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9 gennaio 2013 - 27 Tevet 5773
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David
Sciunnach,
rabbino
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C’è da domandarsi perché il
santo Benedetto Egli Sia abbia iniziato le 10 piaghe proprio con
quella del sangue nel Nilo e non con un’altra. La Torà ci vuole
insegnare che Dio utilizza il principio di middà keneghèd middà - la
legge del contrappasso, Hashem agisce e reagisce in rapporto all’azione
dell’uomo. Fintanto che gli ebrei erano oppressi e maltrattati il Santo
Benedetto Egli Sia non è intervenuto per salvarli, ma quando ha visto
che il sangue innocente dei bambini veniva sparso gratuitamente decide
di intervenire. E’ quello stesso sangue, dei bambini ebrei
gettati nel Nilo, che ci richiama alla prima delle 10 piaghe d’Egitto.
L’acqua (il Nilo) è fonte di vita, cosi come il sangue.
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Davide
Assael,
ricercatore
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La campagna
elettorale è iniziata e fin da subito emerge il dato allarmante di una
classe politica che, a suon di spudorate menzogne, fantomatiche
promesse e sfacciati cambiamenti di rotta quotidiani, ribadisce la
tendenza degli ultimi anni a ridurre la competizione democratica a
lotta fra bande di affaristi, che hanno come unico scopo la difesa dei
propri interessi e delle proprie rendite di posizione. Mi ricordo,
quando era Presidente della Camera, lo sdegno di Fausto Bertinotti di
fronte alle proteste di un insegnante, che, portando la propria classe
in visita al Parlamento, si trovò di fronte lo spettacolo indegno che
tutti conosciamo. Così disse l’ex Onorevole, che questa è la democrazia
e che se non si vuole lo scontro politico, si scelga direttamente la
strada delle dittature, dove i Parlamenti sono sempre ordinati. Abbiamo
visto come è finita, per lui e per la povera Italia. Non abituiamoci al
peggio, tanto più in questo momento storico, dove si fa sempre più
largo, anche in Europa la retorica dell’autoritarismo e del fascino dei
regimi dell’Est. Depardieu docet.
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Qui Torino - Pietro, Maria e Carlo Antoniono iscritti fra i Giusti delle Nazioni per il loro coraggio |
“Relativamente
numerosi sono i nipoti che Dio ha concesso a nostro padre e, nonostante
egli non abbia fatto in tempo a conoscerli, ancor più numerosi sono i
suoi pronipoti. Il suo auspicio si è avverato e la riconoscenza nei
confronti della famiglia Antoniono è incisa profondamente nella memoria
di tutta la sua discendenza”. Con queste solenni parole Tullio Levi,
già presidente della Comunità ebraica di Torino, ha ricordato –
nelle sale comunitarie – l'eroismo di Pietro, Maria e Carlo Antoniono,
entrati nel registro di Giusto Tra le Nazioni nel 2011 e pubblicamente
insigniti – alla memoria – del massimo attestato di riconoscenza
conferito dal popolo ebraico a quanti si prodigarono per salvare uomini
e donne in fuga dal regime nazifascista. A ritirare l'attestato,
consegnato dalla prima assistente dell'ufficio affari pubblici e
politici dell'ambasciata israeliana in Italia Sara Gilad, Alberto e
Marina Antoniono – figli di Carlo e nipoti di Pietro e Maria. Tra gli
interventi quello del vicesindaco di Torre Canavese Giampiero Cavallo e
dell'attuale presidente della Comunità Beppe Segre. “Le
storie che raccontano i salvati – ha affermato quest'ultimo – parlano
di tragedie e di miracoli. Tullio Levi racconta del maresciallo dei
carabinieri venuto ad avvertire che la caccia agli ebrei è iniziata, di
fughe e di passaggio di cascina in cascina, di visite periodiche della
famiglia Antoniono per rifornire di provviste, ma anche di amicizia,
scherzi, canzoni cantate insieme”. Le storie raccontate dai salvatori,
prosegue Segre, sono invece 'meravigliose' e 'affascinanti'. “I
salvatori – osserva – rispondono con semplicità e naturalezza che non
hanno fatto nulla di speciale, che si sono comportati come ogni persona
si deve comportare. Le risposte sono sempre le stesse, laconiche e
asciutte: 'Perché questa era la cosa che si doveva fare' oppure
'Aiutarli era un dovere, c'è poco da aggiungere'. A nome della Comunità
ebraica esprimo il nostro più solenne ringraziamento”. Segre ha poi
letto un messaggio inviato alla Comunità dal sindaco Piero Fassino.
“Credo – scrive il primo cittadino – che non ci sia riconoscimento più
vero e importante come quello di rendere Pietro, Maria e Carlo
Antoniono 'Giusti tra le nazioni' perché questo sono stati. Hanno
vissuto facendo la cosa che ritenevano giusta, hanno protetto persone
che avevano bisogno di aiuto. Alberto e Maria devono essere orgogliosi
per i loro nonni e per loro padre”. Nelle parole di Levi,
all'epoca bambino, l'immensa gratitudine per i salvatori e per l'intera
comunità di Torre Canavese, protagonista di un'impresa collettiva di
altruismo mai dimenticata. “La mia famiglia – ha spiegato – intende
rivolgere un pensiero riconoscente a tutti quegli abitanti di Torre
Canavese, e in particolare a quelli delle Cascine che, in un modo o
nell’altro, hanno contribuito a proteggerci e ad accoglierci, rivelando
doti di umanità, di altruismo e, talvolta, di coraggio davvero
esemplari e che hanno fatto si che, al di là dello stretto rapporto con
la famiglia Antoniono, Torre Canavese diventasse davvero il paese di
adozione della nostra famiglia, il paese in cui i nostri genitori hanno
potuto trascorrere, finalmente in serenità, l’ultima parte della loro
travagliata vita”. Il fascicolo Antoniono ha fatto il suo ingresso allo
Yad Vashem cinque anni fa arricchito della densa testimonianza cartacea
prodotta dal padre di Tullio, Marco Levi, che in una lettera inviata
alla Comunità ebraica torinese – il 10 maggio 1955 – afferma di essere
“ben lieto” di portare a conoscenza del Comitato individuato
dall'Unione delle Comunità Israelitiche per rendere omaggio ai
salvatori le benemerenze “di una famiglia di contadini di Torre
Canavese”. Nel documento, letto oggi dal figlio Tullio, sono elencati i
passaggi più significativi relativi all'azione di coraggio solennemente
certificata dallo Stato di Israele. “L'assistenza degli Antoniono – è
scritto – continuò fino alla Liberazione e anche oltre: disinteressata,
calda, affettuosa, un conforto sublime nelle tenebre della nostra
infinita angoscia; anche oltre quando ormai liberi dalla paura, le
nostre condizioni finanziarie erano ancora precarie. Ed ora a noi non
resta che la riconoscenza più profonda che non cesserà se non nel
giorno supremo, ma che tramanderemo ai nostri nipoti se Dio ce ne
concederà”.
Adam Smulevich - twitter @asmulevichmoked
(Nell'immagine in alto la famiglia di Marco Levi, padre di Tullio, a Torre Canavese)
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Israele - Trattativa senza risultati
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L’incontro
notturno fra i tre capofila delle liste di centro avversarie di
Netanyahu, prometteva un’inversione di tendenza che non si è ancora
verificata. Anche senza risultati tangibili, l’incontro aveva messo in
allarme il Likud e i suoi alleati di destra. Raggiungere un accordo fra
i tre partiti sembra oggi impossibile e probabilmente i leader, Tzipi
Livni, Shelly Yachimovich e Yair Lapid, vorranno vedere i risultati
delle elezioni del 22 gennaio per verificare se c’è un terreno di
lavoro comune. Solo allora sarà possibile valutare quali alleanze
abbiano probabilità di successo. L’inversione di tendenza che
sembrava potersi verificare, è oggi dunque in forse (come del resto è
anche la vittoria di Netanyahu). Tzipi Livni aveva lanciato l’idea di
un blocco fra le tre liste che potesse impedire a Netanyahu di formare
un governo senza di loro. Il prospettarsi di un’alternativa potrebbe
contribuire a far partecipare alle elezioni migliaia di rinunciatari
che rischiavano di rimanere a casa non ritenendo possibile scalzare
Netanyahu. Inoltre Tzipi Livni, che aveva preso l’iniziativa di riunire
i tre capi partito, voleva ottenere che il presidente Shimon Peres
ricevesse la raccomandazione dei tre per nominare un candidato del
blocco per formare il prossimo governo. Dunque Livni, realista,
pensa anche all’eventualità di entrare in un governo Netanyahu tutti
insieme. Lapid da un lato approva l’iniziativa di un negoziato comune,
dall’altro attende i risultati delle elezioni per definire chi sarà il
suo candidato alla Presidenza del Consiglio. Yachimovich esclude la
possibilità di entrare in un governo presieduto da Netanyahu. Lapid non
vuole aderire a nessun blocco per non boicottare nessun personaggio o
partito. Lunedì altro colpo di scena: Yachimovich e Lapid si sono
messi d’accordo per attaccare Livni, accusandola di mancare di verità e
di contenuti. Questo in seguito a uno spot della Livni nel quale lei
chiedeva di votare per uno dei tre partiti di centro. Livni proponeva
un’azione comune prima delle elezioni, un impegno a raccomandare al
presidente dello Stato un candidato scelto nel blocco e, in caso di
rielezione di Netanyahu, di decidere tutti insieme se entrare nel suo
governo o rimanere all’opposizione. I tre non sono riusciti a mettersi
d’accordo per un piano d’azione comune e Lapid e Yachimovich hanno
accusato la Livni di aver richiesto l’incontro notturno solo perché i
sondaggi la davano perdente. Ci sembra futile discutere di chi sia
la colpa: basta constatare che i tre non si sono accordati prima delle
elezioni. Sia Livni che Lapid dichiarano che potrebbero eventualmente
entrare in un governo diretto da Netanyahu a condizione di farlo
insieme ad un altro dei tre partiti di centro. Secondo un
sondaggio del 7 gennaio, Netanyahu otterrebbe 35 seggi sui 120 della
Knesset, i laburisti di Yachimovich 17 seggi, Lapid salirebbe a 11
seggi, Livni scenderebbe a 7 solamente. Inoltre la Casa ebraica
conquisterebbe 14 seggi, e il partito religioso Shas 12. In totale
la destra e i partiti religiosi sefarditi dovrebbero raggiungere 67
parlamentari, mentre il centro sinistra dovrebbe accontentarsi di 53.
Sergio Minerbi, diplomatico
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Qui Praga - Jan Fischer
sogna la presidenza |
Un paese d'Europa potrebbe
avere in questi giorni il suo primo presidente ebreo. È la Repubblica
Ceca, crocevia di tanti destini e tante storie ebraiche, dove nel fine
settimana si svolgeranno le consultazioni per eleggere il successore di
Vaclav Klaus. Il profilo di Jan Fischer, 62 anni, ex primo ministro nel
biennio 2009-2010 ed ex presidente del Consiglio d'Europa, sembra
godere di molti consensi. Punti di forza del curriculum la sua
indipendenza, il suo essere 'tecnico' super partes in grado di
raccogliere consensi trasversali. Principale contendente il
socialdemocratico Milos Zeman, leader del partito dei diritti civili. I
due, stando alle ultime rilevazioni, sono accreditati di un numero di
voti pressoché eguale. Zeman è dato al 25,6%, Fischer – in lieve calo,
dopo aver sfiorato in autunno quota 30 – al 25%. Gli altri candidati
hanno un bacino elettorale decisamente più ristretto ma tale da
portare, con ogni probabilità, i due sfidanti al secondo turno.
Nato in una famiglia di matematici, figlio di un sopravvissuto ad
Auschwitz, nel 1974 – 23enne – Fischer si laurea in statistica ed
econometria. Completa gli studi post-universitari alla facoltà di
Economia dalla quale esce con il titolo di 'Candidato di scienza' nel
ramo statistico. Una volta ottenuta la laurea fa il suo ingresso
all'Ufficio Statistico Federale di cui diventerà in seguito
vicepresidente mantenendo tale prestigioso ruolo fino alla dissoluzione
della Cecoslovacchia. Tra i vari incarichi rivestiti in questi anni la
direzione della squadra che gestisce i risultati delle elezioni
parlamentari e locali, la presidenza dell'Ufficio Statistico Ceco, la
guida dell'Istituto di ricerca della facoltà di informatica e
statistica all'università praghese di Economia. Fischer è inoltre
membro della Società Statistica Ceca, dell'Istituto internazionale di
Statistica, del Consiglio scientifico e della direzione scientifica
dell'Università Jan Evangelista Purkyne.
L'Europa ha già avuto vari governanti ebrei tra cui Leon Blum, primo
ministro in Francia negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, e
Bruno Kreisky, primo ministro austriaco dal 1970 al 1983; un unico
presidente, ma eletto con meccanismi differenti, in carica soltanto per
un anno e con poteri limitati, e cioè Ruth Dreifuss, leader della
Confederazione elvetica nel 1999. Fischer, in caso di elezione, sarebbe
il primo a farcela attraverso un voto ottenuto su scala nazionale.
“Puoi sostenerlo o meno politicamente ma non puoi che essere orgoglioso
della strada che ha fatto”, afferma il presidente delle comunità
ebraiche ceche Tomas Kraus.
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L'amnesia del
Corriere e la favola del rabbinato silente
Tanti presupposti sballati, ma anche un'occasione di riflettere |
Con l'autorevole firma di un
pensatore come Ernesto Galli della Loggia, il Corriere della Sera ha
archiviato in prima pagina il 2012 sui toni di una riflessione dedicata
al ruolo dell'ebraismo nel dibattito fra politica e religioni.
L'accento è sugli scottanti interrogativi dell'etica, dei diritti
civili, dei matrimoni fra persone dello stesso sesso,
dell'omoparentalità e delle adozioni. Dal testo si apprende che
l'autore ha ascoltato con attenzione il discorso di Natale di Benedetto
XVI ed è rimasto colpito dalla inconsueta lode che il papa riserva a un
documento dedicato recentemente a questi temi dal gran rabbino di
Francia Gilles Bernheim. A Galli della Loggia piace unire la propria
voce, lasciando intendere che il documento del rabbinato francese
costituisca una rara e coraggiosa novità nel quadro di un ebraismo
solitamente silente, soprattutto in Italia, sulle grandi questioni
civili. Un ebraismo inquinato inoltre da un gran numero di ebrei
ansiosi di gettare alle ortiche la religione dei padri e di
intraprendere un percorso di radicale emancipazione-secolarizzazione
per "integrarsi in pieno con le élite laico liberali sulla via di
prendere dovunque il potere". Di che stupirsi. E' ben noto, e non da
oggi, come la brama di potere induca spesso gli ebrei ai comportamenti
più scostumati. Ma al di là di questi triti, penosi stereotipi di
ritorno, l'editoriale del Corriere sembra destinato a lasciare il segno.
Da un lato, infatti, si basa su presupposti del tutto immaginari e
alquanto infondati. L'ebraismo italiano, e con esso il suo rabbinato, è
stato silente solo per chi non ha voluto ascoltarlo. Solo per citare
pochi esempi, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni usò oltre cinque
anni fa argomenti solidi e parole ben chiare, per alcuni anche troppo
chiare, per dire le stesse cose che oggi ci ripete il rav Bernheim. Chi
volesse rinfrescarsi la memoria farebbe bene a rileggerselo. Il rabbino
romano Gianfranco Di Segni è intervenuto più e più volte, anche su
queste pagine, dimostrando come la ricerca sui temi di bioetica sia al
centro della riflessione rabbinica contemporanea. Il rabbino di Torino
Alberto Moshe Somekh usò parole molto chiare ai tempi del referendum
sulla fecondazione assistita del 2005 per marcare una posizione ebraica
ben diversa da quella della Chiesa cattolica. E da quelle parole non si
deduceva solo una differenza di posizioni. Ma anche che nella stagione
in cui il mondo cattolico andava predicando il disimpegno civile e il
dovere del cittadino religioso di far fallire il referendum (ciò che
puntualmente avvenne con i tragici risultati di emarginazione dal mondo
progredito che punta sulla ricerca scientifica), per contro il dovere
religioso degli ebrei italiani era quello di andare a votare.L'ebraismo
è complesso, spesso contraddittorio, ma commette un grossolano errore
chi per assecondare il proprio ragionamento confonde la libertà di
pensiero e di ricerca, il rispetto per la pluralità delle sensibilità
che va di pari passo con l'esigenza di rispetto della Legge ebraica,
come una latitanza. L'intervento del Corriere risulta quindi viziato da
una ruvida superficialità che non può giovare alle ragioni delle grandi
religioni. E in quanto tale dovrebbe essere rispedito al mittente.
D'altro canto, nonostante muova da una forzatura inaccettabile,
l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia finisce per sollevare
interrogativi pressanti e anche fosse solo per questo motivo possiede
meriti di non poco conto.
Come mai, se è vero come è vero che il rabbinato e il mondo ebraico
italiano pensano e discutono, la società percepisce allora così
debolmente questo segnale? Manca la volontà di ascoltare? O manca
piuttosto la volontà di usare parole chiare, di farsi capire? O ancora
non dovremmo forse anche noi, tutti noi, a cominciare dagli ebrei che
lavorano sul fronte dell'informazione, ripensare il nostro lavoro e
l'efficacia del nostro impegno?
Se un dibattito serio sulla funzione degli ebrei italiani nella società
e sulla maniera di presentare, di comunicare questo ruolo, prenderà nei
prossimi giorni effettivamente l'avvio, l'editoriale di fine anno del
Corriere, pur reggendosi su presupposti del tutto sballati, avrà
comunque un grande merito. Da una stortura, come il Talmud insegna in
pagine memorabili, possono in definitiva scaturire molte meraviglie.
gv
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Ticketless
- Gli ebrei italiani e l’arcobaleno |
Questo
ritratto di Claudio Treves, direttore della “Libertà” si deve alla
pittrice Mela Mutter e lo si può osservare al Museo di Storia
Contemporanea di Milano. Mi è venuto in mente questa settimana leggendo
la risposta di Tommaso Giartosio all’articolo di Ernesto Galli della
Loggia sulla questione del matrimonio omosessuale (Corriere della Sera,
30.12.2012 e 2.1.2013, ivi anche la sgarbata controreplica di Galli
della Loggia). Il punto di partenza è il documento del Gran Rabbino di
Francia Gilles Bernheim, dal titolo “Matrimonio omosessuale,
omoparentalità e adozione”. La ricostruzione storica del processo di
emancipazione fatta da Galli Della Loggia è capziosa: nel percorso che
ha portato gli ebrei europei a integrarsi con le élites laico-liberali
non vi è stata soltanto la volontà di nascondersi dietro la critica
antireligiosa di ascendenza illuministica, vi è stato anche un ideale
più profondo, consistente nel guardare altrove ed allargare ad un
numero sempre maggiore di persone l’eguaglianza dei diritti. Questa
dinamicità è stata bene rappresentata in Italia dal leader del
socialismo riformista, il quale non perdeva occasione di esprimere “il
suo consenso morale per chiunque voglia farsi libero, superando
ostacoli e spezzando vincoli”. L’emancipazione per molti ebrei
anti-moderni è stata una categoria talvolta deprecabile, talvolta
meramente statica, ma per altri, come Treves è stata una forza
dinamica che ha spinto a combattere per l’abbattimento di qualsiasi
ghetto. Ieri i diritti erano stati riconosciuti agli ebrei, poi
sono stati riconosciuti alle donne. Domani lo saranno agli omosessuali.
Tutta la mia solidarietà dunque alle Famiglie Arcobaleno, strapazzate
da Galli della Loggia. Su una cosa però ha assolutamente ragione Galli
della Loggia, quando sostiene che le voci ebraiche che intervengono su
questi e altri temi sono tenui. Preciserei meglio: non la voce dei
rabbini (rav Di Segni non si è mai tirato indietro, che io sappia).
Quella che tace, sui diritti degli omosessuali, è la voce dei sedicenti
“ebrei laici”. Virtuosi fino all’inverosimile, quando si tratta di
chiosare il Talmud, ma sempre sorprendentemente muti su questo
problema. Ebrei laici che seguite questo portale: se davvero ci siete,
battete un colpo.
Alberto
Cavaglion
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Nozioni di base
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Negli ultimi giorni, le
esternazioni degli esponenti dell’Autonomia Palestinese riguardo
all’identità e alla natura della loro controparte israeliana hanno
subito un’accelerazione esponenziale. Cito a caso tra le varie
dichiarazioni ufficiali – riportate su numerosi siti web, ma tutte
rigorosamente ignorate dalla stampa nostrana, che, come sempre, di
fronte alla Palestina ‘reale’, fa come le scimmiette che si chiudono
occhi, bocca e orecchie: molto più comodo avere a che fare con la
Palestina dei sogni -: “il Muro Occidentale di Gerusalemme è un luogo
santo islamico e nessun ebreo vi ha mai pregato prima del 1917”;
“Gerusalemme in ogni sua parte è prerogativa dei palestinesi”, e le
rivendicazioni israeliane sulla città “non hanno alcun fondamento
religioso, storico o giuridico”; il Tempio di Gerusalemme “non è mai
esistito”; in Palestina “non c’è mai stata alcuna storia ebraica”, gli
ebrei, prima del XX secolo, “non sono mai stati a Gerusalemme”, e così
via.
Questa forma di negazionismo, certo, non è una novità: anche Gesù,
Giuseppe, Maria non erano ebrei, ma palestinesi, gli ebrei,
semplicemente non ci sono mai stati, né a Gerusalemme né ad Auschwitz.
Ma, dopo la ‘promozione’ da parte delle Nazioni Unite, il ritornello è
diventato martellante, tale da sollevare due semplici domande.
Prima domanda. Sulla base di queste convinzioni, perché mai i
palestinesi dovrebbero accettare, un domani, di sedersi al tavolo delle
trattative con intenzioni serie, ossia sulla base di un mutuo
riconoscimento tra le controparti, con l’obiettivo di una pacifica
convivenza tra due distinte entità nazionali e statuali? Perché
dovrebbero farlo? Perché avallare un sopruso, dare concretezza di
popolo e di nazione a qualcosa che non esiste, a un fantasma?
Per immaginare un negoziato che abbia almeno una parvenza di serietà,
ci si dovrebbe quindi attendere che le autorità palestinesi cambino,
almeno in parte, le loro “nozioni di base” di storia e geografia. Ma –
e qui viene la seconda domanda, che è uguale alla prima – perché mai
dovrebbero farlo? Se, così come sono, riscuotono il plauso scrosciante
del “resto del mondo”, perché dovrebbero cambiare? Questa è la
Palestina che il mondo vuole: parole violente (ANM) o gesti violenti
(Hamas), non un’altra. Perché cambiare?
Francesco
Lucrezi, storico
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rassegna
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Qui Roma - Nuove pietre d'inciampo
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Leggi
la rassegna |
L'artista
tedesco Gunter Demnig lunedì e martedì prossimo tornerà nella Capitale
per la quarta edizione di "Memorie d'inciampo a Roma", organizzata da
Arteinmemoria e curata da Adachiara Zevi. In due giorni, Demnig
posizionerà 36 nuovi sampietrini d'ottone, in memoria dei deportati
razziali e politici, assassinati dai nazisti nei campi di
concentramento, nei marciapiedi su cui si affacciano le loro vecchie
abitazioni.
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L’Avvenire
riporta le parole rassicuranti di padre Lombardi, direttore della Sala
Stampa Vaticana, che dopo le dichiarazioni del superiore dei
lefebvriani ribadisce che “gli ebrei non sono i nemici della Chiesa”.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
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