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3 dicembre 2012 - 19 Kislev
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Adolfo
Locci, rabbino capo
di Padova
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"…e
si prostrò a terra sette volte volte finché raggiunse suo fratello"
(Genesi 33:4). Il prostrarsi di Giacobbe, spiega Moshè David Valle, era
una scenografia che all'esterno poteva apparire come l'essere
ossequiosi e dimessi davanti al potente. E' vero, Giacobbe è stato
ossequioso e timoroso, ma non davanti al fratello, il testo sottolinea
che questo era l'atteggiamento di Giacobbe, "finché non raggiunse suo
fratello". Il maestro padovano, non lascia spazio ad altre letture del
verso. L'oggetto della riverenza era dunque "terra sacra di Israel",
unica risorsa a lui utile per superare questo difficile momento di
incontro/scontro. La parola Artza (terra) in ghematryà equivale a Tzur
(rocca/difesa). Giacobbe ci insegna che davanti al nemico potente o
alle autorità che ci governano, dobbiamo dimostrarci di essere sempre
fiduciosi dell'intervento di D-o e consapevoli che la Torà è strumento
preferenziale per ottenerlo, senza chiedere altro, soprattutto ad
altri.
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Anna
Foa,
storica
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Non vorrei che, intenti come
talvolta siamo ad identificare l'antisemitismo più significativo con
l'antisionismo e solo con quello, ci sfuggano dei segnali assai
inquietanti del ribollire, nella crisi economica e culturale in cui ci
troviamo, di un antisemitismo di stampo nazista che
sempre più si rafforza e si legittima. Per parlare solo di quanto
succede in Italia, vediamo che tal Rutilio Sermonti può rivendicare sul
quotidiano Rinascita il fatto di continuare con la penna e con
l'insegnamento la battaglia iniziata decine di anni fa aderendo alla
Repubblica di Salò e contro gli stessi nemici (per intenderci, gli
ebrei). Insegnamento che, in questo stesso articolo, si concretizza in
violentissimi attacchi antisemiti. Deliri esibizionisti e senili di cui
non bisognerebbe far troppo conto? lo credevo anch'io fino a non molti
anni fa, ma ora sto decisamente cambiando idea. Quello che mi sembra
temibile, infatti, non è tanto il fatto che ci sia una fascia di
popolazione antisemita, ma che essa si sia ormai talmente legittimata
da sfilare tranquillamente per le strade di Roma e da scrivere non più
anonimamente sul web ma con tanto di firma sui quotidiani. A quando la
nascita di un partito politico dichiaratamente antisemita anche nel
nome? E in questo contesto colpisce sfavorevolmente come un segnale di
degrado culturale, non posso fare a meno di dirlo, il fatto che uno
scrittore di valore e certo neppure lontanamente sospetto di
antisemitismo possa, in un articolo di ieri sul Corriere della Sera,
recensendo un romanzo su Ezra Pound, accettare, o per lo meno
riprendere, senza prenderne le distanze, dall'autore che recensisce la
teoria che agli artisti tutto sia consentito, anche appoggiare
Mussolini e la Repubblica di Salò e scatenarsi in violentissime
diatribe antiebraiche mentre milioni di ebrei venivano sterminati. So
che è una vecchia polemica, ma credo che sia necessario fare un po' di
chiarezza su questo punto: infatti, se non possiamo non
condividere il fatto che Céline e Pound siano stati grandi
artisti, non crediamo tuttavia che questo giustifichi la loro azione
politica, esattamente come non crediamo che Céline e Pound non debbano
essere considerati grandi artisti per il fatto che erano antisemiti e
appoggiavano Hitler. Oppure pensiamo che esiste una morale politica per
gli artisti ed una per quanti artisti non sono? e che gli artisti siano
al di sopra delle leggi e della morale, "al di là del bene e del male"?
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Una calunnia di troppo |
Nella
triste, squallida sequenza di catene di Sant'Antonio in cui molti
accettano, per convenzione o per obbedienza, di relegare il dibattito
interno al mondo ebraico italiano, capita di leggere di tutto. Non solo
le opinioni più disparate, non solo le affermazioni più iperboliche,
non solo le accuse più colorite e spesso purtroppo infondate. Un
chiacchiericcio vacuo e sgradevole, animato dall'intenzione di
dare lezioni agli altri prima ancora di prendere atto della realtà dei
fatti. In questo mondo onirico, tutti ne sanno una più degli altri
(soprattutto con l'aiuto del senno di poi), tutti credono di avere
molto da insegnare e niente da imparare, tutti sono convinti di sapere
come si deve operare (non solo nell'ambito delle proprie competenze
professionali, ma anche in quelle altrui). Un sottofondo di monologhi
che spesso sconfina oltre i limiti del lecito, calpestando i valori in
gioco e il lavoro svolto, e che meriterebbe forse poche attenzioni da
parte degli ebrei italiani effettivamente interessati ad affrontare i
problemi reali: difendere Israele, tutelare le nostre comunità,
costruire il futuro, ma soprattutto non perdere mai lo slancio, il
coraggio, il buon umore e l'orgoglio che da sempre caratterizzano
l'esistenza ebraica. Capita tuttavia di tanto in tanto di
imbattersi anche in farneticazioni penose, inviate a larghi e
qualificati gruppi, come una, apparsa di recente, secondo la quale la
redazione avrebbe proceduto a una epurazione tesa a impedire a qualcuno
di esprimere le proprie opinioni. Tutto ciò obbliga a una
risposta. Non tanto per riaffermare l'evidenza di una falsità di questo
livello, poiché qualunque osservatore onesto può constatare da solo
come fra i 120 collaboratori della redazione esistano già le voci più
diverse e altre se ne possono liberamente aggiungere in ogni momento,
così come altre ancora, per loro libera insindacabile scelta, hanno
preferito, speriamo provvisoriamente, interrompere il dialogo. Ma
soprattutto per riaffermare che in questa redazione operano giornalisti
vincolati all'etica professionale e al dovere di applicare le direttive
dell'ente editore. Fra queste linee guida, allo stato attuale figura anche la seguente indicazione: "Offrire
opportunità di espressione alla realtà ebraica italiana in tutta la sua
complessità e varietà, favorendo un sereno confronto fra idee, identità
e culture diverse, ponendo come solo confine alla libertà di
espressione il rispetto dell'identità di ciascuno". Nel
pubblicare gli interventi dei collaboratori, la redazione è obbligata
ad attenersi scrupolosamente all'applicazione di tale direttiva. E così
in effetti avviene. Capita di sentire tante sciocchezze e il più delle
volte di non darci peso per carità di patria, magari anche al rischio
di favorire azioni malevole e sconsiderate. Ma questa calunnia è di
troppo, tacere non è più consentito.
g.v.
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Qui Firenze - Rinnovo
del Consiglio, Cividalli la più votata |
Tasso di
partecipazione molto significativo (53,17 % degli aventi diritto) alle
elezioni di rinnovo del Consiglio della Comunità ebraica di Firenze. Ad
ottenere il maggior numero di preferenze Sara Cividalli, pediatra. In
Consiglio anche Enrico Fink, Roberto Orvieto, Davide Sadun, Guidobaldo
Passigli (presidente uscente), Iacopo Treves, Lea Ariet Jelinek, Franco
Benadì e Milca Caro. Primi candidati non eletti, a pari merito, Michal
Pantzer Saltiel e Debora Intili. Domani sera prima riunione di
Consiglio con, all'ordine del giorno, la nomina del presidente e dei
componenti di Giunta.
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Qui Roma - Settimia Spizzichino, un ponte per la Memoria |
Da
oggi un ponte di Roma porterà il nome dell'unica donna, Settimia
Spizzichino, reduce dai campi di concentramento nazisti dopo la retata
nel vecchio ghetto del 16 ottobre 1943. È Carla Di Veroli, assessore
alle politiche culturali e alla Memoria del Municipio Roma XI e nipote
di Settimia, ad aprire la cerimonia di inaugurazione del ponte che
sorge fra Ostiense e Garbatella, zona in cui la Spizzichino visse dopo
il suo ritorno da Auschwitz. Sullo sfondo le note del Va pensiero
verdiano eseguito dal Coro dei vigili di Roma. Visibilmente emozionata,
Carla ricorda la giovane Settimia strappata alla propria casa e ai
propri sogni in quella tragica mattina di sabato e sbattuta sul uno dei
vagoni piombati che condussero ad Auschwitz lei e altre 1023 persone. E
poi ancora Settimia sottoposta agli esperimenti su scabbia e tifo
durante la sua prigionia e il ritorno da quegli orrori che non le
fecero comunque rinunciare a vivere con coraggio e passione la propria
vita. Non volle tuttavia dimenticare e fece della Memoria una bandiera
combattendo il pregiudizio e l'antisemitismo ovunque e in qualunque
forma esso si manifestasse, ma soprattutto parlando ai giovani, nelle
scuole. “Settimia – spiega l'assessore Di Veroli – era un
personaggio molto popolare a Roma. Aveva perso ad Auschwitz tutta la
sua famiglia e aveva scelto di diventare il testimone vivente
dell'orrore dello sterminio, perché nessuno potesse dimenticare. Portò
avanti il suo impegno senza soste per combattere le ideologie
nostalgiche del nazismo e del fascismo. Ha vissuto fino al giorno della
sua morte nel quartiere Garbatella dove ha attivamente partecipato a
momenti sociali e politici non mancando mai di incontrare gli alunni
delle scuole che serbano di lei un ricordo indelebile”. Alla
cerimonia erano presenti rav Riccardo Di Segni e Riccardo Pacifici,
rispettivamente rabbino capo e presidente della Comunità ebraica di
Roma, il sindaco Gianni Alemanno, l'assessore comunale alle politiche
culturali, Dino Gasperini, il presidente del consiglio provinciale,
Pina Maturani, il presidente dell' XI Municipio, Andrea Catarci. Con
loro anche gli alunni della scuola ebraica e dell'istituto intitolato
alla memoria della donna. Nelle parole di tutti gli intervenuti la
condanna degli atti di estremismo avvenuti nelle scorse settimane a
Roma. "Il vero volto di questa città non è quello dell'estremismo e
dell'antisemitismo ma è quello dei viaggi della Memoria, della notte
della Cabbalà e dei voti all'unanimità del Consiglio per questa
intitolazione. La vera Roma – ha affermato il sindaco Alemanno
allacciandosi alle parole di Pacifici – è quella che rifiuta l'orrore
dell'antisemitismo e del razzismo. Noi dobbiamo far sentire questa
voce, che sa isolare nostalgici e chi fa il gesto demente di chiamarsi
fascista. Ora vogliamo intitolare qualcosa di importante anche a Shlomo
Venezia”.
Lucilla Efrati - twitter@lefratimoked
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Qui Trieste - In marcia contro il razzismo
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Insieme,
nella Memoria della Shoah, contro i razzismi e l’intolleranza che in
tutt’Europa registrano una preoccupante escalation. Nel segno di questi
valori la Comunità ebraica di Trieste organizza mercoledì una
fiaccolata che chiama a raccolta l’intera cittadinanza. La
manifestazione, che nella sua prima edizione ha registrato lo scorso
anno una grande e sentita partecipazione da parte della società civile
e delle associazioni, ricorda la prima deportazione ebraica che il 7
dicembre 1943 vide partire da Trieste alla volta di Auschwitz 159
persone, di cui solo nove fecero ritorno dopo la guerra. Organizzata
con il patrocinio della Provincia di Trieste, la fiaccolata si intitola
“Una valigia per Ida e gli altri”, per commemorare Ida Marcaria,
mancata un anno fa. Giovane ebrea triestina, fu prelevata con la
famiglia dalla casa di piazza della Borsa e deportata ad Auschwitz e
può essere considerata un simbolo delle tante vite spezzate dalla
persecuzione nazifascista. I partecipanti sono invitati, come già
lo scorso anno, a portare con sé una valigia o a riflettere sugli
oggetti necessari che metterebbero in valigia se capitasse loro, come
ai deportati di allora, di avere appena pochi minuti per lasciare la
propria casa e avviarsi a una destinazione ignota e spaventosa. Lo
striscione che precederà il corteo recherà una frase di Vera Vigevani
Jarach, una delle madri di Plaza de Mayo, che fuggì dall’Italia per le
leggi razziste e vide la figlia Franca scomparire nella ferocia della
dittatura argentina. "Lavorare per la memoria vuol dire pensare al
futuro". “I testimoni diretti dello sterminio – spiega Mauro
Tabor, assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Trieste – sono
ormai quasi tutti scomparsi. Sta a noi, figli, nipoti, uomini e donne
consapevoli, trovare il modo di far capire e di ricordare quello che è
stato. E sta a noi, nel triste cambiamento epocale che stiamo
attraversando, schierarci contro le forme di razzismo, xenofobia e
pregiudizio, che vediamo risorgere in Europa con una violenza
preoccupante per costruire un domani diverso”. “La fiaccolata –
conclude – vuole chiamare a raccolta chi oggi si trova a vivere una
situazione di discriminazione, di emarginazione o stigma e quanti,
cittadini, associazioni e organizzazioni, vogliono ribadire il loro
impegno a difesa dei diritti di tutti: per non rischiare, ancora una
volta, di guardare senza vedere o di ascoltare senza sentire”. La
manifestazione parte alle 18.30 da piazza della Borsa, dove si trovava
la casa di Ida Marcaria, per raggiungere silenziosamente la Stazione
centrale da cui partivano i convogli alla volta di Auschwitz. In segno
di rispetto nel corteo non vi saranno bandiere o insegne.
Daniela Gross - twitter @dgrossmoked
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Qui Roma - La sfida di aprirsi al mondo |
Prosegue
a Roma la sfida di Una cultura in tante culture. Promosso
dall'Associazione Donne Ebree d'Italia con il contributo dell'Otto per
mille UCEI, il corso si propone di insegnare, attraverso l'espressione
artistica e il movimento, la difficile arte di stare assieme.
Un'iniziativa rivolta in queste ore agli studenti delle scuole ebraiche
capitoline dopo il coinvolgimento, negli scorsi giorni, del Convitto
Nazionale Vittorio Emanuele II e della scuola Elvira Castelfranchi di
Finale Emilia che l'ebraismo italiano, dopo il recente sisma
primaverile, ha deciso di “adottare” con una raccolta fondi volta a
favorire la costruzione di una nuova biblioteca. Sancito, proprio in
occasione della tappa emiliana, un simbolico gemellaggio tra i due
istituti, scuola ebraica e Castelfranchi. A presentare il
laboratorio, distribuito nell'arco di tre giorni e rivolto sia a
studenti che insegnanti, il preside rav Benedetto Carucci Viterbi,
l'assessore alle scuole della Comunità ebraica Ruth Dureghello, la
responsabile del progetto Ziva Fischer e l'educatrice Angelica Edna
Calò Livne, instancabile promotrice di occasioni di incontro tra popoli
e differenti etnie del Medio Oriente. “Sono molto emozionata – ha
spiegato Calò Livne – perché dopo essere stata in tante città e in
tanti paesi è la prima volta che propongo le mie attività in una scuola
ebraica. Il messaggio che vorrei trasmettervi, cari ragazzi, è che
l'amore e l'amicizia sono sentimenti più coraggiosi dell'odio. Dobbiamo
essere aperti agli altri”.
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Qui Venezia - Lavorare per la coesione |
Quali
sono le condizioni attuali delle Comunità ebraiche? Quali le
prospettive? E ancora: quale dovrebbe essere la mission di una comunità
ebraica? Quale la sua fisionomia? Questi i temi che hanno fatto da filo
conduttore allo Shabbaton dal titolo Ebrei, tra società e comunità
organizzato dal Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane a Venezia. A dare inizio al weekend di
studio, dopo l’Arvith del venerdì sera alla sinagoga Levantina, la
lezione di Rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, sull’importanza
dell’educazione ebraica, dedicata alla memoria di Anna z.l Salvadori, a
pochi giorni dal suo anniversario. Un momento sentito che ha raccolto
un’ampia partecipazione da parte degli iscritti. I lavori sono ripresi
sabato sera con un interessante dibattito, guidato da Rav Della Rocca e
Rav Shalom Bahbout, rabbino capo di Napoli, sulla condizione attuale in
cui versano le comunità ebraiche e su come affrontare temi quali
l’accoglienza, il vivere la socialità, i giovani e le prospettive, per
il recupero di una coesione comunitaria che negli anni si va perdendo.
Proprio su questo punto la voce dei veneziani si è fatta sentire:
interventi dal pubblico che hanno sottolineato come una comunità
ebraica non possa prescindere dai singoli membri che la compongono.
Sono gli ebrei nella loro singolarità, complessità e diversità, i
fondamenti di un vivere sociale costruttivo. Un dato, quello
relativo alla perdita di coesione in ambito comunitario, che si
riscontra chiaramente nell’analisi di Enzo Campelli, sociologo e
professore di Metodologia delle scienze sociali presso l’Università di
Roma La Sapienza, che ha presentato domenica mattina, dopo la
commemorazione dei deportati in Campo di Ghetto Nuovo, i primi
risultati del progetto di Ricerca socio-demografica sull’ebraismo
italiano. Un intervento, ricco di spunti, moderato dallo storico Simon
Levis Sullam, professore presso l’Università di Venezia Ca’ Foscari,
che ha cercato di riassumere velocemente le principali metodologie che
sono state applicate, i criteri di selezione degli intervistati e le
percentuali relative ai principali gruppi tematici risultanti
dall’incrocio dei dati ottenuti. L’unico precedente per quanto
concerne ricerche di questa portata risale a quasi quarant’anni fa
nello studio realizzato da Sergio Della Pergola. Da allora le abitudini
e le condizioni degli ebrei italiani sono mutate, di pari passo con i
vertiginosi cambiamenti che hanno investito la società circostante. Da
segnalare il dato preoccupante dei conflitti interni alle singole
comunità e il sentimento diffuso di spaccatura, come da segnalare è
anche l’allontanamento dalla pratica religiosa, la diminuzione della
partecipazione comunitario e l’eccessiva rigidità nelle pratiche
religiose, contenitore tematico che fa da cappello al difficile
problema delle conversioni e dei matrimoni misti. Più di 1500
interviste a iscritti delle diverse Comunità ebraiche italiane che
individuano per ora un quadro parziale, che sarà oggetto di ulteriori
studi e approfondimenti.
Michael Calimani
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"One day baby, we'll be
old". Asaf Avidan conquista l'Italia |
La
tappa dell'altra sera a Bari ha dato inizio al mini-tour italiano del
fenomeno musicale del momento: l'israeliano Asaf Avidan. Complice un
remix azzeccato del tedesco Wankelmut, la sua musica ha ipnotizzato
migliaia di giovani italiani festaioli. Dietro il 'tumz-tumz' da
discotecari seriali si nasconde un artista raffinato che vanta tra i
suoi fan Roberto Saviano. Periodo fortunato per Avidan che vede la sua
hit come una delle più condivise e cinguettate sui social network.
Prossime tappe: Roma, Bologna e Torino (4, 5 e 6 dicembre). Il cantante
ha iniziato la sua carriera affiancato dai The Mojos e ora tenta il
salto da solista come fecero prima di lui Robbie Williams e Justin
Timberlake. Accompagnato dalla sua fedele chitarra, compagna di tante
avventure, animerà orde di fan dell'ultima ora. Per prepararvi
ascoltatevi l'immancabile Her lies e l'ultima Different pulses. Un
corso intensivo per poter apprezzare la musica del nuovo astro della
musica israeliana, già incoronato come novello Janis Joplin. "One day
baby, we’ll be old", per il momento tutti in pista!
r.s.
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In cornice - La riscoperta di Guttuso |
Al
Vittoriano di Roma è aperta una grande personale di Renato Guttuso,
artista prima idolatrato, poi dimenticato, ora in via di riscoperta.
Questo altalenante atteggiamento dipende sostanzialmente
dall’inquadramento fortemente partitico di Guttuso, come risulta del
tutto evidente nel suo dipinto “Funerale di Togliatti”, una specie di
grande ritratto della nomenklatura del PCI, e così pure dalla sua
presenza massiccia nelle collezioni della CGIL e di varie istituzioni e
figure vicine al vecchio partito comunista. Nessuno stupore quindi che
dopo il 1989, la sua arte sia finita nel dimenticatoio soprattutto per
motivi ideologici. In realtà, il passato ci insegna che grandi artisti
si sono schierati politicamente in modo non meno marcato di Guttuso
senza che questo nuocesse alla loro fama. Penso ad esempio a Holbein
che dipinse un gran numero di ritratti di Lutero e così, insieme ad
altri suoi colleghi, contribuì non poco alla diffusione del
protestantesimo (che spesso viene legato solo all’affermarsi della
stampa dei libri). In questo senso, si può star certi che mostre
come quella del Vittoriano aprano la porte a una riscoperta di Guttuso
e che il suo credo comunista non lo lascerà nella polvere. Casomai è da
capire se la sua arte sia mai stata all’altezza della fama che aveva
raggiunto; personalmente credo che il suo stile realista, simile a
quello di molti suoi colleghi di sinistra, riprenda troppo da vicino le
lezioni delle avanguardie storiche del primo Novecento e ignori le
nuove strade tracciate dall’arte del dopoguerra. Per non discostarsi
della indicazioni del loro ambiente culturale, si era ibernato
rimanendo un grande tecnico della pittura. Ma non era facile
comportarsi in modo diverso: Vedova, artista di sinistra ma astratto e
quindi troppo “americano” pagò le sue scelte con l’isolamento dai suoi
compagni di gioventù.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
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Tea for two - Giorgio,
Micol e una partita di tennis infinita |
Di questi tempi mi capita di
pensare a Giorgio* e Micol di frequente. I protagonisti del Giardino
dei Finzi-Contini intendo. Dovevo leggere quel libro a quattordici anni
per la scuola, ma lo abbandonai dopo l'ennesima partita di tennis.
Preda di una generazione Moccia che non mi lasciava tregua, piangevo la
morte di Pollo, l'amico di Step, avvenuta tragicamente durante una
corsa clandestina e intessevo nella mia testa storie romantiche di
motociclisti feriti dalla vita e congiuntivi facoltativi. Certamente il
timido Giorgio e le sue riflessioni non facevano al caso mio. Troppe
sottigliezze, troppi complessi, troppo tennis. Con il tempo i gusti si
sono affinati (non così tanto, continuo a vedere telefilm con Gabriel
Garko dai titoli per dittologie) e dal tempo delle mele si è passati a
quello del vino invecchiato. Allora Giorgio ha bussato avanzando
discretamente verso di me. Mi ha raccontato di quel castello incantato
che animava le sue giornate, della stanza di Micol piena di lattimi
comprati a Venezia, del recamier, dei libri disposti a seconda della
provenienza. Mi ha cantato un amore reso epico dalla danza delle ore e
tragico dalla conclusione. Di un amore non corrisposto, o meglio di un
non amore, perché come insegna Lorenzo de' Medici: "Amar non puossi chi
non ama altrui; non ha amante chi non sente amore". Così, caduta
vittima di un febbrone stagionale, ho trascorso sereni pomeriggi
imbucandomi ai garden party dei Finzi-Contini, origliando le
conversazioni telefoniche private tra Micol e Giorgio. Volevo gridar
lui di lasciar perdere i Finzi-Contini, di non volare troppo vicino al
sole, tra l'opulenza di quei nobili incastrati nella gabbia dorata del
loro giardino. E come ho voluto bene a Micol nonostante tutto,
nonostante avesse infranto una love story che sostenevo con tutta me
stessa. Micol piena di ironia, vitalità, con il suo vocabolario
finzi-continico. Come mi sono rispecchiata in questi due ventenni alle
prese con la tesi di laurea, con le traduzioni di Emily Dickinson.
Giorgio resterà sempre nel mio cuore. Alla fine le storie d'amore più
belle sono quelle incompiute, quelle mai avvenute, caricate di
aspettative inesistenti, incoronate da versi in rima. Come sarebbe
stato? Cosa sarebbe successo? Si aprono altre mille strade, altre mille
conclusioni e continuo a vederli, Micol e Giorgio, intenti in una
partita di tennis infinita. E così l'amore mancato sulla pagina,
pervade il lettore.
*Nella mia testa l'io narrante è sempre stato identificato come Giorgio.
Rachel
Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2
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Lo Sport per la pace
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Arti
marziali per la pace tra israeliani e palestinesi: è la "Budo for
peace" un'organizzazione fondata nel 2004 da Danny Hakim, ebreo di
origini australiane, per promuovere il rispetto e l'integrazione in una
regione così delicata come la Striscia di Gaza. Il gruppo conta quasi
700 iscritti con palestre in Israele, Giordania e Turchia e una nuova
scuola a Sydney, in Australia. La disciplina combina alcune tecniche di
Karate con seminari educativi che si riferiscono soprattutto ai più
giovani.
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“Onu,
una vetrina dell’ostilità a Israele” è questo il titolo dell’articolo
che Pierluigi Battista, nella sua rubrica Particelle elementari sul
Corriere della Sera, dedica a un tema fondamentale: la debolezza o
l’assenza delle Nazioni Unite di fronte alle crisi internazionali [...]
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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