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3 dicembre 2012 - 19 Kislev 5773
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Adolfo Locci, rabbino capo
di Padova

"…e si prostrò a terra sette volte volte finché raggiunse suo fratello" (Genesi 33:4). Il prostrarsi di Giacobbe, spiega Moshè David Valle, era una scenografia che all'esterno poteva apparire come l'essere ossequiosi e dimessi davanti al potente. E' vero, Giacobbe è stato ossequioso e timoroso, ma non davanti al fratello, il testo sottolinea che questo era l'atteggiamento di Giacobbe, "finché non raggiunse suo fratello". Il maestro padovano, non lascia spazio ad altre letture del verso. L'oggetto della riverenza era dunque "terra sacra di Israel", unica risorsa a lui utile per superare questo difficile momento di incontro/scontro. La parola Artza (terra) in ghematryà equivale a Tzur (rocca/difesa). Giacobbe ci insegna che davanti al nemico potente o alle autorità che ci governano, dobbiamo dimostrarci di essere sempre fiduciosi dell'intervento di D-o e consapevoli che la Torà è strumento preferenziale per  ottenerlo, senza chiedere altro, soprattutto ad altri.

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
Non vorrei che, intenti come talvolta siamo ad identificare l'antisemitismo più significativo con l'antisionismo e solo con quello, ci sfuggano dei segnali assai inquietanti del ribollire, nella crisi economica e culturale in cui ci troviamo, di un antisemitismo di stampo nazista che sempre più si rafforza e si legittima. Per parlare solo di quanto succede in Italia, vediamo che tal Rutilio Sermonti può rivendicare sul quotidiano Rinascita il fatto di continuare con la penna e con l'insegnamento la battaglia iniziata decine di anni fa aderendo alla Repubblica di Salò e contro gli stessi nemici (per intenderci, gli ebrei). Insegnamento che, in questo stesso articolo, si concretizza in violentissimi attacchi antisemiti. Deliri esibizionisti e senili di cui non bisognerebbe far troppo conto? lo credevo anch'io fino a non molti anni fa, ma ora sto decisamente cambiando idea. Quello che mi sembra temibile, infatti, non è tanto il fatto che ci sia una fascia di popolazione antisemita, ma che essa si sia ormai talmente legittimata da sfilare tranquillamente per le strade di Roma e da scrivere non più anonimamente sul web ma con tanto di firma sui quotidiani. A quando la nascita di un partito politico dichiaratamente antisemita anche nel nome? E in questo contesto colpisce sfavorevolmente come un segnale di degrado culturale, non posso fare a meno di dirlo, il fatto che uno scrittore di valore e certo neppure lontanamente sospetto di antisemitismo possa, in un articolo di ieri sul Corriere della Sera, recensendo un romanzo su Ezra Pound, accettare, o per lo meno riprendere, senza prenderne le distanze, dall'autore che recensisce la teoria che agli artisti tutto sia consentito, anche appoggiare Mussolini e la Repubblica di Salò e scatenarsi in violentissime diatribe antiebraiche mentre milioni di ebrei venivano sterminati. So che è una vecchia polemica, ma credo che sia necessario fare un po' di chiarezza su questo punto: infatti, se non possiamo non  condividere il fatto  che Céline e Pound siano stati grandi artisti, non crediamo tuttavia che questo giustifichi la loro azione politica, esattamente come non crediamo che Céline e Pound non debbano essere considerati grandi artisti per il fatto che erano antisemiti e appoggiavano Hitler. Oppure pensiamo che esiste una morale politica per gli artisti ed una per quanti artisti non sono? e che gli artisti siano al di sopra delle leggi e della morale, "al di là del bene e del male"?

davar
Una calunnia di troppo
Nella triste, squallida sequenza di catene di Sant'Antonio in cui molti accettano, per convenzione o per obbedienza, di relegare il dibattito interno al mondo ebraico italiano, capita di leggere di tutto. Non solo le opinioni più disparate, non solo le affermazioni più iperboliche, non solo le accuse più colorite e spesso purtroppo infondate. Un chiacchiericcio vacuo e sgradevole, animato dall'intenzione di dare lezioni agli altri prima ancora di prendere atto della realtà dei fatti. In questo mondo onirico, tutti ne sanno una più degli altri (soprattutto con l'aiuto del senno di poi), tutti credono di avere molto da insegnare e niente da imparare, tutti sono convinti di sapere come si deve operare (non solo nell'ambito delle proprie competenze professionali, ma anche in quelle altrui). Un sottofondo di monologhi che spesso sconfina oltre i limiti del lecito, calpestando i valori in gioco e il lavoro svolto, e che meriterebbe forse poche attenzioni da parte degli ebrei italiani effettivamente interessati ad affrontare i problemi reali: difendere Israele, tutelare le nostre comunità, costruire il futuro, ma soprattutto non perdere mai lo slancio, il coraggio, il buon umore e l'orgoglio che da sempre caratterizzano l'esistenza ebraica.
Capita tuttavia di tanto in tanto di imbattersi anche in farneticazioni penose, inviate a larghi e qualificati gruppi, come una, apparsa di recente, secondo la quale la redazione avrebbe proceduto a una epurazione tesa a impedire a qualcuno di esprimere le proprie opinioni.
Tutto ciò obbliga a una risposta. Non tanto per riaffermare l'evidenza di una falsità di questo livello, poiché qualunque osservatore onesto può constatare da solo come fra i 120 collaboratori della redazione esistano già le voci più diverse e altre se ne possono liberamente aggiungere in ogni momento, così come altre ancora, per loro libera insindacabile scelta, hanno preferito, speriamo provvisoriamente, interrompere il dialogo. Ma soprattutto per riaffermare che in questa redazione operano giornalisti vincolati all'etica professionale e al dovere di applicare le direttive dell'ente editore.
Fra queste linee guida, allo stato attuale figura anche la seguente indicazione:
"Offrire opportunità di espressione alla realtà ebraica italiana in tutta la sua complessità e varietà, favorendo un sereno confronto fra idee, identità e culture diverse, ponendo come solo confine alla libertà di espressione il rispetto dell'identità di ciascuno".
Nel pubblicare gli interventi dei collaboratori, la redazione è obbligata ad attenersi scrupolosamente all'applicazione di tale direttiva. E così in effetti avviene. Capita di sentire tante sciocchezze e il più delle volte di non darci peso per carità di patria, magari anche al rischio di favorire azioni malevole e sconsiderate. Ma questa calunnia è di troppo, tacere non è più consentito.

g.v.

Qui Firenze - Rinnovo del Consiglio, Cividalli la più votata
Tasso di partecipazione molto significativo (53,17 % degli aventi diritto) alle elezioni di rinnovo del Consiglio della Comunità ebraica di Firenze. Ad ottenere il maggior numero di preferenze Sara Cividalli, pediatra. In Consiglio anche Enrico Fink, Roberto Orvieto, Davide Sadun, Guidobaldo Passigli (presidente uscente), Iacopo Treves, Lea Ariet Jelinek, Franco Benadì e Milca Caro. Primi candidati non eletti, a pari merito, Michal Pantzer Saltiel e Debora Intili. Domani sera prima riunione di Consiglio con, all'ordine del giorno, la nomina del presidente e dei componenti di Giunta.

Qui Roma - Settimia Spizzichino, un ponte per la Memoria 
Da oggi un ponte di Roma porterà il nome dell'unica donna, Settimia Spizzichino, reduce dai campi di concentramento nazisti dopo la retata nel vecchio ghetto del 16 ottobre 1943. È Carla Di Veroli, assessore alle politiche culturali e alla Memoria del Municipio Roma XI e nipote di Settimia, ad aprire la cerimonia di inaugurazione del ponte che sorge fra Ostiense e Garbatella, zona in cui la Spizzichino visse dopo il suo ritorno da Auschwitz. Sullo sfondo le note del Va pensiero verdiano eseguito dal Coro dei vigili di Roma. Visibilmente emozionata, Carla ricorda la giovane Settimia strappata alla propria casa e ai propri sogni in quella tragica mattina di sabato e sbattuta sul uno dei vagoni piombati che condussero ad Auschwitz lei e altre 1023 persone. E poi ancora Settimia sottoposta agli esperimenti su scabbia e tifo durante la sua prigionia e il ritorno da quegli orrori che non le fecero comunque rinunciare a vivere con coraggio e passione la propria vita. Non volle tuttavia dimenticare e fece della Memoria una bandiera combattendo il pregiudizio e l'antisemitismo ovunque e in qualunque forma esso si manifestasse, ma soprattutto parlando ai giovani, nelle scuole.  “Settimia – spiega l'assessore Di Veroli – era un personaggio molto popolare a Roma. Aveva perso ad Auschwitz tutta la sua famiglia e aveva scelto di diventare il testimone vivente dell'orrore dello sterminio, perché nessuno potesse dimenticare. Portò avanti il suo impegno senza soste per combattere le ideologie nostalgiche del nazismo e del fascismo. Ha vissuto fino al giorno della sua morte nel quartiere Garbatella dove ha attivamente partecipato a momenti sociali e politici non mancando mai di incontrare gli alunni delle scuole che serbano di lei un ricordo indelebile”.
Alla cerimonia erano presenti rav Riccardo Di Segni e Riccardo Pacifici, rispettivamente rabbino capo e presidente della Comunità ebraica di Roma, il sindaco Gianni Alemanno, l'assessore comunale alle politiche culturali, Dino Gasperini, il presidente del consiglio provinciale, Pina Maturani, il presidente dell' XI Municipio, Andrea Catarci. Con loro anche gli alunni della scuola ebraica e dell'istituto intitolato alla memoria della donna. Nelle parole di tutti gli intervenuti la condanna degli atti di estremismo avvenuti nelle scorse settimane a Roma. "Il vero volto di questa città non è quello dell'estremismo e dell'antisemitismo ma è quello dei viaggi della Memoria, della notte della Cabbalà e dei voti all'unanimità del Consiglio per questa intitolazione. La vera Roma – ha affermato il sindaco Alemanno allacciandosi alle parole di Pacifici – è quella che rifiuta l'orrore dell'antisemitismo e del razzismo. Noi dobbiamo far sentire questa voce, che sa isolare nostalgici e chi fa il gesto demente di chiamarsi fascista. Ora vogliamo intitolare qualcosa di importante anche a Shlomo Venezia”.

Lucilla Efrati - twitter@lefratimoked

Qui Trieste - In marcia contro il razzismo
Insieme, nella Memoria della Shoah, contro i razzismi e l’intolleranza che in tutt’Europa registrano una preoccupante escalation. Nel segno di questi valori la Comunità ebraica di Trieste organizza mercoledì una fiaccolata che chiama a raccolta l’intera cittadinanza. La manifestazione, che nella sua prima edizione ha registrato lo scorso anno una grande e sentita partecipazione da parte della società civile e delle associazioni, ricorda la prima deportazione ebraica che il 7 dicembre 1943 vide partire da Trieste alla volta di Auschwitz 159 persone, di cui solo nove fecero ritorno dopo la guerra.
Organizzata con il patrocinio della Provincia di Trieste, la fiaccolata si intitola “Una valigia per Ida e gli altri”, per commemorare Ida Marcaria, mancata un anno fa. Giovane ebrea triestina, fu prelevata con la famiglia dalla casa di piazza della Borsa e deportata ad Auschwitz e può essere considerata un simbolo delle tante vite spezzate dalla persecuzione nazifascista.
I partecipanti sono invitati, come già lo scorso anno, a portare con sé una valigia o a riflettere sugli oggetti necessari che metterebbero in valigia se capitasse loro, come ai deportati di allora, di avere appena pochi minuti per lasciare la propria casa e avviarsi a una destinazione ignota e spaventosa.
Lo striscione che precederà il corteo recherà una frase di Vera Vigevani Jarach, una delle madri di Plaza de Mayo, che fuggì dall’Italia per le leggi razziste e vide la figlia Franca scomparire nella ferocia della dittatura argentina. "Lavorare per la memoria vuol dire pensare al futuro".
“I testimoni diretti dello sterminio – spiega Mauro Tabor, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Trieste – sono ormai quasi tutti scomparsi. Sta a noi, figli, nipoti, uomini e donne consapevoli, trovare il modo di far capire e di ricordare quello che è stato. E sta a noi, nel triste cambiamento epocale che stiamo attraversando, schierarci contro le forme di razzismo, xenofobia e pregiudizio, che vediamo risorgere in Europa con una violenza preoccupante per costruire un domani diverso”.
“La fiaccolata – conclude – vuole chiamare a raccolta chi oggi si trova a vivere una situazione di discriminazione, di emarginazione o stigma e quanti, cittadini, associazioni e organizzazioni, vogliono ribadire il loro impegno a difesa dei diritti di tutti: per non rischiare, ancora una volta, di guardare senza vedere o di ascoltare senza sentire”.
La manifestazione parte alle 18.30 da piazza della Borsa, dove si trovava la casa di Ida Marcaria, per raggiungere silenziosamente la Stazione centrale da cui partivano i convogli alla volta di Auschwitz. In segno di rispetto nel corteo non vi saranno bandiere o insegne.

Daniela Gross - twitter @dgrossmoked

Qui Roma - La sfida di aprirsi al mondo
Prosegue a Roma la sfida di Una cultura in tante culture. Promosso dall'Associazione Donne Ebree d'Italia con il contributo dell'Otto per mille UCEI, il corso si propone di insegnare, attraverso l'espressione artistica e il movimento, la difficile arte di stare assieme. Un'iniziativa rivolta in queste ore agli studenti delle scuole ebraiche capitoline dopo il coinvolgimento, negli scorsi giorni, del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II e della scuola Elvira Castelfranchi di Finale Emilia che l'ebraismo italiano, dopo il recente sisma primaverile, ha deciso di “adottare” con una raccolta fondi volta a favorire la costruzione di una nuova biblioteca. Sancito, proprio in occasione della tappa emiliana, un simbolico gemellaggio tra i due istituti, scuola ebraica e Castelfranchi.
A presentare il laboratorio, distribuito nell'arco di tre giorni e rivolto sia a studenti che insegnanti, il preside rav Benedetto Carucci Viterbi, l'assessore alle scuole della Comunità ebraica Ruth Dureghello, la responsabile del progetto Ziva Fischer e l'educatrice Angelica Edna Calò Livne, instancabile promotrice di occasioni di incontro tra popoli e differenti etnie del Medio Oriente. “Sono molto emozionata – ha spiegato Calò Livne – perché dopo essere stata in tante città e in tanti paesi è la prima volta che propongo le mie attività in una scuola ebraica. Il messaggio che vorrei trasmettervi, cari ragazzi, è che l'amore e l'amicizia sono sentimenti più coraggiosi dell'odio. Dobbiamo essere aperti agli altri”.

Qui Venezia - Lavorare per la coesione
Quali sono le condizioni attuali delle Comunità ebraiche? Quali le prospettive? E ancora: quale dovrebbe essere la mission di una comunità ebraica? Quale la sua fisionomia? Questi i temi che hanno fatto da filo conduttore allo Shabbaton dal titolo Ebrei, tra società e comunità organizzato dal Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane a Venezia.
A dare inizio al weekend di studio, dopo l’Arvith del venerdì sera alla sinagoga Levantina, la lezione di Rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, sull’importanza dell’educazione ebraica, dedicata alla memoria di Anna z.l Salvadori, a pochi giorni dal suo anniversario. Un momento sentito che ha raccolto un’ampia partecipazione da parte degli iscritti. I lavori sono ripresi sabato sera con un interessante dibattito, guidato da Rav Della Rocca e Rav Shalom Bahbout, rabbino capo di Napoli, sulla condizione attuale in cui versano le comunità ebraiche e su come affrontare temi quali l’accoglienza, il vivere la socialità, i giovani e le prospettive, per il recupero di una coesione comunitaria che negli anni si va perdendo. Proprio su questo punto la voce dei veneziani si è fatta sentire: interventi dal pubblico che hanno sottolineato come una comunità ebraica non possa prescindere dai singoli membri che la compongono. Sono gli ebrei nella loro singolarità, complessità e diversità, i fondamenti di un vivere sociale costruttivo.
Un dato, quello relativo alla perdita di coesione in ambito comunitario, che si riscontra chiaramente nell’analisi di Enzo Campelli, sociologo e professore di Metodologia delle scienze sociali presso l’Università di Roma La Sapienza, che ha presentato domenica mattina, dopo la commemorazione dei deportati in Campo di Ghetto Nuovo, i primi risultati del progetto di Ricerca socio-demografica sull’ebraismo italiano. Un intervento, ricco di spunti, moderato dallo storico Simon Levis Sullam, professore presso l’Università di Venezia Ca’ Foscari, che ha cercato di riassumere velocemente le principali metodologie che sono state applicate, i criteri di selezione degli intervistati e le percentuali relative ai principali gruppi tematici risultanti dall’incrocio dei dati ottenuti.
L’unico precedente per quanto concerne ricerche di questa portata risale a quasi quarant’anni fa nello studio realizzato da Sergio Della Pergola. Da allora le abitudini e le condizioni degli ebrei italiani sono mutate, di pari passo con i vertiginosi cambiamenti che hanno investito la società circostante. Da segnalare il dato preoccupante dei conflitti interni alle singole comunità e il sentimento diffuso di spaccatura, come da segnalare è anche l’allontanamento dalla pratica religiosa, la diminuzione della partecipazione comunitario e l’eccessiva rigidità nelle pratiche religiose, contenitore tematico che fa da cappello al difficile problema delle conversioni e dei matrimoni misti. Più di 1500 interviste a iscritti delle diverse Comunità ebraiche italiane che individuano per ora un quadro parziale, che sarà oggetto di ulteriori studi e approfondimenti.

Michael Calimani

"One day baby, we'll be old". Asaf Avidan conquista l'Italia
La tappa dell'altra sera a Bari ha dato inizio al mini-tour italiano del fenomeno musicale del momento: l'israeliano Asaf Avidan. Complice un remix azzeccato del tedesco Wankelmut, la sua musica ha ipnotizzato migliaia di giovani italiani festaioli. Dietro il 'tumz-tumz' da discotecari seriali si nasconde un artista raffinato che vanta tra i suoi fan Roberto Saviano. Periodo fortunato per Avidan che vede la sua hit come una delle più condivise e cinguettate sui social network. Prossime tappe: Roma, Bologna e Torino (4, 5 e 6 dicembre). Il cantante ha iniziato la sua carriera affiancato dai The Mojos e ora tenta il salto da solista come fecero prima di lui Robbie Williams e Justin Timberlake. Accompagnato dalla sua fedele chitarra, compagna di tante avventure, animerà orde di fan dell'ultima ora. Per prepararvi ascoltatevi l'immancabile Her lies e l'ultima Different pulses. Un corso intensivo per poter apprezzare la musica del nuovo astro della musica israeliana, già incoronato come novello Janis Joplin. "One day baby, we’ll be old", per il momento tutti in pista!

r.s.


pilpul
In cornice - La riscoperta di Guttuso
daniele liberanomeAl Vittoriano di Roma è aperta una grande personale di Renato Guttuso, artista prima idolatrato, poi dimenticato, ora in via di riscoperta. Questo altalenante atteggiamento dipende sostanzialmente dall’inquadramento fortemente partitico di Guttuso, come risulta del tutto evidente nel suo dipinto “Funerale di Togliatti”, una specie di grande ritratto della nomenklatura del PCI, e così pure dalla sua presenza massiccia nelle collezioni della CGIL e di varie istituzioni e figure vicine al vecchio partito comunista. Nessuno stupore quindi che dopo il 1989, la sua arte sia finita nel dimenticatoio soprattutto per motivi ideologici. In realtà, il passato ci insegna che grandi artisti si sono schierati politicamente in modo non meno marcato di Guttuso senza che questo nuocesse alla loro fama. Penso ad esempio a Holbein che dipinse un gran numero di ritratti di Lutero e così, insieme ad altri suoi colleghi, contribuì non poco alla diffusione del protestantesimo (che spesso viene legato solo all’affermarsi della stampa dei  libri). In questo senso, si può star certi che mostre come quella del Vittoriano aprano la porte a una riscoperta di Guttuso e che il suo credo comunista non lo lascerà nella polvere. Casomai è da capire se la sua arte sia mai stata all’altezza della fama che aveva raggiunto; personalmente credo che il suo stile realista, simile a quello di molti suoi colleghi di sinistra, riprenda troppo da vicino le lezioni delle avanguardie storiche del primo Novecento e ignori le nuove strade tracciate dall’arte del dopoguerra. Per non discostarsi della indicazioni del loro ambiente culturale, si era ibernato rimanendo un grande tecnico della pittura. Ma non era facile comportarsi in modo diverso: Vedova, artista di sinistra ma astratto e quindi troppo “americano” pagò le sue scelte con l’isolamento dai suoi compagni di gioventù.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for two - Giorgio, Micol e una partita di tennis infinita
Di questi tempi mi capita di pensare a Giorgio* e Micol di frequente. I protagonisti del Giardino dei Finzi-Contini intendo. Dovevo leggere quel libro a quattordici anni per la scuola, ma lo abbandonai dopo l'ennesima partita di tennis. Preda di una generazione Moccia che non mi lasciava tregua, piangevo la morte di Pollo, l'amico di Step, avvenuta tragicamente durante una corsa clandestina e intessevo nella mia testa storie romantiche di motociclisti feriti dalla vita e congiuntivi facoltativi. Certamente il timido Giorgio e le sue riflessioni non facevano al caso mio. Troppe sottigliezze, troppi complessi, troppo tennis. Con il tempo i gusti si sono affinati (non così tanto, continuo a vedere telefilm con Gabriel Garko dai titoli per dittologie) e dal tempo delle mele si è passati a quello del vino invecchiato. Allora Giorgio ha bussato avanzando discretamente verso di me. Mi ha raccontato di quel castello incantato che animava le sue giornate, della stanza di Micol piena di lattimi comprati a Venezia, del recamier, dei libri disposti a seconda della provenienza. Mi ha cantato un amore reso epico dalla danza delle ore e tragico dalla conclusione. Di un amore non corrisposto, o meglio di un non amore, perché come insegna Lorenzo de' Medici: "Amar non puossi chi non ama altrui; non ha amante chi non sente amore". Così, caduta vittima di un febbrone stagionale, ho trascorso sereni pomeriggi imbucandomi ai garden party dei Finzi-Contini, origliando le conversazioni telefoniche private tra Micol e Giorgio. Volevo gridar lui di lasciar perdere i Finzi-Contini, di non volare troppo vicino al sole, tra l'opulenza di quei nobili incastrati nella gabbia dorata del loro giardino. E come ho voluto bene a Micol nonostante tutto, nonostante avesse infranto una love story che sostenevo con tutta me stessa. Micol piena di ironia, vitalità, con il suo vocabolario finzi-continico. Come mi sono rispecchiata in questi due ventenni alle prese con la tesi di laurea, con le traduzioni di Emily Dickinson. Giorgio resterà sempre nel mio cuore. Alla fine le storie d'amore più belle sono quelle incompiute, quelle mai avvenute, caricate di aspettative inesistenti, incoronate da versi in rima. Come sarebbe stato? Cosa sarebbe successo? Si aprono altre mille strade, altre mille conclusioni e continuo a vederli, Micol e Giorgio, intenti in una partita di tennis infinita. E così l'amore mancato sulla pagina, pervade il lettore.
*Nella mia testa l'io narrante è sempre stato identificato come Giorgio.

Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2


notizie flash   rassegna stampa
Lo Sport per la pace
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Arti marziali per la pace tra israeliani e palestinesi: è la "Budo for peace" un'organizzazione fondata nel 2004 da Danny Hakim, ebreo di origini australiane, per promuovere il rispetto e l'integrazione in una regione così delicata come la Striscia di Gaza. Il gruppo conta quasi 700 iscritti con palestre in Israele, Giordania e Turchia e una nuova scuola a Sydney, in Australia. La disciplina combina alcune tecniche di Karate con seminari educativi che si riferiscono soprattutto ai più giovani.


 

“Onu, una vetrina dell’ostilità a Israele” è questo il titolo dell’articolo che Pierluigi Battista, nella sua rubrica Particelle elementari sul Corriere della Sera, dedica a un tema fondamentale: la debolezza o l’assenza delle Nazioni Unite di fronte alle crisi internazionali [...]



















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