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21 dicembre 2012 - 8 Tevet 5773
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
 

Con la parashà di Vayiggàsh comincia la lunga storia del popolo ebraico in Egitto. La famiglia di Ya'akòv scende in Egitto per raggiungere Yosèf e lì rimarrà per secoli. Secondo Rashì Ya'akòv si prepara a questa discesa in Egitto mandando in Egitto il figlio Yehudà a fondare un luogo di studio. Yosèf invece sceglie per la sua famiglia la terra di Goshèn cioè un luogo separato, il primo esempio di quartiere ebraico. Tutto questo viene fatto per scongiurare il pericolo del'assimilazione e per mantenere la propria identità. È notevole che chi sceglie la separazione sia Yosèf viceré d'Egitto, emblema di una riuscita integrazione. Un fortunato slogan dice che è necessario costruire ponti e non muri. In realtà nel costruire una città i muri sono altrettanto necessari quanto i ponti, senza muri non avremo case, scuole, templi e molto altro. Sono necessari sia i ponti sia i muri, il problema è decidere che cosa qui ed ora.

Gadi
Luzzatto Voghera,
storico



gadi luzzatto voghera
Che le tradizioni religiose legate all’inverno siano simili le une alle altre è cosa nota agli antropologi. L’accensione dei lumi della nostra lampada di Chanukkà, al netto di tutta la tradizione religiosa che ne deriva e che è stata opportunamente commentata su queste pagine, assume anche il significato di illuminare la lunga notte invernale. Un’azione, quella di accendere luci, che si ripete anche in altre tradizioni, e naturalmente noi tutti siamo abbagliati dalle illuminazioni festive delle città italiane. E’ noto che uno dei momenti di maggior imbarazzo nelle famiglie che si sono formate dall’unione di un uomo e una donna provenienti dalla tradizione ebraica e da quella cristiana è legato a questo periodo di dicembre. Festeggiare Chanukkà, festeggiare natale, festeggiare tutti e due? E i regali per i bambini? E i regali che arrivano dai nonni? Negli Stati Uniti questo “dilemma” è molto sentito e in questo periodo sono numerosi gli articoli che affrontano la questione. Mi sembra di particolare interesse il taglio che all’argomento è stato dato dalla rivista newyorkese Tablet Magazine, che rivela fra l’altro che la metà delle canzoni di natale che abitualmente ci ossessionano durante questo periodo dell’anno sono state composte da ebrei. Da “White Christmas,” di Irving Berlin, a “Rudolph the Red-Nosed Reindeer” di Johnny Marks, fino a “Let It Snow, Let It Snow, Let It Snow” scritto da Sammy Cahn e musicato da Jule Styne. I compositori ebrei hanno contribuito non poco a secolarizzare un rito originariamente solo religioso e ad allontanarlo dal suo significato originario. Non credo si tratti di un complotto, naturalmente. Direi che la ragione di questa grande presenza di compositori ebrei dovrebbe avere a che fare (oltre che con la storia stessa di Broadway) con il fatto che gli ebrei di nuova immigrazione americana sono stati un gruppo che in maniera più veloce di altri ha saputo cogliere e interpretare il senso storico e democratico della secolarizzazione. Il che di per sé non toglie nulla all’esperienza religiosa che ognuno di noi dà – nella sua tradizione – all’illuminazione dell’inverno.
davar
L'ambasciatore Gilon: “Italia e Israele, il legame resta forte”
Sua eccellenza l'ambasciatore di Israele a Roma Naor Gilon ha rilasciato al giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche la seguente intervista, che apparirà sul numero di gennaio presto in distribuzione e che anticipiamo ai lettori. La redazione considera le sue parole un segno di incoraggiamento nel lavoro, spesso difficile e delicato, di raccontare al pubblico italiano l'Israele reale e rompere gli schemi di chi vorrebbe confinare la realtà di Israele in un cupo, asfittico e falsato quadro di conflitti e intolleranze.

Settimane intense per l’ambasciatore israeliano a Roma Naor Gilon, in Italia dalla scorsa primavera. La crisi tra Israele e Gaza, l’operazione Pilastro di difesa, il voto con cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’Autorità nazionale palestinese come Stato osservatore, ma anche l’avvicinarsi delle elezioni tanto a Gerusalemme quanto a Roma, segnano una situazione complessa e in rapida evoluzione. Gilon ne discute approfondendo il rapporto tra i due paesi a trecentosessanta gradi. Ricordando sempre che le stagioni di nuove sfide possono portare anche nuove opportunità e che i lunghi periodi con la strada in discesa possono generare una pericolosa mancanza di riflessi, l’ambasciatore cita il presidente di Israele Shimon Peres che recentemente, di fronte alla scoperta di ingenti risorse naturali e giacimenti di gas sottomarini, ha messo in guardia contro il rischio che questo inaspettato beneficio porta indirettamente con sé: “Bisogna tenere sempre a mente come Israele trasformò l’ostacolo di essere privo di risorse naturali in uno stimolo a sviluppare con coraggio la creatività e il suo capitale umano”. Ambasciatore Gilon, le relazioni tra Italia e Israele hanno raggiunto negli ultimi anni un buon livello di stabilità. In queste settimane abbiamo assistito ad alcuni momenti delicati, culminati con il voto all’Onu. Qual è la sua visione in merito?
È importante spiegare il perché della nostra perplessità di fronte alla decisione dell’Onu. Da molti anni Israele si muove nella direzione della soluzione dei due Stati per due popoli. Ma se non ci si arriva tramite il negoziato si lancia il messaggio sbagliato, e cioè che si possano ottenere risultati senza il dialogo. Per quanto riguarda la posizione italiana, ci è dispiaciuto venire informati soltanto il giorno stesso della votazione, senza venire consultati in precedenza. Inoltre le condizioni che aveva posto l’Italia ad Abu Mazen, tornare ai negoziati con Israele senza precondizioni e non utilizzare strumentalmente il risultato della votazione per deferire Israele alla Corte internazionale di giustizia, sono già state disattese. Per questo anche l’idea che Abu Mazen abbia visitato l’Italia per ringraziarla, considerando il discorso che aveva tenuto all’indomani dell’Assemblea Onu in cui ha usato termini estremamente duri verso Israele è piuttosto frustrante. Ma allo stesso tempo le relazioni tra Italia e Israele coinvolgono diversi livelli. L’Italia è il secondo partner di Israele per la cooperazione scientifica in Europa e il quarto nel mondo. La collaborazione sul piano culturale ed economico è eccellente. Il turismo fra i due paesi in aumento. Sul piano politico gli ultimi avvenimenti hanno rappresentato un momento difficile. Ma allo stesso tempo oggi i legami tra i due Stati si mantengono forti e possono contare su rapporti personali improntati alla fiducia. Penso che al di là delle contingenze, al di là dell’esito delle elezioni, questo sia un dato di fatto che non venga messo in discussione.
Israele terra di cultura, di arte, di innovazione. Ma anche di una grande diversificazione interna. Nel dibattito politico, così come sui mezzi di informazione, trovano spazio le posizioni più disparate, comprese quelle estremamente dure. Entrambi gli aspetti colpiscono molto.
Israele è uno dei paesi più aperti e democratici del mondo. Questa diversità, la capacità di accettare critiche, è un suo fondamentale punto di forza. Quella di mostrare le sfaccettature dell’Israele oltre il conflitto è una parte essenziale del nostro lavoro. Per questo favoriamo eventi che portino i protagonisti della cultura israeliana in Italia, momenti di incontro per gli imprenditori e di confronto per gli scienziati, in una dimensione che non ha niente a che fare con la propaganda politica. Molti esponenti del mondo della cultura israeliana sono portatori di una visione critica verso il governo, ma questo non costituisce alcun problema, non essendo neppure scontato che l’opinione di un cantante o uno scrittore debba essere necessariamente significativa nell’ambito della politica internazionale. Con un solo limite: l’antisionismo, l’attacco all’ideale fondante di Israele. Non trovo giusto, per esempio, invitare in Italia per una conferenza a spese dei contribuenti israeliani un professore che favorisca il boicottaggio accademico della sua stessa università.
Quella di mostrare la realtà di Israele oltre il conflitto è una questione che va di pari passo con il tema dell’informazione sullo Stato ebraico, e della tendenza ad appiattirne la realtà a una situazione di guerra e problema perenne.
I mezzi di comunicazione tendono a dare rilievo alle questioni di maggiore appeal per il grande pubblico, e la guerra lo è senz’altro, così come lo sono talvolta per esempio, le tematiche sul mondo degli ebrei ultraortodossi. Ovviamente è molto più difficile comunicare eventi culturali o scientifici. Eppure è importante lavorare proprio in questa direzione e il nostro impegno è molto forte. Per esempio i contenuti della nostra posizione sui social network rispecchiano esattamente questa visione di raccontare l’Israele reale, senza negare la realtà dei conflitti, ma rimettendola nella sua vera proporzione.
Come si intreccia questa scelta con la necessità di raccontare anche quello che avviene a proposito del conflitto? E come giudica in particolare il modo in cui è stata riportata dai media italiani l’operazione Pilastro di difesa?
Anche questo è un aspetto che va affrontato. Per Israele può essere più difficile comunicare in modo spettacolare perché ovviamente fa di tutto per proteggere la sua popolazione civile dagli attacchi, si impegna per la difesa dei suoi cittadini e quindi diventa più complicato contrastare l’immagine di aggressore nei confronti di chi invece sta bene attento a falsificare la realtà giocando sull’emozionalità e speculando sui destini della propria popolazione civile. Nel caso di Pilastro di difesa ho trovato la copertura dei media italiani certo talvolta tendenziosa, non ideale, ma comunque accettabile. Penso che parte del merito vada attribuito alla comprensione che abbiamo ricevuto, la comprensione che di fronte a razzi che quotidianamente minacciano la vita di milioni di civili, qualcosa andava fatto.
Quale può essere il ruolo dell’ebraismo della Diaspora in questo senso?
Le Comunità ebraiche della Diaspora possono svolgere un lavoro importante come ponte verso la società in cui sono presenti e compenetrate. Più numerose e diversificate sono le componenti della società con cui si riesce a entrare in contatto, migliore è il risultato ottenuto. Attenzione, noi non chiediamo a nessuno un supporto cieco, acritico. Basta una esposizione corretta della realtà, di tutta la realtà di Israele. Pensiamo di avere ragioni solide da far valere e allo stesso tempo che ci siano pochi paesi che abbiano da raccontare e offrire al mondo con orgoglio tanto quanto Israele in tutte le sue sfaccettature.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, gennaio 2013

Progetto Meridione - Consegnata al presidente dell'Unione
la cittadinanza onoraria di Santa Maria del Cedro
Prosegue l'impegno dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel Meridione. Torah, Halakhah e altri elementi fondanti la vita ebraica sono infatti al centro di un intenso shabbaton organizzato in queste ore dal Dipartimento Educazione e Cultura UCEI in Calabria. Tra i Maestri coinvolti il rabbino capo di Napoli rav Scialom Bahbout, il rabbino capo di Torino rav Eliahu Birnbaum e rav Pierpaolo Pinhas Punturello. Concluderà l'iniziativa una visita al campo di internamento di Ferramonti.
Ieri intanto conferimento della cittadinanza onoraria di Santa Maria del Cedro, località famosa per i suoi magnifici cedri protagonisti in molte famiglie e comunità ebraiche per Sukkot, al presidente dell'Unione Renzo Gattegna. La cerimonia, cui hanno preso parte il sindaco Giuseppe Aulicino e l'assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri, è stata l'occasione per fare il punto sulla declinazione ebraica della Calabria. Uno sguardo rivolto non soltanto al passato ma anche alla soddisfazione di bisogni che si fanno sempre più forti a seguito del significativo risveglio ebraico in atto in alcuni centri. Tra le varie iniziative congiunte messe in cantiere la sottoscrizione di un protocollo d'intesa, l'istituzione di un centro sulla presenza ebraica in regione, la realizzazione di un itinerario turistico e culturale ad hoc, l'intensificazione distributiva di prodotti kasher, programmi specifici per scuole e università, sinergie nel settore della ricerca, la valorizzazione della Calabria ebraica al prossimo Salone del Libro di Torino e un tavolo di collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura a Tel Aviv.

Neofascismi - Vigilanza e stretto contatto con le autorità 
L'attenzione dei media è oggi concentrata sull'assemblea costituente del movimento Alba Dorata. Su questo fronte gli organi dirigenti e i vertici dell'ebraismo italiano stanno esercitando forte vigilanza e mantengono un contatto strettissimo con le autorità competenti. L'argomento è stato affrontato anche nel corso del recente incontro della delegazione guidata dal presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna con il presidente del Consiglio Mario Monti. Negli scorsi giorni numerose le prese di posizione nell'opinione pubblica italiana. Ad intervenire, tra gli altri, il parlamentare Emanuele Fiano con un'interrogazione rivolta direttamente al Ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri.

Qui Milano - Una serata per discutere di Emunah
Emunah, fede ebraica. Prendendo spunto dal libro The Garden of Emunah. A Practical Guide to Life (Il giardino della Fede, una guida pratica alla vita), scritto dal rabbino Shalom Arush, disponibile in numerose lingue, italiano compreso, ne hanno discusso il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, il Direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca e il rabbino capo del Centro Noam, punto di riferimento della kehillah persiana, Yakov Simantov.
“L’Emunah rappresenta la capacità di andare oltre quello che ci circonda nella nostra esistenza quotidiana, oltre il razionale, è la capacità di guardare oltre le stelle” ha spiegato rav Arbib, mentre rav Della Rocca si è concentrato sulla grande forza che l’Emunah offre per affrontare i problemi della vita di ciascuno, e rav Simantov ha spiegato la sua importanza anche nelle relazioni interpersonali, per la capacità di infondere benessere che si traduce in un atteggiamento positivo verso il prossimo.
“Ci tengo molto a sottolineare il messaggio di questo libro, che mi ha colpita tanto – ha spiegato l’organizzatrice dell’incontro Miriam Hason - Penso che in un momento così difficile sul piano materiale, possa lanciare un messaggio significativo per tutti, un’ispirazione per affrontare i problemi in modo più sereno”.

Qui Torino - "Motivazioni un po' speciose
per la non approvazione del bilancio"
Il notiziario quotidiano "l'Unione informa" di ieri comunica che l'Assemblea della Comunità di Torino ha espresso parere negativo circa il bilancio preventivo 2013 presentato dal Consiglio. E' vero, ma una precisazione è necessaria.
Partiranno nel 2013 lavori straordinari di ristrutturazione della Casa di Riposo della Comunità resi necessari e non rinviabili da precise disposizioni di legge. L'importo sarà veramente gravoso. Sono in corso in questo periodo valutazioni e conteggi sugli strumenti giuridici e le modalità tecniche che dovranno permettere alla Comunità di affrontare questo impegno anche con l'affidamento dei lavori e della successiva gestione ad un soggetto terzo e con l'obiettivo soprattutto di invertire la tendenza che vede ogni anno aumentare il deficit dell'esercizio di questo ramo della attività comunitaria. E' ancora assolutamente impossibile, allo stato, valutare quelli che risulteranno i costi e i ricavi relativi alla Casa di Riposo durante il 2013 con quel grado di esattezza, o di approssimazione, che consenta di iscrivere le relative poste nel bilancio preventivo. Il Consiglio ha perciò deliberato di redigere momentaneamente il bilancio come se la situazione fosse uguale all'anno 2012 e di effettuare poi un aggiustamento del bilancio nei primi mesi dell'anno quando i dati sulle prospettive di spesa potranno essere valutati con maggiore realismo. A quel momento sarà tempestivamente convocata una nuova Assemblea. Di tutto questo la relazione del Presidente ha dato esattamente conto informandone il Consiglio prima e l'Assemblea mercoledì scorso. Le motivazioni addotte per la non approvazione del preventivo appaiono quindi un po' speciose.

Giuseppe Segre, presidente della Comunità ebraica di Torino

pilpul
Cultura italiana
Anna SegreAl di là della caso specifico di un’assemblea comunitaria (sulla quale l’Unione informa di ieri ha già riferito dettagliatamente), mi pare valga la pena di riflettere su cosa si intenda esattamente quando si afferma che si ricerca un Rabbino “di cultura e tradizione italiana”. Forse si tratta di una questione eminentemente pratica (occorre un rabbino che parli italiano, o che sia cittadino italiano per poter essere riconosciuto dallo Stato come Ministro di Culto), oppure si ritiene importante che il rabbino conosca la storia dell’Italia, la letteratura italiana, ecc. perché solo così può entrare davvero in sintonia con gli iscritti alla Comunità. O magari si vuole che conosca bene i canti e gli usi locali. O ancora si dà per scontato che esista una specificità italiana nel modo di vivere l’ebraismo e che questa specificità debba essere tutelata. Quest’ultima mi sembra l’ipotesi più interessante e meritevole di discussione al di là dei problemi contingenti. Esiste davvero questa specificità? E in cosa consiste? Difficile parlare di un’alakhà italiana perché la globalizzazione ci ha imposto determinati standard per essere accettati dall’esterno (e abbiamo dovuto rinunciare a tradizioni famigliari tramandate da molte generazioni, per esempio i biscotti di Pesach fatti in casa). Si può forse parlare di un modello italiano: unità nell’ortodossia e Comunità che si propongono come casa comune di tutti gli ebrei indipendentemente dalle loro idee e dal loro livello di osservanza. Non è detto però che tutti i rabbini nati e cresciuti in Italia condividano questo modello; viceversa, possono esistere rabbini non italiani che in esso si riconoscono in pieno: quale di queste due tipologie di rabbino si potrebbe definire più propriamente “di cultura e tradizione italiana?”
Le culture non rimangono sempre uguali a se stesse: si evolvono, mutano, accolgono stimoli provenienti dall’esterno, lasciano cadere usi e costumi che appaiono superati. Inoltre nel corso della storia - e oggi più che mai - l’Italia ha visto l’arrivo di ebrei di diverse provenienze, culture e tradizioni che hanno portato i loro usi, la loro mentalità, i loro valori; dunque la stessa “cultura e tradizione italiana” non è affatto compatta e monolitica, e non è sempre uguale a se stessa. Senza tener conto di ciò si corre il rischio che in nome della tradizione italiana ogni novità che attraversa il mondo ebraico di oggi (per esempio la ricerca di un ruolo più attivo per le donne) sia rigettata come influenza estranea da cui difendersi. In tal caso ci sarebbe da chiedersi: quali cultura e tradizione italiane si vogliano tutelare? Quelle di ieri, di oggi o di domani?

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
L'Università di Gerusalemme
rende omaggio a Mauro Perani
  Leggi la rassegna

Laurea Honoris Causa dell'Università Ebraica di Gerusalemme a Mauro Perani, docente di Ebraico al Dipartimento di Beni culturali dell'Università di Bologna. L'ateneo israeliano ha così premiato il docente per il suo "grande contributo alla ricerca nel campo dei manoscritti ebraici e all'avanzamento di diversi campi degli studi ebraici, presente nei suoi libri e articoli, specialmente all'interno del progetto Ghenizà Italiana". La cerimonia di conferimento del titolo è in programma per il 16 giugno 2013, a Gerusalemme. Nel 2009, il titolo era stato conferito al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 




 

Su La Voce Repubblicana, diretta da Francesco Nucara, viene ripresa la notizia dell’incontro fra il presidente del Consiglio Mario Monti e i vertici dell'ebraismo italiano guidati da Renzo Gattegna (...)



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