Lombardia, ma i soggetti coinvolti nella produzione sono la Jerusalem Foundation e il Centro di formazione professionale Galdus di Milano. “La Jerusalem Foundation di Gerusalemme è una realtà attiva nel sociale, con una serie di programmi che orientano i giovani verso il mondo del lavoro”, continua Montrone, direttore artistico e musicale dell’orchestra dell’Accademia delle Opere, creata nel 2005. “I cantanti dell’opera sono solisti russi da anni residenti in Israele, mentre i musicisti dell’orchestra – quasi ottanta elementi – sono quelli del Donizetti di Bergamo, a fianco di strumentisti dell’Accademia delle Opere. I gioielli e gli oggetti di scena sono invece stati realizzati dagli studenti del Centro di formazione Galdus, che tentiamo di avvicinare alla musica attraverso il coinvolgimento diretto nella produzione di un’opera. Poi ci sono una serie di altri progetti, tra cui l’idea di riproporre la Serenata a Gerusalemme. Stiamo anche pensando all’eventualità di una registrazione”.
Settanticinque anni per riparare a un torto. “In punto di morte mio padre si raccomandò che la sua musica fosse eseguita. Fu il suo ultimo e più grande desiderio”, conclude Bruno. “Dopo che la Scala gli negò la vittoria al concorso, gli eventi precipitarono. Le leggi razziste del ‘38 non permisero più a mio padre di lavorare. Trovò un impiego a Chicago per insegnare musica, ma scoppiò la guerra e non volle abbandonare la sua famiglia. Seguirono anni difficili... Mio padre venne arrestato dalle SS italiane, ma erano solo dei volgari rapinatori e lo rilasciarono in cambio di soldi e gioielli: nei continui spostamenti molta della sua musica andò persa per sempre e quando la guerra finì i tempi erano cambiati e non riuscimmo a farla eseguire. Soltanto una ventina di anni fa i lavori di mio padre hanno ripreso ad essere suonati. L’esecuzione della Serenata è il segno di una rivalsa”. “O, se vogliamo, il raggiungimento di un traguardo straordinario - aggiunge Aldo - perché l’intento di riportare alla luce la musica di mio nonno è giunto a compimento. Ormai la si suona da più parti ed è il traguardo più importante che potessimo immaginare. Poi accadono di continuo cose strane, e una di queste riguarda anche Amadeus: nel numero dello scorso febbario compariva un’intervista a Franco Battiato, al termine della quale lui insisteva sul fatto che ci fosse ancora molta musica da riscoprire tra cui, appunto, quella di Aldo Finzi..."

Edoardo Tomaselli, Amadeus - Pagine Ebraiche, dicembre 2012

pilpul
La ragione e l'accusa
«Mantenere salda la ragione, cercare di essere razionali quando intorno tutti si fanno prendere dalle emozioni, fa sì che a volte tu sia guardato come un traditore». Quante volte nel corso degli anni alcuni di noi hanno vissuto questa dolorosa sensazione. Ma a scriverlo con tanta semplicità e chiarezza è stato Iyad El-Baghdadi, un blogger arabo (segnalatomi dalla mia giovane amica Anna Momigliano) “colpevole” di avere criticato Hamas.

Stefano Jesurum, giornalista

Equilibrio e giustizia per la Scuola privata
Le manifestazione degli studenti e la scelta di far pagare l’Imu alle scuole cattoliche hanno riacceso l’attenzione sulla scuola pubblica e su quella privata. Definizione che, dagli addetti ai lavori, viene giustamente definita errata, in quanto la corretta distinzione è fra scuola statale e non. L’errore, molto spesso involontario, è dovuto a un sottofondo ideologico presente nella cultura italiana per cui spetti unicamente allo Stato il compito di formare le nuove generazioni.  Una sorta di monopolio dell’educazione che impedisce di comprendere il beneficio che apporterebbero alla società italiana dei modelli variegati d’istruzione. Con questo non intendo certo dire che la scuola pubblica (pardon, statale) debba essere smantellata, ma che altre forme d’istruzione come per esempio le scuole paritarie debbano essere invece supportate maggiormente invece che ostacolate. Sia perché si deve avere timore del fatto che l’intera educazione di un paese venga decisa attraverso la burocrazia di un Ministero, sia perché le tasse le pagano anche i genitori di chi non frequenta la scuola statale e pertanto non usufruisce del servizio. Se poi pensiamo che dalla presenza delle scuole paritarie il risparmio per lo Stato ammonta a circa 8 miliardi, forse appare più chiaro perché una parte di quei soldi può essere investita senza fare del torto a nessuno.

Daniel Funaro, studente

notizieflash   rassegna stampa
A Haifa una piazza per Primo Levi   Leggi la rassegna

La città di Haifa ha intitolato una piazza allo scrittore italiano Primo Levi, nel quartiere Ramat Shaul, fra la via Emile Zola e la via Victor Hugo. La cerimonia si è svolta alla presenza del sindaco di Haifa Yona Yahav, dell'ambasciatore di Italia in Israele Francesco Maria Talò e una piccola folla di estimatori dello scrittore, esponenti della comunità Bahai locale e anche i suoi parenti diretti che vivono in Israele. 
 

L'assemblea generale delle Nazioni Unite si esprimerà oggi sull'ammissione della Palestina come stato osservatore.









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