Tre
donne per Rita - Una vita per gli altri
Vedere
la foto di Rita Levi Montalcini su tutti i giornali che annunciano la
sua scomparsa suscita un'emozione grandissima mista a commozione
profonda non solo per la perdita della grande scienziata italiana ed
ebrea ma soprattutto per i ricordi personali evocati dalla sua immagine.
La conobbi in tempi lontani, quando accettò un nostro invito a cena
insieme alla inseparabile gemella Paola. Noi eravamo giovanissimi e
lei, scienziata famosa a livello internazionale, era già in odore di
Nobel. La conversazione fu ovviamente unidirezionale: il suo mondo,
neanche a dirlo, non era il nostro e le sue conoscenze non erano comuni
né condivise. Al suo dire: ’Dulbecco, lei conosce vero?', la risposta
era: ’No, purtroppo non ho avuto il piacere...‘. Seguirono a ruota
menzioni di altri illustri scienziati di fama mondiale che lei, forse
nel tentativo di trovare un terreno comune, continuava a citare
chiedendoci se li conoscevamo. E la nostra risposta era sempre, ogni
volta, ’purtroppo no’.
La sensazione che ci lasciò quella serata fu che lei, dea dell’Olimpo,
vivesse in un dimensione non terrena dove lotte, problemi, e conflitti
non la sfiorassero affatto tanto era presa dalla spinta per la sua
ricerca e dal suo totale coinvolgimento con essa.
A quell’incontro ne seguì un altro. Andai a trovarla a casa per
un consiglio per la prosecuzione della mia carriera accademica, avendo
avuto la possibilità di andare all’estero per un dottorato. Mi ascoltò
con grande attenzione e il suo consiglio, non a caso, fu quello di non
perdere l’occasione di studiare all’estero. Ma soprattutto, aggiunse:
’Segui un maestro che sia un uomo di studio e di scienza e non un
politico’.
Non si sbagliava. Mi insegnò che bisognava sempre seguire la propria
spinta intellettuale e rimanervi fedeli, senza compromessi né false
scorciatoie di comodo.
La invitammo ancora dopo qualche anno a Siena per parlare una sera al
Rotary club. Nel pomeriggio, chiamandola per una ulteriore conferma,
ingenuamente confessò di essersi dimenticata dell’impegno e
di trovarsi all’Aquila a un convegno scientifico. Erano le cinque del
pomeriggio e ciò nonostante riuscì ad essere a Siena alle 21 dove tenne
una lezione magistrale, non prima di essersi cambiata per indossare il
suo abito firmato Capucci e di essersi aggiustata sulla fronte la sua
onda di capelli argentei.
La incontrai un’ultima volta in aereo verso Tel Aviv, quando ormai
ipovedente ma sempre lucidissima, si recava a Gerusalemme per un
concerto per la pace.
E infine mi piace ricordare la stima che aveva per i ricercatori
italiani, il suo amore per il suo paese, l’Italia che ha onorato fino
in
fondo, nonostante le discriminazioni e le persecuzioni subite. Non è
retorica citare che il suo libro Elogio all’imperfezione, con dedica su
frontespizio, rimane per me il vademecum di una vita spesa per gli
altri da una donna che ha raggiunto traguardi scientifici nella
consapevolezza di voler affermare se stessa in un mondo da cui
inizialmente era stata esclusa.
Antonella Castelnuovo,
Università di Siena
Tre donne per Rita -
Conoscere il cervello
Ci
ha lasciati Rita Levi Montalcini. E’ stata lei l'ispiratrice di
BrainForum, che nacque per celebrare il suo 101° compleanno. A dispetto
dell'età, Rita era ancora lucida, attenta, entusiasta. Firmò le lettere
di invito agli scienziati, che per la stima e l'affetto nei suoi
confronti accorsero da tutto il mondo.
E così un convegno di neuroscienze agli esordi ebbe l'onore di ospitare
alcuni tra i massimi studiosi delle più prestigiose università
internazionali.
Rita aveva programmato di venire a inaugurare il convegno, al Tempio di
Adriano a Roma. Purtroppo poche settimane prima si ruppe il femore, e
non poté presenziare. Ma registrò comunque un videomessaggio di
augurio, nonostante la debolezza e la sofferenza.
Rompersi un femore a 101 anni è una prova durissima, a livello fisico e
psicologico. Ma Rita la sopportò con straordinario coraggio e con la
determinazione a non lasciarsi sopraffare.
E’ stata questa, credo, la cifra della sua vita esemplare: coraggio,
ostinazione, capacità di sacrificio, e la volontà di non arrendersi:
alle persecuzioni razziali, alle delusioni, all'emarginazione delle
donne nella comunità scientifica, agli insuccessi, alla progressiva
cecità che negli anni le rendeva sempre più difficile leggere (la sua
ragione di vita), alla sordità che in vecchiaia la isolava dal mondo.
Rita aveva profondo in sé il senso della missione: la laica missione di
studiosa del cervello, alla quale aveva sacrificato l’idea di una vita
matrimoniale, sapendo che sarebbe stata inconciliabile. Ma anche una
missione di impegno verso il progresso, verso le donne, soprattutto
quelle più povere e discriminate del Terzo Mondo, verso i giovani, che
erano sempre presenti nei suoi pensieri e nelle sue parole, lei che
aveva scelto di non essere madre. La angustiava vedere come in Italia
le migliori promesse nel mondo della scienza (e non solo) sono
costrette a cercare affermazione e successo all’estero, e anche per
questo fondò a Roma l’EBRI, nella speranza di creare un centro di
eccellenza dove i giovani neuroscienziati avrebbero potuto lavorare,
emergere e tornare dall’estero – un centro che versa oggi in grandi
difficoltà, perché le lobby di potere combattono la meritocrazia che
rifiuta etichette, servilismi e bandiere politiche, e la ricerca
scientifica è la Cenerentola nel nostro Paese.
Non voleva essere definita femminista. Era convinta - e ne
era testimonianza vivente - che le donne possono e devono affermarsi e
avere successo quanto gli uomini. Ma non le piacevano i vittimismi di
chi giustifica con la discriminazione il proprio insuccesso.
Voleva aiutare i giovani ad amare la scienza, lo studio, a impegnarsi
nella ricerca.
Ma soprattutto la entusiasmava il cervello, al quale ha dedicato la sua
vita di ricercatrice. “Conoscere il cervello è la grande sfida del
terzo millennio”, soleva ripetere.
Una sfida che l’ha portata al Premio Nobel per la scoperta del Nerve
Growth Factor (NGF), che ancor oggi, dopo più di sessant'anni, riserva
sorprendenti promesse per il recupero delle capacità del cervello e per
la cura dell’Alzheimer e delle patologie oculari, tant’è vero che è
studiato nei laboratori di tutto il mondo. In Cina viene sperimentato a
livello terapeutico, tramite la collaborazione con l’EBRI.
Volle intitolare la sua autobiografia Elogio dell’imperfezione
(leggetela, Rita aveva anche anche grandi doti letterarie...). Quale
titolo potrebbe illustrare meglio la personalità di questa donna
straordinaria che, nonostante i riconoscimenti e i successi, non si
montò mai la testa, si considerò sempre al servizio della scienza e
degli altri, e conservò fino all’ultimo la consapevolezza dei propri
limiti e il senso dell'ironia?
Viviana Kasam, fondatrice
di BrainForum
Tre donne per Rita -
Elogio di una donna imperfetta
Non
amo i coccodrilli, né le agiografie post mortem. Eppure sento di dover
scrivere qualche riga in memoria di Rita Levi-Montalcini, se non altro
perché, avendo conosciuto da vicino una parte della sua famiglia
torinese, ho avuto la fortuna di poter ridere alle sue spalle. Sì,
proprio così: mi sono permessa, da ragazzina, di ridacchiare di quella
che era già diventata una star della scienza dopo aver ricevuto il
premio Nobel per la scoperta dell’NGF.
Ho infatti frequentato la casa di alcune sue cugine che, con
l’understatement tipico di un certo ebraismo piemontese, godevano
sottilmente nel raccontare, alla giovane appassionata di scienza che
ero allora, tutti i pettegolezzi e piccole meschinerie di cui la grande
Rita si sarebbe macchiata nei suoi anni acerbi, spinta, dicevano loro,
da un’ambizione smisurata, che le permise di superare il doppio
handicap di essere donna e appartenente a una minoranza religiosa
(seppure solo nominalmente, poiché si è sempre fieramente dichiarata
laica e atea) contro la quale l’Italia aveva promulgato le leggi
razziste.
Quando, molti anni più tardi, mi capitò di intervistarla (l’ultima
volta per l’inaugurazione dell’EBRI,lo European Brain Research
Institute che doveva essere il luogo d’eccellenza della ricerca
neuroscientifica in Italia) non osai dirle che conoscevo di lei un lato
familiare e forse meno brillante di quello che mostrava all’esterno, ma
che me la rendeva tanto più simpatica e umana. Non osai anche perché,
malgrado la sua squisita gentilezza e buona educazione, era una donna
che intimidiva, come terribilmente intimidente era quell’Elogio
dell’imperfezione che scrisse per raccontare quanto perfetta fosse
stata la sua vita e la sua carriera scientifica. È un libro che ho
molto amato (ero al secondo anno di medicina quando lo lessi) perché,
tra le righe, diceva che per arrivare ad essere come lei bisogna essere
capaci di sminuirsi in apparenza per esaltare al meglio le proprie doti
e i propri traguardi.
Il vero moto di ammirazione, però, me lo strappò nel 2006, quando si
presentò in Senato, pur non stando bene e alla veneranda età di 97
anni, per votare la fiducia al governo Prodi, dando un senso, ai miei
occhi, all’istituzione dei senatori a vita.
Alle donne di scienza la Montalcini ha fatto un altro regalo,
tutt’altro che scontato: ha detto che è lecito essere geniali e vanesie
allo stesso tempo, lei che non si faceva fotografare se non con i
capelli candidi e perfettamente a posto, il vestito con la piega
giusta, quei colletti così anacronistici e i gioielli che amava molto.
Molto prima di qualsiasi maldestro spot della Comunità Europea per
convincere le donne che si può fare lo scienziato con il tacco 12, lei
vestiva solo Capucci: se questa non è classe…
Daniela Ovadia,
giornalista scientifica
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Storie - Rita
Levi Montalcini e gli italiani "brava gente"
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Rita
Levi Montalcini non fu solo una straordinaria scienziata. Lei che aveva
conosciuto l’infamia delle leggi razziali e nel 1938, da giovane
ricercatrice, era stata costretta dal regime fascista ad emigrare in
Belgio, per tutta la vita riservò una parte del suo impegno alla
politica e alla riflessione etica. Piero Banucci, su «La
Stampa» di ieri, ha proposto un’intervista inedita risalente al
1988. Vale la pena rileggerne alcuni brani.
Scopriremo che Rita Levi Montalcini riteneva attuale “essere
antifascisti”: «Significa mantenere vivi quei valori che si stanno
perdendo da parte dei revisionisti. Oggi non c’è da opporsi a una
persecuzione, a una privazione della libertà come avveniva sotto il
fascismo. Antifascisti dovremmo esserlo tutti. Purtroppo non è così. Il
fascismo è stato la distruzione di tutti i valori morali. Un
revisionista per esempio è lo storico Renzo De Felice. Per lui siamo
stati tutti uguali, tutta brava gente, tanto vale passare una spugna su
tutto. Un momento: io dico no, ci sono i bravi e i cattivi. Primo Levi
è stato formidabile nel denunciare il revisionismo. Le cose vanno
ancora peggio in Francia. De Felice afferma che l’Italia è fuori
dall’ombra dell’olocausto. Non è affatto vero. Sono amareggiata da
queste affermazioni. Oggi, nel 1988, antifascismo è avere dei principi
etici».
E sul pericolo di razzismo, così si esprimeva: «Il razzismo è sempre in
agguato. In molte parti del mondo si assiste a persecuzioni non diverse
da quelle che abbiamo avuto in Europa mezzo secolo fa. Ci sono ritorni
di antisemitismo, persino in Italia. Tutto ciò denota un basso livello
di valori etici. I razzisti sono persone frustrate, che pensano di
rivalersi perseguitando persone che ritengono inferiori. Questi
rigurgiti del passato non mi toccano, ma mi addolorano».
Mario Avagliano twitter @marioavagliano
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Firenze
in marcia per la pace
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la rassegna |
"Firenze
città per la Pace". Questo lo slogan della marcia promossa dalla
Comunità di Sant'Egidio che, con partenza da piazza del Duomo alle 16,
toccherà oggi i principali luoghi religiosi cittadini. Prevista una
sosta anche davanti alla sinagoga di via Farini dove tra gli altri
interverrà il presidente della Comunità ebraica Sara Cividalli.
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Rassegna
stampa esclusivamente online quella odierna. Milioni gli italiani che
hanno visto o ascoltato il discorso di fine anno del presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano, l’ultimo di un settennato che si avvia
alla conclusione.
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