Qui Gerusalemme - Hanna Wertheimer Minerbi (1927-2013) |
Diplomatico,
scrittore, considerato fra i massimi esperti delle relazioni fra
Israele e il Vaticano, il nostro collaboratore Sergio Minerbi ha perso
nelle scorse ore la compagna della sua vita Hanna Edith Wertheimer
Minerbi. Sempre a fianco del marito nelle sue missioni
diplomatiche e nel coinvolgimento per la comunità degli Italkim, cui
non apparteneva per retaggio culturale, Hanna Minerbi era nata nel 1927
a Debrecen in Ungheria ed era riuscita miracolosamente a mettersi in
salvo, negli anni della Shoah, riparando in Israele grazie a uno dei
trasporti di Rudolf Kastner. Sergio e la donna che gli sarebbe stata a
fianco si erano conosciuti nel quadro delle attività dell'Hashomer
Hatzair nel Kibbutz Eilon e si erano poi trasferiti a sud nel Kibbutz
Ruhama, gli impegni diplomatici di Sergio li avevano poi portati su
molti continenti e infine a stabilirsi a Gerusalemme. Hanna Wertheimer Minerbi era una esperta e ricercatrice di scienze della nutrizione. I funerali si svolgeranno domenica alle 11 alle porte di Gerusalemme al cimitero del Kibbutz Qiryat 'Anavim. A
Sergio, ai figli, ai nipoti e a tutti i loro congiunti il saluto
affettuoso e commosso della redazione del Portale dell'ebraismo
italiano e di Pagine Ebraiche. Che il ricordo di Hanna sia di benedizione.
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Oscar - Una nuova prima
volta per Israele |
L’esclusione de La
Sposa promessa dalla corsa alle nomination all’Oscar qualche settimana
fa aveva lasciato un po’ delusi (d’altro canto è vero che tra il 2008 e
il 2012 sono stati quattro i film nella cinquina finalista, facendo
dello Stato ebraico il paese più rappresentato degli ultimi cinque
anni). Ma dopo l’annuncio delle pellicole che si contenderanno la
statuetta più ambita il prossimo 24 febbraio a Los Angeles, la
cinematografia israeliana può festeggiare un nuovo traguardo: sono ben
due i suoi rappresentanti tra i cinque selezionati per la categoria
documentari, The Gatekeepers e 5 Broken Cameras.
Entrambi sono rivolti ad approfondire aspetti del confitto
israelo-palestinese. The Gatekeepers (nell'immagine), diretto da Dror
Moreh, presenta
un intenso colloquio con i sei uomini che negli ultimi trent’anni hanno
guidato lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence che ha l’incarico di
difendere lo Stato ebraico dalle minacce terroristiche. 5 Broken
Cameras racconta invece la storia di un videoamatore palestinese che
documenta le tensioni tra gli abitanti del suo villaggio in
Cisgiordania e gli israeliani che si occupano della costruzione della
barriera difensiva (due i registi, l’israeliano Guy Davidi e il
palestinese Emat Burnat).
La stampa israeliana fa poi notare che sono tante le nomination in
salsa Jewish per la corsa agli Oscar 2013 a cominciare da Stephen
Spielberg, con il suo Lincoln che ha ricevuto 12 nomination, tra cui
quella per la miglior sceneggiatura, realizzata dal commediografo ebreo
Tony Kushner, già vincitore del Pulitzer for Drama nel 1993, fino a due
concorrenti della categoria miglior attore, Joaquin Phoenix con The
Master e Alan Arkin con Argo.
Rossella
Tercatin twitter @rtercatinmoked
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Qui Roma - Le pietre
della Memoria
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Torna l'appuntamento con le
stolpersteine, le pietre d'inciampo che ricordano le vittime della
persecuzione nazifascista nei luoghi dove vissero e dove – in molti
casi – ebbe inizio la loro deportazione. Trentasei nuovi sampietrini
saranno installati nei prossimi giorni a Roma dal loro ideatore,
l'artista tedesco Gunter Demnig. Prima cerimonia in ordine cronologico
l'apposizione di una pietra, lunedì alle 9 in via Garibaldi 38, di
fronte all'abitazione che fu di Augusto Sperati.
Questa mattina, alla Casa della Memoria e della Storia, la conferenza
stampa di presentazione del progetto, giunto alla quarta edizione,
posto sotto l'alto patronato della presidenza della Repubblica e
coordinato dall'architetto Adachiara Zevi per l'associazione culturale
Arteinmemoria. A definire i dettagli dell'iniziativa, a soffermarsi
sulle sfide della Memoria e della testimonianza raccontate attraverso
l'arte, due ospiti: lo storico Lutz Klinkhammer e l'artista Alfredo
Pirri. In apertura i saluti di Annabella Gioia dell'Istituto storico di
resistenza. Ricordato, dagli intervenuti, l'ampio spettro di città,
luoghi, situazioni coperte in questi anni dalle stolpersteine. Ideate
nel 1993 a Colonia per ricordare la deportazione dei cittadini rom e
sinti, danno oggi – con quasi 40mila installazioni in Germania e tutta
Europa – la profondità di una sfida accolta con crescente interesse e
attenzione dall'opinione pubblica. Una delle risposte più efficaci, è
stato inoltre sottolineato nel corso dell'incontro, ai fautori
dell'odio e dei deliri negazionisti che perseverano a diffondere i loro
veleni. “Quanto è scritto su quelle pietre – ha affermato Zevi – ha la
portata della prova storica”. A patrocinare l'impegno Unione delle
Comunità Ebrache Italiane, Comunità ebraica di Roma e ambasciata
tedesca.
Nella mattinata presentata anche la settima edizione di Arte in
Memoria, mostra internazionale di arte contemporanea – curata anch'essa
dalla Zevi – che si aprirà domenica 20 gennaio nell'area archeologica e
presso la sinagoga di Ostia antica. Quattro gli artisti invitati ad
intervenire: Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hidetoshi Nagasawa e
Michael Rakowitz. Presupposto teorico e critico di Arte in Memoria è
che la nostra cultura sia ossessionata dalla memoria e catturata dalla
dinamica “distruttiva” dell'oblio. Perché la memoria delle tragedie
trascorse, recenti e in atto non si risolva nelle commemorazioni e nei
discorsi rituali di un giorno la mostra invita pertanto la comunità
degli artisti a trasformare un luogo di culto “in luogo di cultura”
ripopolandolo con visioni ispirate alla storia ma allo stesso tempo
“radicate nell'attualità”.
a.s
– twitter asmulevichmoked
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La violenza dell’utopia
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Al termine di un dibattito
scolastico su Israele e Palestina svolto (contrariamente ai miei
timori) in modo pacato e amichevole, con interventi intelligenti da
parte degli studenti, arriva l’ultimo discorso che si autoproclama
conciliante, una voce femminile che dichiara di prendere le distanze
dalle discussioni e lacerazioni create dal mondo maschile. Dunque –
dice – basta parlare di Israele e Palestina, di ebrei, cristiani e
musulmani, di due popoli e due stati: viviamo felici e contenti tutti
insieme appassionatamente in un unico stato per tutti. Seguono applausi
scroscianti. Dobbiamo dedurne che la stragrande maggioranza dei
presenti fosse a favore dell’eliminazione di Israele? (È quello che il
discorso proponeva in sostanza, al di là delle parole gentili). Non
credo: le reazioni agli interventi precedenti inducevano a pensare che
se alle stesse persone che hanno applaudito fosse stato chiesto se
secondo loro Israele ha diritto di esistere probabilmente una larga
maggioranza avrebbe risposto affermativamente. Da un lato ci si può
rammaricare per il modo con cui spesso in molti ambiti (e non solo a
proposito di Israele) si celano proposte inquietanti dietro a un velo
ingannevole di pacatezza e ragionevolezza, dall’altro può essere in
parte confortante, quando si leggono gli esiti preoccupanti di sondaggi
e cose simili, pensare che forse chi ha risposto potrebbe non aver
valutato davvero fino in fondo le implicazioni della domanda.
È difficile per i ragazzi rendersi conto di quanto l’utopia sappia
essere a volte violenta, con il suo desiderio di sottomettere la realtà
a uno schema prefissato e con il suo programmatico rifiuto di prendere
in considerazione tutti i fatti che a questo schema non si conformano.
È un peccato che questa rigidità intollerante sia rivendicata come
specificità femminile.
Anna
Segre, insegnante
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La dignità necessaria
alle unioni gay
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Il dibattito sul matrimonio
gay ha preso una piega strana e talvolta inquietante. Sorvolo sugli
ipocriti che fingono di rimpiangere i bei tempi dell'omosessualità
deviante, ribelle, e refrattaria a «entrare nella norma». Sorvolo sulla
condiscendenza delle anime belle secondo cui «il popolo», in tempi di
crisi, avrebbe altre gatte da pelare piuttosto che queste storie di
borghesi bohémien (non si osa dire di pederasti). Sorvolo infine sul
comico panico di chi ritiene che il matrimonio gay (ribattezzato a
torto matrimonio «per tutti» dai suoi sostenitori troppo prudenti, e
privi del coraggio di dire pane al pane, vino al vino) sia una porta
aperta alla pedofilia, all'incesto, alla poligamia.
Non si può invece sorvolare su quanto segue.
1) Sul modo in cui è percepito l'intervento delle religioni in tale
baruffa. Che le religioni debbano dire il loro parere su una vicenda
che è sempre stata, e lo è ancora, al centro della loro dottrina, è
normale. Ma che questo parere si faccia legge, che la voce del gran
rabbino di Francia o quella dell'arcivescovo di Parigi sia più di una
voce fra tante altre, che ci si nasconda dietro alla loro grande ed
eminente autorità per chiudere la discussione e mettere a tacere una
legittima domanda di diritti, non è compatibile con i principi di
neutralità sui quali, da almeno un secolo, si suppone sia edificata la
nostra società. Il matrimonio, in Francia, non è un sacramento, è un
contratto. E se è sempre possibile aggiungere il secondo al primo, e
ciascuno può stringere, se lo desidera, un'unione supplementare davanti
al prete, non è di questo che tratta la legge sul matrimonio gay.
Nessuno chiede ai religiosi di cedere sulla loro dottrina. Ma nessuno
può esigere dal cittadino di regolare il proprio comportamento sui
dogmi della fede. Si crede di andare in guerra contro il comunitarismo
ed è la laicità ad essere discreditata: che cosa ridicola!
2) Sulla mobilitazione degli psicoanalisti o, in ogni caso, di alcuni
di loro, che si ritiene dovrebbero fornire agli avversari della legge
argomentazioni scientifiche e, forti della loro autorità, provare che
questo progetto causerebbe un altro malessere, stavolta mortale, nella
civiltà contemporanea. Bisogna dirlo e ripeterlo: la scienza freudiana
non è uno scientismo; l'ordine simbolico che opera nell'inconscio non è
un ordine biologico; e fare del complesso di Edipo l'altro nome del
triangolo ben noto dei servizi familiaristi (papà, mamma ed io, la
«piccola famiglia incestuosa» dell'ordine eterosessuale di cui parlava
Michel Foucault...) fu probabilmente un peccato di gioventù della
psicoanalisi: ma da tempo essa lo ha scongiurato e non esiste ormai un
analista serio che riduca filiazione e trasmissione a questioni di pura
«natura». Leggete la letteratura sull'argomento. Non ci sono
indicazioni, per esempio, che suggeriscano una predisposizione
all'omosessualità in caso di adozione da parte di una coppia gay. Non
ci sono effetti perversi particolari quando si strappa un bambino da un
sordido orfanotrofio e lo si trasferisce in una famiglia con un solo
genitore o con genitori omosessuali amorevoli. E se pure questo dovesse
provocare un turbamento, lo sguardo che la società impregnata di
omofobia porta sul bambino sembra sia infinitamente più sconvolgente
della apparente indistinzione dei ruoli nella famiglia così composta...
3) Sulla famiglia, appunto. La sacrosanta famiglia che ci viene
presentata, a scelta, come la base o il cemento delle società. Come se
«la» famiglia non avesse già tutta una sua storia! Come se ci fosse un
solo modello, e non invece molti modelli di famiglia, quasi omonimi,
che si succedono dall'antichità ai nostri giorni, dai secoli classici
ai secoli borghesi, dall'età delle grandi discipline (quando la cellula
familiare funzionava, in effetti, come ingranaggio del macchinario del
controllo sociale) a quella del «diritto alla ricerca della felicità»
di cui parlava Hannah Arendt in un testo del 1959 sulle «unioni
interrazziali» (in cui il matrimonio diventa un luogo di pienezza e di
libertà per il soggetto)! Come se la banalizzazione del divorzio, la
generalizzazione della contraccezione o dell'interruzione volontaria di
gravidanza, la moltiplicazione delle adozioni e delle famiglie single,
il fatto che oggi siano più numerosi i bambini nati fuori dal
matrimonio che da coppie sposate, come se la disgiunzione, infine, del
sessuale dal coniugale, non avessero fatto vacillare il modello
tradizionale ben al di là di quello che mai farà una legge sul
matrimonio gay che, per definizione, riguarderà solo una minoranza
della società!
La verità è che gli avversari della legge sempre più difficilmente
riescono a dissimulare il fondo di omofobia che governa i loro discorsi.
Preferiamo una posizione di dignità (perché fondata sul principio di
universalità della regola di diritto), di saggezza (talvolta il diritto
serve a prendere atto di una evoluzione che il Paese ha già voluto e
compiuto) e di fiducia nell'avvenire (chissà se non toccherà ai gay
sposati, non di impoverire, ma di arricchire le arti di amare e di
vivere di una società alla quale, da mezzo secolo, hanno già dato
tanto?).
Possa il legislatore decidere serenamente e senza cedere alla pressione
delle piazze né all'intimidazione dei falsi sapienti: è in gioco, in
effetti, ma non nel senso che ci viene detto, l'avvenire di quella
bella illusione che è la convivenza democratica.
Bernard-Henry
Lévy, Corriere della Sera, 11 gennaio 2013
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Beppe Grillo apre a Casa Pound: "Potete entrare nel Movimento"
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"Avete idee condivisibili,
alcune più, alcune meno. Ma se un ragazzo di Casa Pound vuole entrare a
far parte del Movimento, non vedo problemi oggettivi". A dichiararlo
Beppe Grillo al candidato alla Regione Lazio per Casa Pound Italia.
Riuniti di fronte al Viminale per la presentazione del simbolo
elettorale. E ancora: "C'è una violenza che sta per esplodere. Lo Stato
deve prendersi in mano l'energia, non le multinazionali. Deve gestire
sanità, strutture, scuola, autostrade, informazione. Noi siamo la
controparte strutturale del Palazzo".
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Sul Corriere della Sera
prosegue il dibattito sulle unioni gay in Francia, che ha visto
l’ebraismo d’Oltralpe protagonista dopo un intervento sul tema del
rabbino capo Gilles Bernheim. Oggi è il pensatore Bernard-Henry Lévy a
fare il punto, esprimendo contrarietà all’idea che la voce dei
rappresentanti delle religioni conti più di altre nella riflessione sul
tema.
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