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11 dicembre 2012 -27 Kislev 5773
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alef/tav
linea

Roberto
Della Rocca,
rabbino

Tutta la tragedia tra Yoseph e i suoi fratelli scaturisce dal fatto che “ …non poterono parlare in pace...” (Bereshìt, 37; 4). Secondo il commento di rav Hirsch l’insofferenza dei fratelli nei confronti di Yoseph era talmente grande che qualsiasi cosa dicesse, anche amichevole, veniva interpretata negativamente. Questo è il grave problema di quando due persone sono in conflitto: l’una non è disposta a parlare e l’altra ad ascoltare. Se cominciassero a parlarsi in pace e con lealtà si accorgerebbero che la lite non aveva nulla su cui basarsi. 
Dario
 Calimani,
 anglista



Su queste pagine è apparsa una riflessione sull’inopportunità che un giornalista (il direttore del Giornale, Sallusti) finisca in prigione per le sue idee. E la cosa, detta così, trova facile consenso presso ogni mente libera e minimamente illuminata. Credo si possa anche riflettere più articolatamente, tuttavia, sul fatto che non dovrebbe essere lecito a nessuno diffamare gratuitamente il prossimo, magari per contrastare l’azione giuridica di un magistrato. Non dovrebbe essere lecito distruggere, con la diffamazione, la dignità e la reputazione di un uomo e la sua carriera professionale, e non dovrebbe essere lecito cercare di devastargli allo stesso tempo la quiete familiare (come è stato fatto con Boffo, direttore dell’Avvenire). La diffusione di notizie false (oltretutto per mano altrui, come ha fatto il direttore Sallusti) per delegittimare l’avversario è una prassi non degna di un paese e di una società che si dicano civili, e la denuncia di tale prassi, chiunque sia l’avversario, dovrebbe essere netta e senza ambiguità, come norma etica per tutti noi. Credo non sia necessario richiamarsi alla Torah e all’halakhah per affermare questo principio. Curioso che in ebraico uno dei termini per la calunnia sia ‘rachil’, l’azione di chi ‘mercanteggia’ in falsità, forse perché spesso la calunnia viene ripagata in denaro da chi la usa ad interesse. Quindi, rovesciando il risultato di certe riflessioni: la prigione è certamente troppo per un atto di diffamazione, ma una condanna pecuniaria è certamente troppo poco. Osservando, ad aggravante, che da un direttore di giornale, che forma (e deforma) l’opinione della gente, ci si aspetterebbe un pizzichino di etica in più.
davar
Italia e Israele - Un laboratorio per la cultura
L'obiettivo è quello di sviluppare uno strumento flessibile in grado di convogliare l'impegno di settore pubblico e privato, sviluppare nuove e più forti sinergie, valorizzare le eccellenze culturali. Nata in autunno e annunciata dal presidente del Consiglio a Gerusalemme in occasione dell'ultimo vertice intergovernativo tra i due paesi, la Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti è stata presentata questa mattina nella Sala Conferenze Internazionali del Ministero degli Affari Esteri.
“Si tratta di un'iniziativa espressione di un legame profondo e indissolubile. L'agenda di eventi che stiamo allestendo – ha affermato il ministro Giulio Terzi di Sant'Agata – nasce dal presupposto che la cultura sia il miglior strumento di incontro e dialogo tra i popoli. Dal progetto di portare alcuni grandi nomi dell'arte figurativa a Gerusalemme – Tintoretto, Tiziano e Botticelli – alla mostra in calendario a Roma a gennaio con la partecipazione di un gruppo di artisti contemporanei israeliani per arrivare alla realizzazione di eventi dedicati all'Aliyah Bet. Nuovi stimoli per rinsaldare un'amicizia che si regge su solidissime fondamenta che non subiranno mai oscillazioni perché poggiano su valori condivisi”. Al suo fianco l'ambasciatore d'Israele a Roma Naor Gilon, che ha illustrato i vantaggi di presentarsi al mondo sotto un'autorevole bandiera comune in grado di incentivare e rafforzare iniziative di grande impatto. Estremamente significativo, ha sottolineato, il fatto che il varo avvenga in un periodo in cui ebrei e cristiani celebrano entrambi una festività che ha nella luce il suo elemento caratterizzante. “L'auspicio – ha concluso – è che anche la Fondazione possa portare un po' di luce”. A soffermarsi sui punti cardine di questa sfida anche il presidente della Fondazione, il noto giurista e dirigente d'azienda Piergaetano Marchetti. “Vogliamo essere una struttura snella che opera in modo rapido e libero. Lavoreremo - ha spiegato - per realizzare progetti di qualità ponendoci come un punto di riferimento e allo stesso tempo agendo in sinergia con le altre realtà già attive nel settore”. Chiamati ad incarichi di alta responsabilità i due vicepresidenti designati, Anita Friedman e Raphael Gantz, e il direttore generale Simonetta Della Seta.
Sono intervenuti nel corso dell'incontro, tra gli altri, anche il direttore generale per la promozione del sistema paese del ministero, l'ambasciatore Maurizio Melani, e il segretario generale della Farnesina Michele Valensise. Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha offerto piena disponibilità nello sviluppo di appuntamenti che tocchino da vicino le specificità del più antico nucleo ebraico della Diaspora.

Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked

Melamed - La strategia dell'educazione come motore
dello sviluppo e dell'economia 
Università Bocconi e giornale dell’ebraismo italiano assieme per raccontare come l’antica lezione ebraica di investire sull’educazione possa servire come leva dello sviluppo economico. Un libro e un’occasione per riflettere sull’importanza dell’istruzione nello sviluppo dei popoli e delle loro economie, tema quanto mai attuale alla luce della crisi che sembra non conoscere facile soluzione. Il volume è “I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492” (Egea – Università Bocconi Editore, 2012), di Maristella Botticini, professoressa di economia alla Bocconi, e Zvi Eckstein della Università di Tel Aviv. L’occasione per presentarlo sarà la tavola rotonda “L’istruzione come leva dello sviluppo economico. Spunti dalla storia ebraica”, organizzato dall’Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research dell’ateneo milanese, dal giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, e dalla casa editrice del prestigioso ateneo milanese (a Milano, questo mercoledì 12 dicembre 2012, ore 18, Aula N03 piazza Sraffa 13). L’opera, traduzione in italiano del libro pubblicato dagli stessi autori con Princeton University Press e in corso di pubblicazione in ebraico con Tel Aviv University Press, spiega come i valori culturali e le norme sociali promossi dall’ebraismo duemila anni fa, più ancora di proibizioni e persecuzioni, abbiano forgiato la storia economica e demografica degli ebrei.
All’incontro, moderato dal giornalista Guido Vitale, coordinatore Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore della redazione di Pagine Ebraiche, parteciperanno l’economista Alberto Alesina (Harvard University), l’autrice Maristella Botticini (Università Bocconi), il rabbino Roberto Della Rocca (direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI) e lo storico Giacomo Todeschini (Università di Trieste).

Pubblichiamo qui l'editoriale dedicato al libro sul numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione firmato da David Bidussa.

Vogliamo esplorare la Storia? Costruiamoci nuove mappe

All’inizio del 1963 quando Giulio Einaudi Editore pubblica la Storia degli ebrei in Italia di Attilio Milano, Corrado Vivanti, allora redattore di storia della casa editrice, invia una copia del libro a Ruggiero Romano, che è stato il suo referente negli anni di studio a Parigi e con cui sta per avviare il progetto della Storia d’Italia Einaudi. Pochi giorni dopo Romano gli risponde con una lettera (datata 25 febbraio 1963) in cui scrive fra l’altro: “il Milano mi sembra buona e cattiva cosa insieme. Buona in quanto libro ricchissimo di dati; cattiva perché troppo ‘ebraico’. Va bene che è una storia degli ebrei in Italia. Ma l’Italia dov’è? Per esempio: il Milano constata che alla fine del ‘200 v’è un movimento dal Sud verso il Nord, di ebrei; nelle nuove sedi questi ebrei (che si possono supporre ex-artigiani) si trasformano in ‘banchieri’! Va bene. Ma perché? Io credo che la ‘crisi’ del XIV c’entri qualcosa. Ma il Milano non si pone il problema neppure da lontano. Dice che i cristiani non fanno più quel lavoro… D’un colpo, tutti buoni. W San Francesco! E quegli Altri tutti cattivi! Abbasso il popolo deicida!”. Non so come avrebbe reagito a cinquant’anni di distanza Ruggiero Romano se avesse avuto l’opportunità di leggere I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492, di Maristella Botticini e Zvi Eckstein(Università Bocconi Editore). Probabilmente avrebbe con concordato e dissentito. Ma avrebbe sottolineato almeno tre aspetti essenziali che mi sembrano strutturali di quella ricerca: la questione di una geografia delle diverse diaspore ebraiche; la questione di tempi e di funzioni; il fatto che non si dia determinismo economico. Ossia che non ci sia in sé una vocazione e un ruolo fissato tra gli spiragli della società entro cui collocarsi e esercitare una funzione o svolgere un ruolo. Ma che si debba prestare attenzione al valore culturale dell’agire economico. Per due motivi ciò è importante. Una delle operazioni più consuete che si compiono nella percezione del passato è quello della sua ricostruzione a posteriori come ricerca di una consuetudine che nascerebbe dalla propria identità. Così si è qualcuno (o si crede di essere qualcuno) in base a usi, consuetudini, qualità, che vengono identificati come essenziali nella propria storia passata, ma anche nei comportamenti. Ovvero si intende a trasformare in essenza ciò che invece è il risultato di scelte, e dunque di dati prodotti dalla contingenza. In altre parole si trasformano contesti in archetipi. E’ ciò che in storiografia Eric Hobsbawm ha chiamato con il termine di “invenzione della tradizione” (L’invenzione della tradizione, Einaudi 1987), un processo che non è solo il risultato di credenze ma a cui gli stessi storici con il loro stesso agire non sono estranei. Infatti, gli storici stessi, sottolinea Hobsbawm, con il loro incessante "creare, demolire e ristrutturare immagini del passato", partecipano, anche inconsapevolmente, a delineare il retroterra a cui l'invenzione della tradizione potrà attingere e fare riferimento. L’altra questione importante riguarda la dimensione del mercante, del ruolo dell’intermediario. La sua fisionomia storica non deriva solo da ciò che fa, ma dalla cultura che ha, ovvero degli strumenti che possiede. In questo senso l’elemento dell’alfabetizzazione non è indifferente, ma anche quello del reinvestimento, dell’uso dell’istruzione come strumento versatile e dunque non come sapere colto, aristocratico. Ne discende un terzo aspetto molto importante del modo di affrontare la storia degli ebrei che è possibile, o perlomeno diventa comprensibile se si analizzano non solo le “disavventure” e dunque la storia delle persecuzioni, ma il modello delle reti, ovvero la dimensione del sistema degli scambi. E questo modello delle reti risulta essenziale esattamente se si tengono presenti gli scenari di crisi (per riprendere la domanda di Ruggiero Romano), ovvero quei momenti di passaggio che modificano non solo la collocazione fisica delle persone (e dunque dove si trovano o verso dove vanno) ma anche il cotesto di relazioni entro cui si muovono (un aspetto su cui a lungo si erano concentrati Eliyahu Ashtor e Salo Baron). In questo senso il capitolo dal titolo “il trauma delle invasioni mongole” (pp. 343-359) consente di ragionare proprio sul tema del modello, ma anche le osservazioni sulla produzione del vino e sul suo uso (p. 289 e sgg.), dicono che una storia degli ebrei non è solo la storia delle regole e della loro giustificazione, ma che esiste una pratica che si modifica, che si costruisce nel tempo e che quella pratica è conseguenza di un’analisi delle congiunture. Le quali appunto discendono dalla ricostruzione dello spazio che occupano gli ebrei, dei confini verso cui arriva il loro agire. In breve che la storia degli ebrei, o meglio degli ebrei nella storia è data da un’analisi delle mappe o dalla costruzione di mappe. Al centro vi sono i comportamenti, i sistemi di relazione, l’individuazione dei punti snodo e di scambio, i molti luoghi di passaggio tra individui, merci, informazioni, e dove un elemento essenziale è dato dalla cultura e dalla scrittura di cui un deposito ricco, che Botticini e Eckstein utilizzano copiosamente è la genizah del Cairo (ma su questo spetto forse una comparazione con altri depositi di documenti e lettere, per esempio il ricco fondo documentale di Francesco Datini avrebbe anche aiutato a comprendere altri aspetti del rapporto tra scrittura, cultura, economia). Il che significa che il manuale della storia degli ebrei è soprattutto un atlante storico e un’educazione a consultarlo. Una battaglia culturale che non si limita a invitare alla storia, ma anche a vederla nel suo farsi. E dunque concretamente abbandonare il piano della metafisica e della dimensione essenzialista della storia.

Qui Ferrara - L'ultimo dono di Paolo Ravenna alla città
Pubblico delle grandi occasioni ieri a Ferrara per la presentazione, a Castello Estense, dell’ultimo lavoro di Paolo Ravenna, giurista e intellettuale da poco scomparso che aveva legato il suo nome all’impegno pluridecennale profuso nella valorizzazione del patrimonio culturale e artistico dell’ebraismo ferrarese. “La sinagoga dei Sabbioni”, pubblicato da Edisai Edizioni e completato pochi giorni prima della scomparsa, ricostruisce le vicende di questa antica Comunità ponendo al centro della narrazione la sinagoga quattrocentesca di via Mazzini – un tempo via Sabbioni – e il variegato universo di gente, di mondi e di tradizioni che le è orbitato attorno attraverso i secoli. Tra i vari capitoli di vita affrontati nel corso del convegno anche il ruolo fondamentale avuto da Ravenna all’interno del Consiglio del Meis, il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah in allestimento nel vecchio carcere di Via Piangipane. “È stata la sua ultima fatica, un’impresa di grandissima portata, un’esperienza forse unica al mondo”, ha spiegato il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, tra gli ospiti chiamati ad offrire un contributo di memoria sul suo operato. Dal presidente dell’Unione è giunto anche un invito a raccogliere il testimone lasciato dall’avvocato Ravenna affinché il Museo venga al più presto completato “così da dare un segno di speranza e di fiducia a tutto il paese”.
Tra gli interventi più attesi quello del figlio Daniele, che ha spiegato come l’opera del padre fosse sempre volta a coniugare gli opposti: passato e futuro, laicità e sentimenti religiosi, antica città e quartieri moderni. Un attivismo che ha toccato tappe di grande significato per la collettività e che è stato illustrato da Adriano Prosperi, docente della Scuola Normale Superiore di Pisa. “Paolo Ravenna – ha spiegato l’illustre accademico – è sempre stato in prima linea nella tutela delle fonti e nelle tracce della storia minacciate dalle insidie dell’oblio e della cancellazione”.
Un significativo riferimento alla sinagoga di via Mazzini, tra gli altri, è stato fatto da Andrea Pesaro, presidente dell’associazione Amici del Museo ebraico di Ferrara. “Quell’edificio – ha affermato – è ancora capace di coagulare attorno a sé, attorno all’idea della cultura ebraica, tantissime persone”. Fu questo, ha spiegato, l’argomento di uno degli ultimi incontri con Ravenna. Parole di apprezzamento sono infine giunte dal sindaco Tiziano Tagliani, che a nome di tutta la città ha voluto esprimere riconoscenza per l’energia spesa da Ravenna a beneficio di Ferrara e “per la sua pervicace volontà di difendere le emergenze cittadine”.
Qui Roma - La carta come forma d'arte
Sono tre fuoriclasse della lavorazione artistica della carta - Etti Abergel, Yael Balaban e Ofri Cnaani - ad aprire il quarto e ultimo capitolo di About Paper. Israeli Contemporary Art. Curata da Giorgia Calò, la rassegna è riuscita ad aprire, con ottimi feedback, una significativa finestra sull'arte contemporanea israeliana attraverso le opere e il carisma di alcune protagoniste in rampa di lancio. Numerosi, anche ieri sera, i visitatori accorsi alla Galleria Marie-Laure Fleisch per l'inaugurazione di Anima/Viscera (porte aperte fino al 16 febbraio 2013) e alla Casa delle letterature dove è esposta la specifica performance della Cnaani. A racchiudere il significato di questa esperienza la presentazione, martedì 18 dicembre alle 18.30, del volume About Paper. Israeli Contemporary Art edito da Postmedia Books. Un libro che, spiega Calò, "vuole analizzare non solo l’attività delle artiste scelte per le mostre, ma anche più in generale la situazione artistica contemporanea israeliana nell’ambito di una produzione focalizzata sull’uso della carta e del disegno". Per avere un quadro d’insieme è stato chiesto ad alcuni curatori e direttori di musei israeliani un intervento critico: i diversi punti di vista, prosegue la curatrice, "servono a fornire un'inedita interpretazione del panorama artistico rivolto al disegno nelle sue varie declinazioni attestando il cambiamento di una situazione che sta assumendo nuove prospettive internazionali". All'incontro interverranno anche Ofra Farhi, addetta culturale dell’Ambasciata d’Israele in Italia; Ronit Sorek, Curator Department of Prints and Drawings dell’Israel Museum di Gerusalemme; Ruth Direktor, Chief Curator del Haifa Museum of Art; Drorit Gur Arie, Director e Chief Curator del Petah Tikva Museum of Art, e Alfredo Pirri, artista ed ex docente della Bezalel Academy di Gerusalemme.

"Maggiore consalevolezza contro fenomeni di odio"
"Profonda preoccupazione per l’aumento di pregiudizi e di odio verso le minoranze in questi tempi di crisi economica, politica e sociale". La esprimono, in una nota, la Federazione delle Amicizie Ebraico Cristiane e i Colloqui Ebraico Cristiani di Camaldoli. Il riferimento è duplice: la persecuzione di cittadini cristiani nei paesi dove questa identità non è maggioritaria e l'aumento di fenomeni antisemiti in Italia e nel mondo."L’antisemitismo - si legge nella nota - ha ormai assunto la forma di un fenomeno consolidato, è quasi sempre connesso al tema Israele, si sovrappone all’antisionismo, ha la tendenza ad attaccare le comunità della Diaspora per il loro legame con lo Stato ebraico, vive e si alimenta nel cyberspazio". Il documento si conclude con una richiesta di maggiore e responsabile coinvolgimento dei cittadini italiani "nell'assetto futuro delle nostre democrazie" e con un richiamo alla vigilanza sui mezzi di informazione e formazione spesso responsabili, è scritto, "di un superficiale e parziale trattamento dei fatti, nonché di volute omissioni, e propagano in contesti pseudopolitici vecchie menzogne e miti antisemiti".

pilpul
Il racket dell’elemosina
La notizia è questa. La cito a memoria perché compare ciclicamente, cambiano i dettagli ma non la sostanza: sgominato racket dell’elemosina nelle nostre città, costretti a mendicare in condizioni terribili per mandare pochi spiccioli a casa. Donne e uomini provenienti dall’Europa dell’est (ma non solo) vengono “importati” da criminali allo scopo di drenare denaro ai semafori, agli angoli delle strade, all’uscita dei supermercati. Talvolta costretti a zoppicare, fare finta di avere menomazioni perché con la pietà si guadagna di più.
La notizia è questa, dunque, purtroppo non così rara. Ma la domanda è: quale atteggiamento produce in noi questo titolone? Temo che ci faccia concentrare solo sulla prima parte della storia, e non sulla seconda, quella che ci riguarda. Mi spiego. Oltre al giustificato sdegno per questi criminali senza scrupoli occorre domandarsi: posso fare qualcosa per queste persone disgraziate? Posso, anche in minima parte, aiutarli quando li vedo che aspettano in un distributore di benzina chiuso e gelido, tanto per fare un esempio?
Questa domanda non ce la poniamo, invece. Ci ricordiamo della notizia solo per essere più tranquilli quando non vogliamo elargire gli spiccioli che abbiamo in tasca. Ma, se vogliamo essere proprio precisi, pur nelle condizioni terribili in cui queste persone vengono obbligate a mendicare, tutte hanno mandato un po’ di soldi a casa, e magari mantenuto la famiglia. Come dire, dal loro punto di vista meglio di niente.
Insomma, la mia sensazione è questa: a meno che non si sia molto attivi nel contrasto alla povertà, non si faccia volontariato sociale, non si sia davvero generosi in qualche modo, una moneta bisogna sempre darla. Come ci insegna la tradizione ebraica – se ben ricordo – che intima di fare l’elemosina a tutti, meglio poco ma a tutti. E come ci insegna l’esperienza: chi non dà una moneta, e vi spiega mille ragioni per non farlo, generalmente non dona neanche molto di più.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas - twitter @tobiazevi

notizie flash   rassegna stampa
Sfilata ad alta quota   Leggi la rassegna

Passerella ad alta quota per lo stilista israeliano Philip Blau che ha fatto sfilare sullo strettissimo corridoio di un aereo i propri modelli di alta moda. Una singolare trovata per inaugurare la nuova tratta Tel Aviv - Budapest della compagnia aerea low cost Wizz.

 

 “Per secoli l’Europa è stata il luogo di odio e guerre. Oggi è un’unione di nazioni, popoli, società che vivono insieme cercando di superare odi e ideologie”.
















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