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 12 dicembre 2012 - 28 Kislev 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
david sciunnach
David
Sciunnach,
rabbino 


Durante la festa di Chanukkà diciamo: “E si è stabilito di ringraziare e lodare il Tuo grande Nome”. Rabbì Mendel di Kotzk interpreta questo verso dicendo: “La forza del miracolo ha pervaso tutti a tal punto che fanno attenzione al miracolo che continuamente accade”.
 Davide 
Assael,
ricercatore



Davide Assael
In Italia si è ormai aperta la campagna elettorale in cui, come in tutta Europa, la sfida sembra essere fra le forze che si riconoscono nel processo di integrazione europea e i partiti populisti che traggono consenso dal disagio creato dalla crisi economica. Una sfida che non risponde ai tradizionali parametri delle consultazioni democratiche e che, proprio per questo, non può vedere indifferente il mondo ebraico. Sia per la presenza di elementi incompatibili con l’orizzonte etico che i rabbini, su queste stesse pagine, ci ricordano con i commenti alle parashòt di ogni settimana, sia perché, in quanto “minoranza straniera”, gli ebrei rischiano in proprio. Proprio per questo, ringrazio, per quel che conta il mio parere, Riccardo Pacifici, che, da Roma, ha richiamato il rischio rappresentato dalla candidatura di Alba Dorata alle regionali lombarde. Spero che questa non venga interpretata come un’indebita ingerenza nelle legittime opinioni politiche di ciascun ebreo italiano. E se così non fosse, avrei piacere che lo stesso parametro fosse applicato ad ogni tendenza populista che si profila all’orizzonte. Per il resto, buon voto a tutti.

davar
Investire sull'educazione è la chiave del rilancio economico
Università Bocconi e Pagine Ebraiche insieme a Milano
Ci sono dodici anni di lavoro, dietro il volume “I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492” (Egea – Università Bocconi Editore, 2012) di Maristella Botticini, professoressa di economia alla Bocconi, e Zvi Eckstein dell’Università di Tel Aviv. Dodici anni di ricerche approfondite, incontri con esperti di storia ebraica, viaggi e consulenze. A raccontarlo è la stessa autrice, nel suo ufficio all’Università Bocconi, che ospiterà oggi la presentazione del libro organizzata insieme al giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche e alla Libreria Egea (mercoledì 12 dicembre 2012, ore 18, Aula N03 piazza Sraffa 13).
Alla tavola rotonda, dal titolo “L’istruzione come leva dello sviluppo economico. Spunti dalla storia ebraica”, che sarà moderata dal giornalista Guido Vitale, coordinatore Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore della redazione di Pagine Ebraiche, parteciperanno, oltre all’autrice, l’economista Alberto Alesina (Harvard University), il rabbino Roberto Della Rocca (direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI) e lo storico Giacomo Todeschini (Università di Trieste).
Tutto cominciò nel 1999, quando Botticini incontrò Eckstein alla mensa universitaria della Boston University, dove si trovavano entrambi, lei come assistente del Dipartimento di economia, lui come visiting professor. Nel corso del pasto, condividendo le proprie aree di interesse scientifico, economia del lavoro nel caso di Eckstein e storia economica con un focus sulla Toscana medioevale per Botticini, la professoressa italiana raccontò al collega un esito imprevisto delle sue ricerche negli Archivi di Stato di Firenze: una foltissima documentazione sulle transazioni di denaro che coinvolgevano i prestatori ebrei. “Zvi mi chiese quale fosse la ragione per la diffusione di questa professione tra gli ebrei dell’epoca - ricorda Botticini - Io gli diedi la risposta classica, le persecuzioni che proibivano agli ebrei di possedere terra, il fatto che ai cristiani fosse vietato prestare denaro a interesse. Ma poi cominciammo a chiederci se fosse davvero così. Un anno dopo partirono le nostre ricerche”. I primi dati che gli studiosi rilevarono sembravano smentire quella spiegazione: gli ebrei avevano abbandonato l’agricoltura per abbracciare il mondo delle professioni colte già con l’espansione dell’impero musulmano tra i secoli VIII e X, senza essere stati soggetti a restrizioni. Contemporaneamente la popolazione ebraica aveva subito un drastico calo demografico tra il I e l’VII secolo solo parzialmente spiegabile con persecuzioni, massacri e pestilenze. “Raramente ci si sofferma a riflettere sul fatto che anche la scelta religiosa è influenzata dall’economia – spiega Botticini – Essere ebrei in quei secoli era costoso. Per essere considerati un buon membro della Comunità era necessario investire molto sull’istruzione dei propri figli, che dovevano essere in grado di leggere la Torah in sinagoga, sottraendo tempo al lavoro nei campi e senza averne un immediato ritorno economico, perché in quegli anni dell’alto Medio Evo, l’alfabetizzazione e la cultura non offrivano opportunità. Per questo è ragionevole pensare che molti abbiano abbandonato l’ebraismo a favore di altre fedi con minori pretese. Con l’avvento dell’impero musulmano e la nascita delle città e delle professioni, chi si trovò però pronto a cogliere le nuove opportunità lavorative? Proprio quella popolazione che per secoli aveva imparato a leggere, scrivere e istruirsi a scopo religioso, sviluppando una collaterale capacità a svolgere attività sofisticate”.
Il volume ripercorre le tappe della trasformazione tra fatti storici e analisi economiche.
Le ricerche di Botticini e Eckstein, oggi rispettivamente direttore dell’Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research, e decano della facoltà di Economia dell’IDC di Herzliya già vicegovernatore della Banca centrale d’Israele dal 2006 al 2011, hanno osservato “lo straordinario lavoro di approfondimento dei microscopi degli storici con il cannocchiale dell’economia” usando le parole di Botticini.
Il risultato è, ci tiene a sottolineare la professoressa, “un messaggio straordinariamente positivo: il popolo ebraico è quello che è oggi non per via delle persecuzioni che ha subito ma per le proprie capacità, per i propri valori religiosi e culturali”. Primo fra tutti proprio quello di investire nell’istruzione.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Roma - La luce dei Giusti illumina Hanukkah
“I Giusti hanno donato un raggio di luce nel momento più oscuro della storia dell'umanità. La presenza di alcuni di loro questa sera è un grande onore. Li ringrazio, a nome mio e del popolo d'Israele”. Queste le parole con cui l'ambasciatore d'Israele in Italia Naor Gilon ha aperto le celebrazioni svoltesi nella sua residenza romana in occasione del 50esimo anniversario dell'istituzione del riconoscimento di Giusti tra le Nazioni attraverso il quale il popolo ebraico attribuisce il massimo onore a quanti si prodigarono per mettere in salvo uno o più perseguitati durante il nazifascismo. Sul palco di casa Gilon salgono salvatori e salvati. A condurre la serata, nel corso della quale si ricorda solennemente l'impegno dei Giusti Giulio, Umberto e Santa Antolini, Alberto e Maria Nembrini Gonzaga, Paolo ed Ebe Gerbalena, Francesco e Ottavia Zanardi, la storica del Cdec e consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Liliana Picciotto. Ospiti d'onore della cerimonia il presidente del Senato Renato Schifani e quello della Camera Gianfranco Fini. “La violazione dei diritti umani, l'intolleranza religiosa e l'odio razziale sono veleno per la democrazia, il vivere civile e per la pace tra i popoli. Le gesta eroiche dei Giusti – ha detto Schifani – aiutano le giovani generazioni a conoscere e a non dimenticare.”. Parole chiare anche dal presidente Fini che ha spiegato come l'antisemitismo rischi sempre più di essere “quello di coloro che si proclamano ostili al diritto dello Stato di Israele di esistere e di vivere in condizioni di pace e di sicurezza”. Tra gli invitati l'ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede Zion Evrony, il presidente UCEI Renzo Gattegna, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e la sua omologa fiorentina Sara Cividalli. L'accensione dei lumi della Chanukkiah ha concluso la serata.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

Qui Firenze - In piazza contro il razzismo
Era il 13 dicembre 2011 quando l'odio razzista e xenofobo colpì mortalmente la comunità senegalese fiorentina. A distanza di un anno da quelle ore terribili l'intera cittadinanza si mobilita con una serie di iniziative in ricordo delle vittime dell'agguato e volte a diffondere valori universali di pace e fratellanza tra le diverse anime della società. “Tutta la Comunità ebraica di Firenze e io ci stringiamo attorno ai ragazzi feriti, ai familiari di Samb Modou e Diop Mor che hanno perso la vita e a tutta la comunità senegalese duramente colpita dal cieco odio razziale”, afferma nel comunicato di adesione la neo presidente Sara Cividalli.
“La nostra esistenza come ebrei – si legge ancora nella nota – ha subito in tempi e luoghi diversi l'odio razzista ed è quindi per noi naturale condannare ogni gesto di discriminazione e di repressione razziale nei confronti di coloro che per qualsiasi motivo vengono considerati diversi. Un impegno che deve essere rinnovato giorno per giorno affinché non si verifichi mai più una tragedia come quella di piazza Dalmazia”.
Qui Roma - Hanukkah in redazione
Anche la redazione ha voluto celebrare la Festa delle luci coinvolgendo nell'accensione della Hanukkiah i colleghi dei vari uffici e dipartimenti dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Ad allietare i palati l'inconfondibile fragranza delle sufganiot, i dolci tipici di questa ricorrenza amata da grandi e piccini.

Qui Roma - La Lista Binah si racconta
Confrontarsi con gli iscritti, fare il punto sui risultati ottenuti e sulle sfide ancora da vincere, elaborare nuove proposte progettuali. Questo lo spirito che ha animato l'iniziativa Hanukkah con Binah svoltasi ieri sera al Centro Pitigliani di Roma con l'obiettivo di avvicinare le esponenti della lista tutta al femminile che nella Capitale ha concorso alle ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio UCEI ottenendo il 39 per cento di preferenze alle istanze di elettori e nuovi potenziali sostenitori. Cinque i macrotemi selezionati dalle organizzatrici: rapporto con i giovani, trasparenza, impegno a difesa delle donne e per le donne, antisemitismo e nuovi venti d'odio, lavoro in commissioni. La serata, apertasi con l'accensione della Hanukkiah, è vissuta su un continuo confronto tra pubblico e Binot – consigliere ma anche candidate non elette. “Non siamo una lista verticistica ma un gruppo coeso che lavora in modo sinergico. Elette e non elette – ha spiegato Jacqueline Fellus in apertura di evento – hanno la medesima importanza nelle decisioni che vengono prese”. In sala anche il consigliere e osservatore permanente di Giunta Anselmo Calò, che tra i suoi compiti ha quello di coordinare le attività delle varie commissioni interne al Consiglio dell'Unione. Una metodologia di lavoro la cui importanza è stata più volte affermata nel corso dell'incontro assieme alla sfida di lavorare in direzione di una sempre maggiore trasparenza e unità di intenti anche su scala nazionale. L'occasione è stata infine propizia per promuovere un'importante iniziativa di solidarietà che prende forma in queste ore con l'arrivo a Roma di alcuni ragazzi israeliani di Sderot, tra le località più colpite dai missili dei terroristi di Hamas.

Qui Milano - Il Cdec ricorda Alessandra Chiappano
Storica appassionata, insegnante, ricercatrice, esperta di didattica e in particolare di didattica della Shoah, una persona determinata eppure umile, generosa e sempre piena di progetti. Così la Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano ha ricordato la studiosa Alessandra Chiappano, scomparsa improvvisamente lo scorso agosto a 49 anni.
Alla Libreria Claudiana di Milano sono accorsi in tantissimi, amici, colleghi, lettori.
Ad alternarsi sul palco, introdotti dal direttore della Fondazione Cdec Michele Sarfatti, coloro che con Alessandra Chiappano avevano condiviso una parte dei suoi molteplici impegni: Fabio Pace, per tanti anni collega della professoressa all’Istituto tecnico Pasolini, Anna Sgherri, già ispettore del Ministero dell’Istruzione, Nadia Baiesi direttrice della Fondazione Scuola di Pace di Monte Sole, Angela Colombo dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Bruno Maida, tutor di dottorato di ricerca in Storia contemporanea all’Università di Torino, che Alessandra completò nel 2009.
In questo modo sono state ricordate le molteplici sfaccettature dell’impegno di Alessandra Chiappano, cominciando con i suoi libri, dai materiali didattici per preparare gli insegnanti ai viaggi della Memoria, alla riuscita biografia di Luciana Nissim Momigliano, che ricevette gli elogi di un uomo non facile alle lodi come lo storico Giovanni Miccoli. Poi ancora l’amore della professoressa per la scuola (aveva da poco ricevuto la notizia di aver vinto il concorso di preside), il suo lavoro per numerosi istituti e associazioni e infine la mostra “A noi fu dato in sorte questo tempo” ospitata tra gli altri nel Palazzo del Quirinale.
Tra il pubblico, anche Liliana Segre, sopravvissuta e testimone della Shoah, che ha voluto offrire il suo ricordo di Alessandra “una persona capace di approcciare anche i temi più difficili e delicati con un garbo e una sensibilità incredibili”.
Ad Alessandra Chiappano è stato dedicato negli scorsi giorni anche il doppio appuntamento con il Seminario di formazione per insegnanti a Roma e a Torino, organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con Ministero dell’Educazione dell’Università e della Ricerca, Fondazione Cdec, Fondazione Museo della Shoah di Roma, Progetto Memoria di Cdec e Dipartimento Cultura della Comunità ebraica di Roma e Federazione nazionale insegnanti sezione Roma.

pilpul
 Ticketless - Un ristorante a Scandiano
Proseguo nell’esplorazione delle case ebraiche. Più di quelle che hanno subito le sinagoghe, su cui esiste una discreta bibliografia, mi interessano le metamorfosi che subiscono le case private. Un grande scrittore ebreo francese Georges Perec ci ha insegnato che dal via vai di inquilini di un edificio si possono ricavare istruzioni per la vita. Se andiamo a Lecco, in quella che fu quasi sicuramente la casa di Lucia Mondella, troviamo oggi un ristorante. Se lasciamo Reggio Emilia e saliamo sopra uno di quei treni su cui, abbassando il finestrino, d’estate si prova l’insaziabile bisogno del canto dei grilli, di cui parla Arnaldo Momigliano, si arriva dopo circa mezzora a Scandiano. Case Almansi erano dette buona parte delle abitazioni del ghetto. Il Portone era uno degli ingressi che introduceva in casa di Lazzaro Padoa (1915-1991), il grande studioso delle comunità ebraiche di Scandiano e Reggio Emilia. La casa, mi spiega l’amico Giuseppe Anceschi, allievo e puntuale editore della maggior parte degli studi di Lazzaro Padoa (disponibili tutti da Giuntina), era appoggiata al torrione della Rocca boiardesca. La casa s’affacciava sull'attuale piazza Fiume, dove sfociano  tre viuzze o "contradelle" (via Frumentaria, via della Fontana e via del Forno). Per uno di quei singolari prodigi della storia ebraica italiana, la casa di Padoa è rimasta intatta, come la dimora di Guido L. Luzzatto a Milano. Qui però ad accoglierci non c’è una Fondazione, ma un ristorante, il cui proprietario ha lasciato tutto com’era. Dalle finestre il nostro sguardo su una delle piazze emiliane più belle rende acuto il rimpianto per Lazzaro Padoa e per i suoi studi strepitosi per esempio sugli antenati di Angelo F. Formiggini.

Alberto Cavaglion

Storie - Pino Levi Cavaglione e il giorno da leoni 
«Marco [Moscati] è ritornato da Roma. I suoi sono sfuggiti alla razzia. Le notizie che egli porta sono raccapriccianti. I tedeschi hanno agito con meticolosa ferocia. Bambini lattanti, donne incinte, vecchi paralizzati non hanno trovato pietà. Venivano caricati sui camion gremiti altri infelici, con selvaggia furia». È quanto scrive nel suo diario il 20 ottobre 1943 il comandante delle bande partigiane dei Castelli Romani, Pino Levi (il cognome Cavaglione lo aggiungerà nel dopoguerra, in omaggio alla madre Emma, deportata e morta ad Auschwitz).
La biografia di questo incredibile personaggio, nato a Genova nel 1911, figlio di Aronne (Nino) Levi, è stata ricostruita per la prima volta nel libro «Il Ponte Sette Luci» (Metauro) di Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni, presentato alla Casa della Memoria il 5 dicembre scorso.
Pino, all’epoca giovane avvocato, era un giovane fuori dal comune, che amava la letteratura, la storia, la fotografia, la musica lirica, il pugilato e leggeva in francese e inglese. Antifascista della prima ora, nel 1937 fu iscritto nel casellario politico centrale del Ministero dell’Interno, diventando uno dei 160mila sovversivi italiani. Quello stesso anno raggiunse Carlo Rosselli e gli amici di GL  a Parigi per arruolarsi nelle brigate internazionali in Spagna; proposito dal quale dovette recedere per l’intervento del  padre Aronne, che andò a prenderlo in Francia e lo riportò a casa.
Arrestato dal regime fascista il 10 maggio 1938, iniziò il suo lungo girovagare per il centro-sud della penisola, al confino prima per antifascismo e poi, dopo l’entrata in guerra, quale «ebreo antifascista». Liberato dal governo Badoglio, Pino dopo l’8 settembre sfuggì all’arresto dei nazifascisti a Genova e si recò a Roma, dove fu assegnato alle bande dei Castelli Romani. Dopo appena quaranta giorni ne diventò il comandante militare, su nomina del Cln. Il 16  novembre i genitori, che si nascondevano a Genova col falso nome di coniugi Parodi, vennero catturati dai nazisti. Il 6 dicembre  furono deportati ad Auschwitz, da dove purtroppo non fecero ritorno.
Il titolo del libro (Il Ponte Sette Luci) prende lo spunto dall’azione militare più clamorosa realizzata dalla Resistenza romana. Nella notte di pioggia tra il 20 e il 21 dicembre la banda dei Castelli Romani, con la collaborazione del Fronte Militare Clandestino, portò a termine un’azione spettacolare dal punto di vista bellico. Vennero fatti saltare in aria, quasi nello stesso momento, un convoglio carico di esplosivi sulla Roma-Cassino, nei pressi di Labico, e il ponte Sette Luci della ferrovia Roma-Formia, a circa 25 km da Roma, mentre vi transitava un treno carico di militari tedeschi, provocando circa 400 tra morti e feriti. Gli ordigni per gli attentati e le informazioni sui treni erano stati forniti da Giuseppe Montezemolo.
La paternità dell’azione, per prudenza, fu avvolta da segreto: il Cln non ne diede notizia sulla stampa clandestina e i tedeschi, persuasi che i partigiani italiani non erano così efficienti da compiere azioni di belliche di tale portata, la attribuirono ai paracadutisti inglesi.
Pino Levi Cavaglione nel suo diario così scrisse: «No, dannati tedeschi, questa volta il colpo non vi è venuto dal cielo, non vi è venuto dagli aviatori inglesi. Vi è venuto da noi! Da noi che in questo momento ci sentiamo orgogliosi di essere italiani e partigiani e non cambieremmo i nostri laceri abiti bagnati e fangosi per nessuna uniforme. E vi odiamo, vi odiamo a morte».
Trasferito a Zagarolo e a Palestrina, l’intrepido avvocato conobbe Aldo Finzi, sottosegretario agli interni di Mussolini ai tempi del delitto Matteotti, che collaborò con lui e con la Resistenza. Finzi il 24 marzo 1944 verrà ucciso alle Fosse Ardeatine, assieme a Marco Moscati, catturato a Roma, dove si era recato per recuperare un carico di armi.
Dopo la liberazione, Pino Levi Cavaglione diventò funzionario dell’Alto Commissariato per l’epurazione di Genova. Nel 1946 sposò Margherita Garello, con la quale ebbe due figli: Marco (come l’amico del cuore Moscati) e Maura. Avvocato, militò nel Pci, fino all’invasione delle truppe sovietiche in Ungheria nel 1956, che lo indussero a lasciare il partito e ad iscriversi al Psi.
Nel 1945 uscì la prima edizione del suo diario, «Guerriglia nei Castelli romani», ristampato due volte. Lo recensirà anche Cesare Pavese, con le seguenti parole: «le sue scene hanno davvero l’incredibile verità di un documento fotografico». Il film «Un giorno da leoni» di Nanni Loy s’ispirerà proprio all’azione del Ponte Sette Luci e alle pagine di Pino, mirabile esempio di un racconto della Resistenza senza l’aurea del mito.
Anche la sua avventurosa vita, come quella di Primo Levi, si concluderà prima del tempo, per sua stessa mano, il 27 febbraio 1971.

Mario Avagliano
 

Il moderato
Francesco LucreziSecondo il Devoto-Oli, l’aggettivo ‘moderato’, riferito a una persona, indica un soggetto “che si controlla prudentemente riguardo al proprio comportamento o alle proprie posizioni”, “ispirato a criteri di saggezza e opportunità”. Con specifico riferimento alla politica, il termine va a qualificare chi appaia “contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo e spesso da ogni novità”.
La lingua, si sa, cambia, e sovente le parole vedono consistentemente trasformare il proprio significato. Ci è già capitato di formulare qualche osservazione, in passato, riguardo all’evoluzione (involuzione) semantica della parola ‘pacifista’, che, se un tempo richiamava profumo di fiori, immagini di sorrisi e suoni melodiosi, fa oggi venire alla mente mascelle serrate, bandiere bruciate e bottiglie molotov. E la stessa sorte, evidentemente, è toccata al termine ‘moderato’, se il principale personaggio pubblico a cui essa è sempre, sistematicamente, apoditticamente riferita è il Presidente dell’ANP Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen: il doppio nome dà un’aria di avventura, pensiamo a Superman-Clark Kent, Batman-Bruce Wayne, Tex Willer-Aquila della Notte ecc.).
Abu Mazen (alias Mahmoud Abbas) è moderato, lo è sempre stato, lo è sul piano antropologico, ontologico, chi lo smentisce dice un’assurdità, nega che la terra gira intorno al sole. Questo dicono tutti: giornali, politici, commentatori di ogni colore. Mahmoud alias Abu è il rappresentante moderato dei Palestinesi, contrapposto agli estremisti di Hamas, e chi lo contrasta o lo indebolisce lavora oggettivamente a favore della violenza e del terrorismo. Chi, invece, ami la pace e il dialogo, deve fare solo una cosa, ossia sostenere il moderato Abu alias Mahmoud, dargli sempre ragione, accontentarlo su ogni punto, applaudirlo, rafforzarlo, incoraggiarlo.
Inutile stare a ricordare che questo signore discusse la sua tesi di laurea, presso l’Università di Mosca, sul tema (moderato?) del ruolo svolto dalle organizzazioni sionistiche nella realizzazione della Shoah; che rifornisce di lauti vitalizi le famiglie degli autori dei più sanguinosi attacchi terroristici, responsabili anche di decine e decine di vittime; che promuove, nella sua terra, una propaganda antiebraica ispirata ai più puri e classici stereotipi antisemiti; che non pronuncia mai la parola Israele, in nessun contesto, neanche a proposito delle condizioni atmosferiche, senza accompagnarla dalle più virulente e velenose forme di criminalizzazione (genocidio, mostruosità, apartheid, razzismo ecc. ecc.: ma come si potrà fare mai la pace con dei mostri simili?).
Inutile ricordarlo, perché, dicendolo, non si verrebbe neanche contraddetti. Semplicemente, nessuno starebbe e sentire, nessuno ne avrebbe voglia. Se si nega la qualifica di ‘moderato’ a Mahmoud alias ecc., crollano tutte le categorie su cui si basa ogni possibile interpretazione del conflitto mediorientale, tutte le possibili e ipotetiche soluzioni, legate, ovviamente, alla vittoria dei moderati, e quindi di Abu alias, il moderato per antonomasia, la quintessenza stessa della moderazione, la tangibile incarnazione di tale concetto.
In una prossima edizione del Devoto-Oli, suggeriamo di levare la pur eccellente definizione della parola, sostituendola con la faccia di Alias: cosa, meglio di quel volto, sintetizza l’idea di un individuo “che si controlla prudentemente riguardo al proprio comportamento o alle proprie posizioni”, “ispirato a criteri di saggezza e opportunità”, “contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo”?
Possiamo sperare, forse, che il personaggio, in futuro, cambi un po’ atteggiamento? Molto difficile, per due ragioni. La prima è che, se il Nostro diventasse, un giorno, ‘veramente’ moderato (per intenderci, alla ‘Devoto-Oli’), perderebbe immediatamente il suo carisma e la sua popolarità, come Sansone perse la forza quando gli tagliarono i capelli. La seconda ci viene illustrata dallo stesso dizionario, secondo cui il ‘moderato’ è “programmaticamente alieno” non solo “da ogni estremismo”, ma anche “da ogni novità”.

Francesco Lucrezi, storico

notizie flash   rassegna stampa
Pallamano - Italia batte Israele    Leggi la rassegna

Amichevole di prestigio per la nazionale italiana under 21 di pallamano impegnata a Chiarbola contro Israele in vista delle qualificazioni ai mondiali di gennaio in Bielorussia. La partita si è chiusa con un successo: 34 a 32.





 

Nei prossimi giorni il leader dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen sarà a Roma per alcuni incontri diplomatici.



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