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6 dicembre 2012 - 22 Kislev 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


La parola iniziale, che dà il nome alla Parashà, si presta a più di una traduzione. In base al contesto è evidente che essa significa “si stabilì”: “Ya‘aqòv si stabilì nella terra di residenza di suo padre, in terra di Kenà‘an”. Ma il commento di Rashì indica un’altra accezione del verbo: “Ya‘aqòv avrebbe voluto sedersene in tranquillità, ma gli saltò addosso la travagliata vicenda di Yosèf”. Per tutta la sua vita Ya‘aqòv aveva dovuto lottare contro le forze del male, contro gli emissari dello “yétzer ha-rà‘”, della tendenza al male, che gli si sono manifestati sotto varie forme: suo fratello, lo zio Lavàn, l’angelo... Ora, giunto alla vecchiaia, avrebbe voluto non dover più lottare, perché pensava, dopo che gli era stato cambiato il nome, dopo la morte della moglie prediletta e la drammatica vicenda della figlia, di avere definitivamente sconfitto lo “yétzer ha-rà‘”. Invece la decisione celeste era diversa: avrebbe ancora dovuto lottare. Per quale motivo? Anche se personalmente non ne avrebbe avuto bisogno, era necessario che lottasse contro il male: c’è in questa lotta eterna degli tzaddiqìm un beneficio per il mondo. Se lo tzaddìq lotta per se stesso, sta creandosi le forze che gli serviranno in seguito; o meglio, sta creando il suo ruolo di tzaddìq, che si esplica solo quando lotta per gli altri. È una costante della logica dell’Ebraismo. Anche Giobbe diventa veramente giusto nel momento in cui la sua preghiera non è più solo per se stesso e per i suoi cari, ma anche per i suoi amici. Analogamente, Ya‘aqòv è completamente tzaddìq, è completamente Israel, quando la sua lotta non è più per sé: “Èlle toledòth Ya‘aqòv: Yosèf...”, “Queste sono le vicende di Ya‘aqòv: Yosèf”; la lotta di Giacobbe ha un senso ed un’utilità se è rivolta al bene delle generazioni future. L’Ebraismo è in una perenne lotta per la sopravvivenza; ma essa ha uno scopo quando essa è mirata non alla nostra tranquillità, bensì a quella delle generazioni future.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Quest'oggi si chiudono le liste elettorali in Israele in vista del rinnovo della Knesset il 22 gennaio. Lasciamo da parte per un momento lo spettacolo scoraggiante dell'effetto branco nelle votazioni automatiche all'ONU (su mozioni che nessuno può dire onestamente di aver letto nei dettagli), e lasciamo da parte anche le reazioni pavloviane e giovanili del governo Netanyahu (allora io con voi non gioco più). Le decisioni politiche che Israele dovrà prendere nei prossimi anni sono d'importanza critica per la sopravvivenza fisica e per l'identità ebraica e democratica dello stato. Nonostante questo, Israele non riesce a darsi una configurazione parlamentare matura, e vive un non risolto conflitto fra rappresentatività e governabilità con una crescente frammentazione delle liste. La mancanza di una ben consolidata proposta alternativa al di fuori dell'attuale maggioranza riflette una rinuncia alla presa di responsabilità e rammenta sia l'autodistruttiva politica dell'Aventino, sia la parabola degli Oriazi e dei Curiazi. La formazione politica congiunta di Netanyahu e Liberman – condivisibile o meno sul piano delle idee – sul piano del metodo rappresenta un gesto di lungimiranza che sarebbe opportuno imitare.

davar
L'ambasciatore Naor Gilon, convocato alla Farnesina:
“I rapporti diplomatici tra Italia e Israele restano eccellenti”
“Siamo delusi per il sostegno dato dall'Italia all'iniziativa palestinese all'Onu ma i rapporti tra i nostri due paesi erano e restano eccellenti”. Ad affermarlo Naor Gilon, ambasciatore d'Israele a Roma, a margine del colloquio con il segretario generale della Farnesina Michele Valensise e, in teleconferenza da Bruxelles, con il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata. Motivo della convocazione, come noto, la costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme est e in Cisgiordania dopo il voto di riconoscimento dell'Autorità nazionale palestinese alle Nazioni Unite. Un'iniziativa che non è stata gradita da alcuni governi occidentali che hanno richiamato nelle proprie sedi, per un confronto, i rappresentanti diplomatici dello Stato ebraico. Ai giornalisti l'ambasciatore Gilon ha riferito di uno scambio di opinioni "come si fa tra amici”.
Il nesso indissolubile di vicinanza che lega Italia e Israele è stato ribadito, tra gli altri, dallo stesso ministro Terzi di Sant'Agata in una lunga intervista pubblicata oggi sul quotidiano torinese La Stampa. Parole di amicizia (anche nel suo caso si parla di "rapporti eccellenti") ma anche un richiamo alla moderazione “in entrambe le parti”. A Israele così come fatto precedentemente dal presidente Monti con Abu Mazen è stato chiesto, dice il ministro, “di evitare quella che si definisce una 'intifada diplomatica', di non adire insomma alla Corte penale internazionale”. Quali le garanzie ottenute, chiede la giornalista? “L'ambasciatore – spiega Terzi – ha ovviamente preso atto di questa nostra preoccupazione, che riferirà al suo governo, e non ha fornito elementi conclusivi. Le diplomazie stanno lavorando per portare avanti il processo di pace, un elemento questo che mi pare ben compreso da entrambe le parti”. Svariati gli argomenti toccati nell'intervista: dalle motivazioni che hanno spinto il governo Monti ad appoggiare l'istanza palestinese all'Onu (“Il sì dell'Italia è stato un sì all'Anp che assumeva iniziative legali, in sede multilaterali, invece di ricorrere alle armi come fa Hamas”) all'attesa per i risultati del voto in Israele del prossimo gennaio (“Occorrono mutamenti nella politica interna israeliana come in quella palestinese”). Si chiude con una riflessione su altri punti caldi del Medio Oriente, in particolare la Siria. Terzi esclude un intervento occidentale anche in virtù del progressivo avanzamento delle forze di opposizione verso Damasco e annuncia nuovi stanziamenti in soccorso alle popolazioni colpite. “Le principali vittime del conflitto sono i bambini, ora anche per il freddo. Una situazione intollerabile – commenta – alla quale destineremo ulteriori fondi”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

Qui Roma - Quali strumenti contro chi diffonde odio
“Il nostro primo obiettivo deve essere quello di arrivare a una legge fatta bene, che funzioni e che ci tenga al riparo dal rischio boomerang”. Victor Magiar, consigliere e osservatore permanente di Giunta dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, riassume così la sfida dell'Unione al fianco delle istituzioni per arrivare alla stesura di un dispositivo legislativo che punisca con nuovi e più efficaci strumenti i fautori dell'odio e i negazionisti della Shoah. Un fenomeno estremamente variegato e complesso che in questi ultimi anni, con l'ausilio delle moderne tecnologie, ha visto moltiplicare in modo esponenziale il numero dei propagatori ma anche quello dei destinari dei veleni diffusi attraverso la rete. Di questo, di antisemitismo nel cyberspazio italiano e di protocollo aggiuntivo di Budapest – documento cardine per quanto riguarda la criminalità informatica – si è discusso ieri sera al Community Center di via Balbo ad un incontro pubblico cui hanno preso parte, oltre a Magiar, anche la direttrice del Centro di Cultura Miriam Hajun, il consigliere Joseph Di Porto, il ricercatore del Cdec di Milano Stefano Gatti, il sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione Giuseppe Corasani e il direttore dell'Ufficio centrale ispettivo del dipartimento di pubblica sicurezza Domenico Vulpiani.
Al centro delle riflessioni la comune consapevolezza che non sia possibile criminalizzare la rete, grande e irrinunciabile strumento di libertà, ma anche la presa di coscienza che l'individuazione di contromisure adeguate sia un'esigenza sempre più pressante a fronte di una crescita di siti esplicitamente razzisti e negazionisti che va facendosi ragguardevole. Tra i casi concreti citati l'oscuramento del sito neonazista Stormfront e il recente arresto di Daniele Scarpino, amministratore del forum italiano del portale.

Hanukkah accende le luci nel mondo
Dicembre. Anche in tempo di crisi, le città si riempiono di luminarie e decorazioni natalizie. Accade in tutto il mondo, da New York a Parigi, da Londra a Berlino, e naturalmente le città italiane non sono escluse. Anno dopo anno però una nuova tradizione illumina le piazze nel primo mese di vero freddo, con forme, musiche e profumi capaci perfino di distrarre i passanti dall’urgente shopping di regali e cibarie: sono sempre più numerose e diffuse le accensioni in strada di grandi candelabri a otto braccia. In altre parole, di Hanukkiot.
Quest’anno (la festa inizia il 25 Kislev, cioè la sera di sabato 8 dicembre, e si protrae per otto giorni), il panorama internazionale offre senza dubbio eventi imponenti e suggestive: a Parigi si celebrerà con musiche ebraiche dal vivo niente poco di meno che all’ombra (metaforica, visto che la hanukkiah si accende di sera) della Tour Eiffel, a New York grande festa sulla pista di pattinaggio di Central Park e poi accensione di un enorme candelabro scolpito nel ghiaccio sulla Quinta Strada, a Berlino la celebrazione va in scena davanti alla porta di Brandeburgo, a Londra a Trafalgar Square, a Washington DC si esibirà la banda della Marina, nella suggestiva cornice dell’Elisse, a due passi dalla Casa Bianca.
Le Comunità ebraiche italiane non sono da meno: gli appuntamenti si moltiplicano in tutto il paese. Da Roma a Milano, da Torino a Firenze, passando tra le altre per Genova, Bologna, Casale, Trieste, Napoli, si offriranno canti e succulente sufganyot, per condividere con la propria città un momento di festa, e soprattutto, di luce.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Trieste - Una fiaccolata di Memoria e futuro
Sessantanove anni dopo quel 7 dicembre 1943, quando ebbe luogo la prima deportazione ebraica da Trieste ad Auschwitz, la città si è ritrovata in una fiaccolata per non dimenticare e per dire no a ogni forma di intolleranza e di razzismo. Organizzato dalla Comunità ebraica di Trieste con il patrocinio della Provincia, l’appuntamento dal titolo “Una valigia per Ida e gli altri” ha commemorato Ida Marcaria, mancata un anno fa, dopo essere sopravvissuta ad Auschwitz dove era stata deportata con la famiglia. Durante il corteo (immagine di Claudio Ernè) sono stati letti tutti i nomi delle vittime partite da Trieste. Il vicepresidente della Comunità triestina e consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Mauro Tabor, tra i principale promotori della manifestazione,  ha diffuso il seguente messaggio attraverso i canali dei social network:  “Devo dire che ogni anno le sensazioni sono diverse. Quest'anno durante il percorso, mentre ascoltavo i nomi dei nostri martiri letti da Raky Salonichio e da Noa Salonichio ho alzato gli occhi verso le finestre, i balconi delle case lungo la via. Chissà se qualcuna di quelle persone abitava in quelle case, si affacciava da quei balconi. Abbiamo riportato i loro nomi all'aria, alla luce, per le strade della Trieste che probabilmente amavano e che non ha voluto difenderli e salvarli dell'odio fascinazista (scusate il neologismo ma sono stufo del termine nazifascista, i fascisti non sono stati sicuramente inferiori in ferocia). Grazie a tutti quelli che sono venuti”.

Venezia - Al Museo ebraico la mostra sulla Shoah in Europa
"Dal ricordo di tante vittime innocenti deve giungere a tutti noi l'impegno a tener sempre viva, anche con mostre come quella che oggi inauguriamo, la memoria di una così grande tragedia, affinché quel che è bastato animo all'uomo di fare all'altro uomo non possa più ripetersi. Se è vero che chi dimentica il passato è condannato a ripeterne gli errori, allora noi abbiamo il dovere della memoria, della testimonianza, per non dimenticare, per continuare a credere in un futuro di pace e di uguaglianza per tutte le genti."
Questo il pensiero di Corrado Calimani, vicepresidente della Comunità ebraica di Venezia, che insieme ad Anna Vera Sullam, referente del Consiglio per il Museo, Luc Levy, responsabile delle Relazioni Internazionali del Mémorial de la Shoah, e Laura Fontana, corrispondente per l´Italia del Memoriale, ha inaugurato la mostra didattica e divulgativa "La Shoah in Europa" a cura del Mémorial de la Shoah di Parigi.
"Promuovere e tramandare il ricordo della Shoah - ha affermato Luc Levy - è un valore fondante dell'identità europea”. Il referente del Mémorial ha poi ringraziato lo staff del Museo Ebraico di Venezia e in primis Michela Zanon, la direttrice, per l'impegno nella realizzazione di questa importante esposizione.
Questa mostra è la prima in lingua italiana a carattere divulgativo che ricostruisce la storia del genocidio degli ebrei in un contesto europeo, dall'ascesa del nazionalsocialismo in Germania (1933) con l'affermarsi delle prime misure antisemite, all'attuazione del progetto di sterminio, fino al processo di Norimberga (1945-1946).
Frutto di un lavoro di grande rigore scientifico e con l'ausilio di numerosi documenti, articoli di stampa e fotografie, l'esposizione illustra il clima storico-politico in cui evolve la politica antisemita del regime di Hitler dalla discriminazione dei diritti alla persecuzione delle vite, ricostruendo cronologicamente le tappe principali del processo di distruzione delle comunità ebraiche in Europa: dalle misure persecutorie al pogrom della Notte dei Cristalli, dalla creazione dei ghetti nell'Europa dell'Est ai massacri di massa nei territori sovietici, fino all'istituzione di appositi centri di messa a morte.
Al percorso principale della mostra si affianca un ulteriore livello di approfondimento tematico che, a scelta del visitatore, permette di affrontare numerosi aspetti legati alla Shoah che rimangono tuttora poco conosciuti al grande pubblico. Dalla questione del silenzio e della passività della comunità internazionale alle strategie degli Alleati rispetto ai Lager, dal fenomeno della Resistenza ebraica che contrasta lo stereotipo della "vittima inerme" ai tentativi di salvataggio individuali o collettivi, fino alla cancellazione dei crimini da parte degli stessi carnefici, primi negazionisti del genocidio e ai processi dell'immediato dopoguerra, offrendo così una ricostruzione completa e sintetica, seppur nel rispetto della complessità dell'evento Shoah.
E proprio sull'importanza di una corretta trasmissione della memoria è intervenuta Anna Vera Sullam, che ha sottolineato come la memoria sia un dovere in primis ebraico, ma che è responsabilità di tutti noi: il dovere di trasmettere ciò che è stato alle nuove generazioni, un lavoro difficile viste le continue sollecitazioni a cui i giovani oggi sono soggetti. Presente all'evento anche il vicepresidente Coopculture, Cristiana del Monaco, che ha confermato l'impegno che da sempre coinvolge Coopculture non solo nella gestione dei servizi al pubblico del Museo, ma anche nell'organizzazione delle attività didattiche e divulgative volte alla promozione della memoria.
In questo senso, in concomitanza con l'inaugurazione della mostra, nel pomeriggio si è svolto un seminario di formazione per insegnanti sulla Shoah in Europa, in preparazione al Giorno della Memoria 2013 a cui, oltre a Laura Fontana, sono intervenute Renata Segre, storica, ed Erilde Terenzoni della soprintendenza archivistica del Veneto.
La mostra sarà visitabile fino al 6 febbraio 2013.

m.c.

pilpul
Un giornalista in prigione
Se non ricordo male nessuno finora a parlato ancora su questa rubrica della vicenda Sallusti. Per carità, l’argomento non riguarda direttamente l’ebraismo italiano, ma ritengo che l’arresto di un direttore di giornale sia una di quegli argomenti che dovrebbe portarci a riflettere. A prescindere dalla simpatia che si prova per Sallusti, ciò che dovrebbe indurci a pensare è il fatto che un direttore di un giornale sia condannato in quanto socialmente pericoloso. Perché, a parere dei giudici, potrebbe commettere ancora il fatto, ovvero scrivere un articolo o permettere che qualcun altro lo faccia nel suo giornale, esattamente ciò per cui è pagato. Speravamo infatti, che definire un giornalista un delinquente abituale fosse attività praticata ai tempi dell’Urss e non dell’Italia democratica di oggi. E per quanto possa apparire assurdo, poco importa che l’articolo per cui è stato condannato fosse realmente diffamatorio (lo era e gravemente). Il problema non è punire la diffamazione che è un reato, ma la pena smisurata che ad un altro giornalista di opinioni politiche differenti non sarebbe stata ma stata assegnata. Questo dovrebbe realmente preoccuparci; insieme al fatto che quella legge è un residuo della legislazione fascista, ma, a quanto pare, poco importa degli effetti che produce se a essere condannato è Sallusti e non qualcun altro.

Daniel Funaro, studente

notizieflash   rassegna stampa
David Gerstein in mostra a Roma   Leggi la rassegna

Torna a esporre a Roma dopo quattro anni l’artista israeliano David Gerstein. L'appuntamento è questo pomeriggio alle 18.30 all'Ermanno Tedeschi Gallery, in pieno quartiere ebraico, con una densa retrospettiva sulle opere che l'hanno reso tra i pittori e gli scultori di maggior richiamo internazionale.



 

Medio Oriente ancora preponderante sulle pagine dei quotidiani italiani. Tra i temi più toccati il colloquio svoltosi ieri alla Farnesina tra il segretario generale Michele Valensise e l'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon.









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