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24 dicembre 2012 - 11
Tevet
5773 |
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Adolfo
Locci, rabbino capo
di Padova
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"Il Signore
mi ha posto come padrone di tutto l'Egitto" (Genesi 42:9).
L'insegnamento di Giuseppe ai sui fratelli è quello di una persona che
non ha attribuito alle sue esclusive capacità, intellettive e pratiche,
la gloria e gli onori raggiunti in Egitto. Questa consapevolezza,
unitamente ad una reale visione dello scopo, possono far realizzare ciò
che può sembrare oggettivamente impossibile...
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Anna
Foa,
storica
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Il
rapporto della commissione storica italo-tedesca sul biennio 1943-45 in
Italia, presentato ufficialmente giorni fa alla Farnesina e di cui
parla polemicamente Bruno Gravagnuolo su L'Unità del 22 dicembre, sembra caratterizzare
questo tragico biennio della storia italiana soprattutto come una
guerra contro i civili, una guerra condotta dai nazisti e dai loro
accoliti della RSI contro le popolazioni civili, attraverso i massacri,
le rappresaglie, gli arresti sistematici e le consegne di ebrei alla
deportazione. Una caratteristica questa che non fu, come si sa, solo
italiana, perchè la seconda guerra mondiale è stata ovunque una guerra
contro i civili. Non una guerra civile, quindi, scrive Gravagnuolo
citando il celebre studio di Claudio Pavone, ma una guerra contro i
civili. Non so se sia davvero possibile contrapporre così nettamente le
due visioni, perchè è evidente che l'una non esclude l'altra, che
l'una, la guerra contro i civili di tedeschi e repubblichini, non
esclude quella dei repubblichini italiani contro gli italiani
resistenti ed ebrei. A meno che non si voglia leggere l'interpretazione
di Pavone, che ha avuto fra l'altro il grande merito di far superare
alla storiografia sulla Resistenza il carattere agiografico dei primi
decenni, attraverso le lenti deformanti di quanti volevano tirarla
verso una riabilitazione dei militi di Salò, equiparandoli ai
partigiani sia dal punto di vista etico che politico. Non è quanto il
libro di Pavone sosteneva. Ma credo anche che sottolineare
esclusivamente il carattere di guerra dei nazisti contro i civili
finisca per sbiancare le responsabilità dei fascisti italiani e
soprattutto quelle della RSI. Che ha avuto un ruolo determinante, non
dimentichiamolo, come Vichy in Francia, nella deportazione degli
oppositori politici ,degli ebrei e dei miltari italiani. Il fatto che,
come la commissione sottolinea, la RSI avesse ben poca autonomia
rispetto ai tedeschi nulla toglie alle sue enormi colpe.
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Israele al voto su sicurezza e esteri |
I cittadini israeliani si recheranno alle
urne il 22 gennaio 2013.
Il numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione ha dedicato
all'appuntamento elettorale una serie di articoli. Pubblichiamo di
seguito l'intervento del demografo e punto di riferimento della
comunità degli Italkim Sergio Della Pergola.
In
vetta all’ordine del giorno della campagna elettorale in Israele verso
il rinnovo della Knesset il 22 gennaio sventolano la sicurezza
nazionale e la politica estera. Questa scelta non è casuale – per lo
meno per il governo uscente. La ragione vera dell’anticipo delle
elezioni, previste in origine nel novembre 2013, è stata
l’impossibilità di approvare il bilancio dello Stato a causa delle
esigenze esose e antitetiche dei sette partiti che fino a poche
settimane fa formavano una coalizione governativa che sembrava
incrollabile. Ma il partito di maggioranza relativa, il Likud con i
suoi 27 seggi, deteneva meno della metà della maggioranza parlamentare
(teoricamente 31 su 61, su 120 seggi in totale) ed era quindi
inevitabilmente esposto ai piccoli o grandi ricatti dei suoi partner.
La scelta lungimirante di Benyamin Netanyahu di formare una lista
unificata con Avigdor Liberman, il leader di Israel Beiténu e suo
maggior concorrente per l’egemonia della destra nazionale israeliana
(le cui dimissioni vogliono consentire una rapida e indolore
conclusione della vicenda giudiziaria in cui è coinvolto da un
decennio), puntava appunto a creare un blocco parlamentare di 42
deputati ampiamente egemone nella Knesset uscente, e fiducioso di
governare in quella entrante. Per ottenere questo era necessario
individuare il terreno giusto su cui sfidare gli avversari. Andare alle
elezioni sull’impossilità di approvare il bilancio, con i drastici
tagli necessari, sarebbe stato ammettere un clamoroso insuccesso. Molto
più attraente, per Bibi e i suoi compagni di viaggio, puntare sul
richiamo alla memoria, all’identità, alla difesa del paese di fronte ai
rischi esistenziali – peraltro reali – emergenti dal torrido ambiente
medio-orientale in mezzo a cui Israele vive. Il mondo arabo oggi, è
vero, è distratto da una gigantesca guerra civile (definita da alcuni
osservatori, non si sa se più illusi o mal informati, “primavera
araba”), ma è pur sempre in grado di causare gravi danni alla sicurezza
e alla sovranità israeliana. Lo si è visto nella recente operazione
Colonna di fumo (definita Colonna di difesa a uso esportazione stampa
estera) contro il regime di Hamas a Gaza. A dire il vero, con Colonna
di fumo si replicava puntualmente quello che era già avvenuto con
l’operazione Piombo fuso alla fine del 2008 sotto il governo di
centro-centrosinistra di Ehud Olmert, pure alla vigilia di nuove
elezioni. Allora avevamo previsto che, in caso di vittoria schiacciante
di Israele sui movimenti terroristici, il governo uscente avrebbe
attratto nuovi consensi e avrebbe fatto bene alle urne ma in caso di
vittoria stentata o pareggio, avrebbe perso molti punti. Cosa poi
puntualmente verificatasi, a vantaggio di Bibi ma specialmente di
Liberman e del suo Israel Beitenu. Anche questa volta, per giudicare la
vittoria militare di Israele sul campo bastava percorrere le strade di
Gaza, o scrutare nei cieli la performance dell’antimissile Cupola di
ferro. Ma il bilancio finale di fronte a Hamas restava tuttavia, a
detta di molti, una specie di pareggio che poteva danneggiare la
maggioranza governativa. Ci pensava però subito dopo Abu Mazen,
sostenuto all’Onu da 138 paesi (fra cui l’Italia) consapevoli o meno
della vera natura e conseguenza di quel voto, a stimolare nuovamente il
senso di solidarietà nazionale degli israeliani. Meglio dunque per Bibi
cercar di mantenere l’attenzione del pubblico fissa sulla grande
politica anziché sul fatto che Israele, oltre al dovere di difendersi,
è anche un paese. Un paese in cui i servizi sanitari, il sistema
educativo, i trasporti devono funzionare, in cui il livello dei redditi
e dei prezzi dev’essere tale da permettere un onesto tenore di vita
nell’alloggio, nei generi alimentari, nel risparmio, nelle pensioni e
nell’equità sociale. Riguardo alla grande politica, era ed è automatico
per Bibi arruolare una coalizione composta dalla destra nazionale
liberale-nazionale (Likud-Beitenu), dal partito nazionale religioso
(ora Habayt Hayehudi) e dalla destra ultra-nazionalista dai toni sopra
le righe (Hayhud Haleumi, ora fusosi con il precedente). Semplificando
molto il discorso, tutti questi partiti insieme – che qui chiameremo
con terminologia americana “i repubblicani” – sono oggi al governo,
assieme ai haredim (Yahadut Hatorah e Shas). Secondo gli ultimi
sondaggi pre-elettorali aggiornati alla metà di dicembre, Bibi era
proiettato a ricreare agevolmente la sua attuale maggioranza – salvo
poi pensare al bilancio. Di fronte a tutto questo, le forze politiche
di centrosinistra (laburisti- Avodah e Meretz) e del centro (quella
terza forza che periodicamente e sotto nomi diversi sorge e scompare in
Israele) avrebbero dovuto spostare il discorso pre-elettorale sui temi
delle necessità urgenti dell’economia e della società civile. Ma,
invece di coalizzarsi in una concreta proposta alternativa di governo,
hanno preferito inscenare uno spettacolo sconcertante di lotta
fratricida, dominata da divisioni, egoismo, fughe e dispetti reciproci
dei personaggi chiave. Dal clamoroso crollo di Kadima, da maggiore
partito nazionale (28 seggi nel 2009) fino all’orlo della soglia di
ammissione in parlamento (2 seggi), sorgevano degli spezzoni di partito
con Yesh Atid (C’è futuro) di Yair Lapid e Hatenuah (Il movimento) di
Tzipi Livni. I Laburisti-Avodah con Shely Yachimovich davano qualche
segno di ripresa dal lungo tracollo storico che li aveva portati da 44
seggi nel 1992 con Ytzhak Rabin a 13 nel 2009 con Ehud Barak (mentre il
più radicale Meretz passava da 12 a 3). Ma secondo gli ultimi sondaggi
la somma dei partiti del centrosinistra e del centro (che, sempre
semplificando, chiameremo all’americana i “democratici”) non guadagnava
nulla, anzi perdeva qualche cosa. Lo scoglio cruciale non era la
piattaforma programmatica, facilmente intercambiabile fra i partiti
della medesima area politica, bensì, tristemente, la non rinuncia ad
essere il capolista. Anche il computo dei tre partiti arabi (Hadash,
comunista; Raam- Taal, islamico; e Balad, ultra-propalestinese e
anti-israeliano) non sarebbe stato sufficiente a formare un ipotetico
blocco maggioritario di ostruzione nei confronti della coalizione
egemone. Se poniamo le previsioni per il voto del 22 gennaio in
prospettiva storica (vedi grafico, con tutti i risultati dal 1992 e le
previsioni per il 2013 fra virgolette), riducendo l’infinita
spezzettatura dei partiti alle quattro maggiori aree politiche, emerge
a grandi linee una sorprendente stabilità del sistema e un quasi
pareggio fra le due ideologie principali, già visibile del resto negli
anni ‘80. Ma appare anche chiaramente la meccanica dell’alternanza al
potere fra la coalizione “democratica”, guidata dall’Avodah, e la
“repubblicana”, guidata dal Likud. Lo scambio al vertice è avvenuto
quasi ad ogni tornata elettorale – ma non è previsto questa volta. È
anche importante notare che se negli ultimi vent’anni il Likud ha
mantenuto la sua costante egemonia all’interno dei “repubblicani”, fra
i “democratici” è avvenuta un’epocale sostituzione delle forze di
centro nei confronti di quelle di centrosinistra come forza trainante.
Le altre due componenti politiche principali, i haredim e gli arabi,
sono anch’esse in complesso stabili ma entrambe storicamente in lenta
progressione demografica. Per loro può risultare decisiva la
percentuale di astensioni il giorno del voto. Il 22 gennaio si
prospetta dunque vittorioso per Bibi, ma in politica come in politica.
Sergio Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme
Pagine Ebraiche, gennaio 2013
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Un’inedita testimonianza - La storia di White Christmas |
Sono
in tanti a notare incuriositi che molte tra le più popolari canzoni
natalizie sono opera di compositori ebrei, dalla malinconica I’ll Be
Home For Christmas di Walter Kent alla divertente Rudolph the Red-Nosed
Reindeer di Robert Lewis May. Ogni anno, avvicinandosi al Natale, i
giornali propongono elenchi di canzoni e storie di compositori. La
prima citata, invariabilmente, è White Christmas di Irving Berlin.
Nato in Russia Israel Baline nel 1888, figlio del cantore di una
sinagoga, Berlin si trasferì a New York nel 1893. Fin dal primo
successo internazionale datato 1911, Alexander's Ragtime Band, la sua
fu una carriera lunga e di successo planetario, con 1500 canzoni e le
colonne sonore di 18 produzioni di Broadway e 19 film di Hollywood.
White Christmas è considerata il singolo più venduto di tutti i tempi
dal Guinness dei Primati nella versione cantata da Bing Crosby per il
film Holiday Inn con Fred Astaire nel 1942.
Da
sempre un grande mistero aleggia sulle circostanze in cui la canzone fu
effettivamente composta. Si sa che Berlin era famoso per la sua tecnica
di scrittura particolare, a getto continuo, con le parole che spesso
assumevano maggiore rilevanza delle note. Forse anche perché le note
Berlin non era in grado di trascriverle, e così pagava qualcuno, la sua
segretaria o un musicista, per farlo al suo posto. E coerentemente con
questa storia, una testimonianza inedita racconta come la più amata
canzone di Natale di tutti i tempi fu composta a Londra in una notte
invernale all’inizio degli anni Quaranta. “Eravamo all’Hotel Savoy e
stavamo bevendo un cocktail in attesa di Alex (il produttore
cinematografico sir Alexander Korda ndr), quando lui entrò al bar
accompagnato da un uomo basso, magro, che sembrava ebreo. Ce lo
presentò come Irving Berlin. Ero così emozionata di conoscerlo e glielo
dissi, cosa che sembrò fargli piacere”. A ricordare l’incontro nelle
sue memorie (nell'immagine la pagina in questione) è Patricia Wilcox,
figlia del regista e produttore britannico Herbert Wilcox, che
racconta. “Prendemmo
un taxi diretti al Claridges. Quando passammo vicino a Piccadilly
iniziò a nevicare e Alex borbottò qualcosa a proposito del tempo da
lupi. Io eccitata risposi ‘Che bello, avremo un bianco Natale’ e Berlin
si diede un colpo al ginocchio e disse ‘Ecco il titolo che stavo
cercando’. Mi spiegò che stava lavorando a una canzone per un film di
Bing Crosby, ma che non trovava le parole giuste. Poi, emozionato quasi
quanto me, chiese ad Alex se aveva un pianoforte, della carta
pentagrammata e qualcuno che potesse scrivere la musica. Alex rispose
sì alle prime due domande e no alla terza. E allora dissi che potevo
farlo io (…) Quando arrivammo al Claridges, Alex prese la carta
necessaria dall’orchestra dell’albergo, e andammo tutti nella Pent
House. Lì Berlin, con la sua voce buffa, canticchiò la melodia e io
presi nota. Mi disse solo di aggiungere la scritta ‘Avremo un bianco
Natale’ e che poi avrebbe lavorato al resto delle parole più tardi.
Quella canzone divenne White Christmas”.
“Quella di White Christmas è una storia che mia madre ci ha raccontato
tante volte – spiega il figlio di Patricia, Chris Jarratt – Andava
orgogliosa del suo contributo e ogni volta che la ascoltava, anche in
tarda età, scherzava sempre ‘Peccato che io non abbia chiesto una
percentuale’”.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
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Qui Roma - 87 candeline per Zi Pucchio
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Alberto
Mieli, in arte Zi Pucchio, sopravvissuto ad Auschwitz e autentica
colonna portante della Comunita', e' uno dei personaggi più amati della
Roma ebraica. Un calore e un affetto tutto speciale che centinaia di
persone hanno voluto testimoniargli partecipando alla festa a sopresa
organizzata al centro pitigliani in occasione del suo 87esimo
compleanno. Tra i vari momenti della serata, svoltasi in un clima di
grande commozione, la proiezione di un filmato che ricostruisce la sua
vita attraverso le parole di tanti amici.
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In
cornice - Arte contro la crisi
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Le
grandi mostre non risentono della crisi: dai dati appena pubblicati, la
personale di Picasso a Milano e' stata visitata da 420.000 persone
paganti e risultati non meno eclatanti arrivano da Roma per la mostra
di Vermeer e da altre città. Eppure il biglietto intero costa 10 euro e
il pubblico, almeno a Milano, e' composto per la grande maggioranza da
italiani col portafoglio semivuoto per la crisi e le tasse. E allora?
Forse una parte del famoso ceto medio ha cambiato gusti e al posto di
un altro regalo natalizio preferisce concedersi e concedere un'ora di
visita a una mostra. Il consumismo in crisi? Non sarebbe male.
Daniele
Liberanome, critico d'arte
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Tea
for two - Buon compleanno
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Siamo
arrivati al cinquantaduesimo tea in compagnia. Un anno, tra tira e
molla, di lunedì passati a gozzovigliare e favellare di libri,
identità, costume e, ammettiamolo, della sottoscritta e delle sue
disavventure. Non farò come in Beautiful un breve riassunto nel quale
in maniera intricata e un po' noiosa racconto le puntate precedenti. Ma
se proprio vogliamo buttare nella mischia Beautiful, è bene sapere che
purtroppo sono una jellata Taylor e non una bionda procreatrice Brooke.
Mi sono intrufolata timidamente nel notiziario quotidiano di lunedì, un
giorno rinomatamente inviso a parecchi di noi. Eppure è diventato la
meta che aspettavo ansiosamente ogni settimana. Perché, diciamo pure
tutta la verità, io non sono nessuno (ma mi rincuoro pensando alle
parole di Emily Dickinson:"Io non sono nessuno! Che grande noia essere
qualcuno!"). Pensavo che la mia vita comunitaria ebraica si fosse
esaurita dopo parecchi campeggi da Miss Invisibile al Bene Akivà e con
l'ansia di varcare le vie che mi conducevano nel ghetto di Roma. Tanto
a chi interesso? Sembra un po' deprimente ed in effetti lo è. Ogni
festa di Purim con la consapevolezza di essere in imbarazzo, timida,
senza nulla da dire e con una voglia matta di bere un birra piccola e
mangiare mais tostato con i miei amici dell'università, struccata e con
un maglione orrido. Credo di aver raggiunto il culmine quando una
ragazza ha chiesto insistentemente all'amica chi diavolo fossi
scambiandomi per straniera. Poi, per gioco delle sorti, ho avuto la
possibilità di bere the e mangiare biscottini con l'ebraismo italiano.
Portentoso. Invisible girl ha una voce, flebile e piuttosto dispettosa,
ma ha una voce. Il pensiero che qualcuno mi legga, anche solo per
qualche riga, è una sensazione paradisiaca. Come mangiare nel McDonald
kasher in Israele o trovare l'ultimo paio di jeans scontati della tua
misura. Come avere un appuntamento con il ragazzo che ti piace e
decidere addirittura di togliersi gli occhiali e rinunciare a due gradi
e mezzo per una serata, piuttosto sfocata ma comunque colorata. E ho
perfino scoperto che la canzone Tea for Two, casualmente presa in
prestito per il titolo, è stata scritta da un nostro correligionario,
tale Irving Caesar. Gioia, gaudio e tripudio. Finito il discorso da
pseudo Miss Italia, saluto tutti quelli che mi conoscono (e anche
quelli che chiedono alle amiche:"Ma questa chi è?"). Al prossimo tea
fumante da bere insieme!
Rachel
Silvera, studentessa twitter@RachelSilvera2
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"No al vassallaggio nei confronti delle istitutioni nazionali"
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La risposta data da Gadi Luzzatto Voghera a Elvira Di Cave e Barbara Pontecorvo,
consigliere dell’UCEI, condensa in poche parole, in modo
inequivocabile, ciò che differenzia, gli interessi della Comunità
ebraica di Roma e ritengo anche di Milano, dalle altre Comunità
italiane. Alla base di questa differenza, secondo il mio modesto
parere, è l’assurda rilevanza che viene data al reale peso politico,
economico e culturale di Comunità significative per numero, ma esigue
per iscritti e per apporto concreto come sono quelle, della galassia
dell’UCEI, rispetto al reale peso politico economico e culturale di
Comunità come quella romana e milanese.
La Memoria, con le sue sofferenze, i suoi aneddoti e ricordi,
(cimiteri, targhe che ricordano la passata esistenza in loco di Beth
haKnesset, stanze adibite ad esposizione di foto e cimeli di chi viveva
in quella cittadina) è senza alcun dubbio un bene prezioso che va
difeso e mantenuto. Ancor di più, è mia convinzione, che vada
sostenuto, aiutandolo a crescere, senza condizionamenti di ogni tipo,
il nostro futuro di ebrei.
L’apporto che io posso dare ai miei figli, per la formazione di una
loro futura famiglia ebraica, soltanto in parte può dipendere da me,
io, posso trasmettere loro, le esperienze mie e quelle dei loro nonni.
Ma dovranno essere le istituzioni ebraiche a dare loro, gli strumenti,
i mezzi e la conoscenza di che cosa vuol dire appartenere al Popolo
Ebraico, che cosa significa essere ebrei che, pur rispettosi delle
leggi del paese in cui viviamo e siamo nati, non siamo disposti ad
accettare condizionamenti al nostro vivere da ebrei.
Il futuro di una Comunità, posta nella golà, potrà perpetrarsi negli
anni e nei secoli, soltanto se alimenteremo ciò che è la linfa del
nostro futuro, le scuola per i nostri ragazzi, le strutture comunitarie
(centri ricreativi, possibilità di mangiare kasher, aiutare la Rabbanut
nel formare i nostri futuri Maestri) ed ultimo ma certamente solo in
questo scritto, la difesa ad oltranza delle ragioni dello Stato
d’Israele, unico ed indiscusso garante che ciò che è stato non accadrà
mai più
Due appunti alla politica dell’UCEI. Le risorse, economiche ed umane,
pur senza abbandonare le piccole comunità, dovrebbero essere
indirizzate in modo massiccio, a tutto ciò che può essere utile
per mantenere vive le Comunità che, con grossi sacrifici, mantengono
vivo l’ebraismo in Italia e non come accade ora, solo per ricordare
l’ebraismo che c’era e che in gran parte è sparito anche per
assimilazione e convenienza.
Le istituzioni nazionali vanno rispettate non idolatrate, troppo spesso
dal linguaggio di chi ci rappresenta nell'UCEI e nei suoi mezzi di
informazione, si evince che, nel confrontarci con queste istituzioni,
si opta per un, a mio avviso, incomprensibile atteggiamento di
“vassallaggio”. Un mio amico, dice che qualche volta, una sana
“maleducazione” non fa male. Io, che sono da sempre un pacifista,
condivido in pieno questo pensiero.
Settimio Mino Di Porto, commerciante
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rassegna
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Piogge record in Israele
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la rassegna |
Il
mese di dicembre in Israele ha registrato un record delle
precipitazioni, che proseguiranno anche nei prossimi giorni. Il lago di
Tiberiade e il fiume Giordano hanno raggiunto il livello più alto negli
ultimi vent'anni e un'abbondante nevicata ha imbiancato il Monte Hermon
nel nord del paese.
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Non è ancora noto il
bilancio dell’ennesima strage di civili in Siria, e sono numerose le
testate che ne parlano, raccontando della bomba sganciata su una fila
di persone accorse per la riapertura di un panificio a Halfaya.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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