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  2 dicembre 2012 - 18 Kislev 5773
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Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino


Ghid ha Nashè - il nervo sciatico che non mangiamo - è, rielaborando un suggerimento di Rashi, il "nervo della dimenticanza". L'angelo di Easù, quando si accorge di non riuscire/potere sconfiggere Giacobbe, lo colpisce proprio lì. La lotta sarà conclusa solo quando non dimenticheremo chi siamo: Giacobbe/Israele.


David Bidussa, storico sociale
delle idee
   

Nei giorni scorsi, tra le varie opinioni girate in ambito ebraico, mi ha colpito quella (non isolata) che rivendicava il 29 novembre come “la nostra data”, intendendo con “nostra” due cose: 1) il fatto che fu sancita alle Nazioni Unite la divisione del mandato palestinese e dunque la nascita dello Stato di Israele  e 2) che sia stato provocatorio, o meglio, subdolo, oppure meglio ancora, “non carino” aver scelto quella data per votare sulla condizione della Palestina come Stato osservatore A me sembra che i fatti storici siano un po’ diversi e che l’ordine dei fatti sia stato questo. Il 29 novembre 1947 non fu decisa la nascita di Israele, ma la spartizione del territorio corrispondente al mandato inglese in due entità statali legittime: uno “Stato arabo” e uno “Stato ebraico”, come dice letteralmente la soluzione 181 votata quel giorno (leggere per credere). Poi di Stato ne nacque uno solo, non perché quello ebraico nei fatti assorbì il secondo, ma perché quelli che dovevano impegnarsi a costruire lo Stato arabo si dedicarono con passione a tentare di distruggere l’altro Stato, quello ebraico, pensando così di costruire il proprio. Forse non è così banale che di nuovo il 29 novembre di 65 anni dopo qualcuno abbia dato una seconda chance, per provarci per davvero questa volta a farlo, uno Stato e a farsi una ragione dell’esistenza dell’altro Stato. Non a ricominciare daccapo una storia, ma a provare a scriverla, finalmente nelle condizioni date. Che cosa ci sia di provocatorio, subdolo o, meglio, “non carino” in tutto questo mi sfugge.

davar
L'Europa divisa
Il voto del 29 novembre sull'ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come paese osservatore ha messo a nudo l'inesistenza dell'Unione Europea come entità politica. Infatti, 14 paesi, fra cui l'Italia, hanno votato a favore, mentre 13 paesi non lo hanno fatto, di cui 12 astenuti, e uno contrario. Infondata e fuorviante, dunque, la pretesa che abbiamo letto in diversi reportage giornalistici e commenti politici, che il voto dell'Italia si sia allineato su quello della grande maggioranza dei paesi europei. Il voto dell'Italia, semmai, è quello che ha determinato una maggioranza di paesi favorevoli allo stato palestinese all'interno dell'Unione Europea, maggioranza che altrimenti non ci sarebbe stata. Ma lo sfascio politico della UE è ancora più evidente se si confrontano le scelte dei diversi paesi in occasione dell'ultimo voto all'ONU con quelle di un anno fa sull'ammissione della Palestina come paese membro dell'Unesco. Dei 27 paesi membri dell'UE, 10 hanno votato in entrambe le occasioni a favore della Palestina: Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Spagna; otto paesi si sono astenuti in entrambe le votazioni: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia e Ungheria; un paese ha votato due volte contro, la Repubblica ceca. Otto paesi, invece, hanno modificato il loro voto: uno, la Slovenia, è passato da voto favorevole all'Unesco a astensione all'ONU; tre paesi, Germania, Lituania e Olanda, sono passati da voto contrario a astensione; tre paesi, Danimarca, Italia e Portogallo, sono passati da astensione a voto favorevole; e uno, la Svezia, da voto contrario all'Unesco a voto favorevole all'ONU. L'Unione Europea si smembra dunque in ben sette diverse modalità di voto ripartite su due turni. Ci sembra legittimo chiederci se queste diverse modalità riflettano una relazione più generale di timore e di dipendenza dei paesi europei nei confronti del mondo musulmano, nel senso sia della presenza islamica, sia delle future prospettive d'investimento nei rispettivi paesi. Certo, un'Europa tanto politicamente incoerente non può aspirare ad un serio ruolo nella soluzione dei problemi del Medio Oriente.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

La cupola che ha salvato Israele
Per otto giorni consecutivi a metà del mese di novembre Israele è stato sottoposto a una pioggia di missili lanciati da Hamas dalla Striscia di Gaza allo scopo di colpire la popolazione civile nella regione meridionale del paese. Almeno un terzo (421) dei 1506 missili arrivati sono stati abbattuti dal sistema di difesa “Kippat barzel” (cupola di ferro), divenuto operativo nel mese di marzo del 2011. Quattro batterie sono state dislocate nel sud di Israele e una quinta è arrivata nella zona metropolitana di Tel Aviv nei primi giorni di novembre, pochi giorni prima dell'inizio delle operazioni belliche.
La “cupola di ferro”, arrivata quasi per miracolo al momento giusto, ha una lunga storia. Nel 2005 fu pubblicata dal Ministero della Difesa una gara per proporre soluzioni di difesa di fronte ai missili palestinesi del tipo Kassam. Nel novembre 2006 si riunì una commissione per esaminare le proposte. Dopo qualche settimana il capo della commmissione, Nagel, propose al ministro della Difesa Amir Peretz la “cupola di ferro”. Tale proposta incontrò subito una vivace opposizione da parte di coloro che avevano proposto sistemi diversi a base di raggi laser o cannoni anti-missili. Un progetto concorrente israelo-americano denominato Nautilus suscitò una feroce battaglia ma dopo avervi investito centinaia di milioni di dolllari esso non è riuscito ad abbattere che pochi missili.
Nonostante le opinioni contrarie Peretz acccettò la proposta di Nagel e approvò lo sviluppo della “cupola di ferro” offrendo un modesto acconto di 40 milioni di shekel. Questa decisione suscitò un vespaio di proteste da parte di coloro che volevano procedere con metodi diversi o in direzione dei satelliti artificiali. Peretz lottò con tutte le sue forze per dare la priorità assoluta alla difesa della popolazione civile. Nel febbraio 2007 una modesta cerimonia segnò l'inizio del progetto. Secondo Peretz ebbe inizio allora una campagna di stampa per provare che la "cupola di ferro" era un'idiozia, con articoli sui giornali sulla sua presunta megalomania e isteria. Non mancarono gli interventi di ministri, alcuni dei quali manovrati da motivi commerciali dei concorrenti.
Nel giugno 2007 Pinhas Buhris divenne direttore del Ministero della Difesa israeliano e decise di verificare il concorrente Nautilus. A questo scopo andò negli Stati Uniti ma il sistema non era pronto né funzionante e mancava una valutazione del costo.
Più di recente, circa un mese fa, alcuni hanno dichiarato che la “cupola di ferro” non avrebbe potuto colpire razzi lanciati da decine di chilometri di distanza. Invece è riuscita a colpire razzi diretti a Beer Sheva e Ashdod e perfino quelli diretti a Tel Aviv. Il sistema che usa i cannoni spara proiettili sui razzi. Ci vorrebbero 30 cannoni per difendere Beer Sheva o Ashdod: un numero assurdo.
Nel giugno 2007 Amir Peretz diede le dimissioni e Ehud Barak lo rimpiazzò come ministro della Difesa. Barak e l'allora premier Ehud Olmert decisero nel dicembre dello stesso anno di stanziare 811 milioni di shekel per la “cupola di ferro.” Olmert ha affermato in questi giorni: “Amir Peretz ha dato un contributo importante per giungere all`approvazione di questo progetto. Tutti coloro che schernirono la nomina di Peretz a ministro della Difesa e la criticarono possono adesso valutare diversamente”.
Questo è forse il punto fondamentale di tutta la discussione pubblica in merito: ossia, può un civile come Peretz assolvere le funzioni di ministro della Difesa? A mio parere la risposta è affermativa. Non solo, direi di più. Il ministro in questione non deve essere, secondo chi scrive, un super-generale. E' un civile infatti che può apportare idee nuove a dare il giusto peso alle necessità della popolazione civile.
Verso il 2006, alla fine della seconda guerra del Libano, vennero presi in considerazione sia il progetto israeliano “cupola di ferro” sia quello americano “Nautilus”. Il riesame portò la direzione dello sviluppo di nuovi sistemi d'arma a rinnovare la decisione di continuare lo sviluppo della “cupola di ferro”. In Israele “Rafael”, un`emanazione industriale della Difesa, prese prestiti di centinaia di milioni di shekel dalle banche per completare quanto stanziato nel bilancio statale. Ma i soldi non bastavano. Secondo alcuni fu Singapore a riempire le casse: questo Stato d'altronde è in tensione continua coi suoi vicini e rafforza le abitazioni dei cittadini con camere blindate.
Nel 2008 gli Stati Uniti inviarono un gruppo di esperti nella difesa antiaerea per esaminare la “cupola di ferro” nella speranza di ottenere dei finanziamenti, ma il responso fu del tutto negativo e rimasero increduli sulla possibilità di realizzare il progetto. Ma i tecnici di Rafael continuarono sulla loro strada e apprezzarono meglio la situazione strategica specie dopo aver visto la cittadina israeliana di Sderot (da dove viene Peretz), nei pressi della Striscia.
Nel 2009, durante l'operazione militare “Piombo fuso”, i dirigenti del ministero della Difesa vennero nel Kibbutz Zikim, adiacente a Gaza, per discutere coi sindaci delle cittadine vicine. Questi ultimi firmarono un appello contro la “cupola di ferro” dopo essere stati convinti da coloro che avevano interessi pecuniari nel sistema Nautilus. Alla fine i sindaci si convinsero che il sistema israeliano poteva funzionare. Il primo lancio ad avere successo è dell'aprile 2009. Nel maggio 2010 il presidente Obama approvò lo stanziamento di 295 milioni di dollari per l'acquisto dielle prime quattro batterie. La prima entrò in funzione nel marzo 2011 e dopo un mese iniziò a colpire i razzi palestinesi lanciati contro Beer Sheva. Quattro batterie entrarono in servizio e recentemente ad esse si è aggiunta, a Tel Aviv, la quinta. Finora la prova sul campo è stata positiva e quest'ultima batteria ha avuto circa il 100 per cento di successi. Sono stati appportati dei miglioramenti significativi, uno dei quali rende ancora più facile colpire con precisione l`obiettivo e utilizza tecniche elettro-ottiche nuove. Un missile anti-aereo costa un milione di dollari, mentre il missile di cupola di ferro costa solo un decimo di questa somma.

Sergio Minerbi, diplomatico

(L`autore si è basato sull'articolo “Guerra di stelle” di Amir Shohan e Amira Lam, apparso su “7 giorni” allegato al quotidiano Yediot Aharonot del 23.11.2012)

Qui Firenze - Al seggio per rinnovare il Consiglio
voto firenzeSono nel vivo, nei locali di via Farini, le operazioni di voto per il rinnovo del Consiglio della Comunità ebraica di Firenze. Tredici i candidati in lizza per nove posti.
Oltre al presidente uscente, Guidobaldo Passigli, hanno presentato la propria candidatura (in ordine alfabetico) Franco Benadì, Edouard Francis Benguigui, Jean Michel Albert Carasso, Milca Caro, Sara Cividalli, Enrico Fink, Debora Intili, Lea Ariet Jelinek, Roberto Orvieto, Davide Sadun, Michal Pantzer Saltiel e Iacopo Treves. Le operazioni si concluderanno alle 18.
Molto significativo, a metà giornata, il tasso di affluenza degli aventi diritto.

Qui Roma - Pacifici: "Non dò indicazioni di voto"
Il Presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici ha rilasciato lo scorso venerdì pomeriggio all'agenzia di stampa Omniroma la seguente dichiarazione: "Come presidente della comunità ebraica romana non dò indicazioni di voto, né a partiti politici diversi e né a esponenti dello stesso partito. Questa è da sempre la mia linea. Quello che però ho notato, navigando sui forum e sui siti vicini alla comunità, è che c'è in queste ore una schiacciante mobilitazione per Renzi".

Qui Bergamo - La Serenata al Vento sul palco dopo 75 anni
Al Teatro Donizetti di Bergamo le luci si abbassano, la campanella che invita il pubblico ad accomodarsi in fretta trilla. Settantacinque anni dopo il momento in cui la Serenata al Vento avrebbe dovuto fare il suo debutto, non c’è più un minuto da aspettare.
Opera giocosa in tre atti su libretto di Carlo Veneziani, la Serenata al Vento fu composta dall’ebreo milanese Aldo Finzi negli anni Trenta e partecipò al concorso indetto nel 1937 dal Teatro alla Scala per un’opera prima da eseguire la stagione successiva. Autorevole membro della giuria era il maestro Riccardo Pick-Mangiagalli, che un giorno avvicinò confidenzialmente il compositore per annunciargli la vittoria in anteprima. Ci furono alcuni contatti per organizzare la produzione, poi tutto svanì nel nulla e il concorso fu mandato deserto. Era il 1938, anno delle leggi razziste.
Ieri sera, nell’ottocentesco Teatro Donizetti di Bergamo, la riscoperta Serenata al Vento ha finalmente trovato un palcoscenico, dopo che già la prestigiosa casa di musica Ricordi ne aveva di recente pubblicato la partitura.
Seduta tra il pubblico la famiglia di Aldo Finzi: il figlio Bruno, oggi 87enne, che nel 1945 sentì sussurrare al padre in punto di morte “Fate eseguire la mia musica”, e poi i nipoti. Protagonisti sul palco 11 cantanti, tutti israeliani di origine russa, che hanno dato vita al complicato intreccio della vicenda, tra amori ed equivoci, in cui molti hanno scorto un influsso rossiniano. A suonare le musiche di Finzi è stata l’Orchestra dell’Accademia delle Opere e Bergamo Musica Festival, diretta dal maestro Diego Montrone, mentre la regia è stata firmata da Otello Cenci.
Sono tanti i fattori che hanno conferito alla performance realizzata grazie all’impegno di Regione Lombardia, Jerusalem Foundation, cooperativa Galdus Ente Formativo e Accademia delle Opere, un alto valore simbolico, non solo la biografia di Finzi, ma anche i 700 i giovani coinvolti nella realizzazione dello spettacolo, i ragazzi della scuola orafa milanese di Galdus, i costumisti della scuola di teatro Mamartef e dell’Accademia Bezalel di Gerusalemme, molti dei quali sono saliti sul palco come figuranti.
Quando le luci si sono spente, le parole hanno lasciato spazio alla musica, gli intrecci fra la grande Storia e la vita del compositore hanno ceduto il passo alle vicende della Serenata.
Al calare del sipario una è la certezza, mentre si aspetta di sapere se l’opera avrà occasione di essere replicata: settantacinque anni dopo un grave torto è stato, almeno in parte, riparato.


Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Pisa - Nessiah al via con i sapori di Ferrara
Prende il via questa sera a Pisa, con lo spettacolo La mamma, l'angelo e la ciambella (Palazzo Blu, 18.30), la sedicesima edizione del festival Nessiah. Organizzato su impulso della Comunità ebraica di Pisa, Nessiah ha come filo conduttore la valorizzazione di alcune realtà locali altamente rappresentative dell'ebraismo italiano. Si parte questa sera da Ferrara con la voce e il flauto di Enrico Fink (nella foto). Il viaggio toccherà, tra le altre, anche le Comunità di Venezia, Roma e Livorno. “Una sfida stimolante, ricca di suggestioni e per forza di cose non esaustiva che si sviluppa in diversi filoni. L'obiettivo – racconta Andrea Gottfried, fondatore e direttore artistico della rassegna –  è quello di valorizzare usi e costumi delle varie Comunità. Tradizioni culinarie ma anche letterarie, liturgiche e popolari. Un patrimonio di valori che ognuno di noi è chiamato a custodire e diffondere”. Nessiah si concluderà il 16 settembre al Museo Piaggio di Pontedera con lo spettacolo Di Gracia, la Señora (con interpreti Evelina Meghnagi e Domenico Ascione). Nel mentre, tra gli eventi più attesi, la presentazione del progetto di recupero della memorie della plurisecolare vicenda ebraica nel Meridione d'Italia a cura di Amit Arieli e Darom Project (Biblioteca comunale di Cascina, 12 dicembre) e le intriganti improvvisazioni su temi liturgici del duo Antur (Teatro di Sant'Andrea, 8 dicembre).

pilpul
I rossi, i bruni e i verdi
Tra i tanti messaggi che circolano in rete, e in particolare modo sui blog di una formazione politica le cui fortune sembrano essere in decisa ascesa, si può leggere quanto segue: "La partigianeria ci ha spacciato la Seconda guerra mondiale come un atto di forza razziale, come una pulizia etnica, seppure queste cose avvenute non era altro che un esproprio di ricchezze da parte dei socialisti tedeschi nei confronti degli ebrei che da sempre comandano il mondo con ricchezza, capacità e cinismo mescolato alla radicalità". C’è un piccolo universo di significati in questo post.
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Claudio Vercelli


Nugae - Amy e Mitch Winehouse
In un’epoca che sta ancora cercando i suoi eroi, non stupisce sentir parlare dell’imminente arrivo di un film biografico su Amy Winehouse. La cantante dal talento maledetto, dalla capigliatura più pesante del suo esile corpo malato di anoressia e bulimia, e dalla relazione alterna con droghe e alcool, dopo aver stregato il mondo con la sua voce ruvida, l’ha stordito con la sua fine tragica e precoce.
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Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche – twitter @MatalonF
           

notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di vita - Il voto all'Onu
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L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite accoglie la Palestina come stato osservatore non membro. Una decisione che si inserisce nel quadro complesso della crisi in Medio Oriente e suscita molti interrogativi di segno opposto: è un sostegno alle forze arabe moderate? E’ solo un voto simbolico o un passo concreto per spingere alle trattative?

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Primarie Partito Democratico: il responsabile sicurezza del Pd Emanuele Fiano, dopo il tam tam che all'interno della Comunità ebraica di Roma sembra far propendere per un appoggio maggioritario a Renzi, ribadisce il proprio sostegno a Pierluigi Bersani e a Repubblica spiega: “L'ebraismo italiano non può presentarsi come un blocco politico monolitico”.









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