Una
piccola folla raccolta, commozione e cordoglio, i cancelli che si
aprono – fatto straordinario per il giorno di Capodanno – per
accogliere il feretro di uno dei più grandi ingegni italiani di sempre.
Rita Levi Montalcini è tornata a Torino e, prima ancora dell'omaggio di
autorità e cittadinanza ai funerali civili in programma questo
pomeriggio, è stata la Comunità ebraica a salutarla con una cerimonia
privata svoltasi ieri pomeriggio al cimitero monumentale di corso
Novara. Assieme alla nipote Piera Levi Montalcini e ai familiari più
stretti, tra gli altri, il presidente Beppe Segre, il vicepresidente
Emanuel Segre Amar e il vicerabbino capo Avraham De Wolff. L'ingresso è
vietato alla stampa, assiepata al portone principale già da ora di
pranzo. Attorno alla salma ci si ritroverà così in un numero ristretto
di persone con la consapevolezza di condividere un'occasione unica di
preghiera e raccoglimento. “Nei momenti di cordoglio – afferma rav De
Wolff – noi lodiamo il giudice della verità, l'unico Dio, che dona lo
spirito della vita al genere umano e che in seguito lo trae per porlo
altrove. Negli anni in cui questo spirito di vita è qui, in noi,
ringraziamo Dio e godiamo della possibilità di impiegare i suoi doni
per migliorare questo mondo. Tramite la bontà, per mezzo della scienza
e della produzione. Per le migliorie che apportiamo i nostri simili ci
sono grati. Questa gratitudine, e la soave memoria che ne consegue,
sono una santificazione del nome del vero Dio. Ringraziamo la famiglia
di Rita per essere qui con noi, a Torino, a concedere alla Comunità
ebraica della sua città natale di porle commiato recitando i Salmi di
Re Davide. Ringraziamo Rita per aver santificato il nome di Dio nei
suoi anni trascorsi con noi. Possa il suo nome essere annoverato tra
coloro che appartengono alla Vita”. Questo pomeriggio alle 15.30, con
la partecipazione di migliaia di persone e alla presenza delle massime
autorità cittadine, i funerali civili aperti a tutta la città. “Il
funerale – spiega Piera Levi Montalcini – è un momento di saluto e noi
abbiamo voluto permettere a chiunque lo desideri di salutare la zia. In
tanti le hanno voluto bene. È importante che venga ricordata e che
vengano ricordati i suoi insegnamenti. Ma sarebbe bene anche cercare di
applicarli. Noi, in futuro, ci impegneremo per favorire tutto questo”.
Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked
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Inizio
di 2013 all'insegna del dialogo e dell'impegno delle differenti realtà
religiose fiorentine per la costruzione di un futuro sempre più plurale
e accogliente con il corteo per la pace svoltosi ieri pomeriggio sotto
l'egida della Comunità di Sant'Egidio. Tra i vari punti di sosta
la sinagoga di via Farini. Insieme al presidente
della Comunità ebraica Sara Cividalli il rabbino capo rav Joseph Levi,
che si è brevemente soffermato sull'importanza dell'incontro tra popoli
e religioni diverse e sulla comune aspirazione alla pace.
"Demonizzare lo sviluppo è quello che facciamo tutti. Eppure - ha
affermato Cividalli - il mondo in cui viviamo ha fatto dei passi avanti
notevoli in campi fondamentali come la salute e l'educazione. Quando
ero una bambina, cinquant'anni fa, la metà della popolazione mondiale
era denutrita, oggi la percentuale è scesa, in Africa, sotto al 10%. In
quegli anni una mia amica si è ammalata di poliomielite, c'è stata
l'ultima epidemia in Italia, ora la malattia sta scomparendo quasi in
tutto il mondo. Meno della metà dei bambini del pianeta frequentava la
scuola elementare, oggi sono il 90%. Le disuguaglianze sociali si
misurano su redditi e patrimoni, ma beni fondamentali come la
diminuzione delle morti per parto, l'aumento della longevità e
l'istruzione, la possibilità di informarsi e di comunicare, sono
distribuiti molto più equamente. Salute ed istruzione sono beni che
contano e su questi tutti hanno investito molto. Perché non si riesce a
fare altrettanto per la pace? Perché l'Europa che ha vinto il premio Nobel per la pace non riesce, per il momento, ad esportarla nel mondo?".
"Non posso che augurarmi - ha concluso - che la pace possa diventare il
frutto naturale del maggiore rispetto per sé stessi e per i propri
vicini che nasca dalla speranza nel futuro di uomini che, come dice
Michele Brancale della Comunità di Sant'Egidio, devono essere e sentirsi non gli uni sovrapposti agli
altri, ma gli uni accanto agli altri, e questo per lasciare ai nostri
figli e ai figli dei nostri figli un mondo di rispetto e di pace". E'
stata quindi data lettura della poesia Pace nel cuore
scritta per l'occasione da Alessandro Nocchi.
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Ticketless
- Il morso di Fery
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Il
Ticketless di questa settimana è per un viaggio che non ho ancora
fatto, ma devo fare prima del 2 febbraio prossimo. Quel giorno si
chiuderà a Trieste la mostra “Testimone dello scacco e del tramonto:
Fery (Ferruccio) Fölkel (1921-2002)”. Curata da
Elvio Guagnini, la mostra è ospitata presso la Biblioteca Statale
Stelio Crise. Sono contento che la città amata-odiata dall’autore delle
Monàde. 33 poesie del giudeo (1978) si sia ricordata di questo suo
figlio ribelle. Fra le altre cose Fery ha avuto tre meriti: ha aperto una finestra sul mondo slavo, quando Boris Pahor era sconosciuto; s’è occupato di storielle ebraiche, quando
Moni Ovadia portava ancora i calzoni corti; ha scritto un libro sulla
Risiera di S. Sabba quando la Shoah non era al centro dell’attenzione
degli storici del Novecento. Basterebbero queste tre virtuosità a fare
di lui non un testimone dello scacco – e tanto meno del tramonto, ma un
eroe per i prossimi dieci, cento, mille italici Giorni della Memoria.
Fery mi ha insegnato alcuni proverbi yiddish per così dire “minori”.
Cercherò di farne buon uso nei prossimi Ticketless. Un proverbio che ho
fatto mio, da molti anni è il seguente: “Se non sei mordace è inutile
mostrare i denti”. La grazia di Fery era scontrosa come la grazie della
sua Trieste.
Alberto Cavaglion
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L'antisemitismo e il mondo antico
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Degno
di attenzione un volume recentemente apparso in Germania, nel quale
l’autore, Volker Herholt, si impegna in un’attenta analisi del fenomeno
dell’antisemitismo nel mondo antico, ai fini di una più meditata
comprensione dell’intrinseca natura del velenoso fenomeno storico
(Antisemitismus in der Antike. Kontinuitäten und Brüche eines
historisches Phänomens).
L’autore parte da una constatazione di fondo, ossia la presa d’atto che
di antisemitismo, relativamente al mondo pagano precristiano, non si
parla mai, o quasi mai, giacché il termine, o i suoi equivalenti, sia
pure variamente intesi, risultano adoperati soltanto a partire
dall’avvento del cristianesimo, che avrebbe introdotto il pregiudizio
ideologico verso il popolo mosaico, ritenuto integralmente e
perpetuamente responsabile per non avere voluto riconoscere quel Messia
la cui venuta diceva di attendere, e di averlo anzi messo a morte.
Secondo le ricostruzioni correnti, questa contrapposizione, dopo avere
segnato di sé tutti i secoli del Medio Evo e dell’età moderna, si
sarebbe quindi trasformata, a partire dall’Illuminismo, nelle nuove
forme di ostilità antigiudaica, diverse da quella di matrice teologica,
e tuttavia a questa direttamente collegata, in quanto evidentemente
nutrite dalla millenaria predicazione di odio e intolleranza.
Herholt nota quindi che, nella storiografia dominante, la storia del
popolo ebraico, e, soprattutto, dei rapporti verso di esso da parte
delle altre culture e civiltà, apparirebbe spezzata da una netta
cesura, segnata dall’avvento del cristianesimo (dapprima col suo
consolidamento dottrinale, fin dal secondo secolo, e, ancor più, con la
sua vittoria politica, con Costantino), evento che determinerebbe un
chiaro spartiacque, valevole a separare le vicende tra un ‘prima’ e un
‘dopo’: e le indagini sull’antisemitismo sarebbero così state tutte
confinate nel solo spazio cronologico del ‘dopo’, quello del ‘tempo
cristiano’, giacché, prima di esso, il fenomeno non sarebbe esistito.
Questa impostazione, però, secondo Herholt, sarebbe errata, dacché
l’avvento del cristianesimo non avrebbe affatto segnato la ‘nascita’
dell’antisemitismo, ma unicamente una sua risignificazione ideologica,
sia pur particolarmente importante e significativa, la quale non
avrebbe fatto altro che fornire nuovi pretesti ideologici e nuovi
strumenti di giustificazione a una forma di ostilità (l’ostilità
antiebraica) che già sarebbe esistita nel mondo pagano. La storiografia
sarebbe quindi in difetto, dal momento che si sarebbe costantemente
schierata nel senso di una netta cesura e discontinuità storica tra era
pagana e cristiana, che non troverebbe adeguato riscontro nella realtà,
e parrebbe anzi contraddetta dalle numerose testimonianze (soprattutto
Tacito, e alcuni passi di Cicerone, Ovidio, Orazio, Giovenale,
Marziale) di un pregiudizio antiebraico presente anche nell’antichità
pagana.
Le conclusioni di Herholt, però, nonostante la serietà dell’impegno
profuso, e l’onestà intellettuale dell’autore, sono da respingere. I
coloriti giudizi antiebraici degli autori pagani riportati (come quelli
tratti dal quinto libro delle Historiae di Tacito: “teterrima gens”,
“despectissima pars serventium”, la “gens supestitioni obnoxia,
religionibus adversa”, “proiectissima ad libidinem”, il “genus hominum
invisum deis”) appartengono semplicemente al ricco panorama della
letteratura polemica romana contro barbari e peregrini, e non hanno
proprio niente a vedere con quello che siamo abituati a chiamare
antisemitismo. Gli ebrei si presero, nel mondo pagano, la loro buona
dose di insulti e invettive, come tutti gli altri popoli, ma non
divennero mai una gente maledetta, segnata da un indelebile marchio di
Caino, come sarebbe avvenuto in età cristiana.
La cesura (il “Bruch”) tra il mondo pagano e l’era cristiana,
nonostante le obiezioni di Herholt, esiste, e tra la giudeofobia
‘politica’ degli autori pagani e quella ‘teologica’ dei Padri della
Chiesa c’è una netta, innegabile differenza qualitativa. Ma, anche chi
non voglia scorgerla, dovrebbe per lo meno provare a confrontare i due
fenomeni sul piano quantitativo, per poi cercare di spiegare
l’impressionante lievitazione dell’antigiudaismo a partire da un certo
momento storico: quanti ‘antisemiti’ pagani ha trovato Herholt, alla
fine di un’analisi attenta e minuziosa? Tacito, un po’ di Cicerone, e
poco altro. Quanti ce ne sono ‘dopo’? Occorrerebbero molte pagine a
fare un elenco solo dei più noti.
Francesco
Lucrezi, storico
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Zahavi verso il ritorno in Israele
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la rassegna |
Sembra
terminata l'avventura in Italia di Eran Zahavi, fantasista israeliano
in forza al Palermo. Scarsamente impiegato nel corso della stagione
(appena tre presenze, nessuna dall'inizio), il calciatore - arrivato
nell'estate del 2011 con l'arduo compito di non far rimpiangere Pastore
- è vicino a un accordo con il Maccabi Tel Aviv.
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Proseguono,
sulla stampa italiana e internazionale, gli omaggi a Rita Levi
Montalcini. Da leggere, tra gli altri, la riflessione di Giorgio Israel
sul Foglio sulle numerose occasioni perse dal nostro paese in campo
scientifico.
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