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  16 dicembre 2012 - 3 Tevet 5773
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Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino

"Cingi la spada sulla coscia, o prode, tua gloria e tuo splendore" (Salmi 45, 4). Rav Kahana ha detto a Mar, figlio di Rav Huna: questo verso si riferisce alle parole di Torà (Tb, Shabbat 63a). Sono le parole studiate, spiega Rashi, la armi da affilare e da avere sempre pronte; sono queste la gloria e lo splendore di una persona. Se si hanno a portata di mano armi vere, accade che si usino - nel delirio - contro coloro che stanno affilando le loro parole.

David Bidussa, storico sociale
delle idee
   

Dopo la strage di Newtown, nel Connecticut, qualcuno ha aperto una “caccia all’autistico”, convinto che occorra sempre un “capo espiatorio”. Sarebbe più ovvio concentrarsi sul fatto che ciò che è avvenuto è stato fatto da qualcuno che è parte organica della comunità. Come capita spesso il male non è “straniero”. Non c’è da guardarsi dal male in sé, ma dal male che sta dentro ciascuno di noi. E’ il dato più difficile con cui confrontarsi e da assimilare. Non solo a Newtown.

davar
Bilancio, comunicazione, distribuzione delle risorse
Il Consiglio dell'Unione al lavoro su molte sfide pressanti
Prospettive future, memoria della Shoah e contrasto al pregiudizio, vicinanza allo Stato di Israele, partecipazione alla vita politica. Quattro i punti che il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha voluto sollevare in occasione dell'avvio dei lavori del Consiglio UCEI riunito in queste ore a Roma. Ad integrazione del suo intervento, cui ha fatto seguito l'apertura di un vivace confronto, un'ampia documentazione  sul ruolo svolto dall'Unione nei giorni della crisi di Gaza e al momento del voto che ha portato al riconoscimento dell'Autorità Nazionale Palestinese come Stato osservatore alle Nazioni Unite. Guardando alle prospettive future dell'ebraismo italiano il presidente dell'Unione ha indicato alcune linee guida insistendo sulla necessità di rifuggire da pericolose emarginazioni indotte o volontarie. “I mezzi offerti dal progresso scientifico e mediatico – ha sottolineato – hanno fortemente incrementato la velocità di spostamento delle persone e di trasmissione delle idee e delle informazioni. La distanza fisica ha perso importanza e gli effetti nel mondo ebraico sono stati di rompere definitivamente l'isolamento che in passato aveva contribuito ad accentuare le differenze tra ebrei di origini e di tradizioni diverse. Soprattutto si è attenuata la distanza e la differenza tra Israele e Diaspora”.
Numerosi i punti all'ordine del giorno della riunione: dall'approvazione del bilancio preventivo per il 2013 alla presentazione del progetto strategio “Network e piattaforma informatica”, dal lavoro svolto finora dalle commissioni alla nomina del nuovo Consiglio della Fondazione Beni Culturali Ebraici. La discussione si protrarrà nel pomeriggio.

Hanukkah illumina il risveglio del Meridione ebraico
A distanza di oltre 500 anni dall’editto di espulsione firmato dalla regina Isabella di Spagna le luci della Channukiah tornano a splendere sui volti di coloro che per lungo tempo hanno vissuto la loro ebraicità lontana da occhi nemici.
A Catania, in Piazza Università, si accendono da qualche tempo tutte e otto le luci. Quest’anno il terzo giorno è stato segnato dal danneggiamento della Channukiah da parte di un mezzo idropulitore del Comune. La notizia è volata così veloce che è pure giunta all’agenzia di informazione come atto vandalico da ignoti, poi scongiurata dalle immagini delle telecamere di sorveglianza del territorio. A Reggio Calabria, nella famosa via della Giudecca, di fronte ad uno dei più belli lungomari d’Italia con all’orizzonte le coste Sicilia, una piccola folla si è radunata al fianco del rabbino capo di Napoli e del Mezzogiorno Scialom Bahbout, di Roque Pugliese e di una delegazione di ebrei calabresi e siciliani. A testimoniare l'interesse crescente per il mondo ebraico la presenza di diverse troupe giornalistiche televisive che hanno ripreso l'evento. Un'intensa occasione di vita ebraica sarà presto nuovamente proposta, tra i numerosi eventi in programma nel Meridione, anche a Belvedere Marittimo con uno shabbaton che tra pochi giorni permetterà a molti di rivedersi, gioire assieme e condividere le esperienze fatte nelle varie attività sul territorio.

Davide Scibilia

pilpul
La potenza della menzogna
Anna Foa, in un recente intervento su questa newsletter, dinanzi all’ennesimo esempio di torsione della realtà, si domandava se la verità storica - che non è ricostruzione a sé, sezionabile, opzionabile, assumibile a brandelli, secondo i propri gusti, quelli del momento, ma dovrebbe invece costituire l’alimento di una coscienza condivisa - possa ancora affermarsi sulle «favole» e sulle «bugie». È fin troppo ovvio riscontrare come quella cosa che chiamiamo verità storica sia per i più, alla resa dei conti, quasi sempre sgradevole, se non altro perché a distanza di tempo non dà loro necessariamente ragione, semmai ponendone in evidenza soprattutto i torti. La verità storica, peraltro, non è mai un bianco contro il nero, un’intransigente dicotomia, dove una parte ne esce immacolata e l’altra definitivamente condannata. Essa, nel ricostruire l’operato di una pluralità di attori e di interpreti, ci restituisce la complessità degli eventi che furono. Non la loro moralità che, semmai, è affare del giudizio dei posteri. Chi ragiona altrimenti, finge di cercare la conoscenza “oggettiva” del passato ricostruendolo invece a propria immagine e somiglianza. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un intervento propriamente ideologico, dove i trascorsi vengono piegati ai bisogni, agli interessi e alle passioni dell’oggi. L’occasione di questa riflessione era peraltro originata dalla pubblicazione e dalla diffusione di due interessanti volumi, uno di Juri Bossuto e Luca Costanzo e l’altro di Alessandro Barbero. Entrambi si occupano della vicenda del destino dei soldati dell’esercito borbonico, sia pure da angolazioni differenti. In particolare, ed è il caso del primo dei due testi, vengono smontate colpo su colpe le fantasiose accuse, rivolte alle autorità del nascente Stato unitario, di avere dato corso ad una vera e propria pratica di deliberato sterminio nei confronti dei prigionieri meridionali trattenuti nel forte torinese di Fenestrelle. Una pratica che, nelle intenzioni degli accusatori, costituirebbe l’indice di una più generale volontà politica, quella di mettere al sacco economico e in stato di totale sudditanza politica il Mezzogiorno, altrimenti isola felice, come poi, sostengono i medesimi, si sarebbe concretamente verificato nei centocinquanta anni successivi della storia d’Italia, quindi fino ad oggi. Le voci su Fenestrelle erano già state messe in circolazione nel passato, ed in particolare in quei lontani anni in cui l’unificazione si ultimava, soprattutto tra gli ambienti borbonici e in quelli papalini, con l’obiettivo di delegittimare il giovane Stato. Avevano poi assunto una sorta di «esistenza autonoma», come sempre capita alle invenzioni che lievitano da sé, con quel formidabile passaparola che fortifica il discorso di senso comune. Dietro ad esse, ovviamente, c’erano – e in misura minore permangono ancora oggi – interessi irrisolti, legati ai vecchi equilibri frantumati dal processo di unificazione peninsulare del XIX secolo. Quello che qui ci interessa, tuttavia, non è il fatto storico preso in considerazione dai volumi che abbiamo testé menzionato, bensì il meccanismo che sta dietro alla possente macchina mitologica che alimenta quella sorta di contro-realtà che riposa sulla menzogna condivisa. Poiché se il contenuto dei falsi muta di circostanza in circostanza, secondo le necessità dei singoli casi, la meccanica della falsificazione è invece quasi sempre la medesima. Non è un caso, infatti, se molti dei detrattori dei lavori di Bossuto, Costanzo e Barbero, abbiano fatto fuoco e fiamme su di essi reiterando non solo quelle petulanti accuse di omissione dei “fatti”, che periodicamente vengono evocate, quasi a volere credere che in tal modo siano avvalorate ancora di più le proprie fantasie, ma che ciò facendo siano anche venuti accostando il tutto alla Shoah. In altre parole, la pretesa della sussistenza di una volontà omicida da parte delle autorità sabaude, e poi unitarie, viene accomunata alla politica criminale e assassina del Terzo Reich contro gli ebrei. Questo atteggiamento, oltre che irritante per la palese sproporzione storica, nonché per l’oltraggiosità nei riguardi delle autentiche vittime del passato, è tuttavia indicativo di un meccanismo di identificazione con la rilevanza dello sterminio nazista. Il tutto, però, non dal punto di vista, morale e civile, delle vere vittime bensì sul versante della concorrenza nei loro confronti, per acquisire per parte propria il loro ruolo, di fatto carpendoglielo. In altre parole: paragonarsi ai morti dell’Olocausto è politicamente premiante, offre l’immagine, dinanzi all’opinione pubblica, di avere subito un torto così grosso da richiedere un risarcimento gigantesco. In ogni circuito della falsificazione, chi consapevolmente o meno fa proprie le invenzioni, dando ad esse la plausibilità di un fatto storico, si presenta infatti come una doppia vittima dell’altrui volontà: vittima per le presunte violenze subite, vittima per l’oblio al quale queste sarebbero state consegnate, all’interno di un disegno politico che si baserebbe sul deliberato occultamento del crimine e, quindi, della sua memoria. Più in generale, i mistificatori del passato si presentano sotto la duplice veste di coloro che hanno subito un’offesa irreparabile ma che, nel medesimo tempo, denunciandone l’esistenza, intendono liberare l’opinione pubblica dalla coltre della “menzogna”. I manipolatori, infatti, da sempre indossano i paramenti di sacerdoti della coscienza collettiva, alla quale porterebbero finalmente la piena cognizione del “vero”, volutamente omesso dal “potere” per inconfessabili calcoli di interesse proprio. Dietro a questo atteggiamento vittimistico, che risulta seducente e quindi convincente agli occhi (e alle orecchie) di tanti, c’è una strategia complessa, non riconducibile solo all’ignoranza. Poiché l’affermare il falso è in sé già una forma di sapere, ancorché ribaltato rispetto ai fatti concreti. Per meglio dire, è la ricostruzione degli eventi piegandoli secondo le proprie aspettative. La stessa Anna Foa, nella sua nota, richiamava «la spiegazione in chiave complottistica della realtà», rimandando all’eco antisemitico che in essa alberga permanentemente. È un fantasma che si ripropone con la forza e la possenza di una montagna e dal quale dubito che saremo mai in grado di liberarci. Da questo punto di vista, per la coerenza che la menzogna ha in sé, per la sua capacità di presentarsi e accreditarsi come una lettura non solo alternativa ma esaustiva e confortante del passato, è infatti assai difficile scalfirla con gli strumenti della ragione. A quest’ultima, infatti, si contrappone corpo a corpo, contrastandola con un linguaggio proprio, una narrazione a se stante, una retorica che non ammette repliche, dei significati alternativi che il trascorrere del tempo non solo non mette in discussione ma che semmai fortifica. Chi accetta la menzogna lo fa perché si sente da essa rassicurato. Gli offre una chiave di comprensione del presente, altrimenti inafferrabile. Soprattutto, gli dà la patente di vittima, fornendogli dei bersagli contro i quali scagliare la sua rabbia. Viene osservato che «la forza del mito, il potere della menzogna sovrastano il rigore della verità documentaria». È vero. Nel caso del revisionismo radicale del passato, del negazionismo così come della ricostruzione fantasiosa e alterata, viziata dai lucidi deliri, di ciò che è stato, si manifesta la costanza di una macchina mitologica che coabita, lottandovi contro, con la forza della comunicazione razionale. Non è una questione meramente storiografica, come certuni ancora ingenuamente continuano a pensare. Tra chi torce e sbriciola il passato, ricomponendolo secondo le sue esigenze, e chi cerca di capire il passato, usando il dubbio lecito così come la ragione, c’è la differenza che intercorre tra un parassita e il corpo sul quale questo cerca di soggiornare. È parte stessa della strategia negazionista simulare che sussista un dibattito “aperto” su ciò che viene fatto oggetto dei propri strali, quasi che la contrapposizione tra presunte tesi equivalenti sia un fatto di per sé lecito perché fondato su un confronto che, in verità, non ha nessuna ragione d’esistere. Non ce l’ha mancandone i presupposti elementari: mentre lo studioso, ma anche la persona di buon senso, si pongono il problema di comprendere attraverso i riscontri e i confronti, il manipolatore – non importa quanto sia consapevole della funzione che si è dato e per conto di chi e di cosa parli - ha solo degli articoli di fede da imporre ossessivamente. Per l’appunto, si tratta non del confronto ma dello scontro tra ragione e mito. Quest’ultimo, detto per inciso, senza la grandezza che un tempo ebbe ma piuttosto con la tracotanza del fondamentalismo culturale e ideologico dei giorni nostri. La retorica, anch’essa di senso comune, per cui «la storia la scrivono sempre i vincitori» (e pertanto sarebbe già a priori destituita di fondamento poiché mera celebrazione apologetica dei primi), si inserisce di buon grado dentro questa deriva del pensiero. Di essa ne rinforza la falsa premessa per cui in una società democratica sarebbe consentita una sola voce (essendo quindi la democrazia stessa una finzione). Non è così perché la democrazia implica semmai la coesistenza di voci distinte, e quindi concorrenti, ma non necessariamente equivalenti. Solo il confronto critico sui loro fondamenti e sui loro presupposti permette di certificarne, o meno, la plausibilità. La menzogna si sottrae per definizione a tale procedimento, celebrandosi come la Verità con la maiuscola, quella che per il fatto stesso d’essere proclamata non occorre di verifica. Il passato è un terreno di battaglia, un campo di tensioni perduranti, che riflettono, in un gioco di specchi all’indietro, gli interessi contrapposti dell’oggi. Quando esso viene incapsulato dentro la cornice della mitologia menzognera, sospesa tra fiaba e bugia, allora la democrazia rischia molto. Ne sono infatti messi in discussione i presupposti discorsivi, quelli per cui, senza venire meno alla propria identità, si interloquisce con l’altro evitando un gioco ad esito zero, dove uno dei due deve scomparire una volta per sempre.
David Bidussa, storico sociale delle idee


Claudio Vercelli


Nugae - Mary Poppins
Fra un appassionante servizio di telegiornale sugli addobbi per l’albero e l’ennesima pubblicità di profumi, ogni anno a quest’epoca ecco a un certo punto fare capolino in televisione, puntuale e sorridente, la bella Julie Andrews. Tutti hanno visto almeno una volta lo straordinario musical Disney Mary Poppins, ma fra i tanti film che vengono riproposti allo sfinimento, questo non stufa mai. Un po’ perché rassicura ritrovarla lì, di anno in anno sempre praticamente perfetta. E poi perché Mary Poppins non è solo la storia di un’incredibile tata che viaggia appesa a un ombrello e fa conversazione con i cagnolini. Se analizzata nel suo complesso, ritrae un atteggiamento positivo, in cui ciò che conta è semplicemente la determinazione a fare bene. Senza retorica e pedagogia melensa da cartoni animati. I più attenti potranno dunque scorgere in Mary una via di mezzo fra una psicoterapeuta e una guida spirituale. “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù” l’aveva detto anche Lucrezio in latino. E poi ci sono frasi come “non giudicare mai le cose dal loro aspetto, nemmeno una valigia” (non si sa mai, potrebbe sempre contenere un attaccapanni), o “sto fra la cenere, eppure non c’è nessuno qua giù più felice di me” (questa in realtà è dello spazzacamino Bert), che attraverso una battuta o una canzoncina toccano temi che a pensarci bene stanno alla base dei diritti umani. Ma la migliore è sicuramente supercalifragilistichespiralidoso, la parola magica che salva quando non si sa che cosa dire. Certamente il motto è rimasto famoso. Ma forse anche un po’ troppo poco seguito. Perché l’ideale quando non si sa che cosa dire sarebbe tacere, a dir la verità. Ma non sempre viene fatto, anzi la tendenza è quella di dire qualunque cosa in qualunque momento, basta accendere la tv o guardare Facebook per accorgersene. E allora a quel punto sarebbe molto più divertente provare a sostituire ogni dichiarazione inutile con questa dolce parolina, in fondo anche se ti sembra che abbia un suono spaventoso, se lo dici forte avrai un successo strepitoso. Sì, sarebbe molto meglio. Supercalifragilistichespiralidoso.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF

           

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Sorgente di vita - Pregiudizio
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Scritte e svastiche su sinagoghe e cimiteri ebraici, insulti e minacce a singoli individui: e sul web siti, blog e social network che diffondono pregiudizi, stereotipi e idee antisemite. Il fenomeno, che ha avuto un picco nei giorni della crisi di Gaza e che cresce sempre di più, è il primo argomento della puntata di Sorgente di vita di domenica 16 dicembre.


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“Una visita di cortesia”. È con queste parole che il leader dell'Anp Abu Mazen introduce gli incontri diplomatici con papa Benedetto XVI, il presidente del Consiglio Mario Monti e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che lo vedranno protagonista oggi a Roma.


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