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7 gennaio 2013 - 25 Tevet 5773
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Adolfo Locci, rabbino capo
di Padova

"Attraverso questo capirai che Io sono l'Eterno…" Rav Chydà sottolinea che il valore numerico dell'espressione "Io sono l'Eterno - 'אני ה" in ghematryà è 87 mentre quello dell'appellativo אלקים - D-o, è 86. La liberazione del popolo ebraico, attraverso prodigi e miracoli, è la dimostrazione che l'attributo della misericordia divina (rachamim) sottomette quello della giustizia (din).

Anna
Foa,
 storica

   
Anna Foa
In una lettera pubblicata venerdì scorso dall'Avvenire, nell'ambito della campagna promossa dal giornale cattolico per salvare la vita di Asia Bibi, condannata a morte in Pakistan perché cristiana, Ugo Volli scrive di protestare proprio in quanto ebreo, perché la libertà di pensiero e di religione è una sola e dove essa è minacciata in una sua parte è minacciata ovunque. Credo che dovremmo meditare su queste parole e su questa battaglia che è e deve essere anche nostra. I dati diffusi dal Centro statunitense di statistica religiosa David Barrett stimano a 105000 i cristiani assassinati nel solo 2012, principalmente nei paesi islamici, per la loro appartenenza religiosa. Sono numeri  terrificanti che ci dovrebbero impegnare tutti, credenti e non credenti, a qualunque religione apparteniamo, a batterci a fondo contro questo crescente e sanguinario attacco alla libertà religiosa.

davar
Vittorio Dan Segre: "Israele ci ha restituito la dignità" 
Il numero di gennaio di Pagine Ebraiche, in occasione dei festeggiamenti per il suo 90esimo compleanno e del completamento della sua ultima opera, rende omaggio a Vittorio Dan Segre con quattro pagine speciali. Tra le righe – nell'intervista che pubblichiamo di seguito e nelle dense testimonianze che la contornano – riafforano mille ricordi e la storia di un ebreo fortunato, titolo di uno dei suoi scritti più amati che avrà adesso un seguito a 30 anni da quell'indimenticabile uscita. Israele, la Diaspora, l'identità, la malattia, la vita e il suo significato sono i grandi temi di questo nuovo attesissimo lavoro di cui Pagine Ebraiche pubblica in anteprima alcuni stralci. “Vivere cercando l'identità senza mai trovarla – afferma Segre – non è una soluzione. Si resta in sospeso, con se stessi e con gli altri. La ricerca diventa fine a se stessa, senza appagamento e, quel che è peggio, senza possibilità di migliorare”.

Le sette braccia della Menorah d'oro brillavano sulla copertina del passaporto teso per farsi identificare allo sportello di un cambiavalute di Chicago. Quel documento, uno dei primi emessi dallo Stato di Israele, era il simbolo per tutti gli ebrei del compimento di un sogno. Libertà, indipendenza, democrazia, sicurezza, nuova speranza. E, per la generazione di chi Israele l'ha costruito combattendo con determinazione, la soddisfazione di aver realizzato qualcosa di unico, di aver scritto un nuovo capitolo indelebile nel lungo itinerario del popolo ebraico. La ragazza dietro al banco sfiora con le dita il candelabro, si commuove, pronuncia infine per congedarsi solo una parola: Shalom. Un frammento riaffiora fra i tanti nei 90 anni di vita di Vittorio Dan Segre, pioniere sedicenne dopo essersi lasciata alle spalle l'Italia delle leggi razziste e delle persecuzioni, combattente per la liberazione, diplomatico, esperto di relazioni internazionali, docente nelle più prestigiose università del mondo, confidente di grandi leader, giornalista, scrittore. Un frammento apparentemente trascurabile nell'ambito di una vita troppo grande per entrare nelle colonne di un giornale, per stare in un solo libro. Eppure, fra le tante emozioni in guerra e in pace, fra le innumerevoli avventure, l'emozione più grande è quella di dire Israele. "E' la storia di un ebreo fortunato", mormora ironico Segre, riprendendo il titolo del suo indimenticabile libro di memorie apparso trent’anni fa e indispensabile punto di riferimento per comprendere il Novecento di tutti gli ebrei italiani e di tutti coloro che a Israele hanno donato i propri anni migliori. Oggi, sfogliando assieme in anteprima le pagine di un nuovo libro ancora inedito, la sua ultima testimonianza sotto forma di romanzo fortemente autobiografico, ancora Israele e ancora una identità indelebile di ebreo piemontese tornano a intrecciarsi indissolubilmente.
Settantaquattro anni per Israele e ogni stagione vissuta fino in fondo, da conoscitore e da protagonista. Le difficoltà che attraversiamo oggi e le sfide di una realtà preziosa e minacciata sono più facili da sopportare quando si conta su un'esperienza tanto lunga?
Israele al momento della conquista della libertà è stato un sogno molto ardito, molto difficile. Allora era tutto più difficile, oggi abbiamo motivo di essere più ottimisti.
Eppure il tentativo di delegittimazione oggi è molto forte e molto insidioso.
Spesso dimentichiamo che fino al 1967 Israele è stato il beniamino dell'Occidente e dei Paesi africani di cui mi sono occupato nel corso della mia carriera diplomatica. Allora nessuno si preoccupava se Gerusalemme costruiva alloggi. Il processo di isolamento e delegittimazione è cominciato dopo, quando l'Opec e l'Arabia Saudita hanno compreso la potenza dell'arma del petrolio. Il prezzo del greggio si è moltiplicato più volte. Nel 1975 siamo arrivati alla dichiarazione delle Nazioni Unite che definiva a grande maggioranza il sionismo una forma di razzismo, si faceva strada l'idea di espellere Israele dall'Onu.
E oggi?
Gli equilibri energetici stanno per rovesciarsi. Il petrolio perderà il proprio ruolo di arma di ricatto, gli Usa conquisteranno la propria indipendenza sfruttando nuove fonti e nuove soluzioni. E anche Israele si accinge a sfruttare gli immensi giacimenti di gas naturale scoperti recentemente al largo delle sue coste.
Eppure Israele è sotto attacco.
Certo, ma anche in questo caso sono stati compiuti progressi importanti. La costruzione della barriera difensiva ha molto limitato le attività terroristiche e il successo delle tecnologie antimissile per neutralizzare la pioggia di razzi sparati da Gaza contro la popolazione civile israeliana è destinato ad assumere una valenza storica. Certo i pericoli esistono, ma per chi ha vissuto in prima persona la guerra del 1948 alcune difficoltà di oggi, per quanto gravi, fanno sorridere. In 19 mesi laceranti abbiamo allora avuto una percentuale di vittime in proporzione paragonabile alla sofferenza di tutta la Francia durante i cinque anni della prima guerra mondiale.
Oggi Israele è più forte?
Sì, ma anche più fragile. La sua prima debolezza è la larga percentuale di opinione pubblica che non può resistere alla tentazione di voler essere amata prima ancora che rispettata. E il rispetto lo si ottiene quando si è capaci di unire la forza con la dignità.
Oggi alcuni ritengono che la società israeliana e il suo mondo politico sono molto cambiati in questi ultimi anni.
Quando sono arrivato, nel 1938, in tutta la Palestina mandataria britannica vivevano circa 600 mila ebrei. Oggi 7,5 milioni di ebrei vivono su una sola parte di quel territorio e sullo stesso territorio i palestinesi si attendono la costituzione di un loro Stato. Un cambiamento demografico e culturale così radicale non può non comportare anche delle profonde mutazioni politiche e il risultato è stato che l'elettorato israeliano si è spostato nettamente a destra. La politica è in continua evoluzione e nessuno è profeta, ma Netanyahu ad oggi sembra l'unica soluzione praticabile. Ha un solo nemico che può batterlo: se stesso. Ha da preoccuparsi solo della tentazione di abusare della propria forza.
E il voto dell'Onu?
Non credo che sposti qualcosa. L'interlocutore, come hanno dimostrato anche i recenti avvenimenti bellici, non è più l'Autorità palestinese di Abu Mazen, ma Hamas. E la strategia di Israele si sposterà sempre di più verso un confronto con queste forze con le quali è già stato raggiunta una tregua. Hamas ha qualcosa da offrire, Abu Mazen non ha niente da mettere sul tavolo e se lo avesse non sarebbe comunque in grado di controllare la situazione.
E la cosiddetta primavera araba?
Alla lunga sortirà effetti positivi. Nascono problematiche nuove nell'ambito delle quali il problema di Israele non è più fortunatamente al centro dell'attenzione delle masse arabe insoddisfatte. E il petrolio potrebbe rivelarsi un'arma spuntata.
Cos’è cambiato nella Diaspora in questi anni?
C'è qualcosa di nuovo nella coscienza collettiva degli ebrei, qualcosa che nell'Italia che ho lasciato a 16 anni, nel 1938, non esisteva. Un senso di dignità che solo la creazione dello Stato di Israele poteva restituire.
L'ottimismo allora è giustificato?
Pessimismo e ottimismo non hanno ragione di essere. Il problema del popolo ebraico è quello di non poter svanire nella storia così come hanno fatto gli altri popoli dell'antichità, anche se c'è chi fa il possibile per farlo succedere. E' tempo si dica che l'ignoranza da una parte e l'assimilazione dall'altra sono per noi una ferita molto più grave di quello che è stata la ferita terribile della Shoah.
Un nuovo libro ancora inedito, a trent'anni di distanza e questa volta in forma di romanzo, torna ai grandi temi che hanno segnato la sua vita. Cosa deve aspettarsi il lettore?
Ho scritto ancora un libro, forse a famiconclusione di questo capitolo della mia lunga esistenza. Volevo esprimere certe idee in maniera più libera utilizzando la formula della letteratura, e mi sono arrischiato su questo terreno. Perché la letteratura è l'unica forma di profezia che oggi ci sia consentita. Volevo raccontare qualche passaggio di una vita tutta attraversata, e non per mio merito, dalla realtà del miracolo. Volevo lasciare un messaggio ai miei figli, ai miei nipoti, a qualche mio studente, ma non so se sarà colto, perché il contenuto di un libro è sempre triplice: quello che l'autore ha scritto, quello che il lettore pensa di aver letto e quello che l'autore crede di aver messo sulla pagina. E' stata un'esperienza difficile, mi ha preso diversi anni, ma mi ha insegnato molto.
Quando sarà pubblicato?
Non lo so, non ne sono ancora del tutto convinto. Alcuni amici lo stanno prendendo in mano e mi attendo le loro critiche. E' la critica che aiuta, non l'applauso.
C'è un grande dibattito riguardo all'estremo pluralismo interno al mondo ebraico. Dobbiamo accettarlo con favore o preoccuparcene, vedervi un segno di disgregazione?
La vita mi ha insegnato che la paura non esiste, è solo una scusante per coloro che non hanno la volontà di fare o per coloro che sanno solo fare male. Accettare la diversità è l'unico elemento di forza che abbiamo a disposizione e tutta l'azione che possiamo davvero esercitare non sta nel pretendere qualcosa dagli altri, ma nel cambiare noi stessi. Se ciascuno spazza davanti a a casa sua, dicono gli olandesi, tutta la città è più pulita.
E questa regola deve aiutare anche chi lavora sul fronte dell'informazione? Sul numero zero di Pagine Ebraiche lei pose una breve nota, "avete rimesso in piedi un cadavere". La pensa ancora così?
Sì, quando lo sfoglio mi tornano vive in mente le parole di una persona che mi è molto cara: "L'ebraismo italiano è la prova della vita dopo la morte".
Lei ha dedicato a Israele 74 anni della sua vita, eppure è rimasto un ebreo fieramente piemontese, oggi il suo viaggiare avviene soprattutto fra Gerusalemme e l'antica casa di famiglia nel Roero. Dove si trova meglio a suo agio?
In Piemonte ci sono le mie radici, a Gerusalemme ci sono i miei amici.
In molte delle sua parole lei mostra il segno della sua amicizia più cara, quella con il rav Adin Steinsaltz.
E' un maestro che mi aiuta a a cercare una risposta all'ultima domanda.
Quale domanda?
Se mi è stata allungata la vita per darmi l'occasione di peccare più a lungo, o la possibilità di cercare la redenzione.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche, gennaio 2013

(Nell'immagine Vittorio Dan Segre, disegno di Giorgio Albertini)

Giovanna Bemporad (1928-2013)
Tra le penne più amate della poesia contemporanea, talento precocissimo e instancabile (appena 15enne, in 26 giorni, tradusse l'Eneide in endecasillabi), Giovanna Bemporad è scomparsa ieri a Roma. Era nata a Ferrara il 16 novembre 1928 ed era stata allieva di Leone Traverso, Carlo Izzo e Mario Praz. Tra le sue amicizie più strette Pier Paolo Pasolini, col quale trascorse il periodo bellico – con l'angosciante scure delle persecuzioni antiebraiche – nei dintorni di Casarsa, in Friuli). Sposata dal 1957 con Giulio Cesare Orlando, più volte ministro e sottosegretario di Stato, ebbe come testimone di nozze Giuseppe Ungaretti.
Aveva dedicato tutta la vita alla traduzione del poema epico: la sua fama è legata in particolare all'Odissea la cui traduzione in versi, nel 1993, le valse il premio del ministero per i beni culturali e successivamente la messa in scena nello spettacolo di danza Odisseus al Teatro Greco della Capitale. Per Giovanni Raboni, poeta, giornalista e scrittore della generazione degli anni Trenta, fu quello un lavoro “di infinito perfezionamento ritmico e sonoro, teso a restituire all'endecasillabo il suo diritto a esistere nella poesia del Novecento con una pronuncia originale e moderna”. È quasi impossibile nel suo caso, affermò ancora il noto intellettuale, “fare distinzione fra testi originali e testi derivati: negli uni e negli altri circolano la stessa ansia di assolutezza formale, la stessa vitrea incandescenza, un'unica rarefatta ossessione”.
Vastissimo il corpus degli autori tradotti: oltre a classici dei tempi antichi come Omero e Saffo, anche Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmè, Valery, Rilke e Holderlin. Una prima traccia della sua opera la si trova in Esercizi, pubblicato nel 1948 e nuovamente edito da Garzanti nel 1980. Accanto ai grandi nomi della classicità, del simbolismo e della lirica un'ampia scelta dei suoi componimenti più densi. La raccolta le valse numerosi riconoscimenti a partire dal Premio Vallombrosa e dal Premio Stresa. Tra le sue ultime pubblicazioni la versione dall'ebraico del Cantico dei Cantici realizzata per la casa editrice Morcelliana nel 2006.
La notizia della sua scomparsa è stata accolta con grande commozione. In particolare a Ferrara, sua città natale, dove si susseguono le testimonianze di stima e affetto. Nell'area dedicata ai commenti di www.estense.com, principale portale cittadino, un lettore – elogiandone i meriti di intellettuale fortemente impegnata contro l'imbarbarimento del linguaggio – scrive: “Da studente ce la portò a scuola il nostro professore, Roberto Pazzi. Grande poetessa e infaticabile studiosa. Con lei muore uno stile alto di far volare la parola e un efficace antidoto per la cafonal-cultura dilagante”.

a.s - twitter @asmulevichmoked

pilpul
In cornice - Il poeta e il filosofo
daniele liberanomeNella bella mostra di Lugano (“Sguardi attraverso la finestra dell’arte”) che si è appena chiusa, era esposto un quadro di De Chirico, “Il poeta e il filosofo”, in cui aveva dipinto, in una stanza spoglia, due busti visti da dietro e appoggiati su un piedistallo. Uno bianco e l’altro nero, come se fossero agli antipodi. Quello nero guarda un dipinto di un cielo stellato, come se stesse cercando qualche verità in alto, nei mondi infiniti (alla Pascal), mentre in realtà si trova in una stanza chiusa e sta osservando una mera riproduzione delle stelle, per di più fatta da qualcun altro. In altri termini, i suoi discorsi molto elevati, sono basati su una visione totalmente distorta e non originale. L’altro intellettuale, si comporta in modo diverso e guarda all’esterno; ma il panorama che vede è assolutamente irreale con un cielo di un azzurro splendido su cui si stagliano delle nuvole estive e un’abitazione dalle proporzioni perfette ma apparentemente disabitata. Anche la sua visione è quindi del tutto distorta. La differenza fra poeta e filosofo, fra intellettuali di tipo diverso, che casomai si sviluppa in un’animata discussione, si basa sul nulla. Certo quel dipinto di De Chirico è del 1915, quando si moriva sui campi di battaglia e i grandi discorsi sembravano particolarmente inopportuni. Ma questa critica radicale vale in buona parte anche oggi: troppi presunti intellettuali che discutono del vuoto e soprattutto all’interno di un sistema di concetti che capiscono solo loro. Ma c’è dell’altro: chi vive nel chiuso di una stanza, chi si crea panorami fittizi, chi non vuole vedere la realtà, rischia di parlare di una società che non esiste. E non sono poche le persone, nel nostro ambiente, che vivono nel chiuso di una stanza, in un ghetto che si sono creati e non guardano fuori.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for two - Un medico in famiglia
C'era un periodo d'oro in Italia nel quale si leggeva di nascosto Cioè e si staccava la copertina adesiva per attaccarla sul diario segreto. Un periodo nel quale l'idolo del momento era un qualsiasi vj di Mtv dall'accento smaccatamente milanese (lo stesso vj che ora è sicuramente stempiato e in età di pensionamento). Un'era fatta di pomeriggi con Cristina Parodi e gelati in scatola. Il tempo nel quale la famiglia italiana media si riuniva intorno al focolare, accendeva la tv e guardava Un medico in famiglia. Chi, almeno una volta, non ha sentito i gorgheggi di Cettina? Chi non ha temuto per la fase gioventù bruciata dell'angelica Maria, finita tra le spire di un tipo poco raccomandabile come Er pasticca? Io stessa ho passato serate con le farfalle nello stomaco assistendo all'innamoramento di Maria e Guido Zanin, il medico trentenne interpretato da Pietro Sermonti, figlio del dantista Vittorio. Il telefilm ha trattato tematiche scottanti, è stato il primo serial pedagogico seguito a ruota da una sfilza di epigoni più o meno riusciti. L'ebraismo è stato toccato marginalmente: nonno Libero non si stanca mai di ripetere che quando giovane e baldanzoso faceva il ferroviere, aveva salvato una famiglia di ebrei dalle persecuzioni naziste. In una puntata una coppia di truffaldini si era spacciata per discendente della famiglia per far fuori l'argenteria di casa Martini. Un momento un po' triste. Finché non è arrivato lui: Marco Levi, la nuova cotta di Maria, giunto dopo che il povero Zanin ha tirato il calzino per permettere a Pietro Sermonti nuove avventure televisive. Marco Levi è un giovane e prestante giornalista d'assalto che ha la faccia dell'attore Giorgio Marchesi. Un po' Heathcliff, un po' Marco Travaglio, Levi è ebreo e trascina la sua bella in danze sfrenate in un bat o bar mitzvah (jewish pride alle stelle). L'ottava stagione andrà in onda probabilmente dopo il Festival di Sanremo e finalmente ritroveremo Marco alle prese con Maria... Non resta che aspettare, anche perché come direbbe nonno Libero: "Una parola è troppo e due sono poche!".

Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2


notizie flash   rassegna stampa
Frammenti di Bibbia dall'Afghanistan
a Israele
  Leggi la rassegna

Frammenti di manoscritti ebraici (29 in tutto) risalenti a un migliaio di anni fa e provenienti dall’Afghanistan sono stati acquisiti dalla Biblioteca nazionale israeliana. Si tratta di documenti di significativo valore storico che costituiscono un'ulteriore prova della presenza di comunità ebraiche nel nord dell’attuale Afghanistan. Il frammento più importante tra quelli arrivati in Israele è la pagina di un commentario della Bibbia (Isaia 34) attribuibile al rabbino egiziano Saadia Gaon che visse nel X secolo tra l’Egitto, dove era nato, e Baghdad dove morì.
 

Chuck Hagel al Pentagono. La nomina di questo repubblicano atipico, più volte protagonista di episodi controversi nei confronti di Israele e della lobby ebraica americana, fa molto discutere in patria (e non solo).



















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