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3 gennaio 2013 - 21 Tevet
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Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
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La Parashà di
Shemot si chiude sui dubbi di Moshè nell’accettare l’incarico divino.
Sono dubbi e tentennamenti che, anziché sminuire la figura di Moshè
Rabbénu, la fanno più grande. Chi accetta un incarico senza riserve,
senza ponderazione, è spesso un superficiale, che non si rende conto
delle difficoltà cui va incontro. Il maggiore dubbio che Moshè esprime
in questa occasione è l’incredulità degli Ebrei: “Ma essi lo crederanno
in me e non daranno ascolto alla mia voce”. Osserviamo: un conto è non
credere, assumere un atteggiamento mentale di scetticismo; altro è non
dare ascolto, ossia l’accettare un’idea ma il non essere disposti a
trarne le conseguenze pratiche, ad agire coerentemente. È a questo
punto che D.o insegna a Moshè i prodigi del bastone – serpente e della
mano. Sono prodigi dal valore simbolico, sui quali meriterebbe
soffermarsi; ma per ora preferisco evidenziare l’espressione usata da
D.o per introdurli. Ai dubbi di Moshè, D.o domanda “Mà-zè be-yadèkha?”,
“Che cosa hai in mano?”. È una domanda semplice, ma il modo in cui essa
è scritta apre la via ad un’altra lettura: “mi-zè be-yadèkha”, “da ciò
che hai in mano”: la risposta ai tuoi dubbi non va cercata o attesa
dall’alto, ma dalla tua stessa mano, dalla tua stessa azione. Se hai
dei dubbi – ed è bene che tu ne abbia – usa il tuo stesso agire per
risolverli. Ciò vale per ognuno di noi, ogni Ebreo che dubita della sua
capacità di uscire dall’Egitto dell’assimilazione e della perdita di
valori ebraici. Qualunque sia il nostro approccio all’Ebraismo, di tipo
religioso, o solo d’identità, o di legame a determinate usanze o
tradizioni, se temiamo che nel tempo esso possa svanire, perdersi, non
attendiamoci la risposta dall’alto, non deleghiamo a fornirci la
soluzione preconfezionata “gli addetti ai lavori” (i Rabbini, i
“religiosi”, le istituzioni): sta a noi, “mi-zè be-yadèkha”, a ciò che
abbiamo in mano, agire, osservare le mitzwòth, cogliere ogni occasione
di studio dell’Ebraismo senza domandarci se “è adatto a me o non è
adatto a me”; se sapremo agire così, ciò che ci sembrava un serpente
potrà diventare un appoggio valido, ciò che sembrava una mano
inutilizzabile potrà diventare lo strumento principale del nostro agire.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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L'autore
cattolico Vittorio Messori scriveva venerdí scorso sul Corriere della
Sera a proposito delle stragi di cristiani nel mondo: "In occasione
della ricorrenza di santo Stefano «protomartire», cioè primo martire
cristiano, lapidato dagli ebrei di Gerusalemme perché annunciava la
resurrezione di Gesú, [Massimo] Introvigne ha ricordato dai microfoni
della Radio Vaticana i dati per l'anno che sta finendo: 105.000 morti,
uno ogni cinque minuti". A parte il fatto che anche lo Stefano era un
ebreo, e che un altro ebreo, Saulo poi divenuto San Paolo, sembrerebbe
aver svolto un notevole ruolo in quel linciaggio, né dalla frase ora
citata, né da alcun altro punto successivo del testo di Messori,
risulta chi siano i perpetratori della strage attuale. L'unico
immediato collegamento esplicito è quello fra gli ebrei lapidanti di
allora e i 105.000 cristiani morti di oggi, ed è questo che il lettore
mediamente attento porta a casa. L'Islam, che forse ha qualche
responsabilità nell'odierna carneficina, viene solo citato
polemicamente più avanti in una digressione sulla libertà di culto. Poi
Messori scrive: "Va comunque osservato che ormai da più di due secoli i
cristiani si trovano solo e sempre dalla parte dei perseguitati, mai da
quella dei persecutori". Certo, è come dire che nell'Ottocento a Roma i
Papi Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, o magari il beato Pio
IX, vivevano nel ghetto umido e maleodorante, mentre gli ebrei romani
se la godevano nelle loro sontuose ville. Per non dire che durante la
Shoah non tutti i vescovi assunsero posizioni critiche del regime
nazista. E che la barbara strage di Sabra e Shatila fu perpetrata da
squadracce di Maroniti libanesi, almeno formalmente affiliati alla
Chiesa Cattolica Apostolica Romana. In questi giorni di rifondazione
democristiana, anche alla prosa spiritata, tendenziosa e surrealista di
Messori va data la giusta attenzione.
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Rita e la sua stella, l'omaggio di Giannelli |
Porta
la firma del più celebre vignettista italiano, Emilio Giannelli del
Corriere della Sera, il ritratto donato oggi ai lettori del Portale
dell'ebraismo italiano www.moked.it e del notiziario quotidiano ebraico
"l'Unione informa" per ricordare la grande ebrea italiana Rita Levi
Montalcini (1909-2012). Nonostante le persecuzioni e le difficoltà la
sua stella ha brillato per oltre un secolo. E continuerà a brillare.
Così, attraverso una battuta tenera e un omaggio indimenticabile,
Giannelli vede Rita e la sua stella eterna. E non è tutto. Il grande
vignettista è ora al lavoro assieme alla redazione del giornale
dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche su una seconda vignetta,
destinata ad apparire a fine mese sul prossimo numero, che renderà
omaggio con un segno forte alla tenacia di una grande donna, impegnata
fino all'ultimo come scienziata e come cittadina per lasciare ai
giovani un'Italia migliore. Grazie Emilio, Mazal Tov!
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Qui Torino - L'ultimo saluto a Rita Levi Montalcini Impegno civile, impegno ebraico, esempio per tutti |
“Con
Rita Levi Montalcini scompare non soltanto una scienziata di livello
altissimo, che ha fornito contributi irrinunciabili alla comunità
scientifica mondiale, ma scompare una donna che è stata esempio tenace
per ogni generazione di quali debbono essere i principi cui ispirarsi
per una vita vissuta in modo etico e coerente. Lo studio, il rigore,
l’esser vicina agli altri, in prima fila per le battaglie civili e di
democrazia”. È commosso Giulio Disegni, vicepresidente dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane, al momento di rendere l'ultimo
omaggio a Rita Levi Montalcini. Migliaia di persone intorno,
nell'ultimo abbraccio, sono la prova d'amore più emozionante di una
città in lutto ma unita più che mai dagli altissimi valori che hanno
sempre caratterizzato l'attività della scienziata. Accanto alla nipote
Piera, a suo fratello Emanuele, ai familiari più stretti tra cui Rita e
Franco, figli della sorella Anna ed entrambi iscritti alla Comunità
ebraica, sono in molti a stringersi nell'ora del commiato. Tra gli
altri il vicesindaco Tom De Alessandri, il presidente della Regione
Piemonte Roberto Cota, i ministri Fornero e Profumo. “Rita Levi
Montalcini è stata una donna impegnata non solo per la scienza –
ricorderà Disegni – ma anche per la cultura, la democrazia, i diritti
civili, le battaglie per le donne e per l’Africa. E anche in questa sua
dedizione e in questa curiosità per il mondo, una donna profondamente
ebrea”. Tra le prove più significative del suo attaccamento la
prolusione pronunciata al Congresso dell'Unione delle Comunità Ebraiche
del 1986 in cui lungamente si soffermò sulle proprie radici e sulla sua
famiglia. “Una famiglia della borghesia ebraica torinese – prosegue
Disegni – ancorata a solidi valori democratici e antifascisti,
perfettamente integrata nel tessuto sociale e culturale del Paese e di
Torino, ma anche parte della storia della Comunità ebraica, dei
personaggi che da essa provenivano e molto diedero all’Italia come
Carlo Levi, Vittorio Foa, Primo Levi”. Fortissima inoltre la vicinanza
allo Stato di Israele, come ha ricordato tra gli altri il presidente
Shimon Peres nel suo messaggio di cordoglio. “L’ebraicità e la
torinesità – conclude il vicepresidente UCEI – sono in qualche modo due
tra i caratteri identitari di Rita Levi Montalcini che oggi,
nell’ultimo saluto a lei, ci piace ricordare tra i più autentici e veri
di una donna che ha dato molto al mondo intero”. Ad intervenire, in
rappresentanza del Congresso ebraico europeo, anche il consigliere UCEI
Claudia De Benedetti. “Ti ho conosciuta quando ero piccola – afferma –
e in alcune occasioni, nel salotto della Nonna Carla z.l., ho
chiacchierato con te, ho imparato dalle tue parole le lezioni della
vita e dell’impegno”. Una grande storia ebraica, come detto.
“L’esistenza del nostro popolo – ha infatti sottolineato – ha sempre
avuto per te il più alto e nobile significato, è la scintilla del
nostro credere nel Dio dei nostri Padri e delle nostre Madri, delle
nostre passioni inestinguibili, dei nostri sogni immutabili, delle
nostre tradizioni, delle nostro Shemà Israel che anche una ebrea laica,
come ami definirti, ripete calpestando i sentieri della vita. Un
ebraismo così radicato nel nostro Dna, per usare una espressione che
vorrai permettermi, un ebraismo che ci appartiene, una fierezza che
conosciamo nel nostro vivere quotidiano di donne”. Per la Comunità
ebraica torinese, rappresentata con al fianco il presidente Beppe Segre
e il suo vice David Sorani, ha preso la parola Emanuel Segre Amar,
vicepresidente anch'egli. Segre Amar si è soffermato sul fecondo
ambiente culturale della Torino ebraica a cavallo tra le due guerre.
Anni irripetibili in cui, ha spiegato, “ci si ritrovava a casa del
professor Levi per fare civiltà”. Lì si riunivano infatti gli ebrei
antifascisti che portarono al primo processo del tribunale speciale.
"Con Rita – la sua amara conclusione – questo mondo finisce". Il
feretro inizia il suo viaggio verso la cremazione. Le istituzioni
ebraiche non possono partecipare a questo momento, contrario alle
disposizioni halakhiche. Per volere della famiglia il giorno precedente
erano stati recitati alcuni salmi in forma rigorosamente privata.
“Ringraziamo la famiglia di Rita per essere qui con noi, a Torino, a
concedere alla Comunità ebraica della sua città natale di porle
commiato recitando i Salmi di Re Davide. Ringraziamo Rita – aveva
affermato in quella circostanza il vicerabbino capo Avraham De Wolff –
per aver santificato il nome di Dio nei suoi anni trascorsi con noi.
Possa il suo nome essere annoverato tra coloro che appartengono alla
Vita”.
Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked
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Melamed - L'incubo nello zainetto |
Fare
shopping online è facile: dopo aver trovato chi vende l’oggetto dei
nostri desideri basta scegliere tra le opzioni di taglia, di colore, di
memoria se si tratta di un gadget hi-tech, per poi decidere la modalità
di spedizione e pagamento. Un articolo in particolare è andato
letteralmente a ruba negli Stati Uniti, con un aumento delle vendite
enorme nelle ultime settimane. Vi sono diversi produttori, uno in
particolare nella pagina web mostra l’immagine, con le caratteristiche
tecniche elencate a fianco. Sono descritti il materiale di
fabbricazione, le tasche interne, gli spallacci ergonomici e regolabili
e le dimensioni, e viene data anche la possibilità di scegliere il
colore, che può essere rosso, argento, blu, viola e rosa. Poi un
altro menù a tendina permette di scegliere fra la versione standard o
il livello II (per 357 Magnum, 45, 40, 9mm) oppure il livello
IIIA (per 44 Magnum, 357 SIG) che però costa 100 dollari in
più. Non è una bufala informatica: si tratta veramente di uno
zainetto a prova di attacco terroristico, per essere sicuri che i
bambini non abbiano dimenticato il giubbotto antiproiettile a casa, e
che – come rassicura il sito – può essere portato davanti al corpo
rapidamente per essere usato come scudo. Uno zainetto antiproiettile.
Mandare a scuola i propri figli con addosso una corazza – che sia
integrata nello zaino o che si tratti di un vero e proprio giubbotto
anti proiettile cambia poco – sperando che li possa proteggere da una
calibro 90 a da una 44 Magnum non è più esperienza di pochi. Se da un
lato la notizia è agghiacciante, dall’altro chi potrebbe biasimare quei
genitori che scelgono di fare un acquisto simile? In seguito
all’attacco alla scuola di Newtown sono state innumerevoli le critiche
alla - carente - legislazione americana sulle armi, e molte le
richieste di procedere in tempi rapidissimi a regolare un settore che
oltre a un enorme peso economico ha una potentissima lobby che lo
sostiene. E qualcuno si è messo a confrontare la situazione americana
con quel che succede in Israele, altro paese in cui la diffusione delle
armi è altissima, ma senza la stessa incredibile incidenza di attacchi
a civili. Nonostante la legislazione israeliana sia rigida, ottenere il
permesso di possedere un’arma da fuoco non è difficile, e la diffusione
di armi, grazie anche al fatto che tutti i militari e tutti i
riservisti ne sono dotati, è enorme. La cultura delle armi, però, è
profondamente diversa. La prima parola che si sente pronunciare a
qualsiasi corso di addestramento, in qualsiasi poligono di tiro è
responsabilità. Non è la legislazione israeliana che protegge i suoi
cittadini, pur avendo certamente il suo peso nel garantire che chi ha
un problema psichico o mentale non abbia a disposizione un arsenale,
bensì la buona educazione. Può sembrare un controsenso associare
l’educazione civica al possesso di armi ma saper riconoscere che un
fucile semiautomatico è un pericoloso strumento di morte, riuscire a
non pensare che sia un mezzo di autoaffermazione e, soprattutto, sapere
che il proprio comportamento ha delle conseguenze sia sulla vita degli
altri che sulla propria è un deterrente più forte di qualsiasi legge. E
parlare di armi rischia di nascondere l’altro aspetto fondamentale del
problema: la causa prima delle stragi non è il possesso di un’arma, per
lo meno non quanto lo sono i disturbi psicologici degli autori delle
recenti carneficine. E in Israele, per continuare il confronto, esiste
un sistema sanitario nazionale che comprende l’assistenza psicologica
ed è a disposizione di tutti, gratuitamente. Per di più sono così tanti
i giovani che rischiano esperienze traumatiche durante il servizio
militare che esistono numerose associazioni di sostegno pronte ad
accogliere chi abbia bisogno di aiuto. La speranza è che negli
Stati Uniti lo shock porti a un ragionamento collettivo sulle cause più
profonde delle stragi che si susseguono a ritmo purtroppo serrato e
spesso ai danni di giovani e giovanissimi. E che non si riduca tutto al
solo irrigidimento delle leggi sul possesso di armi da fuoco, che già
sarebbe un auspicabile passo avanti, ma non basta. Servono
ragionamenti seri e un grande senso di responsabilità. L’educazione e
la cultura non bastano, purtroppo, ma nulla vieta di sperare che l’anno
prossimo i venditori di zainetti antiproiettile debbano trovare altri
articoli su cui contare per aumentare il fatturato.
Ada Treves twitter@atrevesmoked
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L'ebreo errante
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«Ciò
di cui ho bisogno sono le urla, è l'acqua putrida, il correggiato, la
latta che rimbomba. Come si svolgevano le disputazioni? Quella sì che
era vita! Gli ebrei avevano gli argomenti, gli altri i pugni»... Così
parlò l'Ebreo errante, ingrassato dalla decadenza dell'odio antisemita,
nella Monaco del primo dopoguerra da lui scelta per il proprio
“rilancio” – in Conversazioni con l'Ebreo errante, ultimo dei tre
geniali racconti di Lion Feuchtwanger (1884-1958) ora raccolti in
Odisseo e i maiali dalle Edizioni Nottetempo. Urla di becere tifoserie
contrapposte, melma di ignoranza e pregiudizio, ginepraio di miopie
ideologiche, cori rimbombanti xenofobia e razzismo; e per di più gli
ebrei che sugli “argomenti” non sono più così uniti. Se l'Ebreo errante
di Feuchtwanger ricomparisse oggi tra di noi, chissà.
Stefano Jesurum, giornalista
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Conoscenza e immaginazione |
Proprio
a Pagine Ebraiche, in un' intervista di qualche anno fa, Rita Levi
Montalcini spiegava come per uno scienziato l'immaginazione fosse più
importante della conoscenza. Strano, si direbbe, per una persona che
non ha mai smesso di fare ricerca e continuare a studiare. Strano, ma
forse non troppo. Quello che credo la Montalcini volesse lasciarci in
eredità è l'idea che per fare grandi scoperte, nella scienza come nella
vita, serve un po' di coraggio di saper immaginare cose nuove. A
questo serve l'immaginazione, a non arrendersi a ciò che ci è dato per
progettare un qualcosa di diverso. Lei ci è riuscita addirittura
durante la Seconda guerra mondiale, gettando le basi del suo cammino
verso il Nobel. A noi tocca oggi durante una crisi che non
dimenticheremo facilmente. E anche se la nostra immaginazione non ci
condurrà a un premio così ambito come accaduto a lei, ciò che per noi
sarà importante sarà la certezza che ogni nuovo inizio, ogni cosa
nuova, è un dono incredibile per la nostra generazione e per quelle a
venire.
Daniel Funaro
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notizieflash |
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rassegna
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Israele - La Knesset vieta i cosmetici testati sugli animali
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Leggi la rassegna |
Il
Primo gennaio è entrata in vigore la legge approvata nel 2010 dalla
Knesset, il Parlamento israeliano, che vieta l'importazione, la
produzione e la vendita di articoli da toilette, cosmetici e detergenti
che siano stati testati su animali per arrivare alla loro produzione.
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L’ultimo abbraccio di Torino a Rita Levi Montalcini è raccontato su numerosi giornali.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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