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11 gennaio 2013 - 29 Tevet 5773
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Jonathan Sacks, rabbino capo
del Commonwealth
 


Essere ebreo vuol dire leggere. Imparare, studiare, impegnare la mente nella ricerca di Dio e della verità, è il più sacro degli atti.
Gadi
Luzzatto Voghera,
storico



gadi luzzatto voghera
Il Dossier Statistico Immigrazione 2012 riporta in sintesi un dato su cui chi si occupa di ebrei in Italia e presenza demografica dovrebbe riflettere. Risulta infatti che circa lo 0,1% degli immigrati si definisca di religione ebraica: su più di 5 milioni di immigrati fa oltre 5.000 ebrei che sono immigrati in Italia. Nel solo Veneto se ne contano 554 ufficiali. Chi sono? Da dove vengono? Sanno che esistono delle comunità ebraiche? Certamente le comunità non sanno (o non vogliono sapere) che loro esistono, perché altrimenti se ne occuperebbero, sia per dovere assistenziale, sia per interesse al rafforzamento demografico. Per fare un esempio: in numerose edicole del Friuli-Venezia Giulia (sicuramente a Trieste, a Udine e a Lignano) viene venduto regolarmente un settimanale ebraico in lingua russa che si stampa in Germania, la “Evreyskaya Gazeta”. Questo significa che ci sono numerose famiglie ebraiche russe immigrate nel Nord-Est che leggono e si tengono informate sulla vita ebraica e che presumibilmente potrebbero essere interessate a far parte di una comunità ebraica in Italia, partecipare alla sua vita, portare un contributo di esperienza umana e patecipare ai suoi riti. A me pare che questo tipo di segnale dovrebbe essere colto: nella storia sono stati numerosi i momenti in cui l’Italia è stata meta di immigrazioni ebraiche. Mai molto numerose, ma tutte hanno lasciato un segno importante. Se ci si mostra refrattari ad accogliere queste nuove realtà, finisce che le periodiche lamentazioni sulla debolezza demografica dell’ebraismo in Italia si riducono a patetiche prese di posizione ideologiche, a cui non corrispondono le reali articolazioni della presenza ebraica nel territorio della Penisola.

davar
Qui Gerusalemme - Hanna Wertheimer Minerbi (1927-2013)
Diplomatico, scrittore, considerato fra i massimi esperti delle relazioni fra Israele e il Vaticano, il nostro collaboratore Sergio Minerbi ha perso nelle scorse ore la compagna della sua vita Hanna Edith Wertheimer Minerbi.
Sempre a fianco del marito nelle sue missioni diplomatiche e nel coinvolgimento per la comunità degli Italkim, cui non apparteneva per retaggio culturale, Hanna Minerbi era nata nel 1927 a Debrecen in Ungheria ed era riuscita miracolosamente a mettersi in salvo, negli anni della Shoah, riparando in Israele grazie a uno dei trasporti di Rudolf Kastner. Sergio e la donna che gli sarebbe stata a fianco si erano conosciuti nel quadro delle attività dell'Hashomer Hatzair nel Kibbutz Eilon e si erano poi trasferiti a sud nel Kibbutz Ruhama, gli impegni diplomatici di Sergio li avevano poi portati su molti continenti e infine a stabilirsi a Gerusalemme.
Hanna Wertheimer Minerbi era una esperta e ricercatrice di scienze della nutrizione.
I funerali si svolgeranno domenica alle 11 alle porte di Gerusalemme al cimitero del Kibbutz Qiryat 'Anavim.
A Sergio, ai figli, ai nipoti e a tutti i loro congiunti il saluto affettuoso e commosso della redazione del Portale dell'ebraismo italiano e di Pagine Ebraiche.
Che il ricordo di Hanna sia di benedizione.

Oscar - Una nuova prima volta per Israele
L’esclusione de La Sposa promessa dalla corsa alle nomination all’Oscar qualche settimana fa aveva lasciato un po’ delusi (d’altro canto è vero che tra il 2008 e il 2012 sono stati quattro i film nella cinquina finalista, facendo dello Stato ebraico il paese più rappresentato degli ultimi cinque anni). Ma dopo l’annuncio delle pellicole che si contenderanno la statuetta più ambita il prossimo 24 febbraio a Los Angeles, la cinematografia israeliana può festeggiare un nuovo traguardo: sono ben due i suoi rappresentanti tra i cinque selezionati per la categoria documentari, The Gatekeepers e 5 Broken Cameras.
Entrambi sono rivolti ad approfondire aspetti del confitto israelo-palestinese. The Gatekeepers (nell'immagine), diretto da Dror Moreh, presenta un intenso colloquio con i sei uomini che negli ultimi trent’anni hanno guidato lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence che ha l’incarico di difendere lo Stato ebraico dalle minacce terroristiche. 5 Broken Cameras racconta invece la storia di un videoamatore palestinese che documenta le tensioni tra gli abitanti del suo villaggio in Cisgiordania e gli israeliani che si occupano della costruzione della barriera difensiva (due i registi, l’israeliano Guy Davidi e il palestinese Emat Burnat).
La stampa israeliana fa poi notare che sono tante le nomination in salsa Jewish per la corsa agli Oscar 2013 a cominciare da Stephen Spielberg, con il suo Lincoln che ha ricevuto 12 nomination, tra cui quella per la miglior sceneggiatura, realizzata dal commediografo ebreo Tony Kushner, già vincitore del Pulitzer for Drama nel 1993, fino a due concorrenti della categoria miglior attore, Joaquin Phoenix con The Master e Alan Arkin con Argo.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

Qui Roma - Le pietre della Memoria
Torna l'appuntamento con le stolpersteine, le pietre d'inciampo che ricordano le vittime della persecuzione nazifascista nei luoghi dove vissero e dove – in molti casi – ebbe inizio la loro deportazione. Trentasei nuovi sampietrini saranno installati nei prossimi giorni a Roma dal loro ideatore, l'artista tedesco Gunter Demnig. Prima cerimonia in ordine cronologico l'apposizione di una pietra, lunedì alle 9 in via Garibaldi 38, di fronte all'abitazione che fu di Augusto Sperati.
Questa mattina, alla Casa della Memoria e della Storia, la conferenza stampa di presentazione del progetto, giunto alla quarta edizione, posto sotto l'alto patronato della presidenza della Repubblica e coordinato dall'architetto Adachiara Zevi per l'associazione culturale Arteinmemoria. A definire i dettagli dell'iniziativa, a soffermarsi sulle sfide della Memoria e della testimonianza raccontate attraverso l'arte, due ospiti: lo storico Lutz Klinkhammer e l'artista Alfredo Pirri. In apertura i saluti di Annabella Gioia dell'Istituto storico di resistenza. Ricordato, dagli intervenuti, l'ampio spettro di città, luoghi, situazioni coperte in questi anni dalle stolpersteine. Ideate nel 1993 a Colonia per ricordare la deportazione dei cittadini rom e sinti, danno oggi – con quasi 40mila installazioni in Germania e tutta Europa – la profondità di una sfida accolta con crescente interesse e attenzione dall'opinione pubblica. Una delle risposte più efficaci, è stato inoltre sottolineato nel corso dell'incontro, ai fautori dell'odio e dei deliri negazionisti che perseverano a diffondere i loro veleni. “Quanto è scritto su quelle pietre – ha affermato Zevi – ha la portata della prova storica”. A patrocinare l'impegno Unione delle Comunità Ebrache Italiane, Comunità ebraica di Roma e ambasciata tedesca.
Nella mattinata presentata anche la settima edizione di Arte in Memoria, mostra internazionale di arte contemporanea – curata anch'essa dalla Zevi – che si aprirà domenica 20 gennaio nell'area archeologica e presso la sinagoga di Ostia antica. Quattro gli artisti invitati ad intervenire: Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hidetoshi Nagasawa e Michael Rakowitz. Presupposto teorico e critico di Arte in Memoria è che la nostra cultura sia ossessionata dalla memoria e catturata dalla dinamica “distruttiva” dell'oblio. Perché la memoria delle tragedie trascorse, recenti e in atto non si risolva nelle commemorazioni e nei discorsi rituali di un giorno la mostra invita pertanto la comunità degli artisti a trasformare un luogo di culto “in luogo di cultura” ripopolandolo con visioni ispirate alla storia ma allo stesso tempo “radicate nell'attualità”.

a.s – twitter asmulevichmoked

pilpul
La violenza dell’utopia
Anna SegreAl termine di un dibattito scolastico su Israele e Palestina svolto (contrariamente ai miei timori) in modo pacato e amichevole, con interventi intelligenti da parte degli studenti, arriva l’ultimo discorso che si autoproclama conciliante, una voce femminile che dichiara di prendere le distanze dalle discussioni e lacerazioni create dal mondo maschile. Dunque – dice – basta parlare di Israele e Palestina, di ebrei, cristiani e musulmani, di due popoli e due stati: viviamo felici e contenti tutti insieme appassionatamente in un unico stato per tutti. Seguono applausi scroscianti. Dobbiamo dedurne che la stragrande maggioranza dei presenti fosse a favore dell’eliminazione di Israele? (È quello che il discorso proponeva in sostanza, al di là delle parole gentili). Non credo: le reazioni agli interventi precedenti inducevano a pensare che se alle stesse persone che hanno applaudito fosse stato chiesto se secondo loro Israele ha diritto di esistere probabilmente una larga maggioranza avrebbe risposto affermativamente. Da un lato ci si può rammaricare per il modo con cui spesso in molti ambiti (e non solo a proposito di Israele) si celano proposte inquietanti dietro a un velo ingannevole di pacatezza e ragionevolezza, dall’altro può essere in parte confortante, quando si leggono gli esiti preoccupanti di sondaggi e cose simili, pensare che forse chi ha risposto potrebbe non aver valutato davvero fino in fondo le implicazioni della domanda.
È difficile per i ragazzi rendersi conto di quanto l’utopia sappia essere a volte violenta, con il suo desiderio di sottomettere la realtà a uno schema prefissato e con il suo programmatico rifiuto di prendere in considerazione tutti i fatti che a questo schema non si conformano. È un peccato che questa rigidità intollerante sia rivendicata come specificità femminile.

Anna Segre, insegnante

La dignità necessaria alle unioni gay
Il dibattito sul matrimonio gay ha preso una piega strana e talvolta inquietante. Sorvolo sugli ipocriti che fingono di rimpiangere i bei tempi dell'omosessualità deviante, ribelle, e refrattaria a «entrare nella norma». Sorvolo sulla condiscendenza delle anime belle secondo cui «il popolo», in tempi di crisi, avrebbe altre gatte da pelare piuttosto che queste storie di borghesi bohémien (non si osa dire di pederasti). Sorvolo infine sul comico panico di chi ritiene che il matrimonio gay (ribattezzato a torto matrimonio «per tutti» dai suoi sostenitori troppo prudenti, e privi del coraggio di dire pane al pane, vino al vino) sia una porta aperta alla pedofilia, all'incesto, alla poligamia.
Non si può invece sorvolare su quanto segue.
1) Sul modo in cui è percepito l'intervento delle religioni in tale baruffa. Che le religioni debbano dire il loro parere su una vicenda che è sempre stata, e lo è ancora, al centro della loro dottrina, è normale. Ma che questo parere si faccia legge, che la voce del gran rabbino di Francia o quella dell'arcivescovo di Parigi sia più di una voce fra tante altre, che ci si nasconda dietro alla loro grande ed eminente autorità per chiudere la discussione e mettere a tacere una legittima domanda di diritti, non è compatibile con i principi di neutralità sui quali, da almeno un secolo, si suppone sia edificata la nostra società. Il matrimonio, in Francia, non è un sacramento, è un contratto. E se è sempre possibile aggiungere il secondo al primo, e ciascuno può stringere, se lo desidera, un'unione supplementare davanti al prete, non è di questo che tratta la legge sul matrimonio gay. Nessuno chiede ai religiosi di cedere sulla loro dottrina. Ma nessuno può esigere dal cittadino di regolare il proprio comportamento sui dogmi della fede. Si crede di andare in guerra contro il comunitarismo ed è la laicità ad essere discreditata: che cosa ridicola!
2) Sulla mobilitazione degli psicoanalisti o, in ogni caso, di alcuni di loro, che si ritiene dovrebbero fornire agli avversari della legge argomentazioni scientifiche e, forti della loro autorità, provare che questo progetto causerebbe un altro malessere, stavolta mortale, nella civiltà contemporanea. Bisogna dirlo e ripeterlo: la scienza freudiana non è uno scientismo; l'ordine simbolico che opera nell'inconscio non è un ordine biologico; e fare del complesso di Edipo l'altro nome del triangolo ben noto dei servizi familiaristi (papà, mamma ed io, la «piccola famiglia incestuosa» dell'ordine eterosessuale di cui parlava Michel Foucault...) fu probabilmente un peccato di gioventù della psicoanalisi: ma da tempo essa lo ha scongiurato e non esiste ormai un analista serio che riduca filiazione e trasmissione a questioni di pura «natura». Leggete la letteratura sull'argomento. Non ci sono indicazioni, per esempio, che suggeriscano una predisposizione all'omosessualità in caso di adozione da parte di una coppia gay. Non ci sono effetti perversi particolari quando si strappa un bambino da un sordido orfanotrofio e lo si trasferisce in una famiglia con un solo genitore o con genitori omosessuali amorevoli. E se pure questo dovesse provocare un turbamento, lo sguardo che la società impregnata di omofobia porta sul bambino sembra sia infinitamente più sconvolgente della apparente indistinzione dei ruoli nella famiglia così composta...
3) Sulla famiglia, appunto. La sacrosanta famiglia che ci viene presentata, a scelta, come la base o il cemento delle società. Come se «la» famiglia non avesse già tutta una sua storia! Come se ci fosse un solo modello, e non invece molti modelli di famiglia, quasi omonimi, che si succedono dall'antichità ai nostri giorni, dai secoli classici ai secoli borghesi, dall'età delle grandi discipline (quando la cellula familiare funzionava, in effetti, come ingranaggio del macchinario del controllo sociale) a quella del «diritto alla ricerca della felicità» di cui parlava Hannah Arendt in un testo del 1959 sulle «unioni interrazziali» (in cui il matrimonio diventa un luogo di pienezza e di libertà per il soggetto)! Come se la banalizzazione del divorzio, la generalizzazione della contraccezione o dell'interruzione volontaria di gravidanza, la moltiplicazione delle adozioni e delle famiglie single, il fatto che oggi siano più numerosi i bambini nati fuori dal matrimonio che da coppie sposate, come se la disgiunzione, infine, del sessuale dal coniugale, non avessero fatto vacillare il modello tradizionale ben al di là di quello che mai farà una legge sul matrimonio gay che, per definizione, riguarderà solo una minoranza della società!
La verità è che gli avversari della legge sempre più difficilmente riescono a dissimulare il fondo di omofobia che governa i loro discorsi.
Preferiamo una posizione di dignità (perché fondata sul principio di universalità della regola di diritto), di saggezza (talvolta il diritto serve a prendere atto di una evoluzione che il Paese ha già voluto e compiuto) e di fiducia nell'avvenire (chissà se non toccherà ai gay sposati, non di impoverire, ma di arricchire le arti di amare e di vivere di una società alla quale, da mezzo secolo, hanno già dato tanto?).
Possa il legislatore decidere serenamente e senza cedere alla pressione delle piazze né all'intimidazione dei falsi sapienti: è in gioco, in effetti, ma non nel senso che ci viene detto, l'avvenire di quella bella illusione che è la convivenza democratica.

Bernard-Henry Lévy, Corriere della Sera, 11 gennaio 2013


notizieflash   rassegna stampa
Beppe Grillo apre a Casa Pound:
"Potete entrare nel Movimento"
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"Avete idee condivisibili, alcune più, alcune meno. Ma se un ragazzo di Casa Pound vuole entrare a far parte del Movimento, non vedo problemi oggettivi". A dichiararlo Beppe Grillo al candidato alla Regione Lazio per Casa Pound Italia. Riuniti di fronte al Viminale per la presentazione del simbolo elettorale. E ancora: "C'è una violenza che sta per esplodere. Lo Stato deve prendersi in mano l'energia, non le multinazionali. Deve gestire sanità, strutture, scuola, autostrade, informazione. Noi siamo la controparte strutturale del Palazzo".


 

Sul Corriere della Sera prosegue il dibattito sulle unioni gay in Francia, che ha visto l’ebraismo d’Oltralpe protagonista dopo un intervento sul tema del rabbino capo Gilles Bernheim. Oggi è il pensatore Bernard-Henry Lévy a fare il punto, esprimendo contrarietà all’idea che la voce dei rappresentanti delle religioni conti più di altre nella riflessione sul tema.



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